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L’autonomia negoziale all’interno dei rapporti personali e patrimoniali, matrimoniali e non matrimoniali

Il principio di autonomia negoziale, prerogativa di tutti i sistemi giuridici a partire da quello romano, rinviene il suo fondamento normativo , nel nostro ordinamento, in quell'articolo 1322 del Codice Civile, ad oggi primaria e diretta manifestazione di un meccanismo di commistione tra esigenze di libertà individuale ed esigenze di utilità economica, tutte contemperate, chiaramente, dalle limitazioni imposte dalla legge, funzionali al soddisfacimento di quegli interessi da preservare incondizionatamente.

Se si dovesse tradurre expressis verbis il contenuto del precitato articolo, sarebbe opportuno, in primo luogo, scorgere tra le sue righe il beneficio sia personale che sociale posto nelle mani di chi semplicemente “negozia”.

Da una parte, difatti, come sostiene gran parte della dottrina, al negoziante è fornita la libertà di scelta nell'impiego e nell'amministrazione dei propri beni e delle proprie risorse, latu sensu intese, dall'altra, è circostanza di tutta notorietà la produzione di quei privilegi sortiti da una politica di autonomia negoziale.

Ed invero, la libertà di scelta, ascritta in capo a ciascun soggetto, fa presumere che quella dal medesimo apprestata sia la scelta migliore rispetto alle proprie esigenze, aspettative e interessi; se cosi è, pertanto, ne deriverà un vantaggio non indifferente in termini di utilità economica e sociale; logico sillogismo finale sarà, dunque, il minor peso imposto ad un ordinamento normativo cui è demandato l’inderogabile obbligo di regolazione degli affari, compito questo che spesso sfugge agli ordinari meccanismi di gestione e controllo.

Se è di sviluppo della personalità umana e di utilità economica di cui stiamo disquisendo, è di tutta evidenza il richiamo implicito a quelle norme costituzionali, quali l’art. 2 e 41, cui il principio racchiuso nel 1322 c.c. strettamente si ricollega.

La prima, diretta e più semplice forma di estrinsecazione dell’autonomia negoziale ex articolo 1322 del Codice Civile è da rintracciarsi nella sfera contrattuale-patrimoniale.

Essa si manifesta nelle facoltà accordate ad ogni soggetto che qui di seguito si descrivono:

-porre in essere negozi che esulano dallo schema tipico prefissato, così come testualmente recita il comma 2 dell’articolo 1322 del Codice Civile e che, fatta esclusione per alcuni specifici ambiti ( quali quello in materia di famiglia e successioni) all'interno dei quali trova terreno fertile solo la tipicità, devono sempre rispondere a criteri di ragionevolezza e meritevolezza dell’interesse primario perseguito. Laddove allora sia assicurata la conformità al dettato legislativo, la giurisprudenza oggi ammette la proliferazione di tutte quelle tipologie contrattuali risultanti dalla mescolanza di diversi schemi negoziali o di tutti quelli che, pur non avendo riconoscimento normativo, sono di utilizzo oramai comune, in quanto imposti dalla prassi e dagli usi.

- scegliere l’an e il quomodo di compimento del negozio, autoregolamentando, dunque, l’alveo dei propri interessi, sempre che, epperò, non sussistano obblighi generali di contrarre cui non poter prescindere.

-determinare il contenuto del contratto, fatto salvo, ad ogni modo, quel meccanismo sanzionatorio e precettivo che integra lo schema e il suo contenuto con norme dotate d’imperatività e che sia in grado di eludere l’utilizzo di clausole contra-legem.

- decidere deliberatamente quale debba essere il contraente, con l’unica prescrizione che debba trattarsi di soggetto il cui operato sia rispondente ai precetti normativi.

Esaurita la descrizione delle forme di manifestazione del potere di autonomia privata sul versante dei rapporti patrimoniali, è ora possibile traslare l’intera tematica nell'ambito della sfera personale.

Il riconoscimento di un siffatto potere, che trova ragion d’essere, in questo ulteriore settore, in quella politica di rivisitazione in chiave moderna dell’art. 2 Costituzione, oramai considerato quasi come un contenitore “aperto” in cui far confluire quei diritti della personalità anche atipici, si scontra, però , con quelle logiche maggiormente restrittive e di supremazia gerarchica che governano, da sempre, una materia importante come quella dei diritti della personalità.

