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La Cassazione Civile sulle immissioni acustiche e la normale tollerabilità: fondamentale una approfondita valutazione del caso concreto

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 11 giugno 2012 n. 9434

Cassazione Civile, sez. III, 11 giugno 2012 n. 9434 (stralci)

Immissioni acustiche – Normale tollerabilità – Contemperamento esigenze – Misure idonee – Individuazione discrezionale del giudice

L’individuazione delle misure che appaiono idonee, nel singolo caso, a contemperare le esigenze dei proprietari confinanti spetta alla valutazione discrezionale del Giudice, da compiersi caso per caso, tenuto conto degli interessi in discussione e non richiede necessariamente che venga imposto il divieto di svolgere l’attività rumorosa, ove le immissioni possano essere contenute tramite diversi rimedi.

Immissioni acustiche – Normale tollerabilità – Criterio relativo – Valutazione peculiarità del caso concreto

Il limite di tollerabilità di cui all’art. 844 cod. civ. non ha carattere assoluto, ma relativo, e deve essere fissato tenendo conto delle peculiarità del caso concreto.

Nella sentenza della Cassazione Civile, sez. III, 11 giugno 2012 n. 9434, dettata in tema di immissioni acustiche prodotte da strumenti musicali in un contesto condominiale, si affrontano sia i profili concernenti la normale tollerabilità, sia quelli relativi alla quantificazione del danno e all’individuazione delle misure idonee a contemperare le esigenze delle parti in causa.

1. Il caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte concerne una disputa generata dalle emissioni acustiche, ritenute intollerabili, prodotte dalle esercitazioni al pianoforte di due bambine all’interno di un condominio. Parte convenuta è stata condannata in primo grado a limitare l’utilizzo dello strumento musicale a determinati orari nonché al pagamento di 25.000 euro a titolo di risarcimento, sentenza confermata in appello con aumento della cifra liquidata a titolo di risarcimento. Tuttavia, entrambe le parti hanno proposto ricorso per Cassazione ed in particolare, parte attrice di primo grado, pur vittoriosa sia in primo grado che in appello, ha dedotto, tra altri motivi, la violazione dell’art. 844 c.c. in relazione all’inadeguatezza delle misure limitative disposte nonché contestato le modalità di valutazione della normale tollerabilità in concreto.

2. Le affermazioni della Cassazione

Due, in particolare, le affermazioni di interesse nella sentenza della Cassazione in commento:

· la normale tollerabilità ex art. 844 c.c. involge necessariamente valutazioni relative alle peculiarità del caso concreto, senza possibilità di “assolutizzare” i criteri di valutazione;

· l’individuazione delle corrette misure per mitigare le immissioni acustiche e riportarle entro i limiti di tollerabilità ha carattere discrezionale e non è volta a rimuovere totalmente tali immissioni.

La prima affermazione della Suprema Corte giunge come importante conferma di quell’orientamento che vede la peculiarità della tutela “civilistica” accordata dall’844 c.c.[1] nel suo involgere necessariamente valutazioni in concreto, a differenza dell’applicazione di rigidi limiti tabellari, criterio previsto, ad esempio, per quanto concerne i rapporti tra privato e PA[2].

Sul punto infatti si è in passato affermato: “In tema di immissioni sonore, le disposizioni dettate, con riguardo alle modalità di rilevamento o all’intensità dei rumori, da leggi speciali o regolamenti sono di natura pubblicistica e non regolano, quindi, direttamente i rapporti tra privati, per i quali vige la disciplina dell’art. 844 c.c., la quale, nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilità delle stesse” (Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2002, n.6223).

L’approfondimento dato ai vari aspetti del caso concreto risulta confermato nell’iter processuale ad esito del quale è giunta la decisione oggetto di commento, iter nel quale si sono susseguite ben quattro CTU.

L’incidenza della valutazione sul caso concreto che il Giudice può svolgere è stata tuttavia, ed è ancor oggi, oggetto di dibattito in quanto alcuni profili connessi all’evoluzione normativa, al rapporto con gli ambiti penale ed amministrativo nonché ad una ipotetica maggior certezza normativa sembrerebbero configgere con la prevalente giurisprudenza che riconosce, come visto, un ampio spettro di valutazione al Giudice.

