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Il tesseramento sportivo del minore

Natura giuridica e controllo giurisdizionale

Non sempre l’avvicinamento del minore all’attività sportiva deriva da una sua libera scelta espressiva della libertà di autodeterminazione individuale, riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico a ogni singolo individuo.

È sufficiente riflettere su alcuni recenti accadimenti – i quali hanno evidenziato uno scorretto esercizio della libertà all’interno dello stesso nucleo famigliare e nei rapporti esterni con le varie società e federazioni sportive – che hanno dato luogo a manifestazioni di abusi di vario genere sorretti da interessi individuali ed anche economici.[1]

Al fine di prevenire questi fenomeni sarebbe opportuno rivalutare «le regole del gioco» che sono alla base di questi rapporti.

La questione riguarda principalmente i limiti dell’intervento dell’autorità giudiziaria a tutela dell’interesse minore, nel momento in cui questi entra in contatto con il mondo dello sport indipendentemente dalla distinzione tra professionismo e dilettantismo.

Occorre osservare che il concetto di «interesse del minore» esprime un’esigenza di tutela di difficile riduzione in specifiche situazioni giuridiche soggettive. Questo dipende da un lato dalla varietà delle situazioni che possono concretamente verificarsi e dall’altro dall’emergere di diversi modelli famigliari spesso caratterizzati dalla precarietà dei loro membri e dei processi relazionali istaurati. Tutto questo comporta una varietà di conflitti d’interessi ed una pluralità di ragioni di comportamento non prevedibili né tantomeno compiutamente regolabili.[2]

È stato anche osservato che la progressiva emersione di situazioni giuridiche soggettive dovrebbe comportare una corrispondente riduzione dell’intervento dell’autorità giudiziaria ma in realtà è proprio tale emersione che porta a giustificare la necessità di un simile intervento.[3]

La dottrina ha già tentato di trovare delle soluzioni riguardanti l’atto di tesseramento del minore. Il problema affrontato ha riguardato principalmente la natura ordinaria o straordinaria di tali tipologie di atti e la conseguente applicabilità della disciplina contenuta nell’art. 320 c.c..

A tal fine, occorre partire dalla previsione contenuta nell’art. 316 c.c. comma 2, secondo la quale «la potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori». Al comma successivo viene precisato che in caso di disaccordo su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere al giudice senza formalità il quale indica i provvedimenti ritenuti più idonei.

Al di là di quest’ultima ipotesi, la regola è che la potestà genitoriale deve essere esercitata congiuntamente ma compatibilmente agli interessi e alle aspirazioni dei figli.[4]

L’art. 320 c.c. conferma questo principio disponendo che «I genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, rappresentano i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni».

Il medesimo articolo procede facendo una distinzione tra atti di ordinaria amministrazione e atti di straordinaria amministrazione. Per i primi è ritenuto sufficiente il consenso di uno solo dei genitori salvo quegli atti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento per i quali è richiesto comunque il consenso di entrambi gli esercenti la potestà. Gli atti di straordinaria amministrazione, mentre, devono essere realizzati con il consenso di entrambi i genitori – soltanto per necessità o utilità evidente per il figlio – previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

Il problema principale affrontato più volte dalla dottrina e dalla giurisprudenza riguarda la differenza tra queste due tipologie di atti vista l’elencazione non tassativa contenuta nel comma 3 e l’assenza di un esplicito criterio distintivo.

Tradizionalmente l’elemento discretivo tra ordinaria e straordinaria amministrazione veniva fatto coincidere con la capacità dell’atto di incidere sulla conservazione del patrimonio amministrato. In particolare secondo questa tesi gli atti di ordinaria amministrazione avrebbero una finalità conservativa o migliorativa del patrimonio, mentre quelli di straordinaria amministrazione comporterebbero un mutamento dell’essenza economica o della situazione giuridica che forma la composizione base del patrimonio.[5] Inoltre è stato osservato che occorrerebbe comunque guardare non alla natura oggettiva dell’atto ma alla sua funzione specifica che esso svolgerebbe in relazione al patrimonio stesso.

