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La riduzione del numero dei parlamentari: un primo passo nella direzione giusta

Referendum 2020
Ph. Fabio Toto / Referendum 2020

Proseguiamo il nostro focus riguardante il Referendum di domenica 20 e lunedì 21 settembre 2020 relativo al “taglio dei parlamentari”.

Ricordiamo il quesito proposto dal Referendum: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?»

Analizzeremo, dunque, le ragioni del NO e quelle del SI, attraverso brevi commenti di illustri personalità italiane del mondo giuridico, civile e politico.

Oggi continuiamo il nostro breve excursus con il parere di Roberto Zaccaria. Professore di Diritto costituzionale, già insegnante nell’Università di Firenze ed ex Presidente della RAI Radiotelevisione Italiana.

 

Il dibattito sul referendum del 20 e 21 settembre sta dividendo più di quanto non pensassi e più di quanto quel primo passo possa significare in sé. Comunque non sta a me dare giudizi sulla rilevanza delle opinioni degli altri.

È necessaria però una considerazione preliminare, di metodo. Non siamo in presenza di una grande riforma. Si rimprovera al Parlamento di aver fatto un piccolo passo, di non aver mostrato una visione sufficientemente ampia. Si deve però tener conto del fatto che la strada delle grandi riforme sembra abbandonata dopo la modifica costituzionale del 2016. Il no a quel referendum, che intendeva modificare una cinquantina di disposizioni costituzionali, segna un passaggio forse irreversibile dal quale è difficile prescindere.

Tra l’altro non sfugge a nessuno che una modifica ampia sembra poco compatibile con la logica dell’articolo 138 Costituzione e, d’altra parte, ad una riforma puntuale è difficile chiedere organicità perché è contraddittorio: una volta scelta la strada degli interventi puntuali, le eventuali integrazioni seguiranno necessariamente, con altre modifiche costituzionali, sul piano della legislazione ordinaria (es. legge elettorale) o dei regolamenti parlamentari.

Del resto anche volgendoci indietro lo sguardo è facile vedere che la “manutenzione costituzionale” si è realizzata attraverso una quindicina di leggi costituzionali che, con l’eccezione della riforma del 2001, ha modificato una trentina di norme costituzionali.

Provo ad indicare ora le principali motivazioni che mi inducono a votare positivamente in questa consultazione.

La prima risiede nel fatto che in tutti gli interventi di riforma costituzionale degli ultimi anni, la riduzione del numero dei parlamentari ha rappresentato un’assoluta costante. Quindi si può dire con certezza che tutti coloro che hanno affrontato il tema delle riforme, hanno considerato il tema della riduzione, come una scelta pacifica. Certo il tema era inserito in contesti più ampi, ma una volta che si è scelta la strada delle riforme puntuali, questa scelta non deve sembrare assolutamente impropria.

La seconda motivazione risiede nel fatto che rispetto al 1948 molte cose sono mutate nel quadro politico legislativo. L’attività normativa non rappresenta da tempo esclusiva del Parlamento e si è venuto delineando un sistema di produzione normativa multilivello, nel quale accanto al Parlamento e al Governo esistono, almeno altri due livelli importantissimi: da un lato quello regionale e dall’altro quello europeo. Vi sono sistemi di rappresentanza ai diversi livelli ed in questo nuovo contesto non è assolutamente improprio che gli organi rappresentativi abbiano un minor numero di componenti.

In terzo luogo una riduzione del numero dei parlamentari che segni per la Camera dei deputati un rapporto di uno a centocinquantamila e per il Senato un rapporto di uno a trecentomila non appare assolutamente inappropriato od incongruo. Del resto i rapporti nei Parlamenti degli altri Paesi europei non sono poi così distanti e la vicina Francia sta riflettendo proprio in questo periodo su una riforma che prevede una riduzione delle Assemblee, tra il 30 e il 25 per cento, arrivando a numeri molto vicini ai nostri.

In quarto luogo all’obiezione di chi ritiene che con numeri più ridotti dei componenti si possa sacrificare il pluralismo politico o territoriale, si risponde con una idonea legge elettorale che, valorizzando gli elementi proporzionali, come già abbiamo avuto in Italia, possa consentire la rappresentanza delle forze politiche minori e favorire un’appropriata distribuzione territoriale. La legge elettorale si deve fare con legge ordinaria ed è quindi logico che segua la modifica costituzionale e non la preceda, come si era pensato erroneamente in passato.

In quinto luogo sarebbe giusto concentrarsi, attraverso una seria legislazione sui partiti politici, sulla qualità della rappresentanza parlamentare. Da troppi anni ormai, si vota con sistemi di liste bloccate, decise imperativamente dalle segreterie dei partiti ed in Parlamento, nel 95 per cento dei casi, i parlamentari votano meccanicamente seguendo le indicazioni dei segretari d’aula. Per questo penso con convinzione che, qualificando gli eletti attraverso la scelta affidata effettivamente al popolo, si potrebbe arrivare ad una maggiore rappresentatività ed anche ad una maggiore efficienza.