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La Segnalazione certificata di inizio attività: prospettive evolutive e tutela dei terzi

1) Premessa

2) L iter argomentativo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011: qualificazione giuridica dell’istituto - e i meccanismi di tutela dei terzi

3) L’attuale disciplina della Scia

4) La tutela dei terzi alla luce delle modifiche legislative

5) La Scia e le autonomie

1) Premessa

La combinazione delle istanze di semplificazione e di liberalizzazione ha caratterizzato la disciplina della Dichiarazione di inizio d’attività fin dall’iniziale introduzione dell’istituto avvenuta con l’articolo 19 della legge 241/1990[1].

L’istituto ha come ratio la promozione dell’iniziativa economica, l’intento del legislatore è quindi di rendere più agevole e tempestivo l’inizio di un attività economica[2].

A fronte di tale intento di massima, il vario combinarsi delle istanze di semplificazione e di liberalizzazione hanno condizionato in questi anni la qualificazione giuridica dell’istituto, il suo meccanismo di funzionamento, ed i meccanismi di tutela posti a presidio dei terzi contro interessati.

Le diverse interpolazioni del testo hanno di volta in volta portato la dottrina e la giurisprudenza a qualificare la Dia o come un istituto di mera semplificazione, diretto quindi a incidere sui modi d’azione del pubblico potere, riducendo i meccanismi istruttori della PA, ovvero come uno strumento di liberalizzazione diretto ad attribuire al privato la “facoltà” di intraprendere l’iniziativa economica senza l’intermediazione della PA con la conseguente riduzione dell’ambito d’intervento del potere pubblico.

Tale diverse ricostruzioni hanno caratterizzato l’istituto almeno fino all’Adunanza Plenaria n. 15[3] del 2011 con cui il Consiglio di Stato ha definito la qualificazione giuridica dell’istituto, e ricostruito in maniera sistematica il quadro delle tutele riconosciute ai terzi contro interessati.

L’inquadramento sistematico operato dalla Consiglio di Stato trascendeva la sola Dia interessando anche la Segnalazione Certificata d’Inizio Attività (SCIA) che nel frattempo il legislatore ha introdotto in sostituzione della dichiarazione d’inizio d’attività attraverso l’articolo 49, comma 4 bis del dl 31 maggio 2010 n 78.

2) L’iter argomentativo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011 : qualificazione giuridica dell’istituto -e i meccanismi di tutela dei terzi

a) qualificazione giuridica dell’istituto

L’adunanza affronta il problema concernente, l’esatta qualificazione giuridica della Dia valutando la questione anche alla luce della recente riformulazione dell’istituto attraverso l’introduzione della Scia. La Dia è considerata non come un istituto di semplificazione procedimentale bensì come elemento di una liberalizzazione temperata, parziale, dell’attività privata.

Secondo l’adunanza plenaria la Dia non dà luogo a una forma di abilitazione tacita bensì rappresenta il risultato di una facoltà riconosciuta al privato in forma esclusiva, dalla quale il potere pubblico è totalmente estromesso.

Appare, quindi, una fictio iuris, non supportata da un’esplicita autorizzazione normativa, la ricostruzione della Dia come una forma di semplificazione basata su un provvedimento implicito a costruzione progressiva.

L’eccessiva contiguità dell’istituto con quello del silenzio assenso sembra precludere la possibilità di qualificare autonomamente la Dia come provvedimento autorizzatorio implicito.

In altri termini “tale soluzione elimina ogni differenza sostanziale tra gli istituti della Dia e del silenzio assenso” ponendosi “in distonia rispetto al dato normativo che considera tali fattispecie diverse con riguardo sia all’ambito di applicazione che al meccanismo di perfezionamento”.

La Dia come provvedimento di abilitazione tacita sarebbe poi incompatibile con la disciplina che, autorizzando l’immediato inizio dell’attività, c.d. Dia a legittimazione immediata, impedirebbe la qualificazione dell’istituto come un provvedimento di abilitazione tacita in cui il silenzio dell’amministrazione sarebbe parte integrante del meccanismo di perfezionamento dello stesso, unitamente alla dichiarazione del privato.

Analogo impedimento sussisterebbe nei confronti di quell’impostazione che vede la dichiarazione come esercizio privato di pubbliche funzioni.

Inoltre, l’adunanza plenaria ridimensiona il rilievo sistematico del potere di esercizio dell’autotutela cui la dia ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge 241/90 è comunque ricondotta. Richiamando precedenti arresti giurisprudenziali[4] l’adunanza precisa che con “tale prescrizione il legislatore, lungi dal prendere posizione sulla natura giuridica dell’istituto a favore della tesi del silenzio assenso, ha voluto solo chiarire che l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che comunque dopo il decorso di tale spazio temporale, la PA conserva un potere residuale di autotutela“.