Secondo un’altra tesi l’elemento discretivo sarebbe dato dal rischio, ossia dalla capacità dell’atto di incidere negativamente sul patrimonio.  Conseguentemente, sarebbero atti di straordinaria amministrazione quelli di importanza economica tale da poter mettere in pericolo l’integrità economica del patrimonio amministrato.[6]

La giurisprudenza, concordemente alla tesi in precedenza richiamata, ritiene tutt’oggi che la necessità dell’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. sia necessaria relativamente a quegli atti che possono arrecare pregiudizio o diminuzione al patrimonio del minore e non anche per quegli atti diretti al miglioramento o alla conservazione dei beni che ne fanno già parte.[7]

Da quanto appena detto è facile affermare come la tutela predisposta dalla disciplina contenuta nell’art. 320 c.c. viene fatta coincidere con la tutela degli interessi patrimoniali del minore riducendo il concetto di «interesse del minore» a interesse alla propria integrità patrimoniale.

Il contenuto strettamente patrimoniale dell’art. 320 c.c. ha indotto alcuni a escludere la riconducibilità dell’atto di tesseramento sportivo del minore dal suo ambito applicativo - sia dal punto di vista personale che dal quello patrimoniale - in quanto non incidente sul patrimonio del minore.

In particolare è stata ritenuta eccessiva l’applicabilità della disciplina concernente gli atti di straordinaria amministrazione all’atto di tesseramento del minore in quanto non idoneo ad incidere significativamente sulla sua sfera patrimoniale.[8]

Questa tesi, seppur corrispondente a quella che è l’opinione maggioritaria, tende a restringere il campo applicativo dell’art. 320 c.c. riducendone le prospettive di tutela.

Poiché lo scopo che ci si deve prefiggere è quello di cercare degli strumenti idonei volti a garantire una effettiva tutela del minore, risulta maggiormente condivisibile la tesi secondo la quale il controllo della necessità o utilità evidente per il figlio – previsto dall’art. 320 c.c. comma 3 per gli atti di straordinaria amministrazione – non può ridursi a una mera verifica contabile dell’operazione economica ma deve riguardare l’accertamento dei riflessi che l’atto ha nello sviluppo della personalità del minore.[9]

Secondo questa tesi il discrimen tra ordinaria e straordinaria amministrazione è individuato nella capacità dell’atto di incidere o meno sulla personalità del minore complessivamente considerata.

Bisogna osservare che anche questa teoria si riferisce ad atti aventi comunque una rilevanza economica o patrimoniale in grado di incidere sulla sfera di vita futura del minore. Ma questo non osta ad affermarne l’applicabilità all’atto di tesseramento sportivo poiché si tratta pur sempre di un atto che – tralasciando la distinzione tra professionisti e dilettanti – ha dei riflessi patrimoniali in quanto prevede comunque un riscontro economico in capo all’atleta e soprattutto alla società sportiva di appartenenza. Inoltre è ormai pacifico che gli obblighi e i doveri che sorgono in capo al minore tesserato sono tali da incidere profondamente sui vari aspetti della sua vita quali la salute, l’educazione e l’istruzione.

È stata anche sostenuta l’inopportunità di assoggettare l’atto di tesseramento sportivo del minore alla disciplina degli atti di straordinaria amministrazione al fine di non gravare eccessivamente sugli organi giurisdizionali – poiché sarebbero gravati da incombenze prive di una particolare rilevanza – e per far si che il settore sportivo non sia gravato da adempimenti che ne possano ostacolare la diffusione.[10]

Entrambe le soluzioni, seppur condivisibili sotto certi aspetti, si prestano ad alcune obiezioni. Nel primo caso, infatti, si tende a escludere aprioristicamente una tutela effettiva a favore del minore – in violazione del principio previsto dall’art. 24 Cost. secondo il quale chiunque può agire in giudizio per la tutela dei propri diritti – non tenendo conto delle varie dinamiche che possono caratterizzare il singolo rapporto. Per quanto riguarda, invece, la necessità che il settore sportivo non venga limitato da adempimenti particolarmente gravosi occorre osservare che sebbene l’ordinamento giuridico ha dimostrato un particolare favour verso il mondo dello sport, ciò non può portare ad ignorare il maggiore favour che l’ordinamento interno, comunitario ed internazionale hanno voluto riconoscere all’«interesse superiore del minore».[11]