In primis, come detto, l’evoluzione normativa intervenuta in relazione all’art. 844 c.c (pur non direttamente modificato nel testo originario). Mediante l’art. 6-ter della l. 13/2009, si è infatti provato a ricollegare il criterio della normale tollerabilità ad un dato quantopiù concreto ed identificabile (obiettivo emergente dai lavori preparatori ma, come vedremo, non raggiunto), prevedendo: “nell’accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’art. 844 del Codice Civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso”.

Inoltre, il raffronto con la disciplina c.d. “pubblicistica” di cui al DPCM 01.03.1991 nonché alla legge 26 dicembre 1995, n. 447 ed alle relative norme richiamate sembrerebbe, in un’ottica di coerenza di sistema, far propendere per l’individuazione di chiari limiti anche in ambito civilistico.

In ultimo, un’esigenza di maggior certezza del diritto potrebbe, stanti anche le motivazioni sin qui richiamate di carattere normativo e sistematico, far propendere per l’individuazione di chiari limiti.

Tuttavia, le motivazioni sin qui viste non hanno, sino ad oggi, trovato accoglimento in giurisprudenza e neppure in gran parte della dottrina[3], in particolare in quanto:

- relativamente alle modifiche apportate dalla legge 13/2009, le stesse paiono non aver sortito l’effetto sperato, stante la scarsa chiarezza dell’art. 6-ter sia per il dato testuale[4] sia in relazione ai possibili profili applicativi, come peraltro implicitamente confermato dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 103 del 21 marzo 2011[5];

- relativamente ai rapporti con la disciplina c.d. “pubblicistica” si è in passato affermato che diversi risultano gli ambiti di tutela, le finalità ed i soggetti tutelati, aspetti che creano il c.d. “doppio binario” di tutela del quale si dirà tra breve;

- relativamente all’esigenza di maggior certezza del diritto, ricondurre ad uno gli schemi di tutela privatistico e pubblicistico, se da un lato potrebbe produrre chiarezza a livello normativo, dall’altro difficilmente riuscirebbe a fornire effettiva tutela alle molteplici e diversificate situazioni di immissioni prodotte nei rapporti tra privati, aspetti che mal sembrano conciliarsi con l’individuazione di specifici limiti, già peraltro assai complessa.

La giurisprudenza, in modo tralatizio, ha comunque individuato dei limiti di tollerabilità (non, peraltro, assoluti) per i rapporti tra privati, limiti che vengono applicati sin dagli anni ’70 e che non hanno, se non parzialmente, subito significativi adeguamenti o rivisitazioni (in particolare il limite dei 3dB sul rumore di fondo come valore limite di tollerabilità, già indicato ad es. in Cass. Civ. 6 gennaio 1978, n. 38 nonché la valutazione del valore di fondo attraverso il metodo c.d. L95). Sull’efficacia e sulla validità di tali limiti, tuttavia, ci si interroga in particolare a livello tecnico essendo gli stessi di matrice giurisprudenziale e non scevri, neppure in passato, da contestazioni (basti pensare che nella raccomandazione ISO 1996 del 1971 si individuavano diversi criteri di quantificazione del livello di rumorosità di fondo).

La sentenza in commento risulta dunque importante in quanto in modo inequivocabile sottolinea il carattere relativo del criterio della normale tollerabilità, peraltro rimarcando il fatto che il richiamo ai parametri dettati dal DPCM del 1991 svolto in sentenza di primo grado ha avuto importanza soltanto in relazione alla quantificazione del danno prodotto, in tal modo implicitamente confermando come i limiti dettati in tale normativa non siano direttamente connessi al criterio della normale tollerabilità di matrice civilistica[6], ma possano al più fungere da criteri d’indirizzo.

La Cassazione sembra dunque, estendendo i concetti enunciati in sentenza, aderire al più ampio orientamento che evidenzia un “doppio binario” di tutela, secondo cui vi sarebbero differenti ambiti e di conseguenza diversi criteri di tutela nelle normative in tema di immissioni acustiche, in particolare scindendo l’ambito civilistico da quello amministrativo in quanto:

- diversi risultano i criteri di valutazione utilizzati; normale tollerabilità e conseguente valutazione relativa al caso concreto (integrata dai limiti elaborati dalla giurisprudenza) per la disciplina dell’art. 844 c.c. mentre per la disciplina pubblicistica i rigidi limiti normativamente individuati;

- diversi risultano i rapporti disciplinati; privato/privato per la disciplina codicistica e privato/PA per quella pubblicistica;

- diversi risultano gli oggetti di tutela; la salute pubblica per la disciplina pubblicistica, mentre per la disciplina codicistica la salute psicofisica dell’individuo ed il diritto ad un fruire indisturbato della proprietà.

