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Il coniuge non paga l’assegno di mantenimento: quando c’è responsabilità penale?

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 9 luglio 2012, n. 26808

1. Le massime

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, con riferimento alla condotta di chi faccia mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa, occorre distinguere tra “l’assegno di mantenimento” stabilito dal giudice civile in sede di giudizio di separazione tra i coniugi e “i mezzi si sussistenza” evocati dalla norma incriminatrice penale, essendo questi ultimi del tutto indipendenti dalla valutazione del giudice civile (nella specie, il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare veniva contestato ad un marito che non provvedeva al versamento dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione in favore della moglie e dei figli maggiorenni con lei conviventi, all’epoca non ancora autosufficienti economicamente).

La nozione di mezzi di sussistenza, ai fini della configurabilità del reato di violazione degli obblighi familiari, si distingue da quella civilistica di mantenimento e ricomprende solo ciò che è necessario per la sopravvivenza dei familiari dell’obbligato al momento storico in cui il fatto avviene, ne consegue che il giudice penale sarà tenuto ad accertare, fornendone adeguata motivazione: 1) la capacità economica dell’obbligato a fornire i mezzi di sussistenza; 2) la ricorrenza dello stato di bisogno in capo alle persone offese; 3) se, per effetto della condotta dell’obbligato, siano venuti a mancare ai beneficiari i necessari mezzi di sussistenza.

2. Il caso

Tizio veniva dichiarato colpevole del reato di violazione degli obblighi i assistenza familiare per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie Caia ed ai figli, omettendo di corrispondere loro l’assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile. Il Tribunale gli concedeva le attenuanti generiche, ritenendole equivalenti all’aggravante contestatagli e condannava Tizio alla pena di mesi quattro di reclusione con risarcimento danni e spese in favore di Caia, costuitasi parte civile, con pena sospesa in subordine al pagamento, entro il termine di due anni, della somma liquidata a titolo di risarcimento danni e delle somme già maturate con riferimento a quanto dovuto a titolo di assegno di mantenimento.

La Corte di appello, in sede di gravame, confermava il giudizio di primo grado. Il giudice di seconde cure riteneva comprovata responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, di cui venivano ritenuti sussistenti gli elementi costitutivi, ritenuto lo stato di bisogno della moglie separata, sprovvista di proprie fonti reddituali e non reputando che ricorressero fondate ragioni per la mitigazione del trattamento sanzionatorio richiesta da Tizio, né per la revoca della condizione cui era stata subordinata la sospensione della pena, avuto riguardo ad un precedente specifico dell’imputato ed alla puntuale determinazione della somma dovuta alla parte civile quale somma di ratei di mantenimento già maturati.

Avverso tale sentenza Tizio ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:

1) insussistenza del fatto non essendo risultato provato che la parte civile versasse in precarie condizioni economiche e pacifico essendo che i due figli della coppia separata fossero entrambi maggiorenni ad autosufficienti, difetto di motivazione su tali aspetti della decisione;

2) insussistenza del fatto per mancanza di indizi gravi e concordanti, posto che l’impugnata sentenza, senza procedere ad alcuna valutata e necessaria verifica della fondatezza delle condizioni legittimanti l’accusa, si era supinamente riportata alle considerazioni del giudice di primo grado, con conseguente difetto di motivazione sugli aspetti rappresentati dalla difesa;

3) difetto di motivazione, posto che i giudici di merito confondono il concetto penalistico di "mezzi di sussistenza" con quello civilistico di "mantenimento", trascurando una motivata verifica dello stato di bisogno della persona offesa, da escludersi, per le accertate condizioni oggettive favorevoli godute dalla donna, assegnataria di somme pignorate presso l’INPS e di un appartamento in zona signorile della città;

4) richiesta di assoluzione poiché ai fini di una corretta e comprovata prova d’accusa, non è sufficiente la sola dichiarazione della parte civile, in difetto di attendibili riscontri;

5) minimo della pena - revoca della condizione cui è stata subordinata la sospensione della pena, nonché errata motivazione anche in punto di asserita sussistenza di precedenti penali all’epoca della decisione impugnata.

3. La decisione

La Corte ritiene evidente la confusione operata dai giudici di merito tra il concetto penalistico di "mezzi di sussistenza" e quello civilistico di "mantenimento". Il codice penale, difatti, punisce la condotta di chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa (cfr., l’art. 570, cpv., n. 2, c.p.), mentre l’assegno di mantenimento, previsto per l’ipotesi di separazione dei coniugi dell’art. 156 del codice civile, è previsto in favore del coniuge cui la separazione non sia addebitabile, qualora quest’ultimo non abbia redditi propri. In diritto vivente si è peraltro chiarito come la mancanza di redditi propri debba essere intesa nel senso che i redditi goduti non consentano al coniuge svantaggiato di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza del matrimonio.