D’altronde, la necessità di un controllo giurisdizionale è stata affermata in più occasioni relativamente ai diversi aspetti della vita del minore. In particolare la Corte Costituzionale in materia di riconoscimento tardivo – nel caso in cui il genitore già esercente la potestà decida di agire in giudizio per costringere l’altra parte a riconoscere il figlio – ha considerato necessario un controllo giurisdizionale al fine di valutarne l’effettiva rispondenza all’interesse del figlio evitando il rischio di pregiudicarne gli equilibri affettivi, l’educazione e la collocazione sociale. Secondo la Corte la necessità di un controllo giurisdizionale preventivo si giustifica sul presupposto che siffatti inconvenienti non sempre e non interamente possono essere evitati dopo la costituzione di un rapporto.[12]

 



[1] P. Errede, Frode sportiva e doping, Cacucci, 2011: l’autore evidenzia la presenza di enormi interessi economici che connotano il mondo dello sport  sotto forma di ingaggi, sponsorizzazioni, diritti televisivi, ecc.., ritenendo che lo sport oltre ad essere passione, spettacolo e divertimento è anche puro business.

[2] F. Bocchini, L’interesse del minore nei rapporti patrimoniali, pp. 277 -313.

[3] Dosi, La tutela della persona e delle relazioni familiari all’interno della giurisdizione, in Osservatorio, 1998, pp. 7 ss. Questa tesi muove dall’assunto secondo il quale l’acquisita tutela della personalità del minore – riconosciuta da diverse disposizioni di carattere internazionale, comunitario ed anche interno – tende a restringere l’intervento sostitutivo dei genitori e dell’autorità giudiziaria in proporzione al grado di discernimento del minore.

[4] Art. 147 c.c.: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli».

[5] F. Ferrara, Gli atti d’amministrazione, in Scritti giuridici, I, Milano, 1954, p. 261 ss; A. Albanese, Gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione ( e l’annullabilità del contratto non autorizzato), in Contratto e impresa, 2008, fasc. 4-5- pag. 1141 – 1167: tale tesi è quella che è stata ed è maggiormente condivisa in giurisprudenza nella parte in cui si ritengono di ordinaria amministrazione gli atti di conservazione del patrimonio o incidenti sulle rendite, mentre di straordinaria amministrazione quelli incidenti sul capitale.

[6] D’Orazi, Gli atti di amministrazione, in Scritti giuridici in onore di A. Scialoja, III, Bologna, 1953, pp. 351 ss.: questa tesi supera la distinzione tra rendite e capitale in quanto, ad esempio, la rendita si porrebbe al di fuori del concetto di amministrazione in quanto rientrante nell’ambito del godimento.

[7] Trib.  Pinerolo, 17 marzo 2009, Redazione Giuffrè, 2009; Trib.  Nola, sez. II, 22 gennaio 2009, n. 213; Cort. App. Salerno, 09 novembre 2006, in Corriere del merito, 2007, 3, 289; Trib.  L’Aquila, 23 ottobre 2003, in Giur. Merito, 2004, 605;  Trib.  L’Aquila,  23 ottobre 2003, in Foro it. 2004, I,1262; Trib.  Reggio Calabria, 02 luglio 2003, in Giur. Merito, 2004, 246; Cass. Civ.  sez. II, 19 gennaio 2012, n. 743; Cass. Civ., sez. III, 15 maggio 2003, n. 7546; Cass. Civ., sez. II, 06 agosto 1999, n. 8484; Cass. Civ.,  sez. III, 28 luglio 1987, n. 6542; Cass. Civ., sez. III, 30 gennaio 1982, n. 599.

[8] L. Santoro, Il tesseramento minorile, in Rivista della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Palermo, 2008, vol. I, fasc.2, sez. 1, pp. 51 – 65.

[9] F. Bocchini, L’interesse del minore nei rapporti patrimoniali, pp. 277- 313.

[10] L. Santoro, Il tesseramento minorile, in Rivista della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Palermo, pp. 51 – 65.