La stessa presenza di un potere inibitorio impedisce secondo l’Adunanza plenaria di attribuire alla Dia una valenza provvedimentale giacché tale potere “non potrebbe essere esercitato alla presenza di un atto amministrativo se non previa rimozione dello stesso.” In altre parole “il riconoscimento di un potere amministrativo di divieto da esercitarsi a valle della presentazione della dia e senza necessità di rimozione di quest’ultima secondo la logica del contrarius actus dimostra in definitiva l’insussistenza di un atto di esercizio privato del potere amministrativo e l’adesione a un modello di liberalizzazione temperata che sostituisce l’assenso preventivo con il controllo successivo”.

La Dia pertanto non può catalogarsi all’interno di un procedimento di semplificazione, ma piuttosto nell’ambito di un processo di liberalizzazione seppur temperata dal permanere di un controllo successivo da parte della PA.

Proprio il permanere di tale potere ha portato il Consiglio di Stato a ricostruire la tutela dei terzi sempre all’interno di un giudizio impugnatorio, avente cioè a oggetto comunque un provvedimento amministrativo seppur non espresso.

Il terzo leso dalla dichiarazione d’inizio attività, poi sostituita dalla Scia, avrebbe dovuto impugnare non un provvedimento abilitativo tacito, bensì l’atto tacito di diniego, della Pubblica Amministrazione, all’esercizio dei poteri interdittivi o inibitori nei confronti della Scia.

Pertanto, alla fine del percorso argomentativo della citata sentenza l’Adunanza Plenaria qualificava la Dia/Scia come un atto essenzialmente privato, ricompreso nell’ambito di un processo di liberalizzazione temperata dalla previsione dei poteri di controllo successivo esercitabili dalla PA, i cui effetti sfavorevoli per i terzi potevano essere neutralizzati attraverso l’impugnazione del provvedimento tacito di diniego con cui la pubblica amministrazione riteneva non esistenti motivi ostativi all’esercizio dell’attività economica cosi come descritta dalla Scia.

Tale ricostruzione trova poi la prima applicazione nella sentenza del TAR Umbria n.400/2011 che ricostruiva la Dia in termini di provvedimento tacito di diniego.

3) L’attuale disciplina della Scia nel riformulato articolo 19 della legge 241/1990

a) Meccanismo di funzionamento e i poteri della PA

L’attuale disciplina della Dia presenta delle discontinuità rispetto alla ricostruzione operata dal Consiglio di Stato.

L’istituto è ora disciplinato dal risultato di una serie di modifiche apportate all’articolo 19 della 241/1990 che partono dall’articolo 49 comma 4 bis del dl 31 maggio 2010 n. 78 fino ad arrivare alla legge 70/20011 e al decreto legge 138/2011, convertito poi nella legge 148/2011.

Attualmente il meccanismo di funzionamento della Segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) si pone sempre nell’ambito del tentativo del legislatore di promuovere il tempestivo ed efficace esercizio dell’iniziativa economica da parte del privato.

Tale intento è perseguito con modi diversi rispetto all’assetto normativo interpretato dal Consiglio di Stato.

La segnalazione d’inizio attività permette al privato l’esercizio dell’attività economica non appena ne sia avvenuta la comunicazione all’autorità pubblica competente. Si supera pertanto la distinzione tra una DIA/SCIA a efficacia istantanea e una DIA/SCIA ad efficacia differita per permettere al privato l’inizio incondizionato a prescindere dalla diversa natura dell’ attività stessa, come invece era in precedenza.

La Segnalazione Certificata di Inizio Attività sostituisce quindi “ogni atto d’autorizzazione, concessione non costitutiva, provvedimento di assenso e iscrizione all’albo e ecc……..[5] il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi.

La Scia, peraltro, non si applica nei casi sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia.

Inoltre, al fine di potenziarne l’efficacia, la segnalazione certificata d’inizio d’attività oltre ad essere corredata dalle dichiarazioni previste dal dpr 445/2000 può essere corredata da una serie di asseverazioni[6], pareri tecnici o certificazioni rilasciate da tecnici abilitati, dirette a facilitare l’esercizio di poteri di controllo successivi da parte dell’amministrazione.

Inoltre, nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle auto-certificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni richiamate dalla Scia, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.

Nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione l’amministrazione pubblica competente è chiamata a esercitare i propri poteri di controllo.

Tali poteri di controllo consistono nella possibilità di vietare la prosecuzione dell’attività economica, quando si riscontri l’insussistenza dei presupposti e delle condizioni attestati con la segnalazione certificata d’inizio attività.

Al divieto di proseguimento dell’attività economica è associato il potere di rimozione degli effetti dannosi d’essa.