Sembrerebbe, in prima istanza, operare una contradictio terminis laddove, da una parte, il legislatore riconosce e garantisce, partendo dall'articolo 2 della Costituzione per poi migrare all'impianto codicistico, i diritti inviolabili dell’individuo, quali fonte inesauribile di manifestazione della personalità, come tali assoggettati a rigidi schemi protezionistici, volti a scongiurare la loro alienazione,trasmissibilità, rinunciabilità, prescrittibilità e atti dispositivi di qualsiasi genere su di essi compiuti e, dall'altra, mitiga, poi, dette logiche interdittive, per alcune e particolari tipologie di diritti.

Si pensi, a tal uopo, al preminente diritto alla salute, riconosciuto e garantito all’articolo 32 Costituzione e alla connessa e controversa disciplina della donazione degli organi o a quella dell’aborto, al diritto al nome e all'immagine e al suo assoggettamento a sempre e più frequenti campagne pubblicitarie o spendita di qualsivoglia tipo.

La Giurisprudenza e la dottrina, sul punto, registrano, pertanto, un’inversione di rotta.

Orbene, la vera indisponibilità di questi diritti sopraggiunge solo in presenza di norme che espressamente la prevedono e solo laddove, in difetto di una loro previsione, sarebbe, certamente, perpetrata la violazione di interessi ritenuti preminenti.

L’autonomia negoziale all’interno dei rapporti personali e patrimoniali, matrimoniali e non matrimoniali partendo da questo assunto che si è ritenuto doveroso vietare gli atti di disposizione del proprio corpo, laddove causa di una diminuzione permanente dell’integrità fisica e subordinare il trattamento dei dati personali, contestualmente al consenso dell’interessato e al controllo del Garante.

Al di fuori di tutti questi specifici casi, nell'ottica di quella destrutturazione dell’articolo 2 Cost., nell'ottica di un dinamismo nuovo connaturato ai diritti della persona, si assiste al riconoscimento di meccanismi di controllo, scambio e partecipazione nella sfera individuale che accompagnino e, a volte, trapassino quelli preesistenti di non ingerenza nella stessa.

L’operato riassetto è frutto e manifestazione di quel sempre principio di autonomia privata che, in siffatte ipotesi, preordina l’autodeterminazione a qualsiasi altro diritto.

Sulla scorta degli orientamenti in subiecta materia, si può senz'altro affermare come sia quello della famiglia l’ambito dei rapporti personali in cui maggiormente approda e si consolida questo principio di autonomia negoziale.

Il legislatore quasi rinuncia all'imposizione di quei modelli vincolanti, dettati dalle varie norme che di volta in volta disciplinano la nascita, il perdurare e la cessazione del rapporto matrimoniale, con il consequenziale riconoscimento, pertanto, di margini sempre maggiori di autonomia.

Il tendenziale assoggettamento della famiglia, fondata sul matrimonio, a meccanismi privatistici ha rappresentato una formidabile rivoluzione in un ambito in cui tutto era correlato al dato normativo e al regime pubblicistico.

Ad un’anacronistica concezione istituzionale della famiglia che limitava lo spazio d’intervento del privato nei rapporti familiari, si accompagna oggi un tendenziale ribaltamento.

E’ si indiscutibile la presenza di norme imperative che ritengono primaria la tutela della famiglia piuttosto che degli interessi individuali, ma ciò non esclude aprioristicamente il ricorso all'autonomia privata.

Una simile conclusione è oggi definita dai teorici del diritto come rispondente alla finalità di realizzazione di scelte e iniziative più consapevoli ed efficienti, in un settore che forse più di tutti gli altri merita attenzione.

Espressione più alta dell’autonomia privata sono innanzitutto le convenzioni matrimoniali. Norma di riferimento è l’articolo 210 del Codice Civile che, in regime di comunione, ammette la stipula di patti attraverso cui i coniugi possono in ogni tempo derogare al regime stabilito, pur sempre con le opportune limitazioni imposte dagli articolo 160, 161 e 162 del Codice Civile.

