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La mediazione creditizia e la pubblicità ingannevole

1. La mediazione creditizia

Ai sensi della vigente normativa (Legge 7 marzo 1996, n.108, Regolamento D.P.R. 28 luglio 2000 e Provvedimento 29 aprile 2005 emesso dall’Ufficio Italiano dei Cambi – www.uic.it) la mediazione creditizia (vedasi anche l’art. 1754 c.c. e ss.) consiste nel mettere in relazione, anche attraverso lo svolgimento dell’attività professionale di consulenza, banche o intermediari finanziari determinati (D.lgs. 1 settembre 1993 n.385 - T.U. delle Leggi in materia bancaria e creditizia) con la potenziale clientela al fine della concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma.

L’esercizio dell’attività di mediazione creditizia è subordinato all’iscrizione della persona fisica o giuridica ad un apposito Albo tenuto dall’Ufficio Italiano dei Cambi in Roma (sotto la vigilanza della Banca d’Italia), in difetto l’articolo 16, comma 7, della L. n.108/1996 prevede la pena della reclusione da sei mesi ad un anno, nonché l’irrogazione di una multa. Come per l’esercizio di altre attività, è richiesto anche il rispetto degli obblighi di identificazione, conservazione delle informazioni e di segnalazione delle operazioni sospette di cui all’art. 16, comma 4, della L. n. 108/1996, art.1, comma 1 del D.lgs. n.374/1999, dell’art.2, comma 1, lettera q) e comma 2 del D.lgs. n.56/2004, Decreto del Ministero Economia e Finanze 3 febbraio 2006 n.143.

L’attività in questione consiste nel ricevere le richieste di finanziamento da parte della clientela, esplicare le principali caratteristiche e condizioni contrattuali dei prodotti di finanziamento, svolgere una prima istruttoria delle pratiche per verificarne la fattibilità (in termini di capacità reddituale dei richiedenti, consistenza dei cespiti cauzionali, grado di solvibilità etc.) per poi inoltrarle all’ente mutuante, previa individuazione del prodotto di finanziamento che risponde maggiormente alle esigenze espresse da ciascun cliente. In presenza di particolari convenzioni stipulate tra l’ente mutuante ed il mediatore creditizio alcuni prodotti di finanziamento possono essere proposti alla clientela a condizioni più vantaggiose ed il servizio può essere retribuito direttamente dall’istituto mutuante, senza costi di provvigione aggiuntivi o comunque occulti a carico della clientela. Ciò può consentire al consumatore di conoscere esattamente il costo effettivo del finanziamento non solo in termini di interessi, oneri e spese di istruttoria, ma anche di mediazione in quanto l’ente mutuante è tenuto a sintetizzare queste informazioni in termini percentuali con un parametro chiamato I.S.C. - Indicatore Sintetico di Costo (un tempo definito T.A.E.G.).

Tuttavia, anche in presenza di siffatte convenzioni, l’attività deve restare indipendente, cioè deve essere svolta senza legami con le parti che vengono messe in relazione dal mediatore, quali possono essere i rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.

In ogni caso, il mediatore creditizio non ha il potere di stipulare i contratti di finanziamento, né di effettuare, per conto di banche o di intermediari finanziari, l’erogazione dei finanziamenti richiesti, né eventuali anticipi di questi, né di decidere la forma di pagamento o di incasso di denaro contante, di altri mezzi di pagamento o di titoli di credito, fatta eccezione per la mera consegna di assegni non trasferibili integralmente compilati dall’intermediario o dal cliente.

Le Banche e gli Intermediari Finanziari dopo aver ricevuto la pratica per mezzo del mediatore creditizio “possono”, ma non assumono alcun obbligo, di deliberare la concessione del finanziamento richiesto dal cliente. Soltanto in seguito all’esame delle garanzie offerte (quali ad esempio il reddito dichiarato ed accertato, lo stato di solvibilità del richiedente, i cespiti cauzionali, eventuali garanzie personali e/o reali prestate anche da terzi etc.), all’applicazione di specifici parametri aziendali, che vengono adottati in piena autonomia da ciascun ente mutuante, si determina l’esito positivo o negativo della richiesta di finanziamento. Così pure il mediatore creditizio è tenuto a svolgere le attività sopra enumerate in piena autonomia e senza assumere alcun obbligo di garanzia nei riguardi della propria clientela in ordine all’esito positivo di ciascuna richiesta di finanziamento.

2. L’esigenza del mediatore creditizio di differenziarsi nel mercato concorrenziale

L’esercizio dell’attività di mediazione creditizia, come già si è detto, non è riservato a soggetti in possesso di specifiche competenze professionali, così il medesimo servizio può essere prestato ed offerto da un numero non quantificabile di imprese diverse in regime di concorrenza tra loro.

La partecipazione alla gara concorrenziale implica, anche per questo tipo di impresa, l’impiego di grandi risorse ed energie sia per mantenere la propria quota di mercato, sia per riuscire a migliorarla fino ad incrementare il volume complessivo degli affari.

Simili obiettivi possono essere raggiunti solo se l’impresa, attraverso la propria offerta, è in grado di esercitare sulla domanda un’attrazione maggiore rispetto a quella esercitata dall’offerta concorrente. Ma è ben noto che riuscire in questo intento non è affatto semplice.

L’instabilità e l’incertezza che caratterizzano la situazione concorrenziale, portano, quindi, ciascun mediatore creditizio, come un qualunque altro imprenditore, ad instaurare con i propri avversari rapporti fortemente competitivi che, non di rado, possono tradursi non solo in comportamenti sleali, ma anche ingannevoli per il consumatore e come tali pregiudizievoli per gli interessi economici di quest’ultimo oltreché degli imprenditori concorrenti.

Il processo volitivo e decisionale che precede la domanda di acquisto del servizio di mediazione creditizia da parte del consumatore, può essere indotto da vari fattori.

Pertanto, per riuscire a convincere il consumatore della esclusività del servizio, in modo tale da conquistarne il favore e, possibilmente, anche la ’’fedeltà’’, è necessario dare più valore all’offerta, arricchendola di un valore aggiunto che, purtroppo, non sempre coincide, in modo esatto, con le sue caratteristiche materiali.

Questi obiettivi vengono perseguiti prevalentemente con la comunicazione pubblicitaria (es. annunci a mezzo stampa, posta target, spot televisivi, messaggi radiofonici, internet, volantini etc.) mediante la quale è possibile differenziare l’offerta sul mercato e, in certi casi, rendere assolutamente infungibile il servizio reclamizzato rispetto a quello offerto dalla concorrenza.

3. Requisiti della pubblicità avente ad oggetto la mediazione creditizia

Ogni forma di comunicazione pubblicitaria non può essere definita pura espressione della fantasia dei creativi, infatti, niente è lasciato al caso, ma tutto scaturisce da un’attenta indagine che investe l’ambiente socio – culturale nel quale il “consumatore - bersaglio” vive e soprattutto le sue debolezze psicologiche.

La pubblicità può divenire efficace solo se risulta in grado di colpire i meccanismi che scatenano nel consumatore un forte desiderio di domandare un bene o un servizio.

Nel caso della mediazione creditizia, la domanda del servizio scaturisce, in prevalenza, da uno stato di bisogno del consumatore dovuto alla mancanza di adeguate risorse economiche per far fronte alle più disparate esigenze: da quelle primarie della vita (consumi alimentari, vestiario, acquisto dell’abitazione e dell’arredamento etc.) fino ad arrivare a quelle definibili non indispensabili ai fini della sopravvivenza quotidiana (viaggi, imbarcazioni, auto di lusso, gioielli etc.).

Lo stato di bisogno, dovuto alla mancanza di risorse per far fronte alle esigenze primarie della vita quotidiana, e la particolarità del servizio di mediazione rendono difficile a molti consumatori operare un raffronto serio tra le molteplici offerte proposte dai vari operatori del settore, rendendoli più vulnerabili e talvolta anche facili prede di mediatori sprovvisti di qualsiasi forma di correttezza professionale.

Eppure, come ogni altra forma di pubblicità anche quella relativa alla mediazione creditizia non “dovrebbe” essere ingannevole ossia idonea a indurre in errore le persone mediante artifici, raggiri o omissioni, e di conseguenza causare loro pregiudizi di natura economica anche gravi.

La comunicazione pubblicitaria avente ad oggetto la mediazione creditizia, tra l’altro, è soggetta a specifiche restrizioni in termini di contenuto quali risultano prescritte dal Provvedimento 29 aprile 2005 emesso dall’Ufficio Italiano dei Cambi.