Inoltre, la pubblica amministrazione ha il potere di condizionare il proseguimento dell’attività economica al rispetto di determinate prescrizioni d’esercizio.

Lo spatium deliberandi concesso all’amministrazione è di 60 giorni, decorsi i quali si consuma per la PA il potere di intervenire sull’attività oggetto della Scia, salvo i casi di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, per i quali la pubblica amministrazione può in ogni tempo adottare i provvedimenti di divieto, rimozione o conformazione.

Altra deroga alla consumazione del potere non esercitato nei sessanta giorni prescritti, consente all’amministrazione di intervenire solo alla presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante i poteri di conformazione dell’attività dei privati.

Il potere di controllo esercitabile nei 60 giorni dal ricevimento della Scia si distingue dal potere di autotutela concesso in generale alla pubblica amministrazione dagli articoli 21 quinquies e 21 nonies della 241/1990.

Quest’ultimo non è infatti un potere di controllo finalizzato al riscontro della sussistenza e legittimità delle condizioni che legittimano l’esercizio dell’attività economica, ma deve configurarsi come un potere discrezionale e non vincolato che la PA può esercitare qualora valuti, a posteriori, la propria azione illegittima ovvero inopportuna. I margini di discrezionalità di cui gode la PA nella valutazione dell’esercizio di tale potere di riesame non garantiscono allora la piena tutela dei diritti del contro interessato rispetto all’ordinario esercizio del potere di controllo a tutto oggi limitato nell’ambito dei 60 giorni fatta eccezione le deroghe sopra richiamate.

È chiaro che l’attuale formulazione della norma privilegia il consolidamento dell’aspettativa del soggetto all’esercizio dell’attività economica rispetto a quello dei terzi contro interessati.

b) Settori Esclusi

La SCIA non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 e del testo unico in materia d’intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

c) Particolare settori di applicazione della scia

La SCIA trova applicazione anche in materia edilizia attraverso un termine più breve di trenta giorni entro il quale la PA può esercitare il potere di controllo.

Tale previsione, dell’articolo 19 comma 6 bis, deve essere letta tenendo presente l’articolo 5 del decreto legge 70/2011, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, secondo cui la Scia si sostituisce alle denunce d’inizio attività in materia edilizia con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale siano alternative o sostitutive al permesso di costruire.

In tal caso quindi la scia non si sostituisce alla dichiarazione d’attività quando quest’ultima sia equiparata al permesso di costruire.

d) Qualificazione giuridica della Scia e meccanismi di tutela dei terzi

Con l’articolo 19, comma 6 ter[7], della 241/1990 il legislatore qualifica la Scia e, accomunandola con la dichiarazione d’inizio attività, ne disconosce la natura di provvedimento tacito direttamente impugnabile dai terzi.

La Scia è quindi un atto del privato che si pone all’interno di un processo di liberalizzazione e che non può essere qualificata come un provvedimento amministrativo[8] riconducibile direttamente a una manifestazione di volontà della pubblica amministrazione sia che venga considerata come un atto di assenso allo svolgimento dell’attività privata sia che venga considerata come presupposto per una valutazione negativa sull’esistenza della condizione che legittimino il potere di controllo della PA sull’attività privata.

Conseguentemente la tutela dei terzi non si esplica più attraverso un giudizio impugnatorio bensì attraverso la previsione dell’articolo 31, commi 1, 2, 3 del d.lgs 2 luglio 2010 n. 104 .

In altri termini il terzo leso dalla Scia potrà solo esperire l’azione sul silenzio dell’amministrazione, con l’avvertenza però che tale azione presuppone la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione di adottare le misure richieste dal terzo obbligo che tuttavia non può ritenersi esistente allorché il potere di cui s’invoca l’esercizio si consumi per effetto del decorso del termine perentorio previsto dalla legge per il suo esercizio. Come già segnalato sopra, tale assetto sembrerebbe privilegiare il consolidamento della posizione del soggetto che inizia l’attività economica a svantaggio delle tutele previste dalla Costituzione.

In altri termini, nel giudizio di comparazione le istanze dei terzi sembrerebbero poter ricevere uno spazio di tutela inferiore che potrebbe non essere conforme a quanto previsto dalla Costituzione. In attesa del consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali sul punto parte della dottrina ha proposto un’interpretazione che non limiti la tutela dei terzi nell’ambito del ristretto spazio temporale dei 60 giorni entro i quali l’amministrazione deve attivarsi ovvero alla richiesta d’attivazione del potere di autotutela ampiamente discrezionale.

Secondo[9] tale impostazione il comma 6 ter della legge 241/1990,” pone a carico della PA un obbligo di provvedere sulle domande tese a provocare l’esercizio delle verifiche sulla segnalazione certificata d’inizio attività.