La Suprema Corte ribadisce il principio di diritto secondo cui, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, occorre correttamente distinguere la nozione civilistica di assegno di mantenimento e l’altra, diretta ad assumere preminente rilievo ai fini della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di mezzi di sussistenza.

I mezzi si sussistenza, nella cui nozione è ricompreso solo ciò che è necessario per la sopravvivenza dei familiari dell’obbligato, al momento storico in cui il fatto avviene, sono del tutto indipendenti dalla valutazione del giudice civile. Ne consegue che, nell’ipotesi di mancata corresponsione da parte del coniuge obbligato dell’assegno stabilito in sede civile, il giudice penale, al fine di ritenere la configurabilità del reato in esame, deve accertare se, per effetto di tale condotta omissiva, siano venuti a mancare ai beneficiari i mezzi di sussistenza. Una simile valutazione richiederà necessariamente la verifica della ricorrenza di alcune condizioni, ad un tempo oggettive e soggettive, quali lo stato di bisogno dell’avente diritto alla somministrazione di tali mezzi di sussistenza, nonché la comprovata capacità economica dell’obbligato a fornirglieli. Le predette circostanze dovranno trovare riscontro in una motivazione adeguata.

Della sentenza impugnata si censura una supina conferma delle argomentazioni già espresse dal giudice di primo grado, il quale non si era fatto carico di valorizzare gli elementi menzionati, motivando in maniera puntuale. Più in particolare, si era del tutto omesso di verificare se i figli della coppia, tutti maggiorenni, fossero inabili al lavoro, laddove le risultanze processuali evidenziavano come, giusto all’opposto, essi fossero in grado di svolgere attività lavorativa remunerata. Del pari, si era trascurata la motivata verifica dell’effettivo stato di bisogno dell’avente diritto, omettendo di dare atto del fatto che la donna, con pignoramento presso l’INPS, riscuoteva un quinto della somma spettante al marito e non si prestava il dovuto risalto a quanto sostenuto dalla difesa di Tizio, cioè se Caia fosse davvero assegnataria del godimento di una casa familiare ubicata in una zona signorile, secondo le prescrizioni impartite dal giudice civile in sede di separazione.

Nello specifico, evidenzia la Corte, certamente provata era – in atti – la capacità economica dell’imputato, il quale era senza dubbio in condizione di assicurare alla moglie i mezzi di sussistenza, tuttavia non debitamente provato era lo stato di bisogno della moglie Caia e dei figli maggiorenni.

La Corte, pertanto, conclude con l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso, ritenendo assorbite, allo stato, le doglianze ulteriori e dispone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello, in ordine alla motivata risposta sui punti innanzi evidenziati.

1. Le massime

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, con riferimento alla condotta di chi faccia mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa, occorre distinguere tra “l’assegno di mantenimento” stabilito dal giudice civile in sede di giudizio di separazione tra i coniugi e “i mezzi si sussistenza” evocati dalla norma incriminatrice penale, essendo questi ultimi del tutto indipendenti dalla valutazione del giudice civile (nella specie, il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare veniva contestato ad un marito che non provvedeva al versamento dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione in favore della moglie e dei figli maggiorenni con lei conviventi, all’epoca non ancora autosufficienti economicamente).

La nozione di mezzi di sussistenza, ai fini della configurabilità del reato di violazione degli obblighi familiari, si distingue da quella civilistica di mantenimento e ricomprende solo ciò che è necessario per la sopravvivenza dei familiari dell’obbligato al momento storico in cui il fatto avviene, ne consegue che il giudice penale sarà tenuto ad accertare, fornendone adeguata motivazione: 1) la capacità economica dell’obbligato a fornire i mezzi di sussistenza; 2) la ricorrenza dello stato di bisogno in capo alle persone offese; 3) se, per effetto della condotta dell’obbligato, siano venuti a mancare ai beneficiari i necessari mezzi di sussistenza.

2. Il caso

Tizio veniva dichiarato colpevole del reato di violazione degli obblighi i assistenza familiare per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie Caia ed ai figli, omettendo di corrispondere loro l’assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile. Il Tribunale gli concedeva le attenuanti generiche, ritenendole equivalenti all’aggravante contestatagli e condannava Tizio alla pena di mesi quattro di reclusione con risarcimento danni e spese in favore di Caia, costuitasi parte civile, con pena sospesa in subordine al pagamento, entro il termine di due anni, della somma liquidata a titolo di risarcimento danni e delle somme già maturate con riferimento a quanto dovuto a titolo di assegno di mantenimento.

La Corte di appello, in sede di gravame, confermava il giudizio di primo grado. Il giudice di seconde cure riteneva comprovata responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, di cui venivano ritenuti sussistenti gli elementi costitutivi, ritenuto lo stato di bisogno della moglie separata, sprovvista di proprie fonti reddituali e non reputando che ricorressero fondate ragioni per la mitigazione del trattamento sanzionatorio richiesta da Tizio, né per la revoca della condizione cui era stata subordinata la sospensione della pena, avuto riguardo ad un precedente specifico dell’imputato ed alla puntuale determinazione della somma dovuta alla parte civile quale somma di ratei di mantenimento già maturati.