Detto provvedimento impone che la pubblicità, in qualunque modo attuata, debba riportare gli estremi dell’iscrizione all’albo dei mediatori creditizi e rendere note le modalità di accesso ai fogli informativi contenenti le condizioni contrattuali del finanziamento proposto.

In particolare devono essere resi noti tutti gli elementi del finanziamento pubblicizzato che possono tradursi in un costo per il consumatore (quali ad esempio: tasso di interesse, Taeg / Isc, spese di istruttoria, di assicurazione e mediazione etc.) ed inoltre la denominazione della banca o dell’intermediario mutuante, nonché il periodo di validità dell’offerta.

Per evitare che il consumatore sia indotto in errore circa le caratteristiche del servizio di mediazione è vietato l’utilizzo di denominazioni contenenti termini, anche in lingua straniera, quali ad esempio “banca, credito e risparmio”, idonei a creare una situazione di confusione tra l’attività effettivamente svolta e quella degli enti eroganti (art. 133 D.Lgs. n.385/1993). Diversamente il consumatore potrebbe essere indotto a ritenere erroneamente che il mediatore sia un soggetto capace di deliberare la concessione del credito, fino ad erogarlo in modo del tutto autonomo.

In questo quadro di inserisce il Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n.146, entrato in vigore il 21 settembre 2007, (Attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CEE, 98/27/CE, 2002/65/CE e il Regolamento CE n.2006/2004) mediante il quale il nostro Legislatore, attuando un progetto normativo comunitario di tutela dei consumatori oltreché della concorrenza (si veda anche il D.lgs. n.145/2007), detta un insieme di norme dirette ad individuare, vietare e sanzionare le pratiche commerciali ingannevoli e sleali, e tra queste anche le promozioni pubblicitarie non corrette.

Il soggetto obbligato al rispetto delle citate norme è definito dall’articolo 18, comma 1, lettera b) del Decreto quale “professionista” intendendo con tale termine “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali”, descritte nel Decreto, “agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista”. Mentre il soggetto tutelato è il consumatore inteso come persona fisica che agisce per fini diversi rispetto a quelli del professionista (art.18, comma 1, lettera a) del D.lgs. n.146/2007).

Il citato Decreto opera la sostituzione di alcuni articoli del D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206: "Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (dall’art.18 all’art.27) focalizzando maggiormente l’attenzione, rispetto al Codice di Consumo, sulle pratiche commerciali ingannevoli in senso ampio, così come definite a livello comunitario, e non più solo sulla pubblicità in senso stretto.

Al riguardo si può dire, anche se in modo un po’ sommario, non essendo questa la sede opportuna per commentare tutte le fattispecie descritte nel Decreto, che sono considerate ingannevoli le informazioni non rispondenti al vero o che comunque siano potenzialmente idonee ad indurre in errore il consumatore, perché non pongono correttamente in luce i vantaggi, le caratteristiche, il prezzo ed i rischi del bene o servizio commercializzato o che siano omissive di informazioni rilevanti per una decisione di acquisto ponderata. Particolare attenzione viene riservata alla descrizione di alcune pratiche commerciali definite ingannevoli ab origine perché dirette, ad esempio, a fornire informazioni inesatte sulle condizioni di mercato oppure a vantare falsamente che il bene o il servizio verrà fornito gratuitamente, nonché alla individuazione di alcune fattispecie di pratiche commerciali senza dubbio riprovevoli perché caratterizzate dall’essere aggressive, moleste, coercitive e capaci di esercitare un indebito condizionamento nei riguardi del consumatore.

Tali pratiche commerciali inoltre sono qualificate scorrette in quanto contrarie alla diligenza professionale intesa quale “normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e buona fede nel settore di attività del professionista” (art.18, comma 1, lettera h) del D.lgs. n.146/2007).

4. Brevi cenni sul procedimento ed i provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato prima e dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n.146.

Qualunque forma di pubblicità sospettata di essere ingannevole, fino all’entrata in vigore della nuova procedura introdotta dal decreto legislativo n.146/2007, poteva essere segnalata da chiunque (consumatore, associazione dei consumatori, concorrente, Ministro delle attività Produttive pubblica amministrazione etc.) all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato mediante la proposizione di una domanda contenente i dati del richiedente e gli elementi identificativi del messaggio ingannevole in relazione al quale si intendeva ottenere l’inibizione dell’ulteriore diffusione, ai sensi dell’art.2 del D.P.R. 11 luglio 2003 n.284 (Regolamento recante norme sulle procedure istruttorie dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato in materia di pubblicità ingannevole).

Dopo aver ricevuto la richiesta di intervento, l’Autorità comunicava alle parti l’avvio del procedimento precisando il contenuto del messaggio sospettato di essere ingannevole.

Il committente della pubblicità veniva invitato (ex art.4 del citato D.P.R.) a produrre entro il termine fissato per la conclusione del procedimento(ex art.5 del citato D.P.R.) i documenti utili ai fini dell’istruttoria, nonché a depositare le proprie memorie, al termine del procedimento veniva pronunciata la decisione (provvedimento) con cui veniva accertato o meno il carattere ingannevole del messaggio, e contestualmente ne veniva disposta la pubblicazione sul bollettino di cui all’art. 26 della legge 10 ottobre 1990 n. 287.

In seguito all’introduzione della nuova disciplina l’Autorità appare fornita di nuovi poteri, infatti, essa può agire anche d’ufficio, senza attendere la proposizione di una domanda (inoltrata da parte di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse), può avvalersi di poteri investigativi e richiedere l’ausilio della Guardia di Finanza, nonché assumere informazioni e richiedere l’esibizione di documenti in possesso di imprese, enti o persone. In presenza di particolari condizioni di urgenza, l’Autorità può emanare un provvedimento motivato di sospensione provvisoria della comunicazione pubblicitaria scorretta.

Anche oggi come in passato, l’Autorità deve comunicare al professionista l’apertura dell’istruttoria per l’accertamento dell’infrazione ed instaurare con esso un contraddittorio richiedendogli ogni informazione e/o documento a ciò idoneo, inoltre, può disporre che il professionista fornisca le prove che il messaggio diffuso contiene dati materialmente esatti.

La procedura istruttoria ai sensi dell’articolo 27, comma 11, del D.lgs. n.146/2007, come già disposto dalle precedenti norme del Codice del Consumo, deve essere disciplinata dall’Autorità con un proprio regolamento. Tale nuovo regolamento dovrà essere emanato entro novanta giorni dall’entrata in vigore del Decreto (art.4 del D.lgs. n.146/2007) al fine di garantire il contraddittorio tra le parti, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione.

Nei casi meno gravi l’Autorità può richiedere che il professionista si impegni, anche con una dichiarazione pubblica, a far cessare le diffusione della pratica commerciale non corretta, nonché a modificarla, in tal modo quest’ultimo potrà ottenere che il procedimento sia definito senza l’accertamento dell’infrazione a proprio carico.

Sotto il profilo della prevenzione degli effetti dannosi della comunicazione pubblicitaria scorretta, l’Autorità ha il potere di vietare la diffusione e di inibire la continuazione obbligando il professionista responsabile a sostenere le spese per la pubblicazione del provvedimento o di una dichiarazione in rettifica. Contestualmente deve essere irrogata, come in passato, una sanzione amministrativa pecuniaria di importo variabile in relazione alla gravità dell’infrazione, tuttavia gli attuali importi minimi e massimi, rispetto ai precedenti, risultano essere di entità più onerosa per il trasgressore. Anche per i casi di inottemperanza ai provvedimenti e reiterazione sono previste sanzioni pecuniarie più gravi rispetto alle precedenti norme, mentre nulla è cambiato relativamente alla sospensione dell’attività di impresa che può essere disposta per un periodo di tempo non superiore ai trenta giorni (art.27, comma 12, del D.lgs. n.146/2007).

5. Alcune fattispecie ricorrenti di pubblicità ingannevole

Dall’esame dei più recenti provvedimenti in materia di mediazione creditizia emessi dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, prima dell’introduzione della nuova disciplina, è possibile desumere che, anche in questo settore come in altri, la prassi pubblicitaria ingannevole si trova in una fase di rapida crescita (si vedano i provv. nn.16964 e 16965 del 14 giugno 2007, i provv. nn.16998, 17000, 17001, 17002, 17004, 17005, 17006 del 21 giugno 2007, ed il n.17321 del 6 settembre 2007, www.agcm.it).

Le pubblicità ingannevoli più frequenti promettono ai consumatori l’erogazione di varie tipologie di finanziamenti in tempi rapidi (ad es. quarantotto ore) o comunque in periodi di tempo inverosimili da un punto di vista operativo.