Si tratta di un obbligo diverso rispetto al dovere officioso di controllo previsto dal terzo comma del predetto articolo[10], in quanto non trae origine dalla presentazione della Scia ma da un’istanza formulata da chi abbia interesse all’adozione delle misure inibitorie dell’attività.

In tal modo la pubblica amministrazione a seguito dell’istanza sarebbe obbligata ad aprire un nuovo procedimento di controllo e a concluderlo con un provvedimento espresso impugnabile direttamente dal privato.

4) La Scia, il sistema regionale e le autonomie locali

L’articolo 3 del decreto legge 138/2011 convertito dalla legge 148/2011 impone a regioni province e comuni di adeguare i propri statuti entro il termine del 30 settembre 2012, al principio secondo cui l’iniziativa economica privata è libera ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, nei casi previsti:

a) da vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;

b) contrasto con i principi fondamentali della costituzione;

c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale;

d) diposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali e dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;

e) diposizioni concernenti le attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica.

Alla scadenza dei termini[11] di cui sopra sono soppresse le disposizioni incompatibili con quanto disposto dal primo comma, con diretta applicazione della Segnalazione d’inizio attività e dell’autocertificazione. Tale disposizione illustra la ratio dell’intervento del legislatore e la funzione chiamata a esercitare dalla segnalazione certificata d’inizio attività.

Rimangono però dei problemi legati all’applicazione di tale normativa e alla precisa individuazione dei provvedimenti autorizzativi che non siano funzionali all’esercizio dell’attività economica.

Infatti, al di là del fatto che almeno la lettera c del dl 138/2011 non sembra essere altro che la ripetizione pedissequa del disposto dell’articolo 41 della costituzione, sembra importante notare che il legislatore solo dopo pochi mesi è ritornato sull’argomento. L’articolo 1 della legge 27/2012 autorizza, infatti, l’esecutivo all’emanazione di decreti diretti a abrogare sia le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni e licenze propedeutiche all’ esercizio dell’attività economica sia quelle che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche. Sempre la stessa normativa impone poi di interpretare restrittivamente e tassativamente le norme e i divieti concernenti l’esercizio dell’attività economica che non siano state oggetto di abrogazione, riservando poi all’esecutivo il potere di individuare le attività per le quali permane l’atto preventivo di assenso dell’amministrazione disciplinando i termini e le modalità per l’esercizio dei poteri di controllo dell’amministrazione.

In tal modo, pur senza poter giungere a conclusioni definitive, sembrerebbe quasi che il legislatore, dopo aver innestato l’istituto della Dia/SCIA su un complessivo quadro autorizzatorio predefinito, si appresti a ridefinirlo prendendo forse atto, seppur implicitamente, della relativa efficacia dell’istituto in questi anni.

[1] Articolo modificato dall’articolo 3 del dpr 26 aprile 1992, n. 300, dall’articolo 2 comma 10 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, dall’articolo 21, comma 1, lettera a della legge 11 febbraio 2005, n. 15, dall’articolo 3, comma 1 del dl 14 marzo 2005, n.35, dall’articolo 9 della legge 18 giugno 2009, n. 69, dall’articolo 85, comma 1, del dlgs 26 marzo 2010, n. 59 e da ultimo sostituito dall’articolo 49, comma 4 bis del dl 31 maggio 2010, n. 78.

[2] Art. 41 Costituzione: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi contro l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà umana e alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere coordinata a fini sociali.

[3] In www.giustizia-amministrativa.it.

[4] Cons. di Stato Sez .VI n,. 717/2009 e 2139/ 2010.

[5] “o comunque provvedimento preventivo d’assenso della pubblica amministrazione richiesto per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale”.

[6] In dottrina l’introduzione delle asseverazioni ha sollevato non poche perplessità, vedi a proposito Maria Alessandra Sandulli, La Scia e le nuove regole sulle tariffe incentivanti per gli impianti di energia rinnovabili: due esempi di non scerità legislativa , in www.federalismi.it.

[7] Introdotto dall’articolo 6, comma 1, del dl 13 agosto 2011, n. 138.

[8] In altre parole la norma in questione esclude sia che la Dia/Scia possa essere qualificata come un atto abilitativo tacito sia che dia e scia possano essere qualificate come un atto tacito di dinego da parte della PA.

[9] Gismondi, Il regime di tutela dei terzi contro la Scia dopo la manovra di Agosto 2011 ed il decreto correttivo del processo amministrativo: un’interpretazione costituzionalmente orientata per evitare il deficit di effettività, in www.giustizia-amministrativa.it.

[10] Tale comma prevede, infatti, che l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di 60 giorni dalla segnalazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi.

