x

x

Il fondo patrimoniale. Problematiche connesse all’amministrazione e alla cessazione

Ai sensi dell’art. 167 del Codice civile, ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale destinando determinati beni, immobili, mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.

Il fondo patrimoniale si qualifica, dunque, come un vincolo di destinazione di uno o più beni, la cui funzione è quella di garantire i diritti di mantenimento, di assistenza e di contribuzione della famiglia.

Alcuni degli aspetti più interessanti e discussi dell’istituto riguardano la disciplina dell’amministrazione e della cessazione di tale regime.

La gestione del fondo spetta ad entrambi i coniugi ed è regolata dalle norme sulla comunione legale (art. 168 comma 3 c.c.).

In applicazione di tali norme, gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti disgiuntamente, mentre gli atti di straordinaria amministrazione richiedono il consenso di entrambi i coniugi.

In ogni caso, nè i beni nè i loro frutti possono essere aggrediti per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per bisogni estranei alla famiglia (art.170 c.c.).

I beni del fondo patrimoniale costituiscono, pertanto, un patrimonio separato, perchè sottratto al principio sancito dall’art. 2740 c.c., per il quale il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni.

Il vincolo di destinazione dei beni del fondo patrimoniale si concretizza anche in una speciale disciplina in materia di alienazione degli stessi.

L’art. 169 c.c dispone che, se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, di tali beni non si può disporre, se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione del giudice, nei soli casi di necessità o utilità evidente.

Mancando una specifica indicazione da parte del legislatore, si pone il problema di individuare la conseguenza sanzionatoria derivante dal compimento di atti in violazione di tale divieto. 

Al riguardo, gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sono diversi.

Secondo una prima tesi, il richiamo operato, in tema di amministrazione del fondo, dall’art. 168 c.c. agli articoli 180 e seguenti del codice civile, renderebbe applicabile l’art. 184 c.c., con la conseguente annullabilità dell’atto posto in essere senza il consenso dell’altro coniuge.

Secondo altra impostazione, invece, il rinvio di cui all’art. 168 c.c. non andrebbe inteso in senso assoluto e l’applicabilità dell’art. 184 c.c. sarebbe da escludere, in considerazione della diversità degli interessi coinvolti e della natura eccezionale della norma.

Si tratterebbe, al contrario, di un’ipotesi di nullità dell’atto per contrasto con l’art. 169 c.c., norma da ritenersi imperativa in quanto posta a tutela di interessi non disponibili e  a valenza pubblicistica (Trib. Napoli, 25-11-98).

Altra soluzione sarebbe quella di configurare una vendita di cosa parzialmente altrui (art.1480 c.c.) avente effetti obbligatori, come tale valida ma inefficace.

La giurisprudenza propende, comunque, per la tesi della nullità dell’atto, che si ritiene più garantistica e più rispondente alla ratio della disciplina del fondo patriomoniale.

Quanto al tema della cessazione del fondo è da chiedersi se la vicenda della separazione personale dei coniugi possa considerarsi causa di scioglimento del fondo patrimoniale.

La giurisprudenza di merito, correttamente, lo esclude, sulla base del rilievo che tra le cause di cessazione di cui all’art. 171 c.c. non è ricompresa la separazione personale (Trib. Savona, 24-03-03).

Deve ritenersi, pertanto, che la separzione personale dei coniugi sia irrilevante rispetto alla sopravvivenza del fondo.

Resta da esaminare se sia possibile uno scioglimento convenzionale del fondo stesso.

Il tema è oggetto di decisioni e opinioni dottrinali contrastanti.

Parte della giurisprudenza ritiene ammissibile tale operazione, sulla scorta della considerazione che, essendo la costituzione del fondo patrimoniale una convenzione matrimoniale, ne sarebbe ammessa tanto la modifica che lo scioglimento per mutuo consenso  ex articoli 163 e 1372 c.c.(Trib. dei minori di Venezia, 07-02-01).

La tesi contraria, invece, si fonda sulla considerazione che lo scioglimento convenzionale del fondo fuori dalle ipotesi di cui all’art. 171 c.c., finirebbe con l’alterare completamente la funzione dell’istituto, trasformandolo in uno strumento tramite il quale il debitore potrebbe agevolmente sottrarre i beni ai propri creditori, salvo poi poterne nuovamente disporre al momento opportuno (Trib. Savona, 24-03-03).

La soluzione appare corretta, atteso che un’interpretazione più restrittiva consente di limitare l’utilizzazione fraudolenta dell’istituto e di non sacrificare immotivatamente l’interesse dei creditori.