Queste allettanti promesse di solito non vengono mantenute, in primo luogo, perché il mediatore, come già si è detto in precedenza, non è un soggetto capace di erogare i finanziamenti, infatti, è sufficiente ricordare che, anche per l’ottenimento di un semplice prestito personale in favore di un proprio cliente, il mediatore deve trasmettere l’istruttoria della pratica, corredata di ogni documento, all’ente mutuante ed attendere che quest’ultimo si esprima in merito attraverso l’adozione di una delibera. In secondo luogo, perché, se si prende a titolo esemplificativo l’iter dei finanziamenti garantiti mediante la concessione di ipoteca su uno o più cespiti immobiliari, il procedimento risulta assai più complesso. Infatti è noto che per la stipulazione di queste tipologie di finanziamenti è irrinunciabile la prestazione professionale di un notaio. Questo professionista viene incaricato, prima della stipula, di redigere una relazione, da sottoporre all’attenzione dell’ente mutuante, avente ad oggetto la situazione giuridica del cespite costituente la garanzia ipotecaria. Detta relazione costituisce il risultato di una serie di attività di indagine che, partendo dal titolo di provenienza del bene immobile, ricercano attraverso le ispezioni dei Registri Immobiliari, nonché dei documenti catastali presso l’Agenzia del Territorio competente e ricostruiscono le vicende relative ai proprietari del bene nell’arco temporale comprendente almeno un ventennio. Talvolta queste operazioni possono risultare molto complesse e richiedere pertanto tempi di lavoro decisamente lunghi.

Tali forme di comunicazione pubblicitaria, inoltre, risultano strutturate in modo ambiguo e non esplicitano la reale natura del servizio, lasciando intendere che l’attività svolta si quella dell’intermediazione finanziaria e non quella della mediazione creditizia.

I contenuti di molte comunicazioni appaiono incompleti e scorretti perché non indicano le condizioni economiche ed i costi del credito pubblicizzato (come previsto anche dall’art.123 del Decreto Legislativo n. 385 del 1993), né esplicitano chiaramente i costi del servizio di mediazione, impedendo al consumatore di comprendere se l’offerta nel suo insieme risulti realmente conveniente.

Esistono poi delle pubblicità specificamente ideate e destinate ai soggetti individuati nelle banche dati dette “Sistemi di Informazione Creditizia” quali cattivi pagatori (insolventi, protestati, pignorati etc.), a favore dei quali promettono falsamente di poter cancellare le informazioni negative senza limitazioni, nonché garantiscono una disponibilità incondizionata alla concessione di finanziamenti, senza precisare che le condizioni economiche offerte loro saranno certamente molto più onerose rispetto a quelle previste per la clientela primaria.

Questa prassi pubblicitaria svela, da un lato, che il consumatore si lascia convincere con facilità dai messaggi caratterizzati da un contenuto ingannevole e, dall’altro, che gli operatori del settore, non corretti, traggono profitti economici molto elevati grazie all’ingenuità della loro clientela di riferimento.

Detto ciò è lecito chiedersi se tali operatori, in seguito all’emanazione da parte dell’Autorità dei provvedimenti a loro sfavorevoli, sopportino un disagio economico limitato e circoscritto all’importo delle sanzioni pecuniarie e delle spese per la realizzazione e diffusione delle dichiarazioni di rettifica, oppure, se questi corrano anche un rischio ben più grave, sotto il profilo patrimoniale, di vedere nascere nei loro confronti una certa diffidenza da parte dei consumatori, con conseguente perdita di una quota di mercato.

Al riguardo si può affermare che il rischio, in termini economici, sembra circoscritto alle sanzioni pecuniarie ed alle spese, perché le comunicazioni pubblicitarie in rettifica, delle quali sia il contenuto, sia le modalità di diffusione vengono disposti dall’Autorità, non devono essere realizzate, né presentarsi, nella stessa forma pubblicitaria adottata ab origine per ingannare i consumatori. Ciò comporta che le rettifiche appaiono di solito assai dense di contenuti giuridici e perciò poco interessanti, se non addirittura noiose, per il consumatore medio, cosicché si può seriamente dubitare della loro reale capacità di scoraggiare gli operatori dal continuare a realizzare e diffondere nuovi ed ulteriori messaggi scorretti, nonché della loro idoneità ad eliminare in concreto gli effetti dannosi della originaria pubblicità ingannevole.

6. Conclusioni

Alla luce di quanto sopra appare evidente che l’attività di mediazione creditizia, se svolta in modo non corretto, è in grado di arrecare gravi pregiudizi economici ai consumatori, ma anche di destabilizzare, attraverso l’indebitamento, lo stesso sistema economico. Per questo motivo sembra quasi inspiegabile che finora, aldilà degli obblighi citati in precedenza, non siano state emanate norme, né procedure specifiche dirette ad accertare e/o verificare la preparazione e la competenza professionale dei soggetti che la esercitano. Per ottenere l’iscrizione all’albo tenuto dall’U.I.C. è, infatti, sufficiente inoltrare a tale Ufficio una semplice domanda con la quale il richiedente attesta di avere il possesso di un titolo di istruzione di scuola secondaria superiore e dei requisiti di onorabilità di cui all’art. 109 del T.U. n.385/1993.

Tra l’altro, l’iscrizione all’Albo non comporta per questi professionisti l’obbligo di appartenere o comunque di aderire ad una associazione di categoria. Ne consegue che l’eventuale adozione di codici di condotta professionale, come suggerisce l’art.27 bis del Codice di Consumo, introdotto dall’articolo 27, comma 2, del D.lgs. n.146/2007 e delle procedure di autodisciplina di cui all’art.27 ter, non sono modalità sufficienti ad obbligare l’intera categoria dei mediatori creditizi, dal momento che, tra loro, solo quelli che aderiscono ad una associazione, dotata di tali codici e procedure, si sentiranno controllati e quindi anche maggiormente vincolati al rispetto di certe norme.

Per via di tale situazione, non sembra inverosimile che i consumatori, anche in futuro, possano continuare a sostenere dei costi, non trascurabili, per ottenere un servizio di mediazione che non offre molte garanzie né in termini di correttezza professionale, né di accesso a quelle forme di tutela previste dal Legislatore come ulteriori strumenti di protezione dei diritti dei consumatori rispetto a quelli amministrativi tradizionali.

Al momento si può comunque auspicare che la nuova disciplina in materia di pratiche commerciali, mediante i più ampi poteri di indagine e d’ufficio attribuiti all’Autorità Garante e le più onerose sanzioni pecuniarie, la cui irrogazione è prevista contro le infrazioni commesse dai professionisti, sia in grado di dissuadere, tra gli altri, anche certi mediatori creditizi dal promuovere la loro attività con modalità scorrette ed ingannevoli che, con il loro ripetersi nel tempo, sembrano consolidarsi in una “prassi commerciale” decisamente riprovevole.

1. La mediazione creditizia

Ai sensi della vigente normativa (Legge 7 marzo 1996, n.108, Regolamento D.P.R. 28 luglio 2000 e Provvedimento 29 aprile 2005 emesso dall’Ufficio Italiano dei Cambi – www.uic.it) la mediazione creditizia (vedasi anche l’art. 1754 c.c. e ss.) consiste nel mettere in relazione, anche attraverso lo svolgimento dell’attività professionale di consulenza, banche o intermediari finanziari determinati (D.lgs. 1 settembre 1993 n.385 - T.U. delle Leggi in materia bancaria e creditizia) con la potenziale clientela al fine della concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma.

L’esercizio dell’attività di mediazione creditizia è subordinato all’iscrizione della persona fisica o giuridica ad un apposito Albo tenuto dall’Ufficio Italiano dei Cambi in Roma (sotto la vigilanza della Banca d’Italia), in difetto l’articolo 16, comma 7, della L. n.108/1996 prevede la pena della reclusione da sei mesi ad un anno, nonché l’irrogazione di una multa. Come per l’esercizio di altre attività, è richiesto anche il rispetto degli obblighi di identificazione, conservazione delle informazioni e di segnalazione delle operazioni sospette di cui all’art. 16, comma 4, della L. n. 108/1996, art.1, comma 1 del D.lgs. n.374/1999, dell’art.2, comma 1, lettera q) e comma 2 del D.lgs. n.56/2004, Decreto del Ministero Economia e Finanze 3 febbraio 2006 n.143.

