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La “repetitio indebiti” della pubblica amministrazione nell’evoluzione giurisprudenziale: la fase discrezionalista.

Un’analisi in chiave evolutiva della giurisprudenza amministrativa sulla ripetizione delle somme indebitamente erogate dalla pubblica amministrazione richiede di prendere le mosse dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20 del 1958. Sin dalla fine degli anni Cinquanta, infatti, la buona fede dell’“accipiens” è espressamente richiamata quale causa dell’irrecuperabilità (1), sviluppando per lo più reazioni di critica da parte della dottrina (2). In precedenza, l’irripetibilità delle somme illegittimamente concesse discendeva da altri fattori, quale ad esempio l’esigenza di ritenere come legittima l’attività del funzionario erogante in virtù dell’apparenza di legittimità dell’atto di preposizione all’ufficio, la cui presunzione di validità era legata al principio di esecutorietà degli atti amministrativi (3). A partire invece dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 20 del 1958, il Consiglio di Stato introduce considerazioni equitative quali fattori derogatori alla disciplina ex art. 2033 c.c., nelle quali la buona fede dell’“accipiens” è condizione necessaria per ritenere inoperante il dovere di recupero, secondo una posizione avvallata a più riprese dalla Plenaria (4). Ora, «il diritto dell’amministrazione di recuperare quanto essa abbia pagato indebitamente discende, in realtà, dall’obbligo, che grava in generale su chi la rappresenta, di tutelarne gli interessi e di evitarle ingiusti danni; nell’adempimento concreto di tale obbligo non si può tuttavia prescindere dall’esaminare se il “summum ius” non si traduca in “summa iniuria”, quante volte la condotta amministrativa si sia svolta in tal modo da creare e consolidare nel privato una indiscussa certezza di quel diritto che si voglia poi disconoscere non soltanto per il futuro, ma anche per il passato, mediante l’azione di recupero» (5). Talora l’irripetibilità è legata alla qualificazione del pagamento – pur indebito – quale adempimento di un’obbligazione naturale, irripetibile ai sensi dell’art. 2034 c.c. (6). Si delinea anche subito una pluralità di motivazioni alla base dell’irrecuperabilità, escludendosi la necessità del recupero in relazione alla buona fede dell’“accipiens”, al lungo tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento erogativo e al comportamento dell’amministrazione che abbia ingenerato nel privato il convincimento della spettanza dell’emolumento indebito (7).

La svolta non è incontrastata e in alcune pronunce degli anni Sessanta non si ritiene necessaria l’indicazione di un interesse pubblico specifico, diverso da quello al mero ripristino della legalità, per operare legittimamente l’annullamento d’ufficio nelle questioni di natura prettamente patrimoniale, perché i principi giurisprudenziali consolidati in materia non troverebbero applicazione alla ripetizione di somme indebitamente versate, possibile in qualsiasi tempo salvo il limite della prescrizione (8). Talora la giurisprudenza è assai meno prodiga di informazioni, limitandosi ad affermare che «è legittima la ripetizione di somme non dovute, corrisposte sulla base di un errore dell’Amministrazione, ovvero del fatto del dipendente» (9). Nondimeno, si consolida l’indirizzo prevalente, secondo cui l’annullamento d’ufficio di atti di illegittima erogazione di emolumenti pubblici è subordinato all’esistenza di un interesse pubblico specifico alla rimozione retroattiva dell’atto illegittimo e all’eliminazione degli effetti da esso prodotti, in relazione alla buona fede del terzo.

Infine, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, si afferma gradualmente l’indirizzo secondo cui l’interesse pubblico all’annullamento di un provvedimento di illegittimo esborso di denaro pubblico è “in re ipsa”, orientamento che è ormai dominante.

Fino a tale periodo è quindi costante l’affermazione della legittimità o illegittimità della ripetizione, rispettivamente, in assenza (10) o in presenza (11) di buona fede del dipendente percipiente. Parimenti, si riconosce l’illegittimità del recupero disposto ove l’amministrazione abbia omesso di accertare l’assenza del requisito della buona fede nel dipendente (12). In molti casi è la sola percezione in buona fede “tout court” che rende illegittima la ripetizione (13). Numerose sono, infatti, negli anni Settanta e primi anni Ottanta, le pronunce nelle quali il Consiglio di Stato ripete l’affermazione lapidaria secondo cui «è illegittimo il recupero di somme indebitamente corrisposte ad un pubblico dipendente ove le stesse risultino percepite in buona fede» (14). Talora è solo la non facile interpretabilità della norma sulla base della quale è stato emanato il provvedimento di recupero che consente di far presumere la buona fede dell’“accipiens”, «con conseguente irripetibilità degli importi percepiti» (15). In altri casi invece il fattore legittimante è plurimo, poiché la giurisprudenza valuta positivamente – accanto alla percezione in buona fede – il consumo in buona fede (16); il consumo per esigenze normali o essenziali di vita (17); l’eventualità che la ripetizione determini sacrifici troppo gravi per il dipendente (18), laddove la modestia della somma può invece consentire la ripetizione (19); l’effettuazione di un’ampia istruttoria, ove l’amministrazione abbia erogato l’emolumento dopo lungo dibattito e dopo l’acquisizione di pareri di diversi organi (20); la circostanza che le somme siano state percepite in base ad atti amministrativi formalmente regolari (21), tutti parametri che – pur rinforzando la buona fede soggettiva – rendono evidente «come la giurisprudenza ricerchi elementi suscettibili di giustificare come “oggettivamente” corretto quel comportamento» (22).

Spesso si richiede anche che l’amministrazione con il suo comportamento abbia ingenerato nel dipendente la ragionevole convinzione di avere diritto alla percezione dell’emolumento non dovuto (23). Si ritiene cioè «indispensabile un comportamento affidante dell’amministrazione idoneo a trarre in errore gli interessati» (24), determinandone la certezza (25) o anche solo la ragionevole convinzione di avere diritto a determinati emolumenti (26), comportamento da considerarsi «uno degli elementi maggiormente rilevanti ai fini dell’apprezzamento della sussistenza della buona fede dei percipienti di somme contestate, buona fede che rende illegittima la ripetizione delle somme stesse» (27).

Il che non esclude che la fonte dell’affidamento possa essere il semplice trascorrere del tempo, per cui il comportamento affidante consiste nella semplice inerzia dell’amministrazione (28).

La buona fede è ovviamente esclusa ove la convinzione del dipendente percipiente non sia ragionevole (29). La sussistenza della buona fede che consente di escludere la ripetibilità è legata all’assenza di una ragionevole conoscenza dell’errore nella determinazione degli elementi dovuti e all’affidamento nell’esattezza delle somme liquidate per il fatto che analogo ammontare gli sia stato corrisposto in base a criteri uniformemente osservati in riferimento ad una situazione giuridica protrattasi nel tempo (30). Per la configurabilità della buona fede non basta quindi l’ignoranza dell’errore del “solvens”, perché il dipendente deve essere «immune da qualsiasi colpa, anche in omissione, nell’erogazione» (31). Inoltre, essa si presume, a meno che l’erogazione non sia frutto di false dichiarazioni dell’interessato o avvenga in circostanze tali da dimostrare la consapevolezza dell’errore da parte del percipiente (32), atteso che la semplice conoscenza dell’illegittimità dell’atto vale ad escluderla (33).

Si tratta in ogni caso di una nozione di buona fede diversa dagli ordinari criteri civilistici, a partire dalla buona fede rilevante per il calcolo degli interessi. Infatti, «la prima è istituto di formazione giurisprudenziale originato dall’esigenza di tutelare particolarmente il lavoro subordinato e precisato nei suoi contorni da una «tradizione» pretoria decennale, la seconda è istituto a fondamento legale civilistico regolante – in via generale – la decorrenza degli interessi in materia d’indebito oggettivo» (34).

La giurisprudenza sottolinea chiaramente che l’atto di ripetizione, proprio perché contiene o presuppone un provvedimento di annullamento d’ufficio, ha carattere discrezionale (35) e richiede pertanto l’indicazione di specifiche ragioni di pubblico interesse alla base del recupero (36). In tal senso, «rientra nella giurisprudenza generale di legittimità del giudice amministrativo la controversia concernente il provvedimento che dispone la ripetizione di pagamenti di indebiti, in cui è implicitamente o esplicitamente contenuto il provvedimento di annullamento degli atti amministrativi illegittimi in base ai quali il pagamento indebito è stato fatto, rivestendo anch’esso natura di atto discrezionale» (37).