Ai sensi dell’art. 167 del Codice civile, ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale destinando determinati beni, immobili, mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.

Il fondo patrimoniale si qualifica, dunque, come un vincolo di destinazione di uno o più beni, la cui funzione è quella di garantire i diritti di mantenimento, di assistenza e di contribuzione della famiglia.

Alcuni degli aspetti più interessanti e discussi dell’istituto riguardano la disciplina dell’amministrazione e della cessazione di tale regime.

La gestione del fondo spetta ad entrambi i coniugi ed è regolata dalle norme sulla comunione legale (art. 168 comma 3 c.c.).

In applicazione di tali norme, gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti disgiuntamente, mentre gli atti di straordinaria amministrazione richiedono il consenso di entrambi i coniugi.

In ogni caso, nè i beni nè i loro frutti possono essere aggrediti per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per bisogni estranei alla famiglia (art.170 c.c.).

I beni del fondo patrimoniale costituiscono, pertanto, un patrimonio separato, perchè sottratto al principio sancito dall’art. 2740 c.c., per il quale il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni.

Il vincolo di destinazione dei beni del fondo patrimoniale si concretizza anche in una speciale disciplina in materia di alienazione degli stessi.

L’art. 169 c.c dispone che, se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, di tali beni non si può disporre, se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione del giudice, nei soli casi di necessità o utilità evidente.

Mancando una specifica indicazione da parte del legislatore, si pone il problema di individuare la conseguenza sanzionatoria derivante dal compimento di atti in violazione di tale divieto. 

Al riguardo, gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sono diversi.

Secondo una prima tesi, il richiamo operato, in tema di amministrazione del fondo, dall’art. 168 c.c. agli articoli 180 e seguenti del codice civile, renderebbe applicabile l’art. 184 c.c., con la conseguente annullabilità dell’atto posto in essere senza il consenso dell’altro coniuge.

Secondo altra impostazione, invece, il rinvio di cui all’art. 168 c.c. non andrebbe inteso in senso assoluto e l’applicabilità dell’art. 184 c.c. sarebbe da escludere, in considerazione della diversità degli interessi coinvolti e della natura eccezionale della norma.

Si tratterebbe, al contrario, di un’ipotesi di nullità dell’atto per contrasto con l’art. 169 c.c., norma da ritenersi imperativa in quanto posta a tutela di interessi non disponibili e  a valenza pubblicistica (Trib. Napoli, 25-11-98).

Altra soluzione sarebbe quella di configurare una vendita di cosa parzialmente altrui (art.1480 c.c.) avente effetti obbligatori, come tale valida ma inefficace.

La giurisprudenza propende, comunque, per la tesi della nullità dell’atto, che si ritiene più garantistica e più rispondente alla ratio della disciplina del fondo patriomoniale.

Quanto al tema della cessazione del fondo è da chiedersi se la vicenda della separazione personale dei coniugi possa considerarsi causa di scioglimento del fondo patrimoniale.

La giurisprudenza di merito, correttamente, lo esclude, sulla base del rilievo che tra le cause di cessazione di cui all’art. 171 c.c. non è ricompresa la separazione personale (Trib. Savona, 24-03-03).

Deve ritenersi, pertanto, che la separzione personale dei coniugi sia irrilevante rispetto alla sopravvivenza del fondo.

Resta da esaminare se sia possibile uno scioglimento convenzionale del fondo stesso.

Il tema è oggetto di decisioni e opinioni dottrinali contrastanti.

Parte della giurisprudenza ritiene ammissibile tale operazione, sulla scorta della considerazione che, essendo la costituzione del fondo patrimoniale una convenzione matrimoniale, ne sarebbe ammessa tanto la modifica che lo scioglimento per mutuo consenso  ex articoli 163 e 1372 c.c.(Trib. dei minori di Venezia, 07-02-01).

La tesi contraria, invece, si fonda sulla considerazione che lo scioglimento convenzionale del fondo fuori dalle ipotesi di cui all’art. 171 c.c., finirebbe con l’alterare completamente la funzione dell’istituto, trasformandolo in uno strumento tramite il quale il debitore potrebbe agevolmente sottrarre i beni ai propri creditori, salvo poi poterne nuovamente disporre al momento opportuno (Trib. Savona, 24-03-03).

La soluzione appare corretta, atteso che un’interpretazione più restrittiva consente di limitare l’utilizzazione fraudolenta dell’istituto e di non sacrificare immotivatamente l’interesse dei creditori.