[11] Libro bianco sullo sport, 11 luglio 2007, presentato dalla Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo, COM(2007) 391 def. - Non pubblicato nella Gazzetta ufficiale, nel quale si legge: «Lo sfruttamento dei giovani giocatori è un fenomeno costante, e il problema più serio riguarda i bambini che non vengono selezionati per le gare e sono abbandonati in un paese straniero, e che così scivolano spesso in una posizione irregolare che ne favorisce l’ulteriore sfruttamento. Sebbene nella maggior parte dei casi questo fenomeno non rientri nella definizione legale della tratta di esseri umani, si tratta comunque di un fenomeno inaccettabile alla luce dei valori fondamentali riconosciuti dall’UE e dai suoi Stati membri, oltre a essere contrario ai valori dello sport. Occorre quindi applicare con rigore le misure protettive per i minori non accompagnati inserite nelle leggi sull’immigrazione degli Stati membri, e si devono combattere gli abusi e le molestie sessuali sui minori nel mondo dello sport»; Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, entrata in vigore il 1° luglio 2000, ratificata con Legge del 20 marzo 2003, n. 77, nel preambolo si legge: «Convinti che i diritti e gli interessi superiori dei minori debbano essere promossi e che a tal fine i minori dovrebbero avere la possibilità di esercitare i propri diritti, in particolare nelle procedure in materia di famiglia che li riguardano»; Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con Legge 27 maggio 1991, n.176, art. 3: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»; ONU, New York 29 novembre 1985, Regole di Pechino, Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile; Dichiarazione di Ginevra sui diritti del fanciullo, Lega Nazioni, Marzo 1924; Dichiarazione 20 novembre 1959, Dichiarazione dei diritti del fanciullo; Dichiarazione 29 novembre 1985, Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile; Convenzione n.138 concernente l’età minima di ammissione all’impiego, conclusa il 26.6.1973, approvata il 18.3.1999; Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Deliberazione 22 novembre 2006, Atto di indirizzo sul rispetto dei diritti fondamentali della persona, della dignità personale e del corretto sviluppo fisico, psichico e morale dei minori nei programmi di intrattenimento, (Deliberazione n. 165/06/CSP); Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Deliberazione 15 novembre 2006,  Misure di sicurezza in materia di tutela dei minori da implementare sui terminali mobili di videofonia, (Deliberazione n. 661/06/CONS); Garante per la protezione dei dati personali, Deliberazione 26 ottobre 2006 (GU del 13.11.2006); Aggiornamento della Carta di Treviso, richiamata dal codice di deontologia, relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica. (Deliberazione n. 49/06); Ministero delle Comunicazioni, Regolamento recante disciplina dell’impiego di minori di anni 14 in programmi televisivi, Decreto del 27 aprile 2006, n. 218; Legge 6 febbraio 2006, n. 37, Modifica all’art. 10 della Legge 3 maggio 2004, n.112 in materia di tutela dei minori nella programmazione televisiva.

[12] Corte. Cost., 20 luglio 1990, n. 341.

Non sempre l’avvicinamento del minore all’attività sportiva deriva da una sua libera scelta espressiva della libertà di autodeterminazione individuale, riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico a ogni singolo individuo.

È sufficiente riflettere su alcuni recenti accadimenti – i quali hanno evidenziato uno scorretto esercizio della libertà all’interno dello stesso nucleo famigliare e nei rapporti esterni con le varie società e federazioni sportive – che hanno dato luogo a manifestazioni di abusi di vario genere sorretti da interessi individuali ed anche economici.[1]

Al fine di prevenire questi fenomeni sarebbe opportuno rivalutare «le regole del gioco» che sono alla base di questi rapporti.

La questione riguarda principalmente i limiti dell’intervento dell’autorità giudiziaria a tutela dell’interesse minore, nel momento in cui questi entra in contatto con il mondo dello sport indipendentemente dalla distinzione tra professionismo e dilettantismo.

Occorre osservare che il concetto di «interesse del minore» esprime un’esigenza di tutela di difficile riduzione in specifiche situazioni giuridiche soggettive. Questo dipende da un lato dalla varietà delle situazioni che possono concretamente verificarsi e dall’altro dall’emergere di diversi modelli famigliari spesso caratterizzati dalla precarietà dei loro membri e dei processi relazionali istaurati. Tutto questo comporta una varietà di conflitti d’interessi ed una pluralità di ragioni di comportamento non prevedibili né tantomeno compiutamente regolabili.[2]

È stato anche osservato che la progressiva emersione di situazioni giuridiche soggettive dovrebbe comportare una corrispondente riduzione dell’intervento dell’autorità giudiziaria ma in realtà è proprio tale emersione che porta a giustificare la necessità di un simile intervento.[3]

La dottrina ha già tentato di trovare delle soluzioni riguardanti l’atto di tesseramento del minore. Il problema affrontato ha riguardato principalmente la natura ordinaria o straordinaria di tali tipologie di atti e la conseguente applicabilità della disciplina contenuta nell’art. 320 c.c..

