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La Convenzione di New York e la capacità di discernimento del minore. Orientamenti della giurisprudenza italiana

L’art. 12 della Convenzione di New York rappresenta il primo solenne riconoscimento a livello internazionale del diritto del bambino di essere ascoltato in tutti i procedimenti giudiziari o amministrativi che lo riguardano; le precedenti Carte internazionali, ad eccezione di quelle in tema di sottrazione internazionale di minori, non attribuivano grande rilevanza alle opinioni espresse dal minore.

Per l’ordinamento italiano la previsione non è nuova, atteso che il codice civile contempla diverse norme in materia di audizione necessaria del minore: l’art. 316 c.c. impone al giudice l’obbligo di ascoltare il minore che abbia compiuto i quattordici anni in caso di contrasto tra i genitori nell’esercizio della potestà; l’art. 371 c.c. prevede l’obbligo per il giudice di procedere all’ascolto del minore che abbia compiuto i dieci anni prima di decidere sul luogo dove il minore deve essere allevato o sull’indirizzo da dare ai suoi studi o sull’avviamento professionale; la valorizzazione di una partecipazione diretta del minore è stato il criterio guida seguito dal legislatore anche nella legge n. 184/1983 i cui articoli 4, 10, 15, 22, 23 e 45 prevedono l’obbligo di audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni e, se opportuno, anche del minore di età inferiore.

Le ipotesi in cui procedere all’ascolto sono rimaste immutate anche a seguito delle modifiche alla legge sull’adozione introdotte con ; tuttavia, il legislatore ha precisato che l’audizione del minore di età inferiore ai dodici anni debba avvenire non già quando appaia opportuno, ma “in considerazione della sua capacità di discernimento”; in tal modo si è voluto sottolineare come la decisione da parte del giudice di procedere o meno all’ascolto, pur avendo natura discrezionale, deve essere legata ad una valutazione delle effettive capacità del bambino di fornire indicazioni utili ai fini dei provvedimenti da adottare.

Nessuna disposizione che preveda l’ascolto è, invece, contenuta nelle norme relative al giudizio di separazione (art. 155 c.c. e 706-710 c.p.c.); mentre in sede di riforma della legge sul divorzio e, dunque, con le modifiche apportate dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, l’ascolto del minore è stato disciplinato nell’art. 4, co. 8°, che attribuisce al giudice il potere di sentire i figli minori, “qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età”.

Sotto il profilo della concreta attuazione del diritto di ascolto, non si segnala una posizione univoca e di apertura da parte della giurisprudenza; infatti, all’enfasi che ha accompagnato l’entrata in vigore delle leggi 27 maggio 1991, n. 176 e 15 gennaio 1994, n. 64, e la sottoscrizione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambini poi, non è seguita una incisiva prassi applicativa.

La Suprema Corte, chiamata ad esprimersi sulla violazione dell’art. 12 della Convenzione di New York, nel caso di mancato ascolto del minore nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di adottabilità, a norma dell’art. 10 l. n. 184 del 1983, ha ritenuto che l’obbligo di ascoltare i minori sussiste solo se di età superiore ai dodici anni, mentre, se di età inferiore, la loro audizione deve essere rimessa al prudente apprezzamento del giudice, senza che ciò determini un contrasto tra la legge nazionale e la Convenzione di New York del 1989; infatti, secondo la Corte, la suddetta Convenzione, all’art. 12, introduce l’obbligo di tener conto delle opinioni del minore in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo riguardi solo se si tratti di “fanciullo capace di discernimento” e “tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”, prevedendo, peraltro, che il minore possa essere ascoltato anche per il tramite di un rappresentante o di organo appropriato compatibilmente con le regole della legislazione nazionale.

Ma  a quale età può ritenersi sussistente la capacità di discernimento?

Sotto il profilo storico si può richiamare che nella nostra cultura la capacità di discernimento veniva ritenuta acquisita ai sei-sette anni. A quest’età secondo la Chiesa cattolica il bambino iniziava a comprendere il significato di scelte di fede e di condotta e poteva essere ammesso alla confessione e alla comunione. In parallelo anche la scuola iniziava ai sei anni.

