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Le questioni di giurisdizione nelle azioni risarcitorie contro la pubblica amministrazione

Note introduttive

Ritengo utile, al fine di una più chiara trattazione del tema affidatomi, pervenire all’esame della situazione attuale – vigente il Nuovo Codice del Processo Amministrativo nel testo modificato dai due correttivi entrati in vigore con i decreti legislativi n.  195 del 2011 e n. 160 del 2012– dopo avere tracciato un rapido – ma spero non troppo incompleto – excursus storico – normativo sulle questioni di giurisdizione relative ad azioni risarcitorie promosse dai privati nei confronti della pubblica amministrazione, cercando di tenere presente, lungo tutto il percorso argomentativo, quali necessari e fondanti elementi di riferimento e collegamento in subiecta materia, sia la sussistenza ab origine del c.d. dogma della irrisarcibilità delle lesioni di posizioni di interesse legittimo ed il lento e faticoso cammino per superare tale imponente ostacolo che si frapponeva alla concreta effettività della tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo, sia, soprattutto le rilevanti modifiche legislative intervenute tra il 1998 e il 2000, nonché le fondamentali sentenze: n. 500 del 1999 della Corte di Cassazione SS.UU. con cui è stata “costruita” – in tutte le sue componenti: oggettiva, soggettiva ed eziologica - l’azione risarcitoria conseguente a lesione dell’interesse legittimo, nonché le sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006 della Corte Costituzionale – concernenti il giudizio di illegittimità costituzionale dell’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di interi blocchi di materie e il ritorno al criterio basato sull’intreccio delle posizioni soggettive alla luce dell’esistenza o meno, nella fattispecie, dell’esercizio o del mancato esercizio di pubblici poteri da parte della P.A..di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Elementi, questi, che, a mio avviso, tanto hanno rilevato per giungere all’attuale stato dell’arte  in tema di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo relativamente ad azioni risarcitorie avverso le attività comportanti esercizio o mancato esercizio di pubblici poteri da parte della P.A.

Gli anni precedenti l’entrata in vigore della L. n. 134 del 1992

Fino agli inizi degli anni 90 dominava la scena il dogma della irrisarcibilità delle lesioni delle posizioni di interesse legittimo, che era fondata, oltre che sulla Legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865 e sulla legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (attributiva di tutela giurisdizionale alla lesione di posizioni di interesse legittimo), soprattutto  sulla tradizionale lettura dell’art. 2043 codice civile, disciplinante l’azione risarcitoria da fatto illecito. L’obbligo del risarcimento del danno ivi previsto era pacificamente qualificato alla stregua di norma secondaria, costituente la sanzione per la violazione di una norma primaria, posta a protezione di un diritto soggettivo assoluto. Da qui la risarcibilità nei confronti di una P.A. delle sole attività paritetiche e dei soli comportamenti materiali – vere proprie vie di fatto - da questa posti in essere, con azioni risarcitorie da presentare ovviamente davanti al giudice ordinario, quale unico giudice del diritto soggettivo e, quindi, del risarcimento del danno. Ciò ha comportato l’esclusione di qualsiasi azione risarcitoria  del privato nei confronti di una P.A. relativamente alla sua istituzionale  attività provvedimentale.

La breccia nel muro dell’irrisarcibilità della lesione dell’interesse legittimo operata dall’entrata in vigore dell’art. 13 della L. n. 142 del 1992

Tale disposizione, contenuta nella c.d. “legge comunitaria” del 1992, era diretta ad introdurre nell’ordinamento italiano, in applicazione di quanto imposto con direttiva del Consiglio n. 89/665/CEE, e seppure unicamente in  materia di appalti di lavori pubblici e forniture di rilievo comunitario, la tutela risarcitoria in favore di soggetti che avessero subito lesioni derivanti da atti delle amministrazioni aggiudicatrici adottati in violazione di norme comunitarie, o norme interne di recepimento. Ovviamente, essendo questo l’ambito applicativo della norma, ne derivava anche l’introduzione della possibilità di azioni risarcitorie da parte di soggetti, quali le imprese partecipanti a una gara pubblica per ottenere l’aggiudicazione di appalti pubblici, che avessero lamentato la lesione del loro interesse legittimo alla partecipazione o all’aggiudicazione della gara causata da attività procedimentale e provvedimentale dell’amministrazione appaltante. La forte portata innovativa della norma  consisteva soprattutto nell’avere dato per la prima volta tutela risarcitoria (oltre che l’ordinaria tutela impugnatoria) a situazioni in cui era leso un interesse legittimo di tipo pretensivo. In punto di giurisdizione, però, non vi era questione alcuna riguardo al giudice del risarcimento, che era, ovviamente, il giudice ordinario, previo giudizio impugnatorio degli atti lesivi dinanzi al giudice amministrativo, secondo quanto disponeva l’art. 13, secondo comma, della legge.