L’illegittimità della ripetizione può quindi derivare dalle usuali cause in grado di invalidare l’annullamento d’ufficio e che vanno a sommarsi alla percezione in buona fede, quali l’assenza o l’insufficienza del giudizio di ponderazione (38). L’esigenza della ripetizione deve infatti essere comparata con la consistenza (39) o la destinazione (40) delle somme da recuperare, con l’incidenza del recupero sulle esigenze essenziali di vita del dipendente (41) e, più in generale, con l’entità del pregiudizio economico del dipendente (42). È la “ratio” stessa del principio della irripetibilità delle somme percepite in buona fede dal pubblico dipendente che trova la sua giustificazione nell’esigenza di evitare all’impiegato il disagio di doversi privare di una parte della retribuzione in godimento, per far fronte al recupero (43). È quindi applicabile – oltre che in mancanza della valutazione comparativa fra l’interesse pubblico al recupero e il pregiudizio sofferto dal dipendente (44) – in assenza della valutazione degli effetti che il recupero avrebbe sull’“accipiens” (45), qualora questo sia troppo gravoso (46).

Parimenti, la legittimità o illegittimità della ripetizione è legata al fattore temporale, a seconda che il recupero sia stato disposto dopo breve tempo e il dipendente poteva dubitare ragionevolmente della legittimità dell’erogazione (47) o, viceversa, dopo un periodo di tempo immotivatamente lungo in presenza della buona fede del dipendente percipiente (48). Peraltro, il principio della prescrizione decennale, se da un lato rappresenta un limite innegabile all’annullamento d’ufficio, dall’altro rafforza il potere di recupero prima del suo compimento. Infatti, «proprio perché nessun recupero può essere disposto dopo il decorso dei termini di prescrizione, il potere di annullamento può essere esercitato anche dopo anni, quando dal mancato annullamento del provvedimento illegittimo possa protrarsi nel tempo la corresponsione indebita di somme a danno dello Stato» (49).

Anche il contenuto dell’atto assume rilevanza quale indice presuntivo dell’affidamento – qualunque ancora inespresso – perché la provvisorietà (50) o l’aleatorietà (51) dell’emolumento esclude la buona fede del dipendente percipiente legittimando a tal fine la ripetizione, a meno che il dipendente non abbia avuto conoscenza alcuna della provvisorietà (52).

Quando alla metà degli anni Ottanta la giurisprudenza amministrativa riconosce diffusamente il principio del legittimo affidamento, diviene perciò «illegittimo, per violazione del principio di tutela dell’affidamento dell’impiegato percipiente, correlato al principio di autoresponsabilità dell’amministrazione, il recupero di somme riscosse dal dipendente, sulla base di atti autonomamente assunti dalla pubblica amministrazione, senza che egli, con comportamenti dolosi o anche soltanto ambigui, abbia concorso a determinarli» (53). Si riconosce cioè, l’inapplicabilità al rapporto di pubblico impiego del «principio di ripetibilità dell’indebito oggettivo (art. 2003 c.c.), cui nel settore pubblico è consentito derogare – secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa – in omaggio ad un’essenziale esigenza di tutela dell’affidamento del pubblico dipendente e in virtù del riconosciuto carattere alimentare delle voci retributivi indebitamente percepite» (54).

La giurisprudenza in esame sostiene poi, generalmente, che per poter intraprendere la ripetizione è necessario il preventivo annullamento dell’atto da cui deriva l’indebita erogazione (55).

Peraltro, da una disamina più attenta emergono due distinti orientamenti sul punto.

Secondo il primo, la discrezionalità sarebbe propria del provvedimento di recupero nel quale dovrebbe emergere la valutazione effettuata dall’amministrazione sulla sua opportunità, a prescindere dalle motivazioni che abbiano portato all’annullamento dell’atto che ha predisposto il pagamento delle somme non dovute (56).

Per il secondo orientamento, invece, sembrerebbe che la discrezionalità attenga esclusivamente al provvedimento di annullamento nel quale andrebbero comparati l’interesse dell’amministrazione ad esigere il credito e gli interessi del pubblico dipendente coinvolti nel recupero. Qualora, tuttavia, il provvedimento di annullamento sia implicito in quello in cui si dispone il recupero, la valutazione di tali interessi deve emergere in quest’ultimo, pur essendo relativa al primo (57).

In realtà, la giurisprudenza amministrativa sembra più che altro mossa dalla necessità di stabilire se il provvedimento di recupero debba avere il supporto di una specifica motivazione che tenga conto in particolare del sacrificio subito dal pubblico dipendente alla restituzione (58) o – anche nel quadro dell’opposto orientamento vincolista – se sia sufficiente per esso una motivazione per rinvio al provvedimento di annullamento (59).

 

NOTE

(1) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 28 dicembre 1958, n. 20, in “Cons. Stato”, 1958, pt. I, pp. 1033 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 24 giugno 1960, n. 686, in “Foro amm.”, 1960, pt. I, pp. 777 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 19 maggio 1965, n. 422, in “Foro amm.”, 1965, pt. I, p. 634; Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 1967, n. 229, in “Foro amm.”, 1967, pt. I, sez. 2a, p. 804; Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 1968, n. 74, in “Foro amm.”, 1968, pt. I, sez. 2a, p. 118; Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1968, n. 302, in “Foro amm.”, 1968, pt. I, sez. 2a, p. 603.

(2) Per quanto tale ostracismo possa essere dovuto al fatto che la questione dell’applicabilità o meno della “repetitio indebiti” al pubblico impiego sia di origine giurisprudenziale (cfr. I. FRANCO, “La repetitio indebiti nel rapporto di pubblico impiego”, in “Foro amm.”, 1989, pt. I, pp. 2603 ss., p. 2617). In senso critico cfr. partic. E. CANNADA–BARTOLI, “Ripetizione d’indebito e obbligazione naturale dello Stato”, in “Foro amm.”, 1960, pt. I, pp. 777 ss.; ID., “Nuove prospettive in tema di annullamento d’ufficio e di ripetizione d’indebito da parte della pubblica amministrazione”, in “Foro amm.”, 1962, pt. I, pp. 664 s.; G. GIGLI, “La repetitio indebiti nella pubblica amministrazione”, in “Riv. giur. scuola”, 1977, pp. 295 ss.; A. MAZZAGLIA, “La repetio indebiti nel diritto civile e nel diritto amministrativo”, in “Nuova rass.”, 1967, pp. 2656 ss., p. 2664; C.A. MOLINARI, “Note in tema di ripetizione da parte della pubblica amministrazione di indebiti pagamenti effettuati a favore dei propri dipendenti”, in “Foro amm.”, 1971, pt. III, pp. 415 ss.; P. RESCIGNO, “Le obbligazioni naturali della pubblica amministrazione”, in “Dir. econ.”, 1964, pp. 11 ss.; M.J. VACCARO, “Sul diritto della pubblica amministrazione a ripetere somme indebitamente erogate ai propri dipendenti”, in “Riv. it. dir. lav.”, pt. I, 1987, pp. 591 ss., pp. 596 ss. Più di recente, in senso critico, cfr. F. ARTESE, “Pubblico impiego, pagamento e ripetizione di indebito”, in “Foro amm.”, 1993, pp. 899 ss., pp. 901 ss. A favore dell’orientamento tradizionale cfr. V. SANTARSIERE, “Irripetibilità dei maggiori emolumenti corrisposti per errore dalla p.a. al dipendente”, in “Nuovo dir.”, 1997, pt. II, pp. 19 ss.

(3) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 1930, Laurino c. Ministero delle comunicazioni, in “Foro it.”, 1931, pt. III, coll. 6 ss.

(4) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 28 dicembre 1958, n. 20, cit.; Cons. Stato, Ad. plen., 13 gennaio 1965, n. 1, in “Foro amm.”, 1965, pt. II, pp. 1 ss.; Cons. Stato, Ad. plen, 30 marzo 1976, n. 1, in “Cons. Stato”, 1976, pt. I, pp. 273 ss.; Cons. Stato, Ad. plen., 12 dicembre 1992, n. 20, in “Cons. Stato”, 1992, pt. I, pp. 1765 ss.; Cons. Stato, Ad. plen., 30 settembre 1993, n. 11, in “Cons. Stato”, 1993, pt. I, pp. 1061 s.

(5) Cons. Stato, Ad. plen., 18 ottobre 1958, n. 20, cit.

(6) Cons. Stato, sez. IV, 24 giugno 1960, n. 686, in “Foro amm.”, 1960, pt. I, pp. 777 ss.

(7) Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1966, n. 279, in “Cons. Stato”, 1966, pt. I, p. 719.