E a risentire degli effetti dell’autonomia privata familiare è anche il momento di eventuale crisi coniugale, che trova ragion d’essere anche in quelle valide pattuizioni non trasfuse in alcun verbale di separazione e divorzio e che ben si concilia con il soddisfacimento in tempi più brevi ed efficienti delle esigenze dei coniugi, anche con riferimento alle scelte prestate nei confronti dei figli e che però rimane sottoposto al rigido e costante controllo di legalità, volto a scongiurare la lesione di diritti quale quello di affidamento di terzi.

Sull'affermarsi dell’autonomia anche nel divorzio, si scorge la negazione in tal senso della giurisprudenza la quale, differentemente dalla dottrina, ritiene detti accordi leciti solo laddove intervenuti successivamente al divorzio; in difetto, se preventivi, sono ritenuti nulli perché limitano e circoscrivono la difesa del singolo nel successivo giudizio di divorzio.

Ma la famiglia va intesa nell’accezione lata del termine. Nel riassetto organizzativo e programmatico seguito alla riforma del diritto di famiglia, il binomio famiglia-contratto matrimoniale non sempre cammina di pari passo.

Ed ecco allora che trovano pieno riconoscimento anche quelle formazioni familiari che, sebbene non fondate sul matrimonio, costituiscono pur sempre luogo di sviluppo della personalità umana.

Detta conclusione è nuovamente frutto di quel revirement operato nella lettura costituzionalmente orientata del codice civile, fermo restando, ad ogni modo, il ruolo già assegnato, a tal fine, ad articoli codicistici quali il 261, il 147,148 e 317 bis, in unione con gli articoli 29, 30 e 3 della Costituzione, e a quella fondamentale sentenza della Corte Costituzionale del ’98, valido punto di svolta in una materia fino ad allora ancorata a resistenze moralistiche nonché a logiche conservatrici ed esclusiviste ( basti pensare, a tal fine, al termine oramai in disuso “concubinato”, con cui veniva qualificata la famiglia more uxorio).

È quell'imprescindibile concetto di responsabilità genitoriale, punto cardine da cui muove la decisione della Corte Costituzionale sopra citata, quel costituzionalmente garantito diritto e dovere di mantenimento, istruzione ed educazione della prole anche nata fuori dal matrimonio, quell'equiparazione di garanzie giuridiche e sociali tra figli nati fuori dal matrimonio e membri della famiglia legittima, quel diritto e dovere di rimozione di qualsivoglia impedimento che osti al pieno sviluppo della personalità e all'uguaglianza di tutti, ad aver dato forma e tutela alla famiglia di fatto, nuovo centro nevralgico di manifestazione dell’autonomia privata del singolo che sia esso padre, madre o figlio.

È muovendo da queste considerazioni che la produzione giurisprudenziale degli ultimi tempi tende a proteggere, maggiormente rispetto al passato, un ambito quale quello della famiglia di fatto la cui tutela normativa nell'impianto codicistico è, ben si sa, del tutto scarna e ad applicare alla stessa, seppur non nella loro totalità, norme riferite a quella legittima.

È su questo fronte che ci si domanda come possa dunque trovare avallo il principio di autonomia negoziale in un ambito come quello della famiglia di fatto.

Da una parte, dunque, l’esigenza di regolamentazione, dall’altra la tutela della libertà di scelta del “familiare”di esser o meno ancorato al vincolo contrattuale del matrimonio e la tutela della libertà di autodeterminazione nella gestione delle vicende all’interno della propria famiglia di fatto.

Quest’ultima altro non è che quel contratto non propriamente tipico di cui all’articolo 1322 comma 2 del Codice Civile, pur sempre meritevole di rilevanza giuridica se non contrastante con interessi preminenti.

Da ciò discende una serie di conseguenze sul piano dei rapporti personali tra conviventi.

In primis, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la scelta di porre in essere una semplice convivenza, avulsa da qualsiasi schema prefissato negoziale, risponda al desiderio personale di rimanere estranei ai vincoli imposti e derivanti dal matrimonio; ragion per cui, laddove la convivenza di cui trattasi dovesse cessare alcun effetto patrimoniale e/ o successorio deriverà ai conviventi, fatti salvi chiaramente tutti gli eventuali accordi pattizi tra i medesimi in tal senso intercorsi.