[11] Su tali termini incidono però le disposizioni della legge 27/2012. 1) Premessa

2) L iter argomentativo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011: qualificazione giuridica dell’istituto - e i meccanismi di tutela dei terzi

3) L’attuale disciplina della Scia

4) La tutela dei terzi alla luce delle modifiche legislative

5) La Scia e le autonomie

1) Premessa

La combinazione delle istanze di semplificazione e di liberalizzazione ha caratterizzato la disciplina della Dichiarazione di inizio d’attività fin dall’iniziale introduzione dell’istituto avvenuta con l’articolo 19 della legge 241/1990[1].

L’istituto ha come ratio la promozione dell’iniziativa economica, l’intento del legislatore è quindi di rendere più agevole e tempestivo l’inizio di un attività economica[2].

A fronte di tale intento di massima, il vario combinarsi delle istanze di semplificazione e di liberalizzazione hanno condizionato in questi anni la qualificazione giuridica dell’istituto, il suo meccanismo di funzionamento, ed i meccanismi di tutela posti a presidio dei terzi contro interessati.

Le diverse interpolazioni del testo hanno di volta in volta portato la dottrina e la giurisprudenza a qualificare la Dia o come un istituto di mera semplificazione, diretto quindi a incidere sui modi d’azione del pubblico potere, riducendo i meccanismi istruttori della PA, ovvero come uno strumento di liberalizzazione diretto ad attribuire al privato la “facoltà” di intraprendere l’iniziativa economica senza l’intermediazione della PA con la conseguente riduzione dell’ambito d’intervento del potere pubblico.

Tale diverse ricostruzioni hanno caratterizzato l’istituto almeno fino all’Adunanza Plenaria n. 15[3] del 2011 con cui il Consiglio di Stato ha definito la qualificazione giuridica dell’istituto, e ricostruito in maniera sistematica il quadro delle tutele riconosciute ai terzi contro interessati.

L’inquadramento sistematico operato dalla Consiglio di Stato trascendeva la sola Dia interessando anche la Segnalazione Certificata d’Inizio Attività (SCIA) che nel frattempo il legislatore ha introdotto in sostituzione della dichiarazione d’inizio d’attività attraverso l’articolo 49, comma 4 bis del dl 31 maggio 2010 n 78.

2) L’iter argomentativo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011 : qualificazione giuridica dell’istituto -e i meccanismi di tutela dei terzi

a) qualificazione giuridica dell’istituto

L’adunanza affronta il problema concernente, l’esatta qualificazione giuridica della Dia valutando la questione anche alla luce della recente riformulazione dell’istituto attraverso l’introduzione della Scia. La Dia è considerata non come un istituto di semplificazione procedimentale bensì come elemento di una liberalizzazione temperata, parziale, dell’attività privata.

Secondo l’adunanza plenaria la Dia non dà luogo a una forma di abilitazione tacita bensì rappresenta il risultato di una facoltà riconosciuta al privato in forma esclusiva, dalla quale il potere pubblico è totalmente estromesso.

Appare, quindi, una fictio iuris, non supportata da un’esplicita autorizzazione normativa, la ricostruzione della Dia come una forma di semplificazione basata su un provvedimento implicito a costruzione progressiva.

L’eccessiva contiguità dell’istituto con quello del silenzio assenso sembra precludere la possibilità di qualificare autonomamente la Dia come provvedimento autorizzatorio implicito.

In altri termini “tale soluzione elimina ogni differenza sostanziale tra gli istituti della Dia e del silenzio assenso” ponendosi “in distonia rispetto al dato normativo che considera tali fattispecie diverse con riguardo sia all’ambito di applicazione che al meccanismo di perfezionamento”.

La Dia come provvedimento di abilitazione tacita sarebbe poi incompatibile con la disciplina che, autorizzando l’immediato inizio dell’attività, c.d. Dia a legittimazione immediata, impedirebbe la qualificazione dell’istituto come un provvedimento di abilitazione tacita in cui il silenzio dell’amministrazione sarebbe parte integrante del meccanismo di perfezionamento dello stesso, unitamente alla dichiarazione del privato.

Analogo impedimento sussisterebbe nei confronti di quell’impostazione che vede la dichiarazione come esercizio privato di pubbliche funzioni.

Inoltre, l’adunanza plenaria ridimensiona il rilievo sistematico del potere di esercizio dell’autotutela cui la dia ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge 241/90 è comunque ricondotta. Richiamando precedenti arresti giurisprudenziali[4] l’adunanza precisa che con “tale prescrizione il legislatore, lungi dal prendere posizione sulla natura giuridica dell’istituto a favore della tesi del silenzio assenso, ha voluto solo chiarire che l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che comunque dopo il decorso di tale spazio temporale, la PA conserva un potere residuale di autotutela“.