(8) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 7 marzo 1962, n. 2, in “Foro amm.”, 1962, pt. I, pp. 661 ss.; Cons. giust. amm. reg. sic., 19 ottobre 1967, n. 437, in “Cons. Stato”, 1967, pt. I, pp. 2059 ss.; Cons. Stato, sez. VI, 16 dicembre 1969, n. 820, in “Cons. Stato”, 1971, pt. I, pp. 2558 ss., commentate ovviamente in senso positivo da E. CANNADA–BARTOLI, “Nuove prospettive”, cit.

(9) Cons. Stato, sez., IV, 1 marzo 1967, n. 52, in “Foro amm.”, 1967, p. 291.

(10) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 novembre 1977, n. 930, in C.E.D. Cass., n. 772799; Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 1978, n. 512, in C.E.D. Cass., n. 781163; Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 1979, n. 374, in C.E.D. Cass., n. 791007; Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 1982, n. 293, in C.E.D. Cass., n. 820776; Cons. Stato, sez. III, 22 marzo 1983, n. 1146 (par.), in C.E.D. Cass., n. 860717; Cons. Stato, sez. III, 20 maggio 1986, n. 746 (par.), in C.E.D. Cass., n. 910355; Cons. Stato, sez. IV, 22 settembre 1987, n. 545, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, pp. 1222 ss.; Cons. Stato, sez. III, 10 maggio 1988, n. 1680 (par.), in C.E.D. Cass., n. 881593; T.A.R. Piemonte, sez. I, 16 marzo 1990, n. 159, in “Trib. amm. reg.”, 1990, pt. I, pp. 1890 ss.

(11) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 1972, n. 34, in C.E.D. Cass., n. 720307; Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 1974, n. 193, in C.E.D. Cass., n. 740327; Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 1975, n. 920, in C.E.D. Cass., n. 751250; Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 1976, n. 860, in C.E.D. Cass., n. 761226; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 1977, n. 113, in C.E.D. Cass., n. 770039; Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 1978, n. 645, in C.E.D. Cass., n. 781636; Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 1979, n. 1089, in C.E.D. Cass., n. 792450; Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 1980, n. 657, in C.E.D. Cass., n. 801015; Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 1982, n. 310, in C.E.D. Cass., n. 821041; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1983, n. 722, in C.E.D. Cass., n. 831582; Cons. Stato, sez. VI, 25 agosto 1984, n. 497, in C.E.D. Cass., n. 841535; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1985, n. 55, in C.E.D. Cass., n. 850286; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 1986, n. 440, in C.E.D. Cass., n. 861053; Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1987, n. 178, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, p. 407; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, in C.E.D. Cass., n. 890097; Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 1991, n. 354, in “Cons. Stato”, 1991, pt. I, p. 1034.

(12) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 1977, n. 480, in C.E.D. Cass., n. 771273 e Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 1982, n. 346, in C.E.D. Cass., n. 820944.

(13) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 1974, n. 193, cit.; Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 1975, n. 920, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 1977, n. 113, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 1978, n. 645, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 1982, n. 310, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 25 agosto 1984, n. 497, cit.

(14) Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 1975, n. 920, cit. Conf. Cons. Stato, sez. IV, 19 aprile 1977, n. 389, in C.E.D. Cass., n. 770883; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1977, n. 559, in C.E.D. Cass., n. 771606; Cons. Stato, sez. IV, 13 dicembre 1977, n. 1186, in C.E.D. Cass., n. 773319; Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 1978, n. 645, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 1979, n. 1089, cit.

(15) T.A.R. Basilicata, 27 febbraio 1988, n. 15, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 1336.

(16) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 1971, n. 1079, in “Cons. Stato”, 1971, pt. I, pp. 2128 s.; Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 1972, n. 34, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 1975, n. 1043, in C.E.D. Cass., n. 751850; Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 1976, n. 860, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 1978, n. 402, in C.E.D. Cass., n. 781281; Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 1979, n. 1089, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 1980, n. 138, in C.E.D. Cass., n. 800305; Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 1985, n. 430, in C.E.D. Cass., n. 851065; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 1986, n. 440, cit.

(17) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 1971, n. 1079, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 1972, n. 34, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 1977, n. 89, in C.E.D. Cass., n. 770030; Cons. Stato, sez. IV, 5 aprile 1977, n. 328, in C.E.D. Cass., n. 770818; Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 1977, n. 1028, in C.E.D. Cass., n. 772889; Cons. Stato, sez. IV, 4 aprile 1978, n. 256, in C.E.D. Cass., n. 780939; Cons. Stato, sez. IV, 11 maggio 1979, n. 317, in C.E.D. Cass., n. 790927; Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 159, in C.E.D. Cass., n. 820296; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1983, n. 722, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1985, n. 55, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 1985, n. 604, in C.E.D. Cass., n. 851865; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 1986, n. 440, cit.; Cons. Stato, sez. V, 1 ottobre 1986, n. 465, in “Cons. Stato”, 1986, pt. I, p. 1497; Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 1988, n. 2, in C.E.D. Cass., n. 880022; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, cit.; Cons. giust. amm. reg. sic., 25 maggio 1989, n. 212, in C.E.D. Cass., n. 900851.

(18) Cfr. Cons. Stato, sez. I, 3 maggio 1974, n. 2756 (par.), in C.E.D. Cass., n. 751583; Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 159, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 28 agosto 1984, n. 669, in C.E.D. Cass., n. 841523; Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 1985, n. 300 (par.), in C.E.D. Cass., n. 870859; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 18 luglio 1985, n. 1899, in “Foro it.”, 1986, pt. III, coll. 146 ss.; Cons. giust. amm. reg. sic., 2 giugno 1992, n. 151, in C.E.D. Cass., n. 940177.

(19) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 settembre 1975, n. 394, in C.E.D. Cass., n. 751554 e T.A.R. Toscana, sez. II, 20 novembre 1989, n. 1011, in C.E.D. Cass., n. 9100845.

(20) Cons. Stato, sez. II, 11 luglio 1990, n. 718 (par.), in “Cons. Stato”, 1991, pt. I, p. 1614.

(21) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 1977, n. 113, cit. e Cons. Stato, sez. IV, 29 marzo 1977, n. 290, in C.E.D. Cass., n. 770502.

(22) E. CASETTA, “Buona fede e diritto amministrativo”, in “Dir. ed econ.”, 2001, pp. 317 ss., p. 320.

(23) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 28 dicembre 1958, n. 20, cit.; Cons. Stato, Ad. plen., 8 novembre 1963, n. 17, in “Cons. Stato”, 1963, pt. I, p. 1521; Cons. Stato, Ad. plen., 13 gennaio 1965, n. 1, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1966, n. 279, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 1971, n. 1079, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 1 febbraio 1972, n. 39, in C.E.D. Cass., n. 720136; T.A.R. Marche, 14 marzo 1977, n. 63, in “Trib. amm. reg.”, 1973, pt. I, p. 1789; Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 1980, n. 657, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1985, n. 55, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 1985, n. 77, in C.E.D. Cass., n. 850391; T.A.R. Sicilia, Catania, 4 marzo 1986, n. 109, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 1984; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 1 agosto 1986, n. 2622, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 2720; Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1987, n. 178, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 1988, n. 164, in “Cons. Stato”, 1988, pt. I, p. 188 e in C.E.D. Cass., n. 880087; T.A.R. Puglia, Bari, 8 luglio 1988, n. 250, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 3488; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 1991, n. 354, cit.

(24) Cons. Stato, sez. VI, 12 febbraio 1980, n. 160, in C.E.D. Cass., n. 800203.

(25) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 8 novembre 1963, n. 17, cit.; Cons. Stato, Ad. plen., 13 gennaio 1965, n. 1, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 4 aprile 1978, n. 256, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1987, n. 178, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 1988, n. 164, cit.

(26) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 1972, n. 34, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 1 febbraio 1972, n. 39, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 1977, n. 746, in “Cons. Stato”, 1977, pt. I, pp. 1241 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 11 maggio 1979, n. 317, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 1980, n. 657, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 1981, n. 506, in C.E.D. Cass., n. 810784; Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 1981, n. 472, in C.E.D. Cass., n. 810750; Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 1983, n. 391 (par.), in C.E.D. Cass., n. 860718; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1985, n. 55, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 1985, n. 77, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, cit.

(27) Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 1977, n. 746, cit.

(28) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 giugno 1981, n. 506, cit. e Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 1989, n. 486, in C.E.D. Cass., n. 890451.

(29) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 1986, n. 368, in C.E.D. Cass., n. 860878.