Assai rilevante è anche la seconda affermazione della Suprema Corte relativa all’individuazione, nel caso di specie, delle misure idonee a contemperare gli interessi del soggetto immesso e del produttore del disturbo, riportando le immissioni entro limiti di “normale tollerabilità”. I Giudici, infatti, rilevano in generale come:

- la valutazione di dette misure sia nella piena discrezionalità dell’Organo giudicante che, caso per caso, con preciso riferimento alla situazione oggetto di pronuncia individua gli adempimenti ritenuti idonei;

- obiettivo dell’intervento della decisione giurisdizionale non sia la rimozione della fonte di emissione del rumore, con ciò rimuovendo il rumore in toto, bensì la mitigazione del disturbo stesso che lo faccia rientrare entro limiti di tollerabilità.

Tali assunti forniscono una ulteriore implicita conferma della relatività del criterio di normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c. Il secondo di essi, in particolare, conferma peraltro una precedente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. II, 11 febbraio 2011, n. 3440) che aveva sottolineato la diversità tra normale tollerabilità ed assenza di rumore (aspetto evidentemente chiaro a livello logico, non così a livello di applicazione della normativa).

3. Alcuni spunti conclusivi

Quello delle immissioni acustiche e della normale tollerabilità risulta dunque, ancor oggi, un ambito ove con varie questioni da risolvere. L’art. 6-ter della l. 13 del 2009, lungi dal fornire chiarezza, non sembra aver avuto, nemmeno in parte, la portata innovativa auspicata.

La Cassazione, con la pronuncia commentata, ha comunque contribuito a chiarire due importanti aspetti, rafforzando l’idea di relatività del criterio della normale tollerabilità e conseguente necessità di approfondita analisi del caso concreto. Certo è che, a livello applicativo, queste affermazioni colmano di indeterminatezza l’iter di valutazione della normale tollerabilità.

Restano, inoltre, ancora importanti questioni da risolvere. Quale il grado di approfondimento che l’Organo giudicante può richiedere in ambito di normale tollerabilità? Quanta importanza fornire alle condizioni psico-fisiche del soggetto immesso?

In una situazione siffatta, in ottica processuale fondamentale risulta introdurre con ordine e completezza tutti i dati in proprio possesso, partendo da una puntuale ricostruzione del “fatto” in tutti i suoi aspetti, passando attraverso una compiuta analisi della situazione “in concreto” del soggetto che subisce le immissioni e corroborando tutto ciò con gli esiti di approfonditi rilievi tecnici, necessari e fondamentali, come nel caso deciso dalla Cassazione.

[1] Il cui testo prevede: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma, l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.

[2] Si conferma infatti pienamente in sentenza quanto enunciato da Cass. Civ., 3 agosto 2001, n. 10735 che in merito alla normale tollerabilità ha statuito “non ha carattere assoluto, bensì relativo, dovendosi avere riguardo alle condizioni naturali, sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione” e da Cassazione Civile, sez. II, 25 agosto 2005, n. 17281 (peraltro richiamata in sentenza) “In materia di immissioni, il criterio legale di riferimento è quello della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., parametro che non può ritenersi superato dalle leggi e dai regolamenti speciali, attesa la diversità di finalità e di campo di applicazione. I parametri fissati dalla normativa pubblicistica, diretta alla protezione di esigenze della collettività, pur potendo essere presi in considerazione quali criteri minimali di partenza, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche – tenuto conto della particolarità della situazione concreta – discostarsene, pervenendo ad un giudizio di intollerabilità ex art 844 c.c.. La relativa valutazione, ove adeguatamente motivata, costituisce accertamento di merito, insindacabile in sede di legittimità”.