L’attività in questione consiste nel ricevere le richieste di finanziamento da parte della clientela, esplicare le principali caratteristiche e condizioni contrattuali dei prodotti di finanziamento, svolgere una prima istruttoria delle pratiche per verificarne la fattibilità (in termini di capacità reddituale dei richiedenti, consistenza dei cespiti cauzionali, grado di solvibilità etc.) per poi inoltrarle all’ente mutuante, previa individuazione del prodotto di finanziamento che risponde maggiormente alle esigenze espresse da ciascun cliente. In presenza di particolari convenzioni stipulate tra l’ente mutuante ed il mediatore creditizio alcuni prodotti di finanziamento possono essere proposti alla clientela a condizioni più vantaggiose ed il servizio può essere retribuito direttamente dall’istituto mutuante, senza costi di provvigione aggiuntivi o comunque occulti a carico della clientela. Ciò può consentire al consumatore di conoscere esattamente il costo effettivo del finanziamento non solo in termini di interessi, oneri e spese di istruttoria, ma anche di mediazione in quanto l’ente mutuante è tenuto a sintetizzare queste informazioni in termini percentuali con un parametro chiamato I.S.C. - Indicatore Sintetico di Costo (un tempo definito T.A.E.G.).

Tuttavia, anche in presenza di siffatte convenzioni, l’attività deve restare indipendente, cioè deve essere svolta senza legami con le parti che vengono messe in relazione dal mediatore, quali possono essere i rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.

In ogni caso, il mediatore creditizio non ha il potere di stipulare i contratti di finanziamento, né di effettuare, per conto di banche o di intermediari finanziari, l’erogazione dei finanziamenti richiesti, né eventuali anticipi di questi, né di decidere la forma di pagamento o di incasso di denaro contante, di altri mezzi di pagamento o di titoli di credito, fatta eccezione per la mera consegna di assegni non trasferibili integralmente compilati dall’intermediario o dal cliente.

Le Banche e gli Intermediari Finanziari dopo aver ricevuto la pratica per mezzo del mediatore creditizio “possono”, ma non assumono alcun obbligo, di deliberare la concessione del finanziamento richiesto dal cliente. Soltanto in seguito all’esame delle garanzie offerte (quali ad esempio il reddito dichiarato ed accertato, lo stato di solvibilità del richiedente, i cespiti cauzionali, eventuali garanzie personali e/o reali prestate anche da terzi etc.), all’applicazione di specifici parametri aziendali, che vengono adottati in piena autonomia da ciascun ente mutuante, si determina l’esito positivo o negativo della richiesta di finanziamento. Così pure il mediatore creditizio è tenuto a svolgere le attività sopra enumerate in piena autonomia e senza assumere alcun obbligo di garanzia nei riguardi della propria clientela in ordine all’esito positivo di ciascuna richiesta di finanziamento.

2. L’esigenza del mediatore creditizio di differenziarsi nel mercato concorrenziale

L’esercizio dell’attività di mediazione creditizia, come già si è detto, non è riservato a soggetti in possesso di specifiche competenze professionali, così il medesimo servizio può essere prestato ed offerto da un numero non quantificabile di imprese diverse in regime di concorrenza tra loro.

La partecipazione alla gara concorrenziale implica, anche per questo tipo di impresa, l’impiego di grandi risorse ed energie sia per mantenere la propria quota di mercato, sia per riuscire a migliorarla fino ad incrementare il volume complessivo degli affari.

Simili obiettivi possono essere raggiunti solo se l’impresa, attraverso la propria offerta, è in grado di esercitare sulla domanda un’attrazione maggiore rispetto a quella esercitata dall’offerta concorrente. Ma è ben noto che riuscire in questo intento non è affatto semplice.

L’instabilità e l’incertezza che caratterizzano la situazione concorrenziale, portano, quindi, ciascun mediatore creditizio, come un qualunque altro imprenditore, ad instaurare con i propri avversari rapporti fortemente competitivi che, non di rado, possono tradursi non solo in comportamenti sleali, ma anche ingannevoli per il consumatore e come tali pregiudizievoli per gli interessi economici di quest’ultimo oltreché degli imprenditori concorrenti.

Il processo volitivo e decisionale che precede la domanda di acquisto del servizio di mediazione creditizia da parte del consumatore, può essere indotto da vari fattori.

Pertanto, per riuscire a convincere il consumatore della esclusività del servizio, in modo tale da conquistarne il favore e, possibilmente, anche la ’’fedeltà’’, è necessario dare più valore all’offerta, arricchendola di un valore aggiunto che, purtroppo, non sempre coincide, in modo esatto, con le sue caratteristiche materiali.

Questi obiettivi vengono perseguiti prevalentemente con la comunicazione pubblicitaria (es. annunci a mezzo stampa, posta target, spot televisivi, messaggi radiofonici, internet, volantini etc.) mediante la quale è possibile differenziare l’offerta sul mercato e, in certi casi, rendere assolutamente infungibile il servizio reclamizzato rispetto a quello offerto dalla concorrenza.

3. Requisiti della pubblicità avente ad oggetto la mediazione creditizia

Ogni forma di comunicazione pubblicitaria non può essere definita pura espressione della fantasia dei creativi, infatti, niente è lasciato al caso, ma tutto scaturisce da un’attenta indagine che investe l’ambiente socio – culturale nel quale il “consumatore - bersaglio” vive e soprattutto le sue debolezze psicologiche.

La pubblicità può divenire efficace solo se risulta in grado di colpire i meccanismi che scatenano nel consumatore un forte desiderio di domandare un bene o un servizio.

Nel caso della mediazione creditizia, la domanda del servizio scaturisce, in prevalenza, da uno stato di bisogno del consumatore dovuto alla mancanza di adeguate risorse economiche per far fronte alle più disparate esigenze: da quelle primarie della vita (consumi alimentari, vestiario, acquisto dell’abitazione e dell’arredamento etc.) fino ad arrivare a quelle definibili non indispensabili ai fini della sopravvivenza quotidiana (viaggi, imbarcazioni, auto di lusso, gioielli etc.).

Lo stato di bisogno, dovuto alla mancanza di risorse per far fronte alle esigenze primarie della vita quotidiana, e la particolarità del servizio di mediazione rendono difficile a molti consumatori operare un raffronto serio tra le molteplici offerte proposte dai vari operatori del settore, rendendoli più vulnerabili e talvolta anche facili prede di mediatori sprovvisti di qualsiasi forma di correttezza professionale.

Eppure, come ogni altra forma di pubblicità anche quella relativa alla mediazione creditizia non “dovrebbe” essere ingannevole ossia idonea a indurre in errore le persone mediante artifici, raggiri o omissioni, e di conseguenza causare loro pregiudizi di natura economica anche gravi.

La comunicazione pubblicitaria avente ad oggetto la mediazione creditizia, tra l’altro, è soggetta a specifiche restrizioni in termini di contenuto quali risultano prescritte dal Provvedimento 29 aprile 2005 emesso dall’Ufficio Italiano dei Cambi.

Detto provvedimento impone che la pubblicità, in qualunque modo attuata, debba riportare gli estremi dell’iscrizione all’albo dei mediatori creditizi e rendere note le modalità di accesso ai fogli informativi contenenti le condizioni contrattuali del finanziamento proposto.

In particolare devono essere resi noti tutti gli elementi del finanziamento pubblicizzato che possono tradursi in un costo per il consumatore (quali ad esempio: tasso di interesse, Taeg / Isc, spese di istruttoria, di assicurazione e mediazione etc.) ed inoltre la denominazione della banca o dell’intermediario mutuante, nonché il periodo di validità dell’offerta.

Per evitare che il consumatore sia indotto in errore circa le caratteristiche del servizio di mediazione è vietato l’utilizzo di denominazioni contenenti termini, anche in lingua straniera, quali ad esempio “banca, credito e risparmio”, idonei a creare una situazione di confusione tra l’attività effettivamente svolta e quella degli enti eroganti (art. 133 D.Lgs. n.385/1993). Diversamente il consumatore potrebbe essere indotto a ritenere erroneamente che il mediatore sia un soggetto capace di deliberare la concessione del credito, fino ad erogarlo in modo del tutto autonomo.

In questo quadro di inserisce il Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n.146, entrato in vigore il 21 settembre 2007, (Attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CEE, 98/27/CE, 2002/65/CE e il Regolamento CE n.2006/2004) mediante il quale il nostro Legislatore, attuando un progetto normativo comunitario di tutela dei consumatori oltreché della concorrenza (si veda anche il D.lgs. n.145/2007), detta un insieme di norme dirette ad individuare, vietare e sanzionare le pratiche commerciali ingannevoli e sleali, e tra queste anche le promozioni pubblicitarie non corrette.