(30) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 febbraio 1980, n. 217, in C.E.D. Cass., n. 800251; Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 1983, n. 125, in “Cons. Stato”, 1983, pt. I, p. 232; Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 1984, n. 744, in C.E.D. Cass., n. 842349.

(31) Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 1981, n. 506, cit. e Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 1981, n. 472, cit.

(32) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 1987, n. 1055, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, pp. 1808 ss.; Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 1988, n. 1139, in “Cons. Stato”, 1988, pt. I, p. 1256; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 29 marzo 1990, n. 581, in “Trib. amm. reg.”, 1990, pt. I, pp. 1389 ss.

(33) Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 10 novembre 1976, n. 649, in “Trib. amm. reg.”, 1976, pt. I, pp. 3736 s.

(34) T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 28 settembre 1994, n. 1702, in “Foro amm.”, 1995, pp. 450 s.

(35) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 1977, n. 208, in C.E.D. Cass., n. 770434 e Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 159, cit.

(36) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 maggio 1980, n. 598, in C.E.D. Cass., n. 800989.

(37) Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 1978, n. 762, in “Rep. Foro it.”, 1978, voce “Atto amministrativo”, n. 161.

(38) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 1971, n. 837, in “Cons. Stato”, 1971, pt. I, pp. 1583 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 1977, n. 580, in C.E.D. Cass., n. 770019; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, cit.

(39) Cfr. T.A.R. Sardegna, 23 giugno 1989, n. 506, in C.E.D. Cass., n. 9100139.

(40) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 1978, n. 703, in C.E.D. Cass., n. 781668; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1984, n. 437, in C.E.D. Cass., n. 841284; T.A.R. Veneto, sez., I, 26 febbraio 2003, n. 1569, in www.giustizia-amministrativa.it.

(41) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1984, n. 437, cit.; Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 1990, n. 412, in “Cons. Stato”, 1990, pt. I, p. 755; T.A.R. Veneto, sez. I, 26 febbraio 2003, n. 1569, cit.

(42) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1978, n. 1181, in C.E.D. Cass., n. 782879; Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 159, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1984, n. 437, cit.; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 3 novembre 1986, n. 2252, in C.E.D. Cass., n. 8800029; T.A.R. Sardegna, 23 giugno 1989, n. 506, cit.

(43) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 settembre 1975, n. 394, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 19 dicembre 1980, n. 1322, in C.E.D. Cass., n. 802422; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 18 gennaio 1985, n. 84, in C.E.D. Cass., n. 8502557.

(44) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 aprile 1977, n. 328, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 1978, n. 703, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1978, n. 1181, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 1984, n. 437, in C.E.D. Cass., n. 841284.

(45) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 1977, n. 208, cit.

(46) Cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 1985, n. 300 (par.), cit.; Cons. Stato, sez. IV, 28 agosto 1984, n. 669, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 1985, n. 77, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 1985, n. 538, in C.E.D. Cass., n. 851774.

(47) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 novembre 1985, n. 538, in “Foro it.”, 1986, pt. III, coll. 145 ss.

(48) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 1975, n. 1043, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 5 aprile 1977, n. 320, in C.E.D. Cass., n. 770806; Cons. Stato, sez. IV, 19 aprile 1977, n. 414, in C.E.D. Cass., n. 770932; Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 1977, n. 480, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 1978, n. 1193, in C.E.D. Cass., n. 783002; Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 1980, n. 661, in C.E.D. Cass., n. 801079; Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 1981, n. 472, cit.; Cons. Stato, sez. consult., 3 maggio 1993, n. 279, in C.E.D. Cass., n. 931979; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1984, n. 437, cit.; Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 1985, n. 300 (par.), cit.; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 1986, n. 440, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 1989, n. 486, cit.; T.A.R. Sardegna, 23 giugno 1989, n. 506, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 29 marzo 1996, n. 520, in “Cons. Stato”, 1996, pt. I, p. 511 e in C.E.D.Cass., n. 962144;

(49) Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 1960, n. 253, in “Cons. Stato”, 1960, pt. I, pp. 656 ss. Conf. Cons. Stato, sez. VI, 25 ottobre 1961, n. 797, in “Foro amm.”, 1961, pt. I, pp. 349 ss.

(50) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 158, in C.E.D. Cass., n. 820292; Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 1985, n. 69, in “Foro it.”, 1985, pt. III, coll. 252 ss. e in C.E.D. Cass., n. 850299; T.A.R. Liguria, 3 febbraio 1986, n. 43, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 1394; Cons. Stato, Ad. plen., 4 marzo 1986, n. 2, in “Cons. Stato”, 1986, pt. I, pp. 253 ss.; Cons. Stato, sez. III, 20 maggio 1986, n. 746 (par.), cit.; Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 1986, n. 732, in C.E.D. Cass., n. 861650; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 21 ottobre 1986, n. 256, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 4065; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 5 novembre 1986, n. 1728, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 3886; T.A.R. Friuli–Venezia Giulia, 14 aprile 1987, n. 107, in “Trib. amm. reg.”, 1987, pt. I, p. 1910; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 30 aprile 1987, n. 251, in C.E.D. Cass., n. 8800402; Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 1987, n. 333, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, p. 869; Cons. giust. amm. reg. sic., 28 novembre 1987, n. 269, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, p. 1685; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 25 febbraio 1988, n. 126, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 1144; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 26 aprile 1988, n. 137, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 2222; Cons. Stato, sez. III, 10 maggio 1988, n. 1680 (par.), cit.; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 16 luglio 1988, n. 157, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, pp. 3152 s.; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 luglio 1988, n. 418, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 3183; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 6 settembre 1988, n. 538, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 3409; T.A.R. Sardegna, 23 giugno 1989, n. 506, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 1990, n. 181, in C.E.D. Cass., n. 901021; Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 1993, n. 378, in “Cons. Stato”, 1993, pt. I, pp. 715 s.; Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 1997, n. 206, in “Cons. Stato”, 1997, pt. I, p. 248; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 12 novembre 1998, n. 2284, in “Enti pubbl.”, 2000, p. 146; Cons. Stato, sez. VI, 12 maggio 2004, n. 2983, in www.giustizia-amministrativa.it.

(51) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 1988, n. 85, in C.E.D. Cass., n. 880218.

(52) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 1988, n. 1211, in “Cons. Stato”, 1988, pt. I, p. 1438 e in C.E.D. Cass., n. 881384; Cons. Stato, Ad. plen., 12 dicembre 1992, n. 22, in C.E.D. Cass., n. 922166; Cons. Stato, Ad. plen., 12 dicembre 1992, n. 23, in C.E.D. Cass., n. 922177.

(53) T.A.R. Basilicata, 30 dicembre 1986, n. 417, in C.E.D. Cass., n. 8801301.

(54) Cons. Stato, sez. VI, 18 novembre 1985, n. 599, in “Foro it.”, 1986, pt. III, coll. 145 ss. e in C.E.D. Cass., n. 851712.

(55) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 1981, n. 119, in “Cons. Stato”, 1981, pt. I, p. 335; Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 1985, n. 356, in “Cons. Stato”, 1985, pt. I, p. 902; T.A.R. Lombardia, Milano, 23 novembre 1985, n. 564, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 191; Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 1986, n. 549, in “Cons. Stato”, 1986, pt. I, p. 1077.

(56) Cfr. T.A.R. Puglia, Bari, 28 dicembre 1985, n. 970, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 759 e T.A.R. Puglia, Lecce, 15 febbraio 1986, n. 32, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 1986.

(57) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1979, n. 325, in “Cons. Stato, 1979, pt. I, p. 703; Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 1979, n. 371, in “Cons. Stato”, 1979, pt. I, p. 727; Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 1986, n. 549, cit.

(58) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1979, n. 325, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 1979, n. 371, cit.; T.A.R. Puglia, Lecce, 25 febbraio 1986, n. 37, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 1926.

(59) Escludono “tout court” la necessità della motivazione del provvedimento di recupero T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 17 aprile 1978, n. 316, in “Foro it.”, 1979, pt. III, col. 260; T.A.R. Piemonte, sez II, 14 giugno 1984, n. 173, in “Trib. amm. reg.”, 1984, pt. I, pp. 5230 ss.; T.A.R. Piemonte, sez. II, 28 luglio 1984, n. 210, in “Trib. amm. reg.”, 1984, pt. I, pp. 3051 ss. Per Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 1986, n. 372, in “Cons. Stato”, 1986, pt. I, p. 1354 il recupero è atto di mera esecuzione interamente vincolato. Sul punto cfr. VACCARO, op. cit., pp. 595 s.