[3] Si vedano, ad es. S. Durelli, La tutela del rumore: la via amministrativa (legge 417/1995) e la via civilistica (art. 844 c.c.), in Atti della IV giornata di Studio sull’acustica Ambientale, Arenano 14 ottobre 2011, G. Campolongo, “Ecco la nuova legge 13/2009 per la normale tollerabilità: non c’è 2 senza 3” pubblicato in www. rumoreincasa.it e L. Butti, A. Balestreri, Tollerabilità del rumore e art. 844 c.c. dopo la l. 13/2009: cosa è cambiato secondo l’interpretazione di giurisprudenza e dottrina, in Atti del Seminario “La valutazione e la gestione del disturbo da rumore”, Novara 8 giugno 2012.

[4] Più, infatti, risultano le scelte di carattere testuale criticabili nella, pur breve, norma: i) l’utilizzo delle parole “sono fatte salve in ogni caso…” non subordina all’applicazione delle disposizioni fatte salve; ii) “disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti” non è indicazione che brilli per chiarezza; iii) non è chiaro se il “che” inserito nella norma regga solo la questione delle sorgenti o anche quella del preuso.

[5] La Corte enuncia definisce infatti come “assai generica locuzione” la disposizione dell’art. 6-ter della l. 13/2009 e conferma la peculiarità della valutazione da compiersi in relazione all’art. 844 c.c. indicando “il giudice a quo non adempie al dovere di chiarire quale sia la eventuale influenza di tale clausola di salvezza rispetto ai criteri civilistici di accertamento (riferiti eventualmente anche alla lesione del diritto alla salute) del limite della normale tollerabilità delle immissioni acustiche, che la norma medesima prevede che continuino ad essere applicati «ai sensi dell’art. 844 cod. civ”.

[6] Sul punto, la decisione della Cassazione conferma un orientamento risalente, inaugurato dalla Corte d’Appello di Torino che, con sentenza sez. II, 23 marzo 1993, n. 345 così aveva disposto “Al fine di valutare il grado di tollerabilità di immissioni acustiche provenienti da un appartamento (nella specie: attività pianistica e canora di una cantante lirica) non è possibile effettuare un collegamento diretto fra l’art. 844 c.c. ed il DPCM 1 marzo 1991, in quanto i limiti di tollerabilità di cui alla prima norma sono tutt’affatto diversi dai limiti di accettabilità di cui al succitato decreto, nel senso che i secondi ben possono esser rispettati pur non essendolo i primi”.

Cassazione Civile, sez. III, 11 giugno 2012 n. 9434 (stralci)

Immissioni acustiche – Normale tollerabilità – Contemperamento esigenze – Misure idonee – Individuazione discrezionale del giudice

L’individuazione delle misure che appaiono idonee, nel singolo caso, a contemperare le esigenze dei proprietari confinanti spetta alla valutazione discrezionale del Giudice, da compiersi caso per caso, tenuto conto degli interessi in discussione e non richiede necessariamente che venga imposto il divieto di svolgere l’attività rumorosa, ove le immissioni possano essere contenute tramite diversi rimedi.

Immissioni acustiche – Normale tollerabilità – Criterio relativo – Valutazione peculiarità del caso concreto

Il limite di tollerabilità di cui all’art. 844 cod. civ. non ha carattere assoluto, ma relativo, e deve essere fissato tenendo conto delle peculiarità del caso concreto.

Nella sentenza della Cassazione Civile, sez. III, 11 giugno 2012 n. 9434, dettata in tema di immissioni acustiche prodotte da strumenti musicali in un contesto condominiale, si affrontano sia i profili concernenti la normale tollerabilità, sia quelli relativi alla quantificazione del danno e all’individuazione delle misure idonee a contemperare le esigenze delle parti in causa.

1. Il caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte concerne una disputa generata dalle emissioni acustiche, ritenute intollerabili, prodotte dalle esercitazioni al pianoforte di due bambine all’interno di un condominio. Parte convenuta è stata condannata in primo grado a limitare l’utilizzo dello strumento musicale a determinati orari nonché al pagamento di 25.000 euro a titolo di risarcimento, sentenza confermata in appello con aumento della cifra liquidata a titolo di risarcimento. Tuttavia, entrambe le parti hanno proposto ricorso per Cassazione ed in particolare, parte attrice di primo grado, pur vittoriosa sia in primo grado che in appello, ha dedotto, tra altri motivi, la violazione dell’art. 844 c.c. in relazione all’inadeguatezza delle misure limitative disposte nonché contestato le modalità di valutazione della normale tollerabilità in concreto.