La stessa presenza di un potere inibitorio impedisce secondo l’Adunanza plenaria di attribuire alla Dia una valenza provvedimentale giacché tale potere “non potrebbe essere esercitato alla presenza di un atto amministrativo se non previa rimozione dello stesso.” In altre parole “il riconoscimento di un potere amministrativo di divieto da esercitarsi a valle della presentazione della dia e senza necessità di rimozione di quest’ultima secondo la logica del contrarius actus dimostra in definitiva l’insussistenza di un atto di esercizio privato del potere amministrativo e l’adesione a un modello di liberalizzazione temperata che sostituisce l’assenso preventivo con il controllo successivo”.

La Dia pertanto non può catalogarsi all’interno di un procedimento di semplificazione, ma piuttosto nell’ambito di un processo di liberalizzazione seppur temperata dal permanere di un controllo successivo da parte della PA.

Proprio il permanere di tale potere ha portato il Consiglio di Stato a ricostruire la tutela dei terzi sempre all’interno di un giudizio impugnatorio, avente cioè a oggetto comunque un provvedimento amministrativo seppur non espresso.

Il terzo leso dalla dichiarazione d’inizio attività, poi sostituita dalla Scia, avrebbe dovuto impugnare non un provvedimento abilitativo tacito, bensì l’atto tacito di diniego, della Pubblica Amministrazione, all’esercizio dei poteri interdittivi o inibitori nei confronti della Scia.

Pertanto, alla fine del percorso argomentativo della citata sentenza l’Adunanza Plenaria qualificava la Dia/Scia come un atto essenzialmente privato, ricompreso nell’ambito di un processo di liberalizzazione temperata dalla previsione dei poteri di controllo successivo esercitabili dalla PA, i cui effetti sfavorevoli per i terzi potevano essere neutralizzati attraverso l’impugnazione del provvedimento tacito di diniego con cui la pubblica amministrazione riteneva non esistenti motivi ostativi all’esercizio dell’attività economica cosi come descritta dalla Scia.

Tale ricostruzione trova poi la prima applicazione nella sentenza del TAR Umbria n.400/2011 che ricostruiva la Dia in termini di provvedimento tacito di diniego.

3) L’attuale disciplina della Scia nel riformulato articolo 19 della legge 241/1990

a) Meccanismo di funzionamento e i poteri della PA

L’attuale disciplina della Dia presenta delle discontinuità rispetto alla ricostruzione operata dal Consiglio di Stato.

L’istituto è ora disciplinato dal risultato di una serie di modifiche apportate all’articolo 19 della 241/1990 che partono dall’articolo 49 comma 4 bis del dl 31 maggio 2010 n. 78 fino ad arrivare alla legge 70/20011 e al decreto legge 138/2011, convertito poi nella legge 148/2011.

Attualmente il meccanismo di funzionamento della Segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) si pone sempre nell’ambito del tentativo del legislatore di promuovere il tempestivo ed efficace esercizio dell’iniziativa economica da parte del privato.

Tale intento è perseguito con modi diversi rispetto all’assetto normativo interpretato dal Consiglio di Stato.

La segnalazione d’inizio attività permette al privato l’esercizio dell’attività economica non appena ne sia avvenuta la comunicazione all’autorità pubblica competente. Si supera pertanto la distinzione tra una DIA/SCIA a efficacia istantanea e una DIA/SCIA ad efficacia differita per permettere al privato l’inizio incondizionato a prescindere dalla diversa natura dell’ attività stessa, come invece era in precedenza.

La Segnalazione Certificata di Inizio Attività sostituisce quindi “ogni atto d’autorizzazione, concessione non costitutiva, provvedimento di assenso e iscrizione all’albo e ecc……..[5] il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi.

La Scia, peraltro, non si applica nei casi sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia.

Inoltre, al fine di potenziarne l’efficacia, la segnalazione certificata d’inizio d’attività oltre ad essere corredata dalle dichiarazioni previste dal dpr 445/2000 può essere corredata da una serie di asseverazioni[6], pareri tecnici o certificazioni rilasciate da tecnici abilitati, dirette a facilitare l’esercizio di poteri di controllo successivi da parte dell’amministrazione.

Inoltre, nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle auto-certificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni richiamate dalla Scia, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.

Nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione l’amministrazione pubblica competente è chiamata a esercitare i propri poteri di controllo.

Tali poteri di controllo consistono nella possibilità di vietare la prosecuzione dell’attività economica, quando si riscontri l’insussistenza dei presupposti e delle condizioni attestati con la segnalazione certificata d’inizio attività.

Al divieto di proseguimento dell’attività economica è associato il potere di rimozione degli effetti dannosi d’essa.