A tal fine, occorre partire dalla previsione contenuta nell’art. 316 c.c. comma 2, secondo la quale «la potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori». Al comma successivo viene precisato che in caso di disaccordo su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere al giudice senza formalità il quale indica i provvedimenti ritenuti più idonei.

Al di là di quest’ultima ipotesi, la regola è che la potestà genitoriale deve essere esercitata congiuntamente ma compatibilmente agli interessi e alle aspirazioni dei figli.[4]

L’art. 320 c.c. conferma questo principio disponendo che «I genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, rappresentano i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni».

Il medesimo articolo procede facendo una distinzione tra atti di ordinaria amministrazione e atti di straordinaria amministrazione. Per i primi è ritenuto sufficiente il consenso di uno solo dei genitori salvo quegli atti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento per i quali è richiesto comunque il consenso di entrambi gli esercenti la potestà. Gli atti di straordinaria amministrazione, mentre, devono essere realizzati con il consenso di entrambi i genitori – soltanto per necessità o utilità evidente per il figlio – previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

Il problema principale affrontato più volte dalla dottrina e dalla giurisprudenza riguarda la differenza tra queste due tipologie di atti vista l’elencazione non tassativa contenuta nel comma 3 e l’assenza di un esplicito criterio distintivo.

Tradizionalmente l’elemento discretivo tra ordinaria e straordinaria amministrazione veniva fatto coincidere con la capacità dell’atto di incidere sulla conservazione del patrimonio amministrato. In particolare secondo questa tesi gli atti di ordinaria amministrazione avrebbero una finalità conservativa o migliorativa del patrimonio, mentre quelli di straordinaria amministrazione comporterebbero un mutamento dell’essenza economica o della situazione giuridica che forma la composizione base del patrimonio.[5] Inoltre è stato osservato che occorrerebbe comunque guardare non alla natura oggettiva dell’atto ma alla sua funzione specifica che esso svolgerebbe in relazione al patrimonio stesso.

Secondo un’altra tesi l’elemento discretivo sarebbe dato dal rischio, ossia dalla capacità dell’atto di incidere negativamente sul patrimonio.  Conseguentemente, sarebbero atti di straordinaria amministrazione quelli di importanza economica tale da poter mettere in pericolo l’integrità economica del patrimonio amministrato.[6]

La giurisprudenza, concordemente alla tesi in precedenza richiamata, ritiene tutt’oggi che la necessità dell’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. sia necessaria relativamente a quegli atti che possono arrecare pregiudizio o diminuzione al patrimonio del minore e non anche per quegli atti diretti al miglioramento o alla conservazione dei beni che ne fanno già parte.[7]

Da quanto appena detto è facile affermare come la tutela predisposta dalla disciplina contenuta nell’art. 320 c.c. viene fatta coincidere con la tutela degli interessi patrimoniali del minore riducendo il concetto di «interesse del minore» a interesse alla propria integrità patrimoniale.

Il contenuto strettamente patrimoniale dell’art. 320 c.c. ha indotto alcuni a escludere la riconducibilità dell’atto di tesseramento sportivo del minore dal suo ambito applicativo - sia dal punto di vista personale che dal quello patrimoniale - in quanto non incidente sul patrimonio del minore.

In particolare è stata ritenuta eccessiva l’applicabilità della disciplina concernente gli atti di straordinaria amministrazione all’atto di tesseramento del minore in quanto non idoneo ad incidere significativamente sulla sua sfera patrimoniale.[8]

Questa tesi, seppur corrispondente a quella che è l’opinione maggioritaria, tende a restringere il campo applicativo dell’art. 320 c.c. riducendone le prospettive di tutela.

Poiché lo scopo che ci si deve prefiggere è quello di cercare degli strumenti idonei volti a garantire una effettiva tutela del minore, risulta maggiormente condivisibile la tesi secondo la quale il controllo della necessità o utilità evidente per il figlio – previsto dall’art. 320 c.c. comma 3 per gli atti di straordinaria amministrazione – non può ridursi a una mera verifica contabile dell’operazione economica ma deve riguardare l’accertamento dei riflessi che l’atto ha nello sviluppo della personalità del minore.[9]

Secondo questa tesi il discrimen tra ordinaria e straordinaria amministrazione è individuato nella capacità dell’atto di incidere o meno sulla personalità del minore complessivamente considerata.