Il soggetto obbligato al rispetto delle citate norme è definito dall’articolo 18, comma 1, lettera b) del Decreto quale “professionista” intendendo con tale termine “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali”, descritte nel Decreto, “agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista”. Mentre il soggetto tutelato è il consumatore inteso come persona fisica che agisce per fini diversi rispetto a quelli del professionista (art.18, comma 1, lettera a) del D.lgs. n.146/2007).

Il citato Decreto opera la sostituzione di alcuni articoli del D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206: "Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (dall’art.18 all’art.27) focalizzando maggiormente l’attenzione, rispetto al Codice di Consumo, sulle pratiche commerciali ingannevoli in senso ampio, così come definite a livello comunitario, e non più solo sulla pubblicità in senso stretto.

Al riguardo si può dire, anche se in modo un po’ sommario, non essendo questa la sede opportuna per commentare tutte le fattispecie descritte nel Decreto, che sono considerate ingannevoli le informazioni non rispondenti al vero o che comunque siano potenzialmente idonee ad indurre in errore il consumatore, perché non pongono correttamente in luce i vantaggi, le caratteristiche, il prezzo ed i rischi del bene o servizio commercializzato o che siano omissive di informazioni rilevanti per una decisione di acquisto ponderata. Particolare attenzione viene riservata alla descrizione di alcune pratiche commerciali definite ingannevoli ab origine perché dirette, ad esempio, a fornire informazioni inesatte sulle condizioni di mercato oppure a vantare falsamente che il bene o il servizio verrà fornito gratuitamente, nonché alla individuazione di alcune fattispecie di pratiche commerciali senza dubbio riprovevoli perché caratterizzate dall’essere aggressive, moleste, coercitive e capaci di esercitare un indebito condizionamento nei riguardi del consumatore.

Tali pratiche commerciali inoltre sono qualificate scorrette in quanto contrarie alla diligenza professionale intesa quale “normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e buona fede nel settore di attività del professionista” (art.18, comma 1, lettera h) del D.lgs. n.146/2007).

4. Brevi cenni sul procedimento ed i provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato prima e dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n.146.

Qualunque forma di pubblicità sospettata di essere ingannevole, fino all’entrata in vigore della nuova procedura introdotta dal decreto legislativo n.146/2007, poteva essere segnalata da chiunque (consumatore, associazione dei consumatori, concorrente, Ministro delle attività Produttive pubblica amministrazione etc.) all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato mediante la proposizione di una domanda contenente i dati del richiedente e gli elementi identificativi del messaggio ingannevole in relazione al quale si intendeva ottenere l’inibizione dell’ulteriore diffusione, ai sensi dell’art.2 del D.P.R. 11 luglio 2003 n.284 (Regolamento recante norme sulle procedure istruttorie dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato in materia di pubblicità ingannevole).

Dopo aver ricevuto la richiesta di intervento, l’Autorità comunicava alle parti l’avvio del procedimento precisando il contenuto del messaggio sospettato di essere ingannevole.

Il committente della pubblicità veniva invitato (ex art.4 del citato D.P.R.) a produrre entro il termine fissato per la conclusione del procedimento(ex art.5 del citato D.P.R.) i documenti utili ai fini dell’istruttoria, nonché a depositare le proprie memorie, al termine del procedimento veniva pronunciata la decisione (provvedimento) con cui veniva accertato o meno il carattere ingannevole del messaggio, e contestualmente ne veniva disposta la pubblicazione sul bollettino di cui all’art. 26 della legge 10 ottobre 1990 n. 287.

In seguito all’introduzione della nuova disciplina l’Autorità appare fornita di nuovi poteri, infatti, essa può agire anche d’ufficio, senza attendere la proposizione di una domanda (inoltrata da parte di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse), può avvalersi di poteri investigativi e richiedere l’ausilio della Guardia di Finanza, nonché assumere informazioni e richiedere l’esibizione di documenti in possesso di imprese, enti o persone. In presenza di particolari condizioni di urgenza, l’Autorità può emanare un provvedimento motivato di sospensione provvisoria della comunicazione pubblicitaria scorretta.

Anche oggi come in passato, l’Autorità deve comunicare al professionista l’apertura dell’istruttoria per l’accertamento dell’infrazione ed instaurare con esso un contraddittorio richiedendogli ogni informazione e/o documento a ciò idoneo, inoltre, può disporre che il professionista fornisca le prove che il messaggio diffuso contiene dati materialmente esatti.

La procedura istruttoria ai sensi dell’articolo 27, comma 11, del D.lgs. n.146/2007, come già disposto dalle precedenti norme del Codice del Consumo, deve essere disciplinata dall’Autorità con un proprio regolamento. Tale nuovo regolamento dovrà essere emanato entro novanta giorni dall’entrata in vigore del Decreto (art.4 del D.lgs. n.146/2007) al fine di garantire il contraddittorio tra le parti, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione.

Nei casi meno gravi l’Autorità può richiedere che il professionista si impegni, anche con una dichiarazione pubblica, a far cessare le diffusione della pratica commerciale non corretta, nonché a modificarla, in tal modo quest’ultimo potrà ottenere che il procedimento sia definito senza l’accertamento dell’infrazione a proprio carico.

Sotto il profilo della prevenzione degli effetti dannosi della comunicazione pubblicitaria scorretta, l’Autorità ha il potere di vietare la diffusione e di inibire la continuazione obbligando il professionista responsabile a sostenere le spese per la pubblicazione del provvedimento o di una dichiarazione in rettifica. Contestualmente deve essere irrogata, come in passato, una sanzione amministrativa pecuniaria di importo variabile in relazione alla gravità dell’infrazione, tuttavia gli attuali importi minimi e massimi, rispetto ai precedenti, risultano essere di entità più onerosa per il trasgressore. Anche per i casi di inottemperanza ai provvedimenti e reiterazione sono previste sanzioni pecuniarie più gravi rispetto alle precedenti norme, mentre nulla è cambiato relativamente alla sospensione dell’attività di impresa che può essere disposta per un periodo di tempo non superiore ai trenta giorni (art.27, comma 12, del D.lgs. n.146/2007).

5. Alcune fattispecie ricorrenti di pubblicità ingannevole

Dall’esame dei più recenti provvedimenti in materia di mediazione creditizia emessi dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, prima dell’introduzione della nuova disciplina, è possibile desumere che, anche in questo settore come in altri, la prassi pubblicitaria ingannevole si trova in una fase di rapida crescita (si vedano i provv. nn.16964 e 16965 del 14 giugno 2007, i provv. nn.16998, 17000, 17001, 17002, 17004, 17005, 17006 del 21 giugno 2007, ed il n.17321 del 6 settembre 2007, www.agcm.it).

Le pubblicità ingannevoli più frequenti promettono ai consumatori l’erogazione di varie tipologie di finanziamenti in tempi rapidi (ad es. quarantotto ore) o comunque in periodi di tempo inverosimili da un punto di vista operativo.

Queste allettanti promesse di solito non vengono mantenute, in primo luogo, perché il mediatore, come già si è detto in precedenza, non è un soggetto capace di erogare i finanziamenti, infatti, è sufficiente ricordare che, anche per l’ottenimento di un semplice prestito personale in favore di un proprio cliente, il mediatore deve trasmettere l’istruttoria della pratica, corredata di ogni documento, all’ente mutuante ed attendere che quest’ultimo si esprima in merito attraverso l’adozione di una delibera. In secondo luogo, perché, se si prende a titolo esemplificativo l’iter dei finanziamenti garantiti mediante la concessione di ipoteca su uno o più cespiti immobiliari, il procedimento risulta assai più complesso. Infatti è noto che per la stipulazione di queste tipologie di finanziamenti è irrinunciabile la prestazione professionale di un notaio. Questo professionista viene incaricato, prima della stipula, di redigere una relazione, da sottoporre all’attenzione dell’ente mutuante, avente ad oggetto la situazione giuridica del cespite costituente la garanzia ipotecaria. Detta relazione costituisce il risultato di una serie di attività di indagine che, partendo dal titolo di provenienza del bene immobile, ricercano attraverso le ispezioni dei Registri Immobiliari, nonché dei documenti catastali presso l’Agenzia del Territorio competente e ricostruiscono le vicende relative ai proprietari del bene nell’arco temporale comprendente almeno un ventennio. Talvolta queste operazioni possono risultare molto complesse e richiedere pertanto tempi di lavoro decisamente lunghi.

Tali forme di comunicazione pubblicitaria, inoltre, risultano strutturate in modo ambiguo e non esplicitano la reale natura del servizio, lasciando intendere che l’attività svolta si quella dell’intermediazione finanziaria e non quella della mediazione creditizia.