Un’analisi in chiave evolutiva della giurisprudenza amministrativa sulla ripetizione delle somme indebitamente erogate dalla pubblica amministrazione richiede di prendere le mosse dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20 del 1958. Sin dalla fine degli anni Cinquanta, infatti, la buona fede dell’“accipiens” è espressamente richiamata quale causa dell’irrecuperabilità (1), sviluppando per lo più reazioni di critica da parte della dottrina (2). In precedenza, l’irripetibilità delle somme illegittimamente concesse discendeva da altri fattori, quale ad esempio l’esigenza di ritenere come legittima l’attività del funzionario erogante in virtù dell’apparenza di legittimità dell’atto di preposizione all’ufficio, la cui presunzione di validità era legata al principio di esecutorietà degli atti amministrativi (3). A partire invece dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 20 del 1958, il Consiglio di Stato introduce considerazioni equitative quali fattori derogatori alla disciplina ex art. 2033 c.c., nelle quali la buona fede dell’“accipiens” è condizione necessaria per ritenere inoperante il dovere di recupero, secondo una posizione avvallata a più riprese dalla Plenaria (4). Ora, «il diritto dell’amministrazione di recuperare quanto essa abbia pagato indebitamente discende, in realtà, dall’obbligo, che grava in generale su chi la rappresenta, di tutelarne gli interessi e di evitarle ingiusti danni; nell’adempimento concreto di tale obbligo non si può tuttavia prescindere dall’esaminare se il “summum ius” non si traduca in “summa iniuria”, quante volte la condotta amministrativa si sia svolta in tal modo da creare e consolidare nel privato una indiscussa certezza di quel diritto che si voglia poi disconoscere non soltanto per il futuro, ma anche per il passato, mediante l’azione di recupero» (5). Talora l’irripetibilità è legata alla qualificazione del pagamento – pur indebito – quale adempimento di un’obbligazione naturale, irripetibile ai sensi dell’art. 2034 c.c. (6). Si delinea anche subito una pluralità di motivazioni alla base dell’irrecuperabilità, escludendosi la necessità del recupero in relazione alla buona fede dell’“accipiens”, al lungo tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento erogativo e al comportamento dell’amministrazione che abbia ingenerato nel privato il convincimento della spettanza dell’emolumento indebito (7).

La svolta non è incontrastata e in alcune pronunce degli anni Sessanta non si ritiene necessaria l’indicazione di un interesse pubblico specifico, diverso da quello al mero ripristino della legalità, per operare legittimamente l’annullamento d’ufficio nelle questioni di natura prettamente patrimoniale, perché i principi giurisprudenziali consolidati in materia non troverebbero applicazione alla ripetizione di somme indebitamente versate, possibile in qualsiasi tempo salvo il limite della prescrizione (8). Talora la giurisprudenza è assai meno prodiga di informazioni, limitandosi ad affermare che «è legittima la ripetizione di somme non dovute, corrisposte sulla base di un errore dell’Amministrazione, ovvero del fatto del dipendente» (9). Nondimeno, si consolida l’indirizzo prevalente, secondo cui l’annullamento d’ufficio di atti di illegittima erogazione di emolumenti pubblici è subordinato all’esistenza di un interesse pubblico specifico alla rimozione retroattiva dell’atto illegittimo e all’eliminazione degli effetti da esso prodotti, in relazione alla buona fede del terzo.

Infine, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, si afferma gradualmente l’indirizzo secondo cui l’interesse pubblico all’annullamento di un provvedimento di illegittimo esborso di denaro pubblico è “in re ipsa”, orientamento che è ormai dominante.

Fino a tale periodo è quindi costante l’affermazione della legittimità o illegittimità della ripetizione, rispettivamente, in assenza (10) o in presenza (11) di buona fede del dipendente percipiente. Parimenti, si riconosce l’illegittimità del recupero disposto ove l’amministrazione abbia omesso di accertare l’assenza del requisito della buona fede nel dipendente (12). In molti casi è la sola percezione in buona fede “tout court” che rende illegittima la ripetizione (13). Numerose sono, infatti, negli anni Settanta e primi anni Ottanta, le pronunce nelle quali il Consiglio di Stato ripete l’affermazione lapidaria secondo cui «è illegittimo il recupero di somme indebitamente corrisposte ad un pubblico dipendente ove le stesse risultino percepite in buona fede» (14). Talora è solo la non facile interpretabilità della norma sulla base della quale è stato emanato il provvedimento di recupero che consente di far presumere la buona fede dell’“accipiens”, «con conseguente irripetibilità degli importi percepiti» (15). In altri casi invece il fattore legittimante è plurimo, poiché la giurisprudenza valuta positivamente – accanto alla percezione in buona fede – il consumo in buona fede (16); il consumo per esigenze normali o essenziali di vita (17); l’eventualità che la ripetizione determini sacrifici troppo gravi per il dipendente (18), laddove la modestia della somma può invece consentire la ripetizione (19); l’effettuazione di un’ampia istruttoria, ove l’amministrazione abbia erogato l’emolumento dopo lungo dibattito e dopo l’acquisizione di pareri di diversi organi (20); la circostanza che le somme siano state percepite in base ad atti amministrativi formalmente regolari (21), tutti parametri che – pur rinforzando la buona fede soggettiva – rendono evidente «come la giurisprudenza ricerchi elementi suscettibili di giustificare come “oggettivamente” corretto quel comportamento» (22).

Spesso si richiede anche che l’amministrazione con il suo comportamento abbia ingenerato nel dipendente la ragionevole convinzione di avere diritto alla percezione dell’emolumento non dovuto (23). Si ritiene cioè «indispensabile un comportamento affidante dell’amministrazione idoneo a trarre in errore gli interessati» (24), determinandone la certezza (25) o anche solo la ragionevole convinzione di avere diritto a determinati emolumenti (26), comportamento da considerarsi «uno degli elementi maggiormente rilevanti ai fini dell’apprezzamento della sussistenza della buona fede dei percipienti di somme contestate, buona fede che rende illegittima la ripetizione delle somme stesse» (27).

Il che non esclude che la fonte dell’affidamento possa essere il semplice trascorrere del tempo, per cui il comportamento affidante consiste nella semplice inerzia dell’amministrazione (28).

La buona fede è ovviamente esclusa ove la convinzione del dipendente percipiente non sia ragionevole (29). La sussistenza della buona fede che consente di escludere la ripetibilità è legata all’assenza di una ragionevole conoscenza dell’errore nella determinazione degli elementi dovuti e all’affidamento nell’esattezza delle somme liquidate per il fatto che analogo ammontare gli sia stato corrisposto in base a criteri uniformemente osservati in riferimento ad una situazione giuridica protrattasi nel tempo (30). Per la configurabilità della buona fede non basta quindi l’ignoranza dell’errore del “solvens”, perché il dipendente deve essere «immune da qualsiasi colpa, anche in omissione, nell’erogazione» (31). Inoltre, essa si presume, a meno che l’erogazione non sia frutto di false dichiarazioni dell’interessato o avvenga in circostanze tali da dimostrare la consapevolezza dell’errore da parte del percipiente (32), atteso che la semplice conoscenza dell’illegittimità dell’atto vale ad escluderla (33).

Si tratta in ogni caso di una nozione di buona fede diversa dagli ordinari criteri civilistici, a partire dalla buona fede rilevante per il calcolo degli interessi. Infatti, «la prima è istituto di formazione giurisprudenziale originato dall’esigenza di tutelare particolarmente il lavoro subordinato e precisato nei suoi contorni da una «tradizione» pretoria decennale, la seconda è istituto a fondamento legale civilistico regolante – in via generale – la decorrenza degli interessi in materia d’indebito oggettivo» (34).

La giurisprudenza sottolinea chiaramente che l’atto di ripetizione, proprio perché contiene o presuppone un provvedimento di annullamento d’ufficio, ha carattere discrezionale (35) e richiede pertanto l’indicazione di specifiche ragioni di pubblico interesse alla base del recupero (36). In tal senso, «rientra nella giurisprudenza generale di legittimità del giudice amministrativo la controversia concernente il provvedimento che dispone la ripetizione di pagamenti di indebiti, in cui è implicitamente o esplicitamente contenuto il provvedimento di annullamento degli atti amministrativi illegittimi in base ai quali il pagamento indebito è stato fatto, rivestendo anch’esso natura di atto discrezionale» (37).