2. Le affermazioni della Cassazione

Due, in particolare, le affermazioni di interesse nella sentenza della Cassazione in commento:

· la normale tollerabilità ex art. 844 c.c. involge necessariamente valutazioni relative alle peculiarità del caso concreto, senza possibilità di “assolutizzare” i criteri di valutazione;

· l’individuazione delle corrette misure per mitigare le immissioni acustiche e riportarle entro i limiti di tollerabilità ha carattere discrezionale e non è volta a rimuovere totalmente tali immissioni.

La prima affermazione della Suprema Corte giunge come importante conferma di quell’orientamento che vede la peculiarità della tutela “civilistica” accordata dall’844 c.c.[1] nel suo involgere necessariamente valutazioni in concreto, a differenza dell’applicazione di rigidi limiti tabellari, criterio previsto, ad esempio, per quanto concerne i rapporti tra privato e PA[2].

Sul punto infatti si è in passato affermato: “In tema di immissioni sonore, le disposizioni dettate, con riguardo alle modalità di rilevamento o all’intensità dei rumori, da leggi speciali o regolamenti sono di natura pubblicistica e non regolano, quindi, direttamente i rapporti tra privati, per i quali vige la disciplina dell’art. 844 c.c., la quale, nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilità delle stesse” (Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2002, n.6223).

L’approfondimento dato ai vari aspetti del caso concreto risulta confermato nell’iter processuale ad esito del quale è giunta la decisione oggetto di commento, iter nel quale si sono susseguite ben quattro CTU.

L’incidenza della valutazione sul caso concreto che il Giudice può svolgere è stata tuttavia, ed è ancor oggi, oggetto di dibattito in quanto alcuni profili connessi all’evoluzione normativa, al rapporto con gli ambiti penale ed amministrativo nonché ad una ipotetica maggior certezza normativa sembrerebbero configgere con la prevalente giurisprudenza che riconosce, come visto, un ampio spettro di valutazione al Giudice.

In primis, come detto, l’evoluzione normativa intervenuta in relazione all’art. 844 c.c (pur non direttamente modificato nel testo originario). Mediante l’art. 6-ter della l. 13/2009, si è infatti provato a ricollegare il criterio della normale tollerabilità ad un dato quantopiù concreto ed identificabile (obiettivo emergente dai lavori preparatori ma, come vedremo, non raggiunto), prevedendo: “nell’accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’art. 844 del Codice Civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso”.

Inoltre, il raffronto con la disciplina c.d. “pubblicistica” di cui al DPCM 01.03.1991 nonché alla legge 26 dicembre 1995, n. 447 ed alle relative norme richiamate sembrerebbe, in un’ottica di coerenza di sistema, far propendere per l’individuazione di chiari limiti anche in ambito civilistico.

In ultimo, un’esigenza di maggior certezza del diritto potrebbe, stanti anche le motivazioni sin qui richiamate di carattere normativo e sistematico, far propendere per l’individuazione di chiari limiti.

Tuttavia, le motivazioni sin qui viste non hanno, sino ad oggi, trovato accoglimento in giurisprudenza e neppure in gran parte della dottrina[3], in particolare in quanto:

- relativamente alle modifiche apportate dalla legge 13/2009, le stesse paiono non aver sortito l’effetto sperato, stante la scarsa chiarezza dell’art. 6-ter sia per il dato testuale[4] sia in relazione ai possibili profili applicativi, come peraltro implicitamente confermato dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 103 del 21 marzo 2011[5];

- relativamente ai rapporti con la disciplina c.d. “pubblicistica” si è in passato affermato che diversi risultano gli ambiti di tutela, le finalità ed i soggetti tutelati, aspetti che creano il c.d. “doppio binario” di tutela del quale si dirà tra breve;

- relativamente all’esigenza di maggior certezza del diritto, ricondurre ad uno gli schemi di tutela privatistico e pubblicistico, se da un lato potrebbe produrre chiarezza a livello normativo, dall’altro difficilmente riuscirebbe a fornire effettiva tutela alle molteplici e diversificate situazioni di immissioni prodotte nei rapporti tra privati, aspetti che mal sembrano conciliarsi con l’individuazione di specifici limiti, già peraltro assai complessa.