I contenuti di molte comunicazioni appaiono incompleti e scorretti perché non indicano le condizioni economiche ed i costi del credito pubblicizzato (come previsto anche dall’art.123 del Decreto Legislativo n. 385 del 1993), né esplicitano chiaramente i costi del servizio di mediazione, impedendo al consumatore di comprendere se l’offerta nel suo insieme risulti realmente conveniente.

Esistono poi delle pubblicità specificamente ideate e destinate ai soggetti individuati nelle banche dati dette “Sistemi di Informazione Creditizia” quali cattivi pagatori (insolventi, protestati, pignorati etc.), a favore dei quali promettono falsamente di poter cancellare le informazioni negative senza limitazioni, nonché garantiscono una disponibilità incondizionata alla concessione di finanziamenti, senza precisare che le condizioni economiche offerte loro saranno certamente molto più onerose rispetto a quelle previste per la clientela primaria.

Questa prassi pubblicitaria svela, da un lato, che il consumatore si lascia convincere con facilità dai messaggi caratterizzati da un contenuto ingannevole e, dall’altro, che gli operatori del settore, non corretti, traggono profitti economici molto elevati grazie all’ingenuità della loro clientela di riferimento.

Detto ciò è lecito chiedersi se tali operatori, in seguito all’emanazione da parte dell’Autorità dei provvedimenti a loro sfavorevoli, sopportino un disagio economico limitato e circoscritto all’importo delle sanzioni pecuniarie e delle spese per la realizzazione e diffusione delle dichiarazioni di rettifica, oppure, se questi corrano anche un rischio ben più grave, sotto il profilo patrimoniale, di vedere nascere nei loro confronti una certa diffidenza da parte dei consumatori, con conseguente perdita di una quota di mercato. >1. La mediazione creditizia

Ai sensi della vigente normativa (Legge 7 marzo 1996, n.108, Regolamento D.P.R. 28 luglio 2000 e Provvedimento 29 aprile 2005 emesso dall’Ufficio Italiano dei Cambi – www.uic.it) la mediazione creditizia (vedasi anche l’art. 1754 c.c. e ss.) consiste nel mettere in relazione, anche attraverso lo svolgimento dell’attività professionale di consulenza, banche o intermediari finanziari determinati (D.lgs. 1 settembre 1993 n.385 - T.U. delle Leggi in materia bancaria e creditizia) con la potenziale clientela al fine della concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma.

L’esercizio dell’attività di mediazione creditizia è subordinato all’iscrizione della persona fisica o giuridica ad un apposito Albo tenuto dall’Ufficio Italiano dei Cambi in Roma (sotto la vigilanza della Banca d’Italia), in difetto l’articolo 16, comma 7, della L. n.108/1996 prevede la pena della reclusione da sei mesi ad un anno, nonché l’irrogazione di una multa. Come per l’esercizio di altre attività, è richiesto anche il rispetto degli obblighi di identificazione, conservazione delle informazioni e di segnalazione delle operazioni sospette di cui all’art. 16, comma 4, della L. n. 108/1996, art.1, comma 1 del D.lgs. n.374/1999, dell’art.2, comma 1, lettera q) e comma 2 del D.lgs. n.56/2004, Decreto del Ministero Economia e Finanze 3 febbraio 2006 n.143.

L’attività in questione consiste nel ricevere le richieste di finanziamento da parte della clientela, esplicare le principali caratteristiche e condizioni contrattuali dei prodotti di finanziamento, svolgere una prima istruttoria delle pratiche per verificarne la fattibilità (in termini di capacità reddituale dei richiedenti, consistenza dei cespiti cauzionali, grado di solvibilità etc.) per poi inoltrarle all’ente mutuante, previa individuazione del prodotto di finanziamento che risponde maggiormente alle esigenze espresse da ciascun cliente. In presenza di particolari convenzioni stipulate tra l’ente mutuante ed il mediatore creditizio alcuni prodotti di finanziamento possono essere proposti alla clientela a condizioni più vantaggiose ed il servizio può essere retribuito direttamente dall’istituto mutuante, senza costi di provvigione aggiuntivi o comunque occulti a carico della clientela. Ciò può consentire al consumatore di conoscere esattamente il costo effettivo del finanziamento non solo in termini di interessi, oneri e spese di istruttoria, ma anche di mediazione in quanto l’ente mutuante è tenuto a sintetizzare queste informazioni in termini percentuali con un parametro chiamato I.S.C. - Indicatore Sintetico di Costo (un tempo definito T.A.E.G.).

Tuttavia, anche in presenza di siffatte convenzioni, l’attività deve restare indipendente, cioè deve essere svolta senza legami con le parti che vengono messe in relazione dal mediatore, quali possono essere i rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.

In ogni caso, il mediatore creditizio non ha il potere di stipulare i contratti di finanziamento, né di effettuare, per conto di banche o di intermediari finanziari, l’erogazione dei finanziamenti richiesti, né eventuali anticipi di questi, né di decidere la forma di pagamento o di incasso di denaro contante, di altri mezzi di pagamento o di titoli di credito, fatta eccezione per la mera consegna di assegni non trasferibili integralmente compilati dall’intermediario o dal cliente.

Le Banche e gli Intermediari Finanziari dopo aver ricevuto la pratica per mezzo del mediatore creditizio “possono”, ma non assumono alcun obbligo, di deliberare la concessione del finanziamento richiesto dal cliente. Soltanto in seguito all’esame delle garanzie offerte (quali ad esempio il reddito dichiarato ed accertato, lo stato di solvibilità del richiedente, i cespiti cauzionali, eventuali garanzie personali e/o reali prestate anche da terzi etc.), all’applicazione di specifici parametri aziendali, che vengono adottati in piena autonomia da ciascun ente mutuante, si determina l’esito positivo o negativo della richiesta di finanziamento. Così pure il mediatore creditizio è tenuto a svolgere le attività sopra enumerate in piena autonomia e senza assumere alcun obbligo di garanzia nei riguardi della propria clientela in ordine all’esito positivo di ciascuna richiesta di finanziamento.

2. L’esigenza del mediatore creditizio di differenziarsi nel mercato concorrenziale

L’esercizio dell’attività di mediazione creditizia, come già si è detto, non è riservato a soggetti in possesso di specifiche competenze professionali, così il medesimo servizio può essere prestato ed offerto da un numero non quantificabile di imprese diverse in regime di concorrenza tra loro.

La partecipazione alla gara concorrenziale implica, anche per questo tipo di impresa, l’impiego di grandi risorse ed energie sia per mantenere la propria quota di mercato, sia per riuscire a migliorarla fino ad incrementare il volume complessivo degli affari.

Simili obiettivi possono essere raggiunti solo se l’impresa, attraverso la propria offerta, è in grado di esercitare sulla domanda un’attrazione maggiore rispetto a quella esercitata dall’offerta concorrente. Ma è ben noto che riuscire in questo intento non è affatto semplice.

L’instabilità e l’incertezza che caratterizzano la situazione concorrenziale, portano, quindi, ciascun mediatore creditizio, come un qualunque altro imprenditore, ad instaurare con i propri avversari rapporti fortemente competitivi che, non di rado, possono tradursi non solo in comportamenti sleali, ma anche ingannevoli per il consumatore e come tali pregiudizievoli per gli interessi economici di quest’ultimo oltreché degli imprenditori concorrenti.

Il processo volitivo e decisionale che precede la domanda di acquisto del servizio di mediazione creditizia da parte del consumatore, può essere indotto da vari fattori.

Pertanto, per riuscire a convincere il consumatore della esclusività del servizio, in modo tale da conquistarne il favore e, possibilmente, anche la ’’fedeltà’’, è necessario dare più valore all’offerta, arricchendola di un valore aggiunto che, purtroppo, non sempre coincide, in modo esatto, con le sue caratteristiche materiali.

Questi obiettivi vengono perseguiti prevalentemente con la comunicazione pubblicitaria (es. annunci a mezzo stampa, posta target, spot televisivi, messaggi radiofonici, internet, volantini etc.) mediante la quale è possibile differenziare l’offerta sul mercato e, in certi casi, rendere assolutamente infungibile il servizio reclamizzato rispetto a quello offerto dalla concorrenza.

3. Requisiti della pubblicità avente ad oggetto la mediazione creditizia

Ogni forma di comunicazione pubblicitaria non può essere definita pura espressione della fantasia dei creativi, infatti, niente è lasciato al caso, ma tutto scaturisce da un’attenta indagine che investe l’ambiente socio – culturale nel quale il “consumatore - bersaglio” vive e soprattutto le sue debolezze psicologiche.