La rivoluzione del sistema: gli artt. 33, 34 e 35 del D. Lgs. n. 80 del 1998

E’ solo quasi alla fine degli anni novanta che il legislatore, con l’art. 35 del D. Lgs. n. 80 del 1998, affida alla cognizione del giudice amministrativo le eventuali azioni di risarcimento del danno connesse a cause rientranti nelle particolari materie attribuite alla sua giurisdizione esclusiva dagli artt. 33 e 34 e queste materie, oltre ai procedimenti di gara ad evidenza pubblica, sono i servizi pubblici, l’edilizia e urbanistica in senso lato, (comprensiva anche di ogni uso del territorio, ivi inclusi, pertanto, anche i procedimenti e i comportamenti espropriativi). Con il decreto n. 80 del 1998, viene introdotto un nuovo criterio di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il tradizionale criterio di riparto di giurisdizione imperniato sulla effettiva “causa petendi ” della controversia e, pertanto, sulla oggettiva qualificazione della posizione giuridica fatta valere in giudizio: se era di interesse legittimo la causa rientrava nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo se di diritto soggettivo la causa doveva essere decisa dal giudice ordinario. Discendeva da tale criterio,  che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo potesse includere  solo quelle controversie in materie nelle quali vi era un complesso intreccio tra posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, cosicché il legislatore aveva valutato l’opportunità – al fine di rendere effettiva e celere la tutela giurisdizionale e anche al fine di evitare possibili contrasti tra decisioni – di attribuirne la cognizione in via esclusiva ad un unico giudice. Il decreto legislativo n. 80 del 1998 come si è anticipato, sovverte tale criterio, includendo nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie concernenti interi blocchi di materie, la cui individuazione è stabilita dal legislatore, unicamente sul presupposto della sua discrezionalità legislativa. Tale dirompente innovazione aveva l’evidente e condivisibile scopo, mediante l’allargamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - di accordare tutela risarcitoria oltre che impugnatoria al privato leso da un’attività provvedimentale o anche da meri comportamenti posti in essere da una P.A. relativamente a settori centrali e di grande rilievo del diritto amministrativo quali certamente sono da annoverare, oltre ai procedimenti ad evidenza pubblica, i pubblici servizi, l’edilizia e l’urbanistica  ivi compresi tutti gli aspetti relativi alla gestione del territorio (procedimenti ablativi). Oltre a ciò, l’innovazione più importante é l’attribuzione allo stesso giudice amministrativo la cognizione dell’azione risarcitoria connessa a controversie vertenti in tali materie, con conseguente  superamento o per meglio dire “aggiramento” (attraverso un nuovo concetto di giurisdizione esclusiva) del dogma dell’irrisarcibilità della lesione dell’interesse legittimo.

Entra in scena la Cassazione SS.UU. civili : la sentenza n. 500 del 1999 tra riappropriazione della tutela risarcitoria da parte del Giudice ordinario e il definitivo superamento del dogma della irrisarcibilità della lesione dell’interesse legittimo

Nel frattempo, la Corte di Cassazione SS.UU. con la famosa sentenza n. 500 del 1999 – in tempestiva risposta  alle innovazioni introdotte dal D. Lgs. n. 80 del 1998, e nell’evidente opposto tentativo di riassorbire gran parte della tutela risarcitoria che il decreto n. 80 aveva attribuito al giudice amministrativo in settori di primaria importanza del diritto amministrativo - riusciva a “superare” in altro modo l’ormai anacronistico ed obsoleto dogma della irrisarcibilità della lesione di interessi legittimi causata da attività provvedimentale della P.A., mediante una lettura dell’art. 2043 del codice civile imperniata non più sul risarcimento quale sanzione per l’avvenuta violazione  di una norma primaria posta a protezione di una posizione di diritto soggettivo, ma ponendo quale fulcro dell’interpretazione della norma il danno stesso, che è ingiusto e, pertanto, risarcibile, quando esso opera “non iure”, vale a dire quando lede ingiustificatamente un interesse ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Attraverso tale nuovo angolo di visuale dell’art. 2043 cod. civ. è ben possibile, pertanto, che a causare un “danno ingiusto” meritevole di risarcimento sia una lesione derivante da attività provvedi mentale della P.A. nell’espletamento dei propri poteri pubblicistici, con conseguente irrilevanza della posizione soggettiva lesa al fine di determinarne o meno la possibilità di risarcimento. Ciò non toglie, secondo l’ulteriore ragionamento delle Sezioni unite, che, al diverso fine del riparto di giurisdizione, le azioni risarcitorie nei confronti della P.A. debbano essere decise dal giudice ordinario, in quanto giudice dei diritti, essendo di diritto soggettivo la posizione di colui che agisce per essere risarcito dalla lesione subita ad opera di attività provvedi mentale della P.A.