La giurisprudenza, in modo tralatizio, ha comunque individuato dei limiti di tollerabilità (non, peraltro, assoluti) per i rapporti tra privati, limiti che vengono applicati sin dagli anni ’70 e che non hanno, se non parzialmente, subito significativi adeguamenti o rivisitazioni (in particolare il limite dei 3dB sul rumore di fondo come valore limite di tollerabilità, già indicato ad es. in Cass. Civ. 6 gennaio 1978, n. 38 nonché la valutazione del valore di fondo attraverso il metodo c.d. L95). Sull’efficacia e sulla validità di tali limiti, tuttavia, ci si interroga in particolare a livello tecnico essendo gli stessi di matrice giurisprudenziale e non scevri, neppure in passato, da contestazioni (basti pensare che nella raccomandazione ISO 1996 del 1971 si individuavano diversi criteri di quantificazione del livello di rumorosità di fondo).

La sentenza in commento risulta dunque importante in quanto in modo inequivocabile sottolinea il carattere relativo del criterio della normale tollerabilità, peraltro rimarcando il fatto che il richiamo ai parametri dettati dal DPCM del 1991 svolto in sentenza di primo grado ha avuto importanza soltanto in relazione alla quantificazione del danno prodotto, in tal modo implicitamente confermando come i limiti dettati in tale normativa non siano direttamente connessi al criterio della normale tollerabilità di matrice civilistica[6], ma possano al più fungere da criteri d’indirizzo.

La Cassazione sembra dunque, estendendo i concetti enunciati in sentenza, aderire al più ampio orientamento che evidenzia un “doppio binario” di tutela, secondo cui vi sarebbero differenti ambiti e di conseguenza diversi criteri di tutela nelle normative in tema di immissioni acustiche, in particolare scindendo l’ambito civilistico da quello amministrativo in quanto:

- diversi risultano i criteri di valutazione utilizzati; normale tollerabilità e conseguente valutazione relativa al caso concreto (integrata dai limiti elaborati dalla giurisprudenza) per la disciplina dell’art. 844 c.c. mentre per la disciplina pubblicistica i rigidi limiti normativamente individuati;

- diversi risultano i rapporti disciplinati; privato/privato per la disciplina codicistica e privato/PA per quella pubblicistica;

- diversi risultano gli oggetti di tutela; la salute pubblica per la disciplina pubblicistica, mentre per la disciplina codicistica la salute psicofisica dell’individuo ed il diritto ad un fruire indisturbato della proprietà.

Assai rilevante è anche la seconda affermazione della Suprema Corte relativa all’individuazione, nel caso di specie, delle misure idonee a contemperare gli interessi del soggetto immesso e del produttore del disturbo, riportando le immissioni entro limiti di “normale tollerabilità”. I Giudici, infatti, rilevano in generale come:

- la valutazione di dette misure sia nella piena discrezionalità dell’Organo giudicante che, caso per caso, con preciso riferimento alla situazione oggetto di pronuncia individua gli adempimenti ritenuti idonei;

- obiettivo dell’intervento della decisione giurisdizionale non sia la rimozione della fonte di emissione del rumore, con ciò rimuovendo il rumore in toto, bensì la mitigazione del disturbo stesso che lo faccia rientrare entro limiti di tollerabilità.

Tali assunti forniscono una ulteriore implicita conferma della relatività del criterio di normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c. Il secondo di essi, in particolare, conferma peraltro una precedente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. II, 11 febbraio 2011, n. 3440) che aveva sottolineato la diversità tra normale tollerabilità ed assenza di rumore (aspetto evidentemente chiaro a livello logico, non così a livello di applicazione della normativa).

3. Alcuni spunti conclusivi

Quello delle immissioni acustiche e della normale tollerabilità risulta dunque, ancor oggi, un ambito ove con varie questioni da risolvere. L’art. 6-ter della l. 13 del 2009, lungi dal fornire chiarezza, non sembra aver avuto, nemmeno in parte, la portata innovativa auspicata.

La Cassazione, con la pronuncia commentata, ha comunque contribuito a chiarire due importanti aspetti, rafforzando l’idea di relatività del criterio della normale tollerabilità e conseguente necessità di approfondita analisi del caso concreto. Certo è che, a livello applicativo, queste affermazioni colmano di indeterminatezza l’iter di valutazione della normale tollerabilità.