La pubblicità può divenire efficace solo se risulta in grado di colpire i meccanismi che scatenano nel consumatore un forte desiderio di domandare un bene o un servizio.

Nel caso della mediazione creditizia, la domanda del servizio scaturisce, in prevalenza, da uno stato di bisogno del consumatore dovuto alla mancanza di adeguate risorse economiche per far fronte alle più disparate esigenze: da quelle primarie della vita (consumi alimentari, vestiario, acquisto dell’abitazione e dell’arredamento etc.) fino ad arrivare a quelle definibili non indispensabili ai fini della sopravvivenza quotidiana (viaggi, imbarcazioni, auto di lusso, gioielli etc.).

Lo stato di bisogno, dovuto alla mancanza di risorse per far fronte alle esigenze primarie della vita quotidiana, e la particolarità del servizio di mediazione rendono difficile a molti consumatori operare un raffronto serio tra le molteplici offerte proposte dai vari operatori del settore, rendendoli più vulnerabili e talvolta anche facili prede di mediatori sprovvisti di qualsiasi forma di correttezza professionale.

Eppure, come ogni altra forma di pubblicità anche quella relativa alla mediazione creditizia non “dovrebbe” essere ingannevole ossia idonea a indurre in errore le persone mediante artifici, raggiri o omissioni, e di conseguenza causare loro pregiudizi di natura economica anche gravi.

La comunicazione pubblicitaria avente ad oggetto la mediazione creditizia, tra l’altro, è soggetta a specifiche restrizioni in termini di contenuto quali risultano prescritte dal Provvedimento 29 aprile 2005 emesso dall’Ufficio Italiano dei Cambi.

Detto provvedimento impone che la pubblicità, in qualunque modo attuata, debba riportare gli estremi dell’iscrizione all’albo dei mediatori creditizi e rendere note le modalità di accesso ai fogli informativi contenenti le condizioni contrattuali del finanziamento proposto.

In particolare devono essere resi noti tutti gli elementi del finanziamento pubblicizzato che possono tradursi in un costo per il consumatore (quali ad esempio: tasso di interesse, Taeg / Isc, spese di istruttoria, di assicurazione e mediazione etc.) ed inoltre la denominazione della banca o dell’intermediario mutuante, nonché il periodo di validità dell’offerta.

Per evitare che il consumatore sia indotto in errore circa le caratteristiche del servizio di mediazione è vietato l’utilizzo di denominazioni contenenti termini, anche in lingua straniera, quali ad esempio “banca, credito e risparmio”, idonei a creare una situazione di confusione tra l’attività effettivamente svolta e quella degli enti eroganti (art. 133 D.Lgs. n.385/1993). Diversamente il consumatore potrebbe essere indotto a ritenere erroneamente che il mediatore sia un soggetto capace di deliberare la concessione del credito, fino ad erogarlo in modo del tutto autonomo.

In questo quadro di inserisce il Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n.146, entrato in vigore il 21 settembre 2007, (Attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CEE, 98/27/CE, 2002/65/CE e il Regolamento CE n.2006/2004) mediante il quale il nostro Legislatore, attuando un progetto normativo comunitario di tutela dei consumatori oltreché della concorrenza (si veda anche il D.lgs. n.145/2007), detta un insieme di norme dirette ad individuare, vietare e sanzionare le pratiche commerciali ingannevoli e sleali, e tra queste anche le promozioni pubblicitarie non corrette.

Il soggetto obbligato al rispetto delle citate norme è definito dall’articolo 18, comma 1, lettera b) del Decreto quale “professionista” intendendo con tale termine “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali”, descritte nel Decreto, “agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista”. Mentre il soggetto tutelato è il consumatore inteso come persona fisica che agisce per fini diversi rispetto a quelli del professionista (art.18, comma 1, lettera a) del D.lgs. n.146/2007).

Il citato Decreto opera la sostituzione di alcuni articoli del D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206: "Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (dall’art.18 all’art.27) focalizzando maggiormente l’attenzione, rispetto al Codice di Consumo, sulle pratiche commerciali ingannevoli in senso ampio, così come definite a livello comunitario, e non più solo sulla pubblicità in senso stretto.

Al riguardo si può dire, anche se in modo un po’ sommario, non essendo questa la sede opportuna per commentare tutte le fattispecie descritte nel Decreto, che sono considerate ingannevoli le informazioni non rispondenti al vero o che comunque siano potenzialmente idonee ad indurre in errore il consumatore, perché non pongono correttamente in luce i vantaggi, le caratteristiche, il prezzo ed i rischi del bene o servizio commercializzato o che siano omissive di informazioni rilevanti per una decisione di acquisto ponderata. Particolare attenzione viene riservata alla descrizione di alcune pratiche commerciali definite ingannevoli ab origine perché dirette, ad esempio, a fornire informazioni inesatte sulle condizioni di mercato oppure a vantare falsamente che il bene o il servizio verrà fornito gratuitamente, nonché alla individuazione di alcune fattispecie di pratiche commerciali senza dubbio riprovevoli perché caratterizzate dall’essere aggressive, moleste, coercitive e capaci di esercitare un indebito condizionamento nei riguardi del consumatore.

Tali pratiche commerciali inoltre sono qualificate scorrette in quanto contrarie alla diligenza professionale intesa quale “normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e buona fede nel settore di attività del professionista” (art.18, comma 1, lettera h) del D.lgs. n.146/2007).

4. Brevi cenni sul procedimento ed i provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato prima e dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n.146.

Qualunque forma di pubblicità sospettata di essere ingannevole, fino all’entrata in vigore della nuova procedura introdotta dal decreto legislativo n.146/2007, poteva essere segnalata da chiunque (consumatore, associazione dei consumatori, concorrente, Ministro delle attività Produttive pubblica amministrazione etc.) all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato mediante la proposizione di una domanda contenente i dati del richiedente e gli elementi identificativi del messaggio ingannevole in relazione al quale si intendeva ottenere l’inibizione dell’ulteriore diffusione, ai sensi dell’art.2 del D.P.R. 11 luglio 2003 n.284 (Regolamento recante norme sulle procedure istruttorie dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato in materia di pubblicità ingannevole).

Dopo aver ricevuto la richiesta di intervento, l’Autorità comunicava alle parti l’avvio del procedimento precisando il contenuto del messaggio sospettato di essere ingannevole.

Il committente della pubblicità veniva invitato (ex art.4 del citato D.P.R.) a produrre entro il termine fissato per la conclusione del procedimento(ex art.5 del citato D.P.R.) i documenti utili ai fini dell’istruttoria, nonché a depositare le proprie memorie, al termine del procedimento veniva pronunciata la decisione (provvedimento) con cui veniva accertato o meno il carattere ingannevole del messaggio, e contestualmente ne veniva disposta la pubblicazione sul bollettino di cui all’art. 26 della legge 10 ottobre 1990 n. 287.

In seguito all’introduzione della nuova disciplina l’Autorità appare fornita di nuovi poteri, infatti, essa può agire anche d’ufficio, senza attendere la proposizione di una domanda (inoltrata da parte di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse), può avvalersi di poteri investigativi e richiedere l’ausilio della Guardia di Finanza, nonché assumere informazioni e richiedere l’esibizione di documenti in possesso di imprese, enti o persone. In presenza di particolari condizioni di urgenza, l’Autorità può emanare un provvedimento motivato di sospensione provvisoria della comunicazione pubblicitaria scorretta.

Anche oggi come in passato, l’Autorità deve comunicare al professionista l’apertura dell’istruttoria per l’accertamento dell’infrazione ed instaurare con esso un contraddittorio richiedendogli ogni informazione e/o documento a ciò idoneo, inoltre, può disporre che il professionista fornisca le prove che il messaggio diffuso contiene dati materialmente esatti.

La procedura istruttoria ai sensi dell’articolo 27, comma 11, del D.lgs. n.146/2007, come già disposto dalle precedenti norme del Codice del Consumo, deve essere disciplinata dall’Autorità con un proprio regolamento. Tale nuovo regolamento dovrà essere emanato entro novanta giorni dall’entrata in vigore del Decreto (art.4 del D.lgs. n.146/2007) al fine di garantire il contraddittorio tra le parti, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione.

Nei casi meno gravi l’Autorità può richiedere che il professionista si impegni, anche con una dichiarazione pubblica, a far cessare le diffusione della pratica commerciale non corretta, nonché a modificarla, in tal modo quest’ultimo potrà ottenere che il procedimento sia definito senza l’accertamento dell’infrazione a proprio carico.