Avverso tale sentenza Tizio ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:

1) insussistenza del fatto non essendo risultato provato che la parte civile versasse in precarie condizioni economiche e pacifico essendo che i due figli della coppia separata fossero entrambi maggiorenni ad autosufficienti, difetto di motivazione su tali aspetti della decisione;

2) insussistenza del fatto per mancanza di indizi gravi e concordanti, posto che l’impugnata sentenza, senza procedere ad alcuna valutata e necessaria verifica della fondatezza delle condizioni legittimanti l’accusa, si era supinamente riportata alle considerazioni del giudice di primo grado, con conseguente difetto di motivazione sugli aspetti rappresentati dalla difesa;

3) difetto di motivazione, posto che i giudici di merito confondono il concetto penalistico di "mezzi di sussistenza" con quello civilistico di "mantenimento", trascurando una motivata verifica dello stato di bisogno della persona offesa, da escludersi, per le accertate condizioni oggettive favorevoli godute dalla donna, assegnataria di somme pignorate presso l’INPS e di un appartamento in zona signorile della città;

4) richiesta di assoluzione poiché ai fini di una corretta e comprovata prova d’accusa, non è sufficiente la sola dichiarazione della parte civile, in difetto di attendibili riscontri;

5) minimo della pena - revoca della condizione cui è stata subordinata la sospensione della pena, nonché errata motivazione anche in punto di asserita sussistenza di precedenti penali all’epoca della decisione impugnata.

3. La decisione

La Corte ritiene evidente la confusione operata dai giudici di merito tra il concetto penalistico di "mezzi di sussistenza" e quello civilistico di "mantenimento". Il codice penale, difatti, punisce la condotta di chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa (cfr., l’art. 570, cpv., n. 2, c.p.), mentre l’assegno di mantenimento, previsto per l’ipotesi di separazione dei coniugi dell’art. 156 del codice civile, è previsto in favore del coniuge cui la separazione non sia addebitabile, qualora quest’ultimo non abbia redditi propri. In diritto vivente si è peraltro chiarito come la mancanza di redditi propri debba essere intesa nel senso che i redditi goduti non consentano al coniuge svantaggiato di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza del matrimonio.

La Suprema Corte ribadisce il principio di diritto secondo cui, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, occorre correttamente distinguere la nozione civilistica di assegno di mantenimento e l’altra, diretta ad assumere preminente rilievo ai fini della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di mezzi di sussistenza.

I mezzi si sussistenza, nella cui nozione è ricompreso solo ciò che è necessario per la sopravvivenza dei familiari dell’obbligato, al momento storico in cui il fatto avviene, sono del tutto indipendenti dalla valutazione del giudice civile. Ne consegue che, nell’ipotesi di mancata corresponsione da parte del coniuge obbligato dell’assegno stabilito in sede civile, il giudice penale, al fine di ritenere la configurabilità del reato in esame, deve accertare se, per effetto di tale condotta omissiva, siano venuti a mancare ai beneficiari i mezzi di sussistenza. Una simile valutazione richiederà necessariamente la verifica della ricorrenza di alcune condizioni, ad un tempo oggettive e soggettive, quali lo stato di bisogno dell’avente diritto alla somministrazione di tali mezzi di sussistenza, nonché la comprovata capacità economica dell’obbligato a fornirglieli. Le predette circostanze dovranno trovare riscontro in una motivazione adeguata.

Della sentenza impugnata si censura una supina conferma delle argomentazioni già espresse dal giudice di primo grado, il quale non si era fatto carico di valorizzare gli elementi menzionati, motivando in maniera puntuale. Più in particolare, si era del tutto omesso di verificare se i figli della coppia, tutti maggiorenni, fossero inabili al lavoro, laddove le risultanze processuali evidenziavano come, giusto all’opposto, essi fossero in grado di svolgere attività lavorativa remunerata. Del pari, si era trascurata la motivata verifica dell’effettivo stato di bisogno dell’avente diritto, omettendo di dare atto del fatto che la donna, con pignoramento presso l’INPS, riscuoteva un quinto della somma spettante al marito e non si prestava il dovuto risalto a quanto sostenuto dalla difesa di Tizio, cioè se Caia fosse davvero assegnataria del godimento di una casa familiare ubicata in una zona signorile, secondo le prescrizioni impartite dal giudice civile in sede di separazione.

Nello specifico, evidenzia la Corte, certamente provata era – in atti – la capacità economica dell’imputato, il quale era senza dubbio in condizione di assicurare alla moglie i mezzi di sussistenza, tuttavia non debitamente provato era lo stato di bisogno della moglie Caia e dei figli maggiorenni.

La Corte, pertanto, conclude con l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso, ritenendo assorbite, allo stato, le doglianze ulteriori e dispone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello, in ordine alla motivata risposta sui punti innanzi evidenziati.