L’illegittimità della ripetizione può quindi derivare dalle usuali cause in grado di invalidare l’annullamento d’ufficio e che vanno a sommarsi alla percezione in buona fede, quali l’assenza o l’insufficienza del giudizio di ponderazione (38). L’esigenza della ripetizione deve infatti essere comparata con la consistenza (39) o la destinazione (40) delle somme da recuperare, con l’incidenza del recupero sulle esigenze essenziali di vita del dipendente (41) e, più in generale, con l’entità del pregiudizio economico del dipendente (42). È la “ratio” stessa del principio della irripetibilità delle somme percepite in buona fede dal pubblico dipendente che trova la sua giustificazione nell’esigenza di evitare all’impiegato il disagio di doversi privare di una parte della retribuzione in godimento, per far fronte al recupero (43). È quindi applicabile – oltre che in mancanza della valutazione comparativa fra l’interesse pubblico al recupero e il pregiudizio sofferto dal dipendente (44) – in assenza della valutazione degli effetti che il recupero avrebbe sull’“accipiens” (45), qualora questo sia troppo gravoso (46).

Parimenti, la legittimità o illegittimità della ripetizione è legata al fattore temporale, a seconda che il recupero sia stato disposto dopo breve tempo e il dipendente poteva dubitare ragionevolmente della legittimità dell’erogazione (47) o, viceversa, dopo un periodo di tempo immotivatamente lungo in presenza della buona fede del dipendente percipiente (48). Peraltro, il principio della prescrizione decennale, se da un lato rappresenta un limite innegabile all’annullamento d’ufficio, dall’altro rafforza il potere di recupero prima del suo compimento. Infatti, «proprio perché nessun recupero può essere disposto dopo il decorso dei termini di prescrizione, il potere di annullamento può essere esercitato anche dopo anni, quando dal mancato annullamento del provvedimento illegittimo possa protrarsi nel tempo la corresponsione indebita di somme a danno dello Stato» (49).

Anche il contenuto dell’atto assume rilevanza quale indice presuntivo dell’affidamento – qualunque ancora inespresso – perché la provvisorietà (50) o l’aleatorietà (51) dell’emolumento esclude la buona fede del dipendente percipiente legittimando a tal fine la ripetizione, a meno che il dipendente non abbia avuto conoscenza alcuna della provvisorietà (52).

Quando alla metà degli anni Ottanta la giurisprudenza amministrativa riconosce diffusamente il principio del legittimo affidamento, diviene perciò «illegittimo, per violazione del principio di tutela dell’affidamento dell’impiegato percipiente, correlato al principio di autoresponsabilità dell’amministrazione, il recupero di somme riscosse dal dipendente, sulla base di atti autonomamente assunti dalla pubblica amministrazione, senza che egli, con comportamenti dolosi o anche soltanto ambigui, abbia concorso a determinarli» (53). Si riconosce cioè, l’inapplicabilità al rapporto di pubblico impiego del «principio di ripetibilità dell’indebito oggettivo (art. 2003 c.c.), cui nel settore pubblico è consentito derogare – secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa – in omaggio ad un’essenziale esigenza di tutela dell’affidamento del pubblico dipendente e in virtù del riconosciuto carattere alimentare delle voci retributivi indebitamente percepite» (54).

La giurisprudenza in esame sostiene poi, generalmente, che per poter intraprendere la ripetizione è necessario il preventivo annullamento dell’atto da cui deriva l’indebita erogazione (55).

Peraltro, da una disamina più attenta emergono due distinti orientamenti sul punto.

Secondo il primo, la discrezionalità sarebbe propria del provvedimento di recupero nel quale dovrebbe emergere la valutazione effettuata dall’amministrazione sulla sua opportunità, a prescindere dalle motivazioni che abbiano portato all’annullamento dell’atto che ha predisposto il pagamento delle somme non dovute (56).

Per il secondo orientamento, invece, sembrerebbe che la discrezionalità attenga esclusivamente al provvedimento di annullamento nel quale andrebbero comparati l’interesse dell’amministrazione ad esigere il credito e gli interessi del pubblico dipendente coinvolti nel recupero. Qualora, tuttavia, il provvedimento di annullamento sia implicito in quello in cui si dispone il recupero, la valutazione di tali interessi deve emergere in quest’ultimo, pur essendo relativa al primo (57).

In realtà, la giurisprudenza amministrativa sembra più che altro mossa dalla necessità di stabilire se il provvedimento di recupero debba avere il supporto di una specifica motivazione che tenga conto in particolare del sacrificio subito dal pubblico dipendente alla restituzione (58) o – anche nel quadro dell’opposto orientamento vincolista – se sia sufficiente per esso una motivazione per rinvio al provvedimento di annullamento (59).

 

NOTE

(1) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 28 dicembre 1958, n. 20, in “Cons. Stato”, 1958, pt. I, pp. 1033 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 24 giugno 1960, n. 686, in “Foro amm.”, 1960, pt. I, pp. 777 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 19 maggio 1965, n. 422, in “Foro amm.”, 1965, pt. I, p. 634; Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 1967, n. 229, in “Foro amm.”, 1967, pt. I, sez. 2a, p. 804; Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 1968, n. 74, in “Foro amm.”, 1968, pt. I, sez. 2a, p. 118; Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1968, n. 302, in “Foro amm.”, 1968, pt. I, sez. 2a, p. 603.

(2) Per quanto tale ostracismo possa essere dovuto al fatto che la questione dell’applicabilità o meno della “repetitio indebiti” al pubblico impiego sia di origine giurisprudenziale (cfr. I. FRANCO, “La repetitio indebiti nel rapporto di pubblico impiego”, in “Foro amm.”, 1989, pt. I, pp. 2603 ss., p. 2617). In senso critico cfr. partic. E. CANNADA–BARTOLI, “Ripetizione d’indebito e obbligazione naturale dello Stato”, in “Foro amm.”, 1960, pt. I, pp. 777 ss.; ID., “Nuove prospettive in tema di annullamento d’ufficio e di ripetizione d’indebito da parte della pubblica amministrazione”, in “Foro amm.”, 1962, pt. I, pp. 664 s.; G. GIGLI, “La repetitio indebiti nella pubblica amministrazione”, in “Riv. giur. scuola”, 1977, pp. 295 ss.; A. MAZZAGLIA, “La repetio indebiti nel diritto civile e nel diritto amministrativo”, in “Nuova rass.”, 1967, pp. 2656 ss., p. 2664; C.A. MOLINARI, “Note in tema di ripetizione da parte della pubblica amministrazione di indebiti pagamenti effettuati a favore dei propri dipendenti”, in “Foro amm.”, 1971, pt. III, pp. 415 ss.; P. RESCIGNO, “Le obbligazioni naturali della pubblica amministrazione”, in “Dir. econ.”, 1964, pp. 11 ss.; M.J. VACCARO, “Sul diritto della pubblica amministrazione a ripetere somme indebitamente erogate ai propri dipendenti”, in “Riv. it. dir. lav.”, pt. I, 1987, pp. 591 ss., pp. 596 ss. Più di recente, in senso critico, cfr. F. ARTESE, “Pubblico impiego, pagamento e ripetizione di indebito”, in “Foro amm.”, 1993, pp. 899 ss., pp. 901 ss. A favore dell’orientamento tradizionale cfr. V. SANTARSIERE, “Irripetibilità dei maggiori emolumenti corrisposti per errore dalla p.a. al dipendente”, in “Nuovo dir.”, 1997, pt. II, pp. 19 ss.

(3) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 1930, Laurino c. Ministero delle comunicazioni, in “Foro it.”, 1931, pt. III, coll. 6 ss.

(4) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 28 dicembre 1958, n. 20, cit.; Cons. Stato, Ad. plen., 13 gennaio 1965, n. 1, in “Foro amm.”, 1965, pt. II, pp. 1 ss.; Cons. Stato, Ad. plen, 30 marzo 1976, n. 1, in “Cons. Stato”, 1976, pt. I, pp. 273 ss.; Cons. Stato, Ad. plen., 12 dicembre 1992, n. 20, in “Cons. Stato”, 1992, pt. I, pp. 1765 ss.; Cons. Stato, Ad. plen., 30 settembre 1993, n. 11, in “Cons. Stato”, 1993, pt. I, pp. 1061 s.

(5) Cons. Stato, Ad. plen., 18 ottobre 1958, n. 20, cit.

(6) Cons. Stato, sez. IV, 24 giugno 1960, n. 686, in “Foro amm.”, 1960, pt. I, pp. 777 ss.

(7) Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1966, n. 279, in “Cons. Stato”, 1966, pt. I, p. 719.