Inoltre, la pubblica amministrazione ha il potere di condizionare il proseguimento dell’attività economica al rispetto di determinate prescrizioni d’esercizio.

Lo spatium deliberandi concesso all’amministrazione è di 60 giorni, decorsi i quali si consuma per la PA il potere di intervenire sull’attività oggetto della Scia, salvo i casi di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, per i quali la pubblica amministrazione può in ogni tempo adottare i provvedimenti di divieto, rimozione o conformazione.

Altra deroga alla consumazione del potere non esercitato nei sessanta giorni prescritti, consente all’amministrazione di intervenire solo alla presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante i poteri di conformazione dell’attività dei privati.

Il potere di controllo esercitabile nei 60 giorni dal ricevimento della Scia si distingue dal potere di autotutela concesso in generale alla pubblica amministrazione dagli articoli 21 quinquies e 21 nonies della 241/1990.

Quest’ultimo non è infatti un potere di controllo finalizzato al riscontro della sussistenza e legittimità delle condizioni che legittimano l’esercizio dell’attività economica, ma deve configurarsi come un potere discrezionale e non vincolato che la PA può esercitare qualora valuti, a posteriori, la propria azione illegittima ovvero inopportuna. I margini di discrezionalità di cui gode la PA nella valutazione dell’esercizio di tale potere di riesame non garantiscono allora la piena tutela dei diritti del contro interessato rispetto all’ordinario esercizio del potere di controllo a tutto oggi limitato nell’ambito dei 60 giorni fatta eccezione le deroghe sopra richiamate.

È chiaro che l’attuale formulazione della norma privilegia il consolidamento dell’aspettativa del soggetto all’esercizio dell’attività economica rispetto a quello dei terzi contro interessati.

b) Settori Esclusi

La SCIA non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 e del testo unico in materia d’intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

c) Particolare settori di applicazione della scia

La SCIA trova applicazione anche in materia edilizia attraverso un termine più breve di trenta giorni entro il quale la PA può esercitare il potere di controllo.

Tale previsione, dell’articolo 19 comma 6 bis, deve essere letta tenendo presente l’articolo 5 del decreto legge 70/2011, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, secondo cui la Scia si sostituisce alle denunce d’inizio attività in materia edilizia con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale siano alternative o sostitutive al permesso di costruire.

In tal caso quindi la scia non si sostituisce alla dichiarazione d’attività quando quest’ultima sia equiparata al permesso di costruire.

d) Qualificazione giuridica della Scia e meccanismi di tutela dei terzi

Con l’articolo 19, comma 6 ter[7], della 241/1990 il legislatore qualifica la Scia e, accomunandola con la dichiarazione d’inizio attività, ne disconosce la natura di provvedimento tacito direttamente impugnabile dai terzi.

La Scia è quindi un atto del privato che si pone all’interno di un processo di liberalizzazione e che non può essere qualificata come un provvedimento amministrativo[8] riconducibile direttamente a una manifestazione di volontà della pubblica amministrazione sia che venga considerata come un atto di assenso allo svolgimento dell’attività privata sia che venga considerata come presupposto per una valutazione negativa sull’esistenza della condizione che legittimino il potere di controllo della PA sull’attività privata.

Conseguentemente la tutela dei terzi non si esplica più attraverso un giudizio impugnatorio bensì attraverso la previsione dell’articolo 31, commi 1, 2, 3 del d.lgs 2 luglio 2010 n. 104 .

In altri termini il terzo leso dalla Scia potrà solo esperire l’azione sul silenzio dell’amministrazione, con l’avvertenza però che tale azione presuppone la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione di adottare le misure richieste dal terzo obbligo che tuttavia non può ritenersi esistente allorché il potere di cui s’invoca l’esercizio si consumi per effetto del decorso del termine perentorio previsto dalla legge per il suo esercizio. Come già segnalato sopra, tale assetto sembrerebbe privilegiare il consolidamento della posizione del soggetto che inizia l’attività economica a svantaggio delle tutele previste dalla Costituzione.

In altri termini, nel giudizio di comparazione le istanze dei terzi sembrerebbero poter ricevere uno spazio di tutela inferiore che potrebbe non essere conforme a quanto previsto dalla Costituzione. In attesa del consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali sul punto parte della dottrina ha proposto un’interpretazione che non limiti la tutela dei terzi nell’ambito del ristretto spazio temporale dei 60 giorni entro i quali l’amministrazione deve attivarsi ovvero alla richiesta d’attivazione del potere di autotutela ampiamente discrezionale.

Secondo[9] tale impostazione il comma 6 ter della legge 241/1990,” pone a carico della PA un obbligo di provvedere sulle domande tese a provocare l’esercizio delle verifiche sulla segnalazione certificata d’inizio attività.