La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 33, 34 e 35 del D. Lgs. per eccesso di delega; il legislatore reintroduce le stesse norme nel corpo della L. n. 205 del 2000. La disciplina della tutela risarcitoria nei confronti di attività provvedi mentale della P.A. come risultante dall’art. 7 della stessa legge

Con sentenza n. 292 del 17/7/2000, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali i predetti art. 33, 34 e 35 del D. Lgs. n. 80 del 1990, in quanto il mutamento del criterio di riparto di giurisdizione non era tra gli argomenti previsti dalla legge delega. Nel 2000 il Legislatore interviene nuovamente,  eliminando il problema della delega mediante riproposizione degli stessi art. 33, 34 e 35 del Decreto nel testo di una legge ordinaria: l’art. 7, comma 1, della L. n. 205 del 2000, confermando così “la rivoluzione” posta in essere in punto di materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e di risarcibilità (in dette materie) della lesione di interessi legittimi. Tuttavia, la parte più dirompente della nuova normativa è contenuta nel successivo comma 4 dello stesso art. 7 della legge n. 205 del 2000 che sostituisce il primo periodo del terzo comma dell’art. 7 della L. n. 1034 del 1971 (istitutiva dei T.A.R.) con il seguente testo: “Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”. Tale norma è stata interpretata – fin dalla sua entrata in vigore - sia dalla giurisprudenza sia dalla prevalente dottrina, nel senso che il giudice amministrativo è in via generale il giudice delle azioni risarcitorie intentate avverso l’attività provvedimentale della P.A.; egli è, inoltre, il giudice che decide le controversie risarcitorie generate da controversie azionate dinanzi al medesimo nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva dagli artt. 33 e 34 del D. Lgs. n. 80 del 1998 come riproposti nell’art. 7, comma 1, della L. n. 205 del 2000.

La posizione della Corte Costituzionale sul riparto di giurisdizione e in particolare sui criteri di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A.

Con la fondamentale sentenza n. 204 del 2004 (poi ribadita, riguardo ai meri comportamenti espropriativi posti in essere dalla P.A. con la sentenza n. 191 del 2006), la Corte Costituzionale interviene in modo deciso sul riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, soprattutto in funzione di indicare i criteri di attribuzione al primo delle controversie rientranti nella sua giurisdizione esclusiva. La Consulta, oltre a ribadire il concetto che il risarcimento del danno non è una nuova materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma un’ulteriore strumento, oltre all’ordinaria azione impugnatoria, per rendere completa ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti dell’attività dalla P.A. direttamente connessa con l’esercizio di pubblici poteri, dichiara incostituzionali gli artt. 33, commi 1 e 2 e 34, comma 1 del d.lgs. n. 80 del 1998 nel testo reintrodotto nell’art. 7 della L. n. 205 del 2000 per contrasto con gli artt. 24 e 103  della Carta Costituzionale, nelle parti in cui dette norme attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o le controversie in materia di pubblici servizi, nella quale non è dato rinvenire intreccio alcuno tra posizioni di diritto soggettivo e interesse legittimo (sent. n. 204 del 2004) o controversie che, pur rientranti in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche secondo i previgenti criteri di riparto (procedimenti e comportamenti espropriativi), hanno quale specifico oggetto i c.d. “meri comportamenti” (tipo: quelli consistenti nella c.d. espropriazione usurpativa) che non risultano collegati, nemmeno in via  mediata, con l’esercizio del potere pubblico (sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006). La Consulta, ha dichiarato costituzionalmente illegittima, in ultima analisi, l’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di cause mediante il criterio imperniato sui c.d. “blocchi di materie”, essendo tale attribuzione consentita dalla Carta Costituzionale solo relativamente a quelle materie nelle quali fosse presente tale intreccio di posizioni soggettive ed alle relative controversie nelle quali si facesse questione di esercizio o di mancato esercizio di poteri da parte di una P.A.. Le suddette considerazioni sull’azione risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, nonché il ritorno al tradizionale criterio di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A., fondato sull’esistenza di intreccio tra posizioni soggettive e, infine, una più approfondita definizione e qualificazione dei comportamenti (anche omissivi) della P.A. da correlarsi all’esercizio o al mancato esercizio di pubblici poteri, costituiranno le basi fondanti della nuova disciplina sulla giurisdizione introdotta con il Codice del processo amministrativo.