(8) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 7 marzo 1962, n. 2, in “Foro amm.”, 1962, pt. I, pp. 661 ss.; Cons. giust. amm. reg. sic., 19 ottobre 1967, n. 437, in “Cons. Stato”, 1967, pt. I, pp. 2059 ss.; Cons. Stato, sez. VI, 16 dicembre 1969, n. 820, in “Cons. Stato”, 1971, pt. I, pp. 2558 ss., commentate ovviamente in senso positivo da E. CANNADA–BARTOLI, “Nuove prospettive”, cit.

(9) Cons. Stato, sez., IV, 1 marzo 1967, n. 52, in “Foro amm.”, 1967, p. 291.

(10) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 novembre 1977, n. 930, in C.E.D. Cass., n. 772799; Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 1978, n. 512, in C.E.D. Cass., n. 781163; Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 1979, n. 374, in C.E.D. Cass., n. 791007; Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 1982, n. 293, in C.E.D. Cass., n. 820776; Cons. Stato, sez. III, 22 marzo 1983, n. 1146 (par.), in C.E.D. Cass., n. 860717; Cons. Stato, sez. III, 20 maggio 1986, n. 746 (par.), in C.E.D. Cass., n. 910355; Cons. Stato, sez. IV, 22 settembre 1987, n. 545, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, pp. 1222 ss.; Cons. Stato, sez. III, 10 maggio 1988, n. 1680 (par.), in C.E.D. Cass., n. 881593; T.A.R. Piemonte, sez. I, 16 marzo 1990, n. 159, in “Trib. amm. reg.”, 1990, pt. I, pp. 1890 ss.

(11) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 1972, n. 34, in C.E.D. Cass., n. 720307; Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 1974, n. 193, in C.E.D. Cass., n. 740327; Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 1975, n. 920, in C.E.D. Cass., n. 751250; Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 1976, n. 860, in C.E.D. Cass., n. 761226; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 1977, n. 113, in C.E.D. Cass., n. 770039; Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 1978, n. 645, in C.E.D. Cass., n. 781636; Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 1979, n. 1089, in C.E.D. Cass., n. 792450; Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 1980, n. 657, in C.E.D. Cass., n. 801015; Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 1982, n. 310, in C.E.D. Cass., n. 821041; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1983, n. 722, in C.E.D. Cass., n. 831582; Cons. Stato, sez. VI, 25 agosto 1984, n. 497, in C.E.D. Cass., n. 841535; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1985, n. 55, in C.E.D. Cass., n. 850286; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 1986, n. 440, in C.E.D. Cass., n. 861053; Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1987, n. 178, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, p. 407; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, in C.E.D. Cass., n. 890097; Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 1991, n. 354, in “Cons. Stato”, 1991, pt. I, p. 1034.

(12) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 1977, n. 480, in C.E.D. Cass., n. 771273 e Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 1982, n. 346, in C.E.D. Cass., n. 820944.

(13) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 1974, n. 193, cit.; Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 1975, n. 920, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 1977, n. 113, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 1978, n. 645, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 1982, n. 310, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 25 agosto 1984, n. 497, cit.

(14) Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 1975, n. 920, cit. Conf. Cons. Stato, sez. IV, 19 aprile 1977, n. 389, in C.E.D. Cass., n. 770883; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1977, n. 559, in C.E.D. Cass., n. 771606; Cons. Stato, sez. IV, 13 dicembre 1977, n. 1186, in C.E.D. Cass., n. 773319; Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 1978, n. 645, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 1979, n. 1089, cit.

(15) T.A.R. Basilicata, 27 febbraio 1988, n. 15, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 1336.

(16) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 1971, n. 1079, in “Cons. Stato”, 1971, pt. I, pp. 2128 s.; Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 1972, n. 34, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 1975, n. 1043, in C.E.D. Cass., n. 751850; Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 1976, n. 860, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 1978, n. 402, in C.E.D. Cass., n. 781281; Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 1979, n. 1089, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 1980, n. 138, in C.E.D. Cass., n. 800305; Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 1985, n. 430, in C.E.D. Cass., n. 851065; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 1986, n. 440, cit.

(17) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 1971, n. 1079, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 1972, n. 34, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 1977, n. 89, in C.E.D. Cass., n. 770030; Cons. Stato, sez. IV, 5 aprile 1977, n. 328, in C.E.D. Cass., n. 770818; Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 1977, n. 1028, in C.E.D. Cass., n. 772889; Cons. Stato, sez. IV, 4 aprile 1978, n. 256, in C.E.D. Cass., n. 780939; Cons. Stato, sez. IV, 11 maggio 1979, n. 317, in C.E.D. Cass., n. 790927; Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 159, in C.E.D. Cass., n. 820296; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1983, n. 722, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1985, n. 55, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 1985, n. 604, in C.E.D. Cass., n. 851865; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 1986, n. 440, cit.; Cons. Stato, sez. V, 1 ottobre 1986, n. 465, in “Cons. Stato”, 1986, pt. I, p. 1497; Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 1988, n. 2, in C.E.D. Cass., n. 880022; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, cit.; Cons. giust. amm. reg. sic., 25 maggio 1989, n. 212, in C.E.D. Cass., n. 900851.

(18) Cfr. Cons. Stato, sez. I, 3 maggio 1974, n. 2756 (par.), in C.E.D. Cass., n. 751583; Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 159, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 28 agosto 1984, n. 669, in C.E.D. Cass., n. 841523; Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 1985, n. 300 (par.), in C.E.D. Cass., n. 870859; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 18 luglio 1985, n. 1899, in “Foro it.”, 1986, pt. III, coll. 146 ss.; Cons. giust. amm. reg. sic., 2 giugno 1992, n. 151, in C.E.D. Cass., n. 940177.

(19) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 settembre 1975, n. 394, in C.E.D. Cass., n. 751554 e T.A.R. Toscana, sez. II, 20 novembre 1989, n. 1011, in C.E.D. Cass., n. 9100845.

(20) Cons. Stato, sez. II, 11 luglio 1990, n. 718 (par.), in “Cons. Stato”, 1991, pt. I, p. 1614.

(21) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 1977, n. 113, cit. e Cons. Stato, sez. IV, 29 marzo 1977, n. 290, in C.E.D. Cass., n. 770502.

(22) E. CASETTA, “Buona fede e diritto amministrativo”, in “Dir. ed econ.”, 2001, pp. 317 ss., p. 320.

(23) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 28 dicembre 1958, n. 20, cit.; Cons. Stato, Ad. plen., 8 novembre 1963, n. 17, in “Cons. Stato”, 1963, pt. I, p. 1521; Cons. Stato, Ad. plen., 13 gennaio 1965, n. 1, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1966, n. 279, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 1971, n. 1079, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 1 febbraio 1972, n. 39, in C.E.D. Cass., n. 720136; T.A.R. Marche, 14 marzo 1977, n. 63, in “Trib. amm. reg.”, 1973, pt. I, p. 1789; Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 1980, n. 657, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1985, n. 55, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 1985, n. 77, in C.E.D. Cass., n. 850391; T.A.R. Sicilia, Catania, 4 marzo 1986, n. 109, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 1984; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 1 agosto 1986, n. 2622, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 2720; Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1987, n. 178, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 1988, n. 164, in “Cons. Stato”, 1988, pt. I, p. 188 e in C.E.D. Cass., n. 880087; T.A.R. Puglia, Bari, 8 luglio 1988, n. 250, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 3488; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 1991, n. 354, cit.

(24) Cons. Stato, sez. VI, 12 febbraio 1980, n. 160, in C.E.D. Cass., n. 800203.

(25) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 8 novembre 1963, n. 17, cit.; Cons. Stato, Ad. plen., 13 gennaio 1965, n. 1, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 4 aprile 1978, n. 256, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1987, n. 178, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 1988, n. 164, cit.

(26) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 1972, n. 34, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 1 febbraio 1972, n. 39, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 1977, n. 746, in “Cons. Stato”, 1977, pt. I, pp. 1241 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 11 maggio 1979, n. 317, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 1980, n. 657, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 1981, n. 506, in C.E.D. Cass., n. 810784; Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 1981, n. 472, in C.E.D. Cass., n. 810750; Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 1983, n. 391 (par.), in C.E.D. Cass., n. 860718; Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1985, n. 55, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 1985, n. 77, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, cit.

(27) Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 1977, n. 746, cit.

(28) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 giugno 1981, n. 506, cit. e Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 1989, n. 486, in C.E.D. Cass., n. 890451.

(29) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 1986, n. 368, in C.E.D. Cass., n. 860878.

(30) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 febbraio 1980, n. 217, in C.E.D. Cass., n. 800251; Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 1983, n. 125, in “Cons. Stato”, 1983, pt. I, p. 232; Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 1984, n. 744, in C.E.D. Cass., n. 842349.