La giurisprudenza è oramai consolidata nell’inquadrare la famiglia di fatto nello schema delle obbligazioni naturali, come tali connaturate dalla spontaneità e dal dovere morale e sociale, tutto ciò contrariamente a quanto accadeva nella risalente giurisprudenza laddove si parlava dei comportamenti dei conviventi come facilmente ascrivibili al tipo della donazione. Una siffatta obbligazione non da diritto, ex art. 2034 c.c, alla ripetizione di quanto pagato nell’adempimento della stessa.

Se è la libertà di scelta di addivenire ad un simile schema atipico il principio di fondo della famiglia di fatto, derogatorio di quel concetto di famiglia fondata solo sul matrimonio, è di tutta evidenza l’assenza di coercibilità in simili rapporti. Il tutto è rimesso alla volontà individuale dei conviventi, sia in ordine al dovere di fedeltà, che agli obblighi di assistenza morale e di coabitazione, sia quando la convivenza sia in corso che quando sia cessata.

Per quanto, poi, attiene a quelli di assistenza materiale, anche e soprattutto nei confronti della prole, nella famiglia di fatto si può deliberatamente giungere ad accordi aventi natura regolamentare e patrimoniale in tal senso.

Ad ogni modo, è chiaro che, se è nuovamente l’articolo 1322 del Codice Civile ad ancorarsi anche alla famiglia di fatto, ne discende che i conviventi godono di ancora maggiore libertà, non essendo gli stessi assoggettati a quei limiti previsti dal legislatore in tema di rapporto coniugale.

Dal tracciato quadro, è lapalissiano come il principio contenuto nell’articolo 1322 del Codice Civile rivesta oramai un ruolo di primario ordine nei disparati ambiti della vita del singolo ma come epperò sia necessario ed imprescindibile quel pur sempre controllo affidato alla legge in grado di rimediare ad eventuali meccanismi di autoregolamentazione che travalichino i limiti dell’ordinaria liceità e che si scontrino con quelli di affidamento di interessi e diritti ben superiori.

Il principio di autonomia negoziale, prerogativa di tutti i sistemi giuridici a partire da quello romano, rinviene il suo fondamento normativo , nel nostro ordinamento, in quell'articolo 1322 del Codice Civile, ad oggi primaria e diretta manifestazione di un meccanismo di commistione tra esigenze di libertà individuale ed esigenze di utilità economica, tutte contemperate, chiaramente, dalle limitazioni imposte dalla legge, funzionali al soddisfacimento di quegli interessi da preservare incondizionatamente.

Se si dovesse tradurre expressis verbis il contenuto del precitato articolo, sarebbe opportuno, in primo luogo, scorgere tra le sue righe il beneficio sia personale che sociale posto nelle mani di chi semplicemente “negozia”.

Da una parte, difatti, come sostiene gran parte della dottrina, al negoziante è fornita la libertà di scelta nell'impiego e nell'amministrazione dei propri beni e delle proprie risorse, latu sensu intese, dall'altra, è circostanza di tutta notorietà la produzione di quei privilegi sortiti da una politica di autonomia negoziale.

Ed invero, la libertà di scelta, ascritta in capo a ciascun soggetto, fa presumere che quella dal medesimo apprestata sia la scelta migliore rispetto alle proprie esigenze, aspettative e interessi; se cosi è, pertanto, ne deriverà un vantaggio non indifferente in termini di utilità economica e sociale; logico sillogismo finale sarà, dunque, il minor peso imposto ad un ordinamento normativo cui è demandato l’inderogabile obbligo di regolazione degli affari, compito questo che spesso sfugge agli ordinari meccanismi di gestione e controllo.

Se è di sviluppo della personalità umana e di utilità economica di cui stiamo disquisendo, è di tutta evidenza il richiamo implicito a quelle norme costituzionali, quali l’art. 2 e 41, cui il principio racchiuso nel 1322 c.c. strettamente si ricollega.

La prima, diretta e più semplice forma di estrinsecazione dell’autonomia negoziale ex articolo 1322 del Codice Civile è da rintracciarsi nella sfera contrattuale-patrimoniale.