La psicologia convalida che verso questa età il bambino normalmente acquisisce certe categorie di pensiero logico e il principio di realtà. Un bambino normodotato di regola già dai sette-otto anni sviluppa delle competenze concettuali che accresce per livelli successivi fino al raggiungimento, a partire dai dodici anni, delle capacità logico-formali.

Potrebbe obiettarsi che un bambino abbandonato o abusato può avere minore discernimento, perché i traumi di cui è stato vittima hanno generato confusione, come disturbi nella dimensione temporale, ma proprio in queste situazioni sembra ancora più importante che il giudice ascolti il bambino e gli parli.

Tali conclusioni sono sostanzialmente conformi a quelle cui è pervenuto il Comitato nazionale per la bioetica nei documenti del 20 giugno 1992 su “Informazione e consenso all’atto medico” e del 1994 su “Bioetica con l’infanzia” dove si afferma l’impossibilità di un autonomo consenso o dissenso al trattamento sanitario del bambino prima dei sei-sette anni, mentre il consenso è concepibile fra i sette e i dieci-dodici anni.

Che la Convenzione di New York subordini l’audizione del minore alla capacità di discernimento dello stesso è indubbio; ma è altrettanto indubbio che i nostri giudici (di merito e di legittimità), fuori dei casi espressamente previsti dalla legge interna, negano quasi sempre la stessa possibilità di procedere all’ascolto, sostenendo che trattasi di mera facoltà, mai prevista in maniera indiscriminata, e sempre subordinata all’apprezzamento discrezionale del giudice che deve valutare la capacità di discernimento del minore (art. 12, comma 1°, della Convenzione di New York), ovvero la sua età e il suo grado di maturità (art. 13, comma 2°, Convenzione dell’Aja del 1980), ovvero deve compiere una valutazione di opportunità caso per caso (art. 7 l. 64/1994).

In altri casi, si è precisato che rientra nel potere discrezionale del giudice non soltanto valutare l’opportunità o non di disporre l’audizione, ma anche, in caso positivo, le modalità e le cautele suggerite dalle circostanze concrete. Se ciò comporti soltanto l’esclusione della presenza dei genitori, per evitare turbamenti o condizionamenti, l’indirizzo in esame può essere condiviso; se, invece, ciò comporti l’inopportunità dell’audizione stessa e il ricorso all’intermediazione di un consulente tecnico di ufficio , allora, tornano tutte le perplessità sopra manifestate in ordine alla effettiva applicazione dell’art. art. 12 che pure ha acquistato in Italia forza di legge.

Né le difficoltà di procedere all’audizione devono escludere la stessa, anche quando il minore appaia in grado di discernere, sulla base della semplice motivazione che l’ascolto da parte del giudice ha natura discrezionale. Non a caso la Suprema Corte ha cassato, perché sorretta da motivazione apparente, la sentenza di conferma dello stato di adottabilità di un infradodicenne, nella quale il giudice d’appello si era limitato a riportare la motivazione della sentenza di primo grado, a descrivere le indagini svolte dal consulente tecnico di ufficio e a riportarne le dichiarazioni, prescindendo dall’audizione del minore, che pur aveva manifestato un netto rifiuto ad abbandonare la famiglia di origine, alla quale era profondamente legato.

In un altro caso, la Suprema Corte, richiamando i principi sanciti dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ha ritenuto che i sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa che un minore provava nei confronti del genitore non affidatario, costituissero fatto idoneo a giustificare la totale sospensione degli incontri tra padre e figlio. Tale sospensione, a giudizio della Corte, appariva opportuna indipendentemente dall’accertamento delle eventuali responsabilità dei genitori e, soprattutto, indipendentemente dalla fondatezza delle motivazioni addotte dal minore in ordine al rifiuto di incontrare l’altro genitore.

Orbene, se la mancata considerazione delle responsabilità dei genitori si pone in linea con l’indirizzo dominante presente nella nostra legislazione, ispirato alla protezione esclusiva del minore, in ordine alla scelta del genitore affidatario, tutelare il rifiuto del minore di incontrare l’altro genitore vuol dire tutelare la profondità e l’intensità dei sentimenti del minore e, dunque, i suoi stati d’animo e le sue aspirazioni.

In materia di separazione e divorzio, invece, si registra una forte resistenza da parte dei giudici a procedere all’ascolto, nell’evidente timore che il minore possa sentire il peso della responsabilità della scelta del genitore affidatario; la decisione resta affidata al giudice, il quale si rende interprete non già della volontà del fanciullo, ma di ciò che ritiene essere più opportuno e migliore nell’interesse di quest’ultimo.