(31) Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 1981, n. 506, cit. e Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 1981, n. 472, cit.

(32) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 1987, n. 1055, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, pp. 1808 ss.; Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 1988, n. 1139, in “Cons. Stato”, 1988, pt. I, p. 1256; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 29 marzo 1990, n. 581, in “Trib. amm. reg.”, 1990, pt. I, pp. 1389 ss.

(33) Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 10 novembre 1976, n. 649, in “Trib. amm. reg.”, 1976, pt. I, pp. 3736 s.

(34) T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 28 settembre 1994, n. 1702, in “Foro amm.”, 1995, pp. 450 s.

(35) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 1977, n. 208, in C.E.D. Cass., n. 770434 e Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 159, cit.

(36) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 maggio 1980, n. 598, in C.E.D. Cass., n. 800989.

(37) Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 1978, n. 762, in “Rep. Foro it.”, 1978, voce “Atto amministrativo”, n. 161.

(38) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 1971, n. 837, in “Cons. Stato”, 1971, pt. I, pp. 1583 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 1977, n. 580, in C.E.D. Cass., n. 770019; Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n. 82, cit.

(39) Cfr. T.A.R. Sardegna, 23 giugno 1989, n. 506, in C.E.D. Cass., n. 9100139.

(40) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 1978, n. 703, in C.E.D. Cass., n. 781668; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1984, n. 437, in C.E.D. Cass., n. 841284; T.A.R. Veneto, sez., I, 26 febbraio 2003, n. 1569, in www.giustizia-amministrativa.it.

(41) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1984, n. 437, cit.; Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 1990, n. 412, in “Cons. Stato”, 1990, pt. I, p. 755; T.A.R. Veneto, sez. I, 26 febbraio 2003, n. 1569, cit.

(42) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1978, n. 1181, in C.E.D. Cass., n. 782879; Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 159, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1984, n. 437, cit.; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 3 novembre 1986, n. 2252, in C.E.D. Cass., n. 8800029; T.A.R. Sardegna, 23 giugno 1989, n. 506, cit.

(43) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 settembre 1975, n. 394, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 19 dicembre 1980, n. 1322, in C.E.D. Cass., n. 802422; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 18 gennaio 1985, n. 84, in C.E.D. Cass., n. 8502557.

(44) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 aprile 1977, n. 328, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 1978, n. 703, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1978, n. 1181, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 1984, n. 437, in C.E.D. Cass., n. 841284.

(45) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 1977, n. 208, cit.

(46) Cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 1985, n. 300 (par.), cit.; Cons. Stato, sez. IV, 28 agosto 1984, n. 669, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 1985, n. 77, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 1985, n. 538, in C.E.D. Cass., n. 851774.

(47) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 novembre 1985, n. 538, in “Foro it.”, 1986, pt. III, coll. 145 ss.

(48) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 1975, n. 1043, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 5 aprile 1977, n. 320, in C.E.D. Cass., n. 770806; Cons. Stato, sez. IV, 19 aprile 1977, n. 414, in C.E.D. Cass., n. 770932; Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 1977, n. 480, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 1978, n. 1193, in C.E.D. Cass., n. 783002; Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 1980, n. 661, in C.E.D. Cass., n. 801079; Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 1981, n. 472, cit.; Cons. Stato, sez. consult., 3 maggio 1993, n. 279, in C.E.D. Cass., n. 931979; Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1984, n. 437, cit.; Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 1985, n. 300 (par.), cit.; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 1986, n. 440, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 1989, n. 486, cit.; T.A.R. Sardegna, 23 giugno 1989, n. 506, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 29 marzo 1996, n. 520, in “Cons. Stato”, 1996, pt. I, p. 511 e in C.E.D.Cass., n. 962144;

(49) Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 1960, n. 253, in “Cons. Stato”, 1960, pt. I, pp. 656 ss. Conf. Cons. Stato, sez. VI, 25 ottobre 1961, n. 797, in “Foro amm.”, 1961, pt. I, pp. 349 ss.

(50) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1982, n. 158, in C.E.D. Cass., n. 820292; Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 1985, n. 69, in “Foro it.”, 1985, pt. III, coll. 252 ss. e in C.E.D. Cass., n. 850299; T.A.R. Liguria, 3 febbraio 1986, n. 43, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 1394; Cons. Stato, Ad. plen., 4 marzo 1986, n. 2, in “Cons. Stato”, 1986, pt. I, pp. 253 ss.; Cons. Stato, sez. III, 20 maggio 1986, n. 746 (par.), cit.; Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 1986, n. 732, in C.E.D. Cass., n. 861650; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 21 ottobre 1986, n. 256, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 4065; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 5 novembre 1986, n. 1728, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 3886; T.A.R. Friuli–Venezia Giulia, 14 aprile 1987, n. 107, in “Trib. amm. reg.”, 1987, pt. I, p. 1910; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 30 aprile 1987, n. 251, in C.E.D. Cass., n. 8800402; Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 1987, n. 333, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, p. 869; Cons. giust. amm. reg. sic., 28 novembre 1987, n. 269, in “Cons. Stato”, 1987, pt. I, p. 1685; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 25 febbraio 1988, n. 126, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 1144; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 26 aprile 1988, n. 137, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 2222; Cons. Stato, sez. III, 10 maggio 1988, n. 1680 (par.), cit.; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 16 luglio 1988, n. 157, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, pp. 3152 s.; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 luglio 1988, n. 418, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 3183; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 6 settembre 1988, n. 538, in “Trib. amm. reg.”, 1988, pt. I, p. 3409; T.A.R. Sardegna, 23 giugno 1989, n. 506, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 1990, n. 181, in C.E.D. Cass., n. 901021; Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 1993, n. 378, in “Cons. Stato”, 1993, pt. I, pp. 715 s.; Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 1997, n. 206, in “Cons. Stato”, 1997, pt. I, p. 248; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 12 novembre 1998, n. 2284, in “Enti pubbl.”, 2000, p. 146; Cons. Stato, sez. VI, 12 maggio 2004, n. 2983, in www.giustizia-amministrativa.it.

(51) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 1988, n. 85, in C.E.D. Cass., n. 880218.

(52) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 1988, n. 1211, in “Cons. Stato”, 1988, pt. I, p. 1438 e in C.E.D. Cass., n. 881384; Cons. Stato, Ad. plen., 12 dicembre 1992, n. 22, in C.E.D. Cass., n. 922166; Cons. Stato, Ad. plen., 12 dicembre 1992, n. 23, in C.E.D. Cass., n. 922177.

(53) T.A.R. Basilicata, 30 dicembre 1986, n. 417, in C.E.D. Cass., n. 8801301.

(54) Cons. Stato, sez. VI, 18 novembre 1985, n. 599, in “Foro it.”, 1986, pt. III, coll. 145 ss. e in C.E.D. Cass., n. 851712.

(55) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 1981, n. 119, in “Cons. Stato”, 1981, pt. I, p. 335; Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 1985, n. 356, in “Cons. Stato”, 1985, pt. I, p. 902; T.A.R. Lombardia, Milano, 23 novembre 1985, n. 564, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 191; Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 1986, n. 549, in “Cons. Stato”, 1986, pt. I, p. 1077.

(56) Cfr. T.A.R. Puglia, Bari, 28 dicembre 1985, n. 970, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 759 e T.A.R. Puglia, Lecce, 15 febbraio 1986, n. 32, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 1986.

(57) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1979, n. 325, in “Cons. Stato, 1979, pt. I, p. 703; Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 1979, n. 371, in “Cons. Stato”, 1979, pt. I, p. 727; Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 1986, n. 549, cit.

(58) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1979, n. 325, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 1979, n. 371, cit.; T.A.R. Puglia, Lecce, 25 febbraio 1986, n. 37, in “Trib. amm. reg.”, 1986, pt. I, p. 1926.

(59) Escludono “tout court” la necessità della motivazione del provvedimento di recupero T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 17 aprile 1978, n. 316, in “Foro it.”, 1979, pt. III, col. 260; T.A.R. Piemonte, sez II, 14 giugno 1984, n. 173, in “Trib. amm. reg.”, 1984, pt. I, pp. 5230 ss.; T.A.R. Piemonte, sez. II, 28 luglio 1984, n. 210, in “Trib. amm. reg.”, 1984, pt. I, pp. 3051 ss. Per Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 1986, n. 372, in “Cons. Stato”, 1986, pt. I, p. 1354 il recupero è atto di mera esecuzione interamente vincolato. Sul punto cfr. VACCARO, op. cit., pp. 595 s.