Sotto il profilo della prevenzione degli effetti dannosi della comunicazione pubblicitaria scorretta, l’Autorità ha il potere di vietare la diffusione e di inibire la continuazione obbligando il professionista responsabile a sostenere le spese per la pubblicazione del provvedimento o di una dichiarazione in rettifica. Contestualmente deve essere irrogata, come in passato, una sanzione amministrativa pecuniaria di importo variabile in relazione alla gravità dell’infrazione, tuttavia gli attuali importi minimi e massimi, rispetto ai precedenti, risultano essere di entità più onerosa per il trasgressore. Anche per i casi di inottemperanza ai provvedimenti e reiterazione sono previste sanzioni pecuniarie più gravi rispetto alle precedenti norme, mentre nulla è cambiato relativamente alla sospensione dell’attività di impresa che può essere disposta per un periodo di tempo non superiore ai trenta giorni (art.27, comma 12, del D.lgs. n.146/2007).

5. Alcune fattispecie ricorrenti di pubblicità ingannevole

Dall’esame dei più recenti provvedimenti in materia di mediazione creditizia emessi dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, prima dell’introduzione della nuova disciplina, è possibile desumere che, anche in questo settore come in altri, la prassi pubblicitaria ingannevole si trova in una fase di rapida crescita (si vedano i provv. nn.16964 e 16965 del 14 giugno 2007, i provv. nn.16998, 17000, 17001, 17002, 17004, 17005, 17006 del 21 giugno 2007, ed il n.17321 del 6 settembre 2007, www.agcm.it).

Le pubblicità ingannevoli più frequenti promettono ai consumatori l’erogazione di varie tipologie di finanziamenti in tempi rapidi (ad es. quarantotto ore) o comunque in periodi di tempo inverosimili da un punto di vista operativo.

Queste allettanti promesse di solito non vengono mantenute, in primo luogo, perché il mediatore, come già si è detto in precedenza, non è un soggetto capace di erogare i finanziamenti, infatti, è sufficiente ricordare che, anche per l’ottenimento di un semplice prestito personale in favore di un proprio cliente, il mediatore deve trasmettere l’istruttoria della pratica, corredata di ogni documento, all’ente mutuante ed attendere che quest’ultimo si esprima in merito attraverso l’adozione di una delibera. In secondo luogo, perché, se si prende a titolo esemplificativo l’iter dei finanziamenti garantiti mediante la concessione di ipoteca su uno o più cespiti immobiliari, il procedimento risulta assai più complesso. Infatti è noto che per la stipulazione di queste tipologie di finanziamenti è irrinunciabile la prestazione professionale di un notaio. Questo professionista viene incaricato, prima della stipula, di redigere una relazione, da sottoporre all’attenzione dell’ente mutuante, avente ad oggetto la situazione giuridica del cespite costituente la garanzia ipotecaria. Detta relazione costituisce il risultato di una serie di attività di indagine che, partendo dal titolo di provenienza del bene immobile, ricercano attraverso le ispezioni dei Registri Immobiliari, nonché dei documenti catastali presso l’Agenzia del Territorio competente e ricostruiscono le vicende relative ai proprietari del bene nell’arco temporale comprendente almeno un ventennio. Talvolta queste operazioni possono risultare molto complesse e richiedere pertanto tempi di lavoro decisamente lunghi.

Tali forme di comunicazione pubblicitaria, inoltre, risultano strutturate in modo ambiguo e non esplicitano la reale natura del servizio, lasciando intendere che l’attività svolta si quella dell’intermediazione finanziaria e non quella della mediazione creditizia.

I contenuti di molte comunicazioni appaiono incompleti e scorretti perché non indicano le condizioni economiche ed i costi del credito pubblicizzato (come previsto anche dall’art.123 del Decreto Legislativo n. 385 del 1993), né esplicitano chiaramente i costi del servizio di mediazione, impedendo al consumatore di comprendere se l’offerta nel suo insieme risulti realmente conveniente.

Esistono poi delle pubblicità specificamente ideate e destinate ai soggetti individuati nelle banche dati dette “Sistemi di Informazione Creditizia” quali cattivi pagatori (insolventi, protestati, pignorati etc.), a favore dei quali promettono falsamente di poter cancellare le informazioni negative senza limitazioni, nonché garantiscono una disponibilità incondizionata alla concessione di finanziamenti, senza precisare che le condizioni economiche offerte loro saranno certamente molto più onerose rispetto a quelle previste per la clientela primaria.

Questa prassi pubblicitaria svela, da un lato, che il consumatore si lascia convincere con facilità dai messaggi caratterizzati da un contenuto ingannevole e, dall’altro, che gli operatori del settore, non corretti, traggono profitti economici molto elevati grazie all’ingenuità della loro clientela di riferimento.

Detto ciò è lecito chiedersi se tali operatori, in seguito all’emanazione da parte dell’Autorità dei provvedimenti a loro sfavorevoli, sopportino un disagio economico limitato e circoscritto all’importo delle sanzioni pecuniarie e delle spese per la realizzazione e diffusione delle dichiarazioni di rettifica, oppure, se questi corrano anche un rischio ben più grave, sotto il profilo patrimoniale, di vedere nascere nei loro confronti una certa diffidenza da parte dei consumatori, con conseguente perdita di una quota di mercato.

Al riguardo si può affermare che il rischio, in termini economici, sembra circoscritto alle sanzioni pecuniarie ed alle spese, perché le comunicazioni pubblicitarie in rettifica, delle quali sia il contenuto, sia le modalità di diffusione vengono disposti dall’Autorità, non devono essere realizzate, né presentarsi, nella stessa forma pubblicitaria adottata ab origine per ingannare i consumatori. Ciò comporta che le rettifiche appaiono di solito assai dense di contenuti giuridici e perciò poco interessanti, se non addirittura noiose, per il consumatore medio, cosicché si può seriamente dubitare della loro reale capacità di scoraggiare gli operatori dal continuare a realizzare e diffondere nuovi ed ulteriori messaggi scorretti, nonché della loro idoneità ad eliminare in concreto gli effetti dannosi della originaria pubblicità ingannevole.

6. Conclusioni

Alla luce di quanto sopra appare evidente che l’attività di mediazione creditizia, se svolta in modo non corretto, è in grado di arrecare gravi pregiudizi economici ai consumatori, ma anche di destabilizzare, attraverso l’indebitamento, lo stesso sistema economico. Per questo motivo sembra quasi inspiegabile che finora, aldilà degli obblighi citati in precedenza, non siano state emanate norme, né procedure specifiche dirette ad accertare e/o verificare la preparazione e la competenza professionale dei soggetti che la esercitano. Per ottenere l’iscrizione all’albo tenuto dall’U.I.C. è, infatti, sufficiente inoltrare a tale Ufficio una semplice domanda con la quale il richiedente attesta di avere il possesso di un titolo di istruzione di scuola secondaria superiore e dei requisiti di onorabilità di cui all’art. 109 del T.U. n.385/1993.

Tra l’altro, l’iscrizione all’Albo non comporta per questi professionisti l’obbligo di appartenere o comunque di aderire ad una associazione di categoria. Ne consegue che l’eventuale adozione di codici di condotta professionale, come suggerisce l’art.27 bis del Codice di Consumo, introdotto dall’articolo 27, comma 2, del D.lgs. n.146/2007 e delle procedure di autodisciplina di cui all’art.27 ter, non sono modalità sufficienti ad obbligare l’intera categoria dei mediatori creditizi, dal momento che, tra loro, solo quelli che aderiscono ad una associazione, dotata di tali codici e procedure, si sentiranno controllati e quindi anche maggiormente vincolati al rispetto di certe norme.

Per via di tale situazione, non sembra inverosimile che i consumatori, anche in futuro, possano continuare a sostenere dei costi, non trascurabili, per ottenere un servizio di mediazione che non offre molte garanzie né in termini di correttezza professionale, né di accesso a quelle forme di tutela previste dal Legislatore come ulteriori strumenti di protezione dei diritti dei consumatori rispetto a quelli amministrativi tradizionali.

Al momento si può comunque auspicare che la nuova disciplina in materia di pratiche commerciali, mediante i più ampi poteri di indagine e d’ufficio attribuiti all’Autorità Garante e le più onerose sanzioni pecuniarie, la cui irrogazione è prevista contro le infrazioni commesse dai professionisti, sia in grado di dissuadere, tra gli altri, anche certi mediatori creditizi dal promuovere la loro attività con modalità scorrette ed ingannevoli che, con il loro ripetersi nel tempo, sembrano consolidarsi in una “prassi commerciale” decisamente riprovevole.