Restano, inoltre, ancora importanti questioni da risolvere. Quale il grado di approfondimento che l’Organo giudicante può richiedere in ambito di normale tollerabilità? Quanta importanza fornire alle condizioni psico-fisiche del soggetto immesso?

In una situazione siffatta, in ottica processuale fondamentale risulta introdurre con ordine e completezza tutti i dati in proprio possesso, partendo da una puntuale ricostruzione del “fatto” in tutti i suoi aspetti, passando attraverso una compiuta analisi della situazione “in concreto” del soggetto che subisce le immissioni e corroborando tutto ciò con gli esiti di approfonditi rilievi tecnici, necessari e fondamentali, come nel caso deciso dalla Cassazione.

[1] Il cui testo prevede: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma, l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.

[2] Si conferma infatti pienamente in sentenza quanto enunciato da Cass. Civ., 3 agosto 2001, n. 10735 che in merito alla normale tollerabilità ha statuito “non ha carattere assoluto, bensì relativo, dovendosi avere riguardo alle condizioni naturali, sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione” e da Cassazione Civile, sez. II, 25 agosto 2005, n. 17281 (peraltro richiamata in sentenza) “In materia di immissioni, il criterio legale di riferimento è quello della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., parametro che non può ritenersi superato dalle leggi e dai regolamenti speciali, attesa la diversità di finalità e di campo di applicazione. I parametri fissati dalla normativa pubblicistica, diretta alla protezione di esigenze della collettività, pur potendo essere presi in considerazione quali criteri minimali di partenza, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche – tenuto conto della particolarità della situazione concreta – discostarsene, pervenendo ad un giudizio di intollerabilità ex art 844 c.c.. La relativa valutazione, ove adeguatamente motivata, costituisce accertamento di merito, insindacabile in sede di legittimità”.

[3] Si vedano, ad es. S. Durelli, La tutela del rumore: la via amministrativa (legge 417/1995) e la via civilistica (art. 844 c.c.), in Atti della IV giornata di Studio sull’acustica Ambientale, Arenano 14 ottobre 2011, G. Campolongo, “Ecco la nuova legge 13/2009 per la normale tollerabilità: non c’è 2 senza 3” pubblicato in www. rumoreincasa.it e L. Butti, A. Balestreri, Tollerabilità del rumore e art. 844 c.c. dopo la l. 13/2009: cosa è cambiato secondo l’interpretazione di giurisprudenza e dottrina, in Atti del Seminario “La valutazione e la gestione del disturbo da rumore”, Novara 8 giugno 2012.

[4] Più, infatti, risultano le scelte di carattere testuale criticabili nella, pur breve, norma: i) l’utilizzo delle parole “sono fatte salve in ogni caso…” non subordina all’applicazione delle disposizioni fatte salve; ii) “disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti” non è indicazione che brilli per chiarezza; iii) non è chiaro se il “che” inserito nella norma regga solo la questione delle sorgenti o anche quella del preuso.

[5] La Corte enuncia definisce infatti come “assai generica locuzione” la disposizione dell’art. 6-ter della l. 13/2009 e conferma la peculiarità della valutazione da compiersi in relazione all’art. 844 c.c. indicando “il giudice a quo non adempie al dovere di chiarire quale sia la eventuale influenza di tale clausola di salvezza rispetto ai criteri civilistici di accertamento (riferiti eventualmente anche alla lesione del diritto alla salute) del limite della normale tollerabilità delle immissioni acustiche, che la norma medesima prevede che continuino ad essere applicati «ai sensi dell’art. 844 cod. civ”.

[6] Sul punto, la decisione della Cassazione conferma un orientamento risalente, inaugurato dalla Corte d’Appello di Torino che, con sentenza sez. II, 23 marzo 1993, n. 345 così aveva disposto “Al fine di valutare il grado di tollerabilità di immissioni acustiche provenienti da un appartamento (nella specie: attività pianistica e canora di una cantante lirica) non è possibile effettuare un collegamento diretto fra l’art. 844 c.c. ed il DPCM 1 marzo 1991, in quanto i limiti di tollerabilità di cui alla prima norma sono tutt’affatto diversi dai limiti di accettabilità di cui al succitato decreto, nel senso che i secondi ben possono esser rispettati pur non essendolo i primi”.