Essa si manifesta nelle facoltà accordate ad ogni soggetto che qui di seguito si descrivono:

-porre in essere negozi che esulano dallo schema tipico prefissato, così come testualmente recita il comma 2 dell’articolo 1322 del Codice Civile e che, fatta esclusione per alcuni specifici ambiti ( quali quello in materia di famiglia e successioni) all'interno dei quali trova terreno fertile solo la tipicità, devono sempre rispondere a criteri di ragionevolezza e meritevolezza dell’interesse primario perseguito. Laddove allora sia assicurata la conformità al dettato legislativo, la giurisprudenza oggi ammette la proliferazione di tutte quelle tipologie contrattuali risultanti dalla mescolanza di diversi schemi negoziali o di tutti quelli che, pur non avendo riconoscimento normativo, sono di utilizzo oramai comune, in quanto imposti dalla prassi e dagli usi.

- scegliere l’an e il quomodo di compimento del negozio, autoregolamentando, dunque, l’alveo dei propri interessi, sempre che, epperò, non sussistano obblighi generali di contrarre cui non poter prescindere.

-determinare il contenuto del contratto, fatto salvo, ad ogni modo, quel meccanismo sanzionatorio e precettivo che integra lo schema e il suo contenuto con norme dotate d’imperatività e che sia in grado di eludere l’utilizzo di clausole contra-legem.

- decidere deliberatamente quale debba essere il contraente, con l’unica prescrizione che debba trattarsi di soggetto il cui operato sia rispondente ai precetti normativi.

Esaurita la descrizione delle forme di manifestazione del potere di autonomia privata sul versante dei rapporti patrimoniali, è ora possibile traslare l’intera tematica nell'ambito della sfera personale.

Il riconoscimento di un siffatto potere, che trova ragion d’essere, in questo ulteriore settore, in quella politica di rivisitazione in chiave moderna dell’art. 2 Costituzione, oramai considerato quasi come un contenitore “aperto” in cui far confluire quei diritti della personalità anche atipici, si scontra, però , con quelle logiche maggiormente restrittive e di supremazia gerarchica che governano, da sempre, una materia importante come quella dei diritti della personalità.

Sembrerebbe, in prima istanza, operare una contradictio terminis laddove, da una parte, il legislatore riconosce e garantisce, partendo dall'articolo 2 della Costituzione per poi migrare all'impianto codicistico, i diritti inviolabili dell’individuo, quali fonte inesauribile di manifestazione della personalità, come tali assoggettati a rigidi schemi protezionistici, volti a scongiurare la loro alienazione,trasmissibilità, rinunciabilità, prescrittibilità e atti dispositivi di qualsiasi genere su di essi compiuti e, dall'altra, mitiga, poi, dette logiche interdittive, per alcune e particolari tipologie di diritti.

Si pensi, a tal uopo, al preminente diritto alla salute, riconosciuto e garantito all’articolo 32 Costituzione e alla connessa e controversa disciplina della donazione degli organi o a quella dell’aborto, al diritto al nome e all'immagine e al suo assoggettamento a sempre e più frequenti campagne pubblicitarie o spendita di qualsivoglia tipo.

La Giurisprudenza e la dottrina, sul punto, registrano, pertanto, un’inversione di rotta.

Orbene, la vera indisponibilità di questi diritti sopraggiunge solo in presenza di norme che espressamente la prevedono e solo laddove, in difetto di una loro previsione, sarebbe, certamente, perpetrata la violazione di interessi ritenuti preminenti.

L’autonomia negoziale all’interno dei rapporti personali e patrimoniali, matrimoniali e non matrimoniali partendo da questo assunto che si è ritenuto doveroso vietare gli atti di disposizione del proprio corpo, laddove causa di una diminuzione permanente dell’integrità fisica e subordinare il trattamento dei dati personali, contestualmente al consenso dell’interessato e al controllo del Garante.

Al di fuori di tutti questi specifici casi, nell'ottica di quella destrutturazione dell’articolo 2 Cost., nell'ottica di un dinamismo nuovo connaturato ai diritti della persona, si assiste al riconoscimento di meccanismi di controllo, scambio e partecipazione nella sfera individuale che accompagnino e, a volte, trapassino quelli preesistenti di non ingerenza nella stessa.