Si tratta di un obbligo diverso rispetto al dovere officioso di controllo previsto dal terzo comma del predetto articolo[10], in quanto non trae origine dalla presentazione della Scia ma da un’istanza formulata da chi abbia interesse all’adozione delle misure inibitorie dell’attività.

In tal modo la pubblica amministrazione a seguito dell’istanza sarebbe obbligata ad aprire un nuovo procedimento di controllo e a concluderlo con un provvedimento espresso impugnabile direttamente dal privato.

4) La Scia, il sistema regionale e le autonomie locali

L’articolo 3 del decreto legge 138/2011 convertito dalla legge 148/2011 impone a regioni province e comuni di adeguare i propri statuti entro il termine del 30 settembre 2012, al principio secondo cui l’iniziativa economica privata è libera ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, nei casi previsti:

a) da vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;

b) contrasto con i principi fondamentali della costituzione;

c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale;

d) diposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali e dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;

e) diposizioni concernenti le attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica.

Alla scadenza dei termini[11] di cui sopra sono soppresse le disposizioni incompatibili con quanto disposto dal primo comma, con diretta applicazione della Segnalazione d’inizio attività e dell’autocertificazione. Tale disposizione illustra la ratio dell’intervento del legislatore e la funzione chiamata a esercitare dalla segnalazione certificata d’inizio attività.

Rimangono però dei problemi legati all’applicazione di tale normativa e alla precisa individuazione dei provvedimenti autorizzativi che non siano funzionali all’esercizio dell’attività economica.

Infatti, al di là del fatto che almeno la lettera c del dl 138/2011 non sembra essere altro che la ripetizione pedissequa del disposto dell’articolo 41 della costituzione, sembra importante notare che il legislatore solo dopo pochi mesi è ritornato sull’argomento. L’articolo 1 della legge 27/2012 autorizza, infatti, l’esecutivo all’emanazione di decreti diretti a abrogare sia le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni e licenze propedeutiche all’ esercizio dell’attività economica sia quelle che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche. Sempre la stessa normativa impone poi di interpretare restrittivamente e tassativamente le norme e i divieti concernenti l’esercizio dell’attività economica che non siano state oggetto di abrogazione, riservando poi all’esecutivo il potere di individuare le attività per le quali permane l’atto preventivo di assenso dell’amministrazione disciplinando i termini e le modalità per l’esercizio dei poteri di controllo dell’amministrazione.

In tal modo, pur senza poter giungere a conclusioni definitive, sembrerebbe quasi che il legislatore, dopo aver innestato l’istituto della Dia/SCIA su un complessivo quadro autorizzatorio predefinito, si appresti a ridefinirlo prendendo forse atto, seppur implicitamente, della relativa efficacia dell’istituto in questi anni.

[1] Articolo modificato dall’articolo 3 del dpr 26 aprile 1992, n. 300, dall’articolo 2 comma 10 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, dall’articolo 21, comma 1, lettera a della legge 11 febbraio 2005, n. 15, dall’articolo 3, comma 1 del dl 14 marzo 2005, n.35, dall’articolo 9 della legge 18 giugno 2009, n. 69, dall’articolo 85, comma 1, del dlgs 26 marzo 2010, n. 59 e da ultimo sostituito dall’articolo 49, comma 4 bis del dl 31 maggio 2010, n. 78.

[2] Art. 41 Costituzione: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi contro l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà umana e alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere coordinata a fini sociali.

[3] In www.giustizia-amministrativa.it.

[4] Cons. di Stato Sez .VI n,. 717/2009 e 2139/ 2010.

[5] “o comunque provvedimento preventivo d’assenso della pubblica amministrazione richiesto per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale”.

[6] In dottrina l’introduzione delle asseverazioni ha sollevato non poche perplessità, vedi a proposito Maria Alessandra Sandulli, La Scia e le nuove regole sulle tariffe incentivanti per gli impianti di energia rinnovabili: due esempi di non scerità legislativa , in www.federalismi.it.

[7] Introdotto dall’articolo 6, comma 1, del dl 13 agosto 2011, n. 138.

[8] In altre parole la norma in questione esclude sia che la Dia/Scia possa essere qualificata come un atto abilitativo tacito sia che dia e scia possano essere qualificate come un atto tacito di dinego da parte della PA.

[9] Gismondi, Il regime di tutela dei terzi contro la Scia dopo la manovra di Agosto 2011 ed il decreto correttivo del processo amministrativo: un’interpretazione costituzionalmente orientata per evitare il deficit di effettività, in www.giustizia-amministrativa.it.

[10] Tale comma prevede, infatti, che l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di 60 giorni dalla segnalazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi.

[11] Su tali termini incidono però le disposizioni della legge 27/2012.