Le norme che limitano l’ascolto del minore al solo caso che esso sia strettamente necessario anche in considerazione della sua età (artt. 4, comma 8, e 6, comma 9, legge 1 dicembre 1970 n. 898 sul divorzio, ritenute applicabili per analogia alla separazione coniugale) sono sicuramente superate se su di esse si innesta l’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo, nel senso che già oggi anche nei procedimenti di separazione e divorzio, e delle loro modifiche, il bambino che abbia sufficiente capacità di discernimento deve essere ascoltato.

Normalmente, nei procedimenti di separazione o divorzio consensuali, può ritenersi sufficiente l’ascolto indiretto attraverso i coniugi-genitori quali rappresentanti o i servizi che possono riferire che il minore è stato informato della procedura e comunicare al giudice la sua opinione sulle questioni di cura e patrimoniali che lo riguardano.

Nei procedimenti contenziosi diventa spesso necessario l’ascolto diretto del minore in sede giudiziale ogni volta che c’è un conflitto fra i genitori suoi rappresentanti sui punti che lo concernono, come il suo affidamento e il suo mantenimento.

Tuttavia, la stessa Corte costituzionale, con la sentenza 14 luglio 1986, n. 185, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, co. 1°, legge n. 898 del 1970 sollevata dal Tribunale di Genova (ordinanze 1 aprile 1982, Trib. Genova 19 giugno 1984; Trib. Genova 26 settembre 1984), nella parte in cui detta norma non prevede la nomina di un curatore speciale che rappresenti il minore nei giudizi di separazione e di divorzio in ordine alle decisioni sul suo affidamento e ad ogni altro provvedimento che lo riguardi, sostenendo che la legge rimette al giudice la individuazione della soluzione migliore per un terzo (il minore) e che, in ogni caso, non esiste, nei giudizi di separazione e di divorzio, una particolare situazione giuridica soggettiva di diritto sostanziale tale da essere necessariamente garantita attraverso l’attribuzione della qualità di parte ai figli minorenni.

L’art. 12 della Convenzione di New York rappresenta il primo solenne riconoscimento a livello internazionale del diritto del bambino di essere ascoltato in tutti i procedimenti giudiziari o amministrativi che lo riguardano; le precedenti Carte internazionali, ad eccezione di quelle in tema di sottrazione internazionale di minori, non attribuivano grande rilevanza alle opinioni espresse dal minore.

Per l’ordinamento italiano la previsione non è nuova, atteso che il codice civile contempla diverse norme in materia di audizione necessaria del minore: l’art. 316 c.c. impone al giudice l’obbligo di ascoltare il minore che abbia compiuto i quattordici anni in caso di contrasto tra i genitori nell’esercizio della potestà; l’art. 371 c.c. prevede l’obbligo per il giudice di procedere all’ascolto del minore che abbia compiuto i dieci anni prima di decidere sul luogo dove il minore deve essere allevato o sull’indirizzo da dare ai suoi studi o sull’avviamento professionale; la valorizzazione di una partecipazione diretta del minore è stato il criterio guida seguito dal legislatore anche nella legge n. 184/1983 i cui articoli 4, 10, 15, 22, 23 e 45 prevedono l’obbligo di audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni e, se opportuno, anche del minore di età inferiore.

Le ipotesi in cui procedere all’ascolto sono rimaste immutate anche a seguito delle modifiche alla legge sull’adozione introdotte con ; tuttavia, il legislatore ha precisato che l’audizione del minore di età inferiore ai dodici anni debba avvenire non già quando appaia opportuno, ma “in considerazione della sua capacità di discernimento”; in tal modo si è voluto sottolineare come la decisione da parte del giudice di procedere o meno all’ascolto, pur avendo natura discrezionale, deve essere legata ad una valutazione delle effettive capacità del bambino di fornire indicazioni utili ai fini dei provvedimenti da adottare.

Nessuna disposizione che preveda l’ascolto è, invece, contenuta nelle norme relative al giudizio di separazione (art. 155 c.c. e 706-710 c.p.c.); mentre in sede di riforma della legge sul divorzio e, dunque, con le modifiche apportate dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, l’ascolto del minore è stato disciplinato nell’art. 4, co. 8°, che attribuisce al giudice il potere di sentire i figli minori, “qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età”.