L’operato riassetto è frutto e manifestazione di quel sempre principio di autonomia privata che, in siffatte ipotesi, preordina l’autodeterminazione a qualsiasi altro diritto.

Sulla scorta degli orientamenti in subiecta materia, si può senz'altro affermare come sia quello della famiglia l’ambito dei rapporti personali in cui maggiormente approda e si consolida questo principio di autonomia negoziale.

Il legislatore quasi rinuncia all'imposizione di quei modelli vincolanti, dettati dalle varie norme che di volta in volta disciplinano la nascita, il perdurare e la cessazione del rapporto matrimoniale, con il consequenziale riconoscimento, pertanto, di margini sempre maggiori di autonomia.

Il tendenziale assoggettamento della famiglia, fondata sul matrimonio, a meccanismi privatistici ha rappresentato una formidabile rivoluzione in un ambito in cui tutto era correlato al dato normativo e al regime pubblicistico.

Ad un’anacronistica concezione istituzionale della famiglia che limitava lo spazio d’intervento del privato nei rapporti familiari, si accompagna oggi un tendenziale ribaltamento.

E’ si indiscutibile la presenza di norme imperative che ritengono primaria la tutela della famiglia piuttosto che degli interessi individuali, ma ciò non esclude aprioristicamente il ricorso all'autonomia privata.

Una simile conclusione è oggi definita dai teorici del diritto come rispondente alla finalità di realizzazione di scelte e iniziative più consapevoli ed efficienti, in un settore che forse più di tutti gli altri merita attenzione.

Espressione più alta dell’autonomia privata sono innanzitutto le convenzioni matrimoniali. Norma di riferimento è l’articolo 210 del Codice Civile che, in regime di comunione, ammette la stipula di patti attraverso cui i coniugi possono in ogni tempo derogare al regime stabilito, pur sempre con le opportune limitazioni imposte dagli articolo 160, 161 e 162 del Codice Civile.

E a risentire degli effetti dell’autonomia privata familiare è anche il momento di eventuale crisi coniugale, che trova ragion d’essere anche in quelle valide pattuizioni non trasfuse in alcun verbale di separazione e divorzio e che ben si concilia con il soddisfacimento in tempi più brevi ed efficienti delle esigenze dei coniugi, anche con riferimento alle scelte prestate nei confronti dei figli e che però rimane sottoposto al rigido e costante controllo di legalità, volto a scongiurare la lesione di diritti quale quello di affidamento di terzi.

Sull'affermarsi dell’autonomia anche nel divorzio, si scorge la negazione in tal senso della giurisprudenza la quale, differentemente dalla dottrina, ritiene detti accordi leciti solo laddove intervenuti successivamente al divorzio; in difetto, se preventivi, sono ritenuti nulli perché limitano e circoscrivono la difesa del singolo nel successivo giudizio di divorzio.

Ma la famiglia va intesa nell’accezione lata del termine. Nel riassetto organizzativo e programmatico seguito alla riforma del diritto di famiglia, il binomio famiglia-contratto matrimoniale non sempre cammina di pari passo.

Ed ecco allora che trovano pieno riconoscimento anche quelle formazioni familiari che, sebbene non fondate sul matrimonio, costituiscono pur sempre luogo di sviluppo della personalità umana.

Detta conclusione è nuovamente frutto di quel revirement operato nella lettura costituzionalmente orientata del codice civile, fermo restando, ad ogni modo, il ruolo già assegnato, a tal fine, ad articoli codicistici quali il 261, il 147,148 e 317 bis, in unione con gli articoli 29, 30 e 3 della Costituzione, e a quella fondamentale sentenza della Corte Costituzionale del ’98, valido punto di svolta in una materia fino ad allora ancorata a resistenze moralistiche nonché a logiche conservatrici ed esclusiviste ( basti pensare, a tal fine, al termine oramai in disuso “concubinato”, con cui veniva qualificata la famiglia more uxorio).