Azione risarcitoria nei confronti della P.A. e riparto di giurisdizione nel Codice del Processo Amministrativo

Le suddette considerazioni sull’azione risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, nonché il ritorno al tradizionale criterio di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A., fondato sull’esistenza di intreccio tra posizioni soggettive e, infine, una più approfondita definizione e qualificazione dei comportamenti (anche omissivi) della P.A. correlati all’esercizio o al mancato esercizio di pubblici poteri, costituiscono le basi fondanti della nuova disciplina sulla giurisdizione introdotta con il Codice del processo amministrativo. Il Codice, all’art. 7 (norma mantenuta nel suo testo originale anche a seguito dell’entrata in vigore dei primi due correttivi al codice: d. lgs. n. 195 del 2011 e d. lgs. n. 160 del 2012), è chiaro nell’individuare quali siano le controversie devolute al giudice amministrativo in materia di azioni risarcitorie intentate nei confronti di una pubblica amministrazione. Il comma 4 della disposizione prevede, infatti, che “sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma”. A sua volta, il comma 5 dispone che ”Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’art. 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi”. Pertanto, il giudice amministrativo ha cognizione delle azioni risarcitorie nei confronti della P.A. relative a controversie, come chiarisce il comma 1 dello stesso art. 7 nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi “concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni.”. Il criterio di riparto fondamentale affinché una causa contenente un’azione risarcitoria sia devoluta al giudice amministrativo è che essa concerna una controversia in cui vi sia esercizio (o mancato esercizio) da parte di un’ amministrazione di pubblici poteri. Rientra sempre nella cognizione del giudice amministrativo anche l’azione risarcitoria correlata a causa rientrante nella sua giurisdizione esclusiva e, quindi, relativa a controversia nella quale possano essere in contestazione anche posizioni di diritto soggettivo e non solo di interesse legittimo, purché siano ugualmente connesse con l’esercizio del potere, così come vi rientrano quelle controversie risarcitorie nelle quali l’esercizio di pubblici poteri sia espletato (in via mediata) mediante l’utilizzo di strumenti di diritto privato quali accordi e/o convenzioni o altre forme negoziali. Per quanto concerne i comportamenti (commissivi od omissivi che siano) il suddetto criterio non muta e, pertanto, sarà devoluta al giudice amministrativo l’azione risarcitoria intentata nei confronti di una pubblica amministrazione inerente causa in cui il comportamento (contestato) della P.A. sia in concreto riconducibile al seppure illegittimo esercizio (o mancato esercizio) di un pubblico potere, con esclusione quindi dei “meri comportamenti”. Pertanto, anche in relazione alla riferita disciplina codicistica della tutela risarcitoria nei confronti della P.A., va condivisa l’opinione di parte rilevante della dottrina che indica il Codice del Processo Amministrativo quale sede “del conclamato passaggio tra una concezione del giudizio come giudizio sull’atto, alla concezione del giudizio stesso quale giudizio sul rapporto”.

Mi riallaccio ora, al fine di introdurre  la questione di riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario che intendo approfondire, a due significativi passaggi delle esaustive e condivisibili considerazioni svolte dal Presidente dott. Giancarlo Coraggio e dal Prof. Luciano Vandelli nei loro pregevoli interventi introduttivi. Il Presidente ha sottolineato il sostanziale evidente fallimento del criterio di riparto della “causa petendi” che è dimostrato dal fatto che ancora oggi, dopo più di un secolo dall’entrata in campo della tutela giurisdizionale da parte del giudice amministrativo con l’insediamento della quarta sezione (giurisdizionale) del Consiglio di Stato, questo criterio non permette al cittadino di avere ancora la certezza di presentare l’atto introduttivo di un giudizio dinanzi al giudice avente giurisdizione in riferimento alla causa intentata. Tale fatto è incontestabile e solo in parte esso può essere attribuito alla da più parti affermata “non  terzietà” del giudice della giurisdizione. Ritengo però che la soluzione del problema non possa essere