Bisogna osservare che anche questa teoria si riferisce ad atti aventi comunque una rilevanza economica o patrimoniale in grado di incidere sulla sfera di vita futura del minore. Ma questo non osta ad affermarne l’applicabilità all’atto di tesseramento sportivo poiché si tratta pur sempre di un atto che – tralasciando la distinzione tra professionisti e dilettanti – ha dei riflessi patrimoniali in quanto prevede comunque un riscontro economico in capo all’atleta e soprattutto alla società sportiva di appartenenza. Inoltre è ormai pacifico che gli obblighi e i doveri che sorgono in capo al minore tesserato sono tali da incidere profondamente sui vari aspetti della sua vita quali la salute, l’educazione e l’istruzione.

È stata anche sostenuta l’inopportunità di assoggettare l’atto di tesseramento sportivo del minore alla disciplina degli atti di straordinaria amministrazione al fine di non gravare eccessivamente sugli organi giurisdizionali – poiché sarebbero gravati da incombenze prive di una particolare rilevanza – e per far si che il settore sportivo non sia gravato da adempimenti che ne possano ostacolare la diffusione.[10]

Entrambe le soluzioni, seppur condivisibili sotto certi aspetti, si prestano ad alcune obiezioni. Nel primo caso, infatti, si tende a escludere aprioristicamente una tutela effettiva a favore del minore – in violazione del principio previsto dall’art. 24 Cost. secondo il quale chiunque può agire in giudizio per la tutela dei propri diritti – non tenendo conto delle varie dinamiche che possono caratterizzare il singolo rapporto. Per quanto riguarda, invece, la necessità che il settore sportivo non venga limitato da adempimenti particolarmente gravosi occorre osservare che sebbene l’ordinamento giuridico ha dimostrato un particolare favour verso il mondo dello sport, ciò non può portare ad ignorare il maggiore favour che l’ordinamento interno, comunitario ed internazionale hanno voluto riconoscere all’«interesse superiore del minore».[11]

D’altronde, la necessità di un controllo giurisdizionale è stata affermata in più occasioni relativamente ai diversi aspetti della vita del minore. In particolare la Corte Costituzionale in materia di riconoscimento tardivo – nel caso in cui il genitore già esercente la potestà decida di agire in giudizio per costringere l’altra parte a riconoscere il figlio – ha considerato necessario un controllo giurisdizionale al fine di valutarne l’effettiva rispondenza all’interesse del figlio evitando il rischio di pregiudicarne gli equilibri affettivi, l’educazione e la collocazione sociale. Secondo la Corte la necessità di un controllo giurisdizionale preventivo si giustifica sul presupposto che siffatti inconvenienti non sempre e non interamente possono essere evitati dopo la costituzione di un rapporto.[12]

 



[1] P. Errede, Frode sportiva e doping, Cacucci, 2011: l’autore evidenzia la presenza di enormi interessi economici che connotano il mondo dello sport  sotto forma di ingaggi, sponsorizzazioni, diritti televisivi, ecc.., ritenendo che lo sport oltre ad essere passione, spettacolo e divertimento è anche puro business.

[2] F. Bocchini, L’interesse del minore nei rapporti patrimoniali, pp. 277 -313.

[3] Dosi, La tutela della persona e delle relazioni familiari all’interno della giurisdizione, in Osservatorio, 1998, pp. 7 ss. Questa tesi muove dall’assunto secondo il quale l’acquisita tutela della personalità del minore – riconosciuta da diverse disposizioni di carattere internazionale, comunitario ed anche interno – tende a restringere l’intervento sostitutivo dei genitori e dell’autorità giudiziaria in proporzione al grado di discernimento del minore.

[4] Art. 147 c.c.: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli».

[5] F. Ferrara, Gli atti d’amministrazione, in Scritti giuridici, I, Milano, 1954, p. 261 ss; A. Albanese, Gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione ( e l’annullabilità del contratto non autorizzato), in Contratto e impresa, 2008, fasc. 4-5- pag. 1141 – 1167: tale tesi è quella che è stata ed è maggiormente condivisa in giurisprudenza nella parte in cui si ritengono di ordinaria amministrazione gli atti di conservazione del patrimonio o incidenti sulle rendite, mentre di straordinaria amministrazione quelli incidenti sul capitale.

[6] D’Orazi, Gli atti di amministrazione, in Scritti giuridici in onore di A. Scialoja, III, Bologna, 1953, pp. 351 ss.: questa tesi supera la distinzione tra rendite e capitale in quanto, ad esempio, la rendita si porrebbe al di fuori del concetto di amministrazione in quanto rientrante nell’ambito del godimento.