È quell'imprescindibile concetto di responsabilità genitoriale, punto cardine da cui muove la decisione della Corte Costituzionale sopra citata, quel costituzionalmente garantito diritto e dovere di mantenimento, istruzione ed educazione della prole anche nata fuori dal matrimonio, quell'equiparazione di garanzie giuridiche e sociali tra figli nati fuori dal matrimonio e membri della famiglia legittima, quel diritto e dovere di rimozione di qualsivoglia impedimento che osti al pieno sviluppo della personalità e all'uguaglianza di tutti, ad aver dato forma e tutela alla famiglia di fatto, nuovo centro nevralgico di manifestazione dell’autonomia privata del singolo che sia esso padre, madre o figlio.

È muovendo da queste considerazioni che la produzione giurisprudenziale degli ultimi tempi tende a proteggere, maggiormente rispetto al passato, un ambito quale quello della famiglia di fatto la cui tutela normativa nell'impianto codicistico è, ben si sa, del tutto scarna e ad applicare alla stessa, seppur non nella loro totalità, norme riferite a quella legittima.

È su questo fronte che ci si domanda come possa dunque trovare avallo il principio di autonomia negoziale in un ambito come quello della famiglia di fatto.

Da una parte, dunque, l’esigenza di regolamentazione, dall’altra la tutela della libertà di scelta del “familiare”di esser o meno ancorato al vincolo contrattuale del matrimonio e la tutela della libertà di autodeterminazione nella gestione delle vicende all’interno della propria famiglia di fatto.

Quest’ultima altro non è che quel contratto non propriamente tipico di cui all’articolo 1322 comma 2 del Codice Civile, pur sempre meritevole di rilevanza giuridica se non contrastante con interessi preminenti.

Da ciò discende una serie di conseguenze sul piano dei rapporti personali tra conviventi.

In primis, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la scelta di porre in essere una semplice convivenza, avulsa da qualsiasi schema prefissato negoziale, risponda al desiderio personale di rimanere estranei ai vincoli imposti e derivanti dal matrimonio; ragion per cui, laddove la convivenza di cui trattasi dovesse cessare alcun effetto patrimoniale e/ o successorio deriverà ai conviventi, fatti salvi chiaramente tutti gli eventuali accordi pattizi tra i medesimi in tal senso intercorsi.

La giurisprudenza è oramai consolidata nell’inquadrare la famiglia di fatto nello schema delle obbligazioni naturali, come tali connaturate dalla spontaneità e dal dovere morale e sociale, tutto ciò contrariamente a quanto accadeva nella risalente giurisprudenza laddove si parlava dei comportamenti dei conviventi come facilmente ascrivibili al tipo della donazione. Una siffatta obbligazione non da diritto, ex art. 2034 c.c, alla ripetizione di quanto pagato nell’adempimento della stessa.

Se è la libertà di scelta di addivenire ad un simile schema atipico il principio di fondo della famiglia di fatto, derogatorio di quel concetto di famiglia fondata solo sul matrimonio, è di tutta evidenza l’assenza di coercibilità in simili rapporti. Il tutto è rimesso alla volontà individuale dei conviventi, sia in ordine al dovere di fedeltà, che agli obblighi di assistenza morale e di coabitazione, sia quando la convivenza sia in corso che quando sia cessata.

Per quanto, poi, attiene a quelli di assistenza materiale, anche e soprattutto nei confronti della prole, nella famiglia di fatto si può deliberatamente giungere ad accordi aventi natura regolamentare e patrimoniale in tal senso.

Ad ogni modo, è chiaro che, se è nuovamente l’articolo 1322 del Codice Civile ad ancorarsi anche alla famiglia di fatto, ne discende che i conviventi godono di ancora maggiore libertà, non essendo gli stessi assoggettati a quei limiti previsti dal legislatore in tema di rapporto coniugale.

Dal tracciato quadro, è lapalissiano come il principio contenuto nell’articolo 1322 del Codice Civile rivesta oramai un ruolo di primario ordine nei disparati ambiti della vita del singolo ma come epperò sia necessario ed imprescindibile quel pur sempre controllo affidato alla legge in grado di rimediare ad eventuali meccanismi di autoregolamentazione che travalichino i limiti dell’ordinaria liceità e che si scontrino con quelli di affidamento di interessi e diritti ben superiori.