Sotto il profilo della concreta attuazione del diritto di ascolto, non si segnala una posizione univoca e di apertura da parte della giurisprudenza; infatti, all’enfasi che ha accompagnato l’entrata in vigore delle leggi 27 maggio 1991, n. 176 e 15 gennaio 1994, n. 64, e la sottoscrizione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambini poi, non è seguita una incisiva prassi applicativa.

La Suprema Corte, chiamata ad esprimersi sulla violazione dell’art. 12 della Convenzione di New York, nel caso di mancato ascolto del minore nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di adottabilità, a norma dell’art. 10 l. n. 184 del 1983, ha ritenuto che l’obbligo di ascoltare i minori sussiste solo se di età superiore ai dodici anni, mentre, se di età inferiore, la loro audizione deve essere rimessa al prudente apprezzamento del giudice, senza che ciò determini un contrasto tra la legge nazionale e la Convenzione di New York del 1989; infatti, secondo la Corte, la suddetta Convenzione, all’art. 12, introduce l’obbligo di tener conto delle opinioni del minore in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo riguardi solo se si tratti di “fanciullo capace di discernimento” e “tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”, prevedendo, peraltro, che il minore possa essere ascoltato anche per il tramite di un rappresentante o di organo appropriato compatibilmente con le regole della legislazione nazionale.

Ma  a quale età può ritenersi sussistente la capacità di discernimento?

Sotto il profilo storico si può richiamare che nella nostra cultura la capacità di discernimento veniva ritenuta acquisita ai sei-sette anni. A quest’età secondo la Chiesa cattolica il bambino iniziava a comprendere il significato di scelte di fede e di condotta e poteva essere ammesso alla confessione e alla comunione. In parallelo anche la scuola iniziava ai sei anni.

La psicologia convalida che verso questa età il bambino normalmente acquisisce certe categorie di pensiero logico e il principio di realtà. Un bambino normodotato di regola già dai sette-otto anni sviluppa delle competenze concettuali che accresce per livelli successivi fino al raggiungimento, a partire dai dodici anni, delle capacità logico-formali.

Potrebbe obiettarsi che un bambino abbandonato o abusato può avere minore discernimento, perché i traumi di cui è stato vittima hanno generato confusione, come disturbi nella dimensione temporale, ma proprio in queste situazioni sembra ancora più importante che il giudice ascolti il bambino e gli parli.

Tali conclusioni sono sostanzialmente conformi a quelle cui è pervenuto il Comitato nazionale per la bioetica nei documenti del 20 giugno 1992 su “Informazione e consenso all’atto medico” e del 1994 su “Bioetica con l’infanzia” dove si afferma l’impossibilità di un autonomo consenso o dissenso al trattamento sanitario del bambino prima dei sei-sette anni, mentre il consenso è concepibile fra i sette e i dieci-dodici anni.

Che la Convenzione di New York subordini l’audizione del minore alla capacità di discernimento dello stesso è indubbio; ma è altrettanto indubbio che i nostri giudici (di merito e di legittimità), fuori dei casi espressamente previsti dalla legge interna, negano quasi sempre la stessa possibilità di procedere all’ascolto, sostenendo che trattasi di mera facoltà, mai prevista in maniera indiscriminata, e sempre subordinata all’apprezzamento discrezionale del giudice che deve valutare la capacità di discernimento del minore (art. 12, comma 1°, della Convenzione di New York), ovvero la sua età e il suo grado di maturità (art. 13, comma 2°, Convenzione dell’Aja del 1980), ovvero deve compiere una valutazione di opportunità caso per caso (art. 7 l. 64/1994).

In altri casi, si è precisato che rientra nel potere discrezionale del giudice non soltanto valutare l’opportunità o non di disporre l’audizione, ma anche, in caso positivo, le modalità e le cautele suggerite dalle circostanze concrete. Se ciò comporti soltanto l’esclusione della presenza dei genitori, per evitare turbamenti o condizionamenti, l’indirizzo in esame può essere condiviso; se, invece, ciò comporti l’inopportunità dell’audizione stessa e il ricorso all’intermediazione di un consulente tecnico di ufficio , allora, tornano tutte le perplessità sopra manifestate in ordine alla effettiva applicazione dell’art. art. 12 che pure ha acquistato in Italia forza di legge.