[7] Trib.  Pinerolo, 17 marzo 2009, Redazione Giuffrè, 2009; Trib.  Nola, sez. II, 22 gennaio 2009, n. 213; Cort. App. Salerno, 09 novembre 2006, in Corriere del merito, 2007, 3, 289; Trib.  L’Aquila, 23 ottobre 2003, in Giur. Merito, 2004, 605;  Trib.  L’Aquila,  23 ottobre 2003, in Foro it. 2004, I,1262; Trib.  Reggio Calabria, 02 luglio 2003, in Giur. Merito, 2004, 246; Cass. Civ.  sez. II, 19 gennaio 2012, n. 743; Cass. Civ., sez. III, 15 maggio 2003, n. 7546; Cass. Civ., sez. II, 06 agosto 1999, n. 8484; Cass. Civ.,  sez. III, 28 luglio 1987, n. 6542; Cass. Civ., sez. III, 30 gennaio 1982, n. 599.

[8] L. Santoro, Il tesseramento minorile, in Rivista della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Palermo, 2008, vol. I, fasc.2, sez. 1, pp. 51 – 65.

[9] F. Bocchini, L’interesse del minore nei rapporti patrimoniali, pp. 277- 313.

[10] L. Santoro, Il tesseramento minorile, in Rivista della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Palermo, pp. 51 – 65.

[11] Libro bianco sullo sport, 11 luglio 2007, presentato dalla Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo, COM(2007) 391 def. - Non pubblicato nella Gazzetta ufficiale, nel quale si legge: «Lo sfruttamento dei giovani giocatori è un fenomeno costante, e il problema più serio riguarda i bambini che non vengono selezionati per le gare e sono abbandonati in un paese straniero, e che così scivolano spesso in una posizione irregolare che ne favorisce l’ulteriore sfruttamento. Sebbene nella maggior parte dei casi questo fenomeno non rientri nella definizione legale della tratta di esseri umani, si tratta comunque di un fenomeno inaccettabile alla luce dei valori fondamentali riconosciuti dall’UE e dai suoi Stati membri, oltre a essere contrario ai valori dello sport. Occorre quindi applicare con rigore le misure protettive per i minori non accompagnati inserite nelle leggi sull’immigrazione degli Stati membri, e si devono combattere gli abusi e le molestie sessuali sui minori nel mondo dello sport»; Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, entrata in vigore il 1° luglio 2000, ratificata con Legge del 20 marzo 2003, n. 77, nel preambolo si legge: «Convinti che i diritti e gli interessi superiori dei minori debbano essere promossi e che a tal fine i minori dovrebbero avere la possibilità di esercitare i propri diritti, in particolare nelle procedure in materia di famiglia che li riguardano»; Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con Legge 27 maggio 1991, n.176, art. 3: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»; ONU, New York 29 novembre 1985, Regole di Pechino, Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile; Dichiarazione di Ginevra sui diritti del fanciullo, Lega Nazioni, Marzo 1924; Dichiarazione 20 novembre 1959, Dichiarazione dei diritti del fanciullo; Dichiarazione 29 novembre 1985, Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile; Convenzione n.138 concernente l’età minima di ammissione all’impiego, conclusa il 26.6.1973, approvata il 18.3.1999; Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Deliberazione 22 novembre 2006, Atto di indirizzo sul rispetto dei diritti fondamentali della persona, della dignità personale e del corretto sviluppo fisico, psichico e morale dei minori nei programmi di intrattenimento, (Deliberazione n. 165/06/CSP); Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Deliberazione 15 novembre 2006,  Misure di sicurezza in materia di tutela dei minori da implementare sui terminali mobili di videofonia, (Deliberazione n. 661/06/CONS); Garante per la protezione dei dati personali, Deliberazione 26 ottobre 2006 (GU del 13.11.2006); Aggiornamento della Carta di Treviso, richiamata dal codice di deontologia, relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica. (Deliberazione n. 49/06); Ministero delle Comunicazioni, Regolamento recante disciplina dell’impiego di minori di anni 14 in programmi televisivi, Decreto del 27 aprile 2006, n. 218; Legge 6 febbraio 2006, n. 37, Modifica all’art. 10 della Legge 3 maggio 2004, n.112 in materia di tutela dei minori nella programmazione televisiva.

[12] Corte. Cost., 20 luglio 1990, n. 341.