Né le difficoltà di procedere all’audizione devono escludere la stessa, anche quando il minore appaia in grado di discernere, sulla base della semplice motivazione che l’ascolto da parte del giudice ha natura discrezionale. Non a caso la Suprema Corte ha cassato, perché sorretta da motivazione apparente, la sentenza di conferma dello stato di adottabilità di un infradodicenne, nella quale il giudice d’appello si era limitato a riportare la motivazione della sentenza di primo grado, a descrivere le indagini svolte dal consulente tecnico di ufficio e a riportarne le dichiarazioni, prescindendo dall’audizione del minore, che pur aveva manifestato un netto rifiuto ad abbandonare la famiglia di origine, alla quale era profondamente legato.

In un altro caso, la Suprema Corte, richiamando i principi sanciti dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ha ritenuto che i sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa che un minore provava nei confronti del genitore non affidatario, costituissero fatto idoneo a giustificare la totale sospensione degli incontri tra padre e figlio. Tale sospensione, a giudizio della Corte, appariva opportuna indipendentemente dall’accertamento delle eventuali responsabilità dei genitori e, soprattutto, indipendentemente dalla fondatezza delle motivazioni addotte dal minore in ordine al rifiuto di incontrare l’altro genitore.

Orbene, se la mancata considerazione delle responsabilità dei genitori si pone in linea con l’indirizzo dominante presente nella nostra legislazione, ispirato alla protezione esclusiva del minore, in ordine alla scelta del genitore affidatario, tutelare il rifiuto del minore di incontrare l’altro genitore vuol dire tutelare la profondità e l’intensità dei sentimenti del minore e, dunque, i suoi stati d’animo e le sue aspirazioni.

In materia di separazione e divorzio, invece, si registra una forte resistenza da parte dei giudici a procedere all’ascolto, nell’evidente timore che il minore possa sentire il peso della responsabilità della scelta del genitore affidatario; la decisione resta affidata al giudice, il quale si rende interprete non già della volontà del fanciullo, ma di ciò che ritiene essere più opportuno e migliore nell’interesse di quest’ultimo.

Le norme che limitano l’ascolto del minore al solo caso che esso sia strettamente necessario anche in considerazione della sua età (artt. 4, comma 8, e 6, comma 9, legge 1 dicembre 1970 n. 898 sul divorzio, ritenute applicabili per analogia alla separazione coniugale) sono sicuramente superate se su di esse si innesta l’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo, nel senso che già oggi anche nei procedimenti di separazione e divorzio, e delle loro modifiche, il bambino che abbia sufficiente capacità di discernimento deve essere ascoltato.

Normalmente, nei procedimenti di separazione o divorzio consensuali, può ritenersi sufficiente l’ascolto indiretto attraverso i coniugi-genitori quali rappresentanti o i servizi che possono riferire che il minore è stato informato della procedura e comunicare al giudice la sua opinione sulle questioni di cura e patrimoniali che lo riguardano.

Nei procedimenti contenziosi diventa spesso necessario l’ascolto diretto del minore in sede giudiziale ogni volta che c’è un conflitto fra i genitori suoi rappresentanti sui punti che lo concernono, come il suo affidamento e il suo mantenimento.

Tuttavia, la stessa Corte costituzionale, con la sentenza 14 luglio 1986, n. 185, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, co. 1°, legge n. 898 del 1970 sollevata dal Tribunale di Genova (ordinanze 1 aprile 1982, Trib. Genova 19 giugno 1984; Trib. Genova 26 settembre 1984), nella parte in cui detta norma non prevede la nomina di un curatore speciale che rappresenti il minore nei giudizi di separazione e di divorzio in ordine alle decisioni sul suo affidamento e ad ogni altro provvedimento che lo riguardi, sostenendo che la legge rimette al giudice la individuazione della soluzione migliore per un terzo (il minore) e che, in ogni caso, non esiste, nei giudizi di separazione e di divorzio, una particolare situazione giuridica soggettiva di diritto sostanziale tale da essere necessariamente garantita attraverso l’attribuzione della qualità di parte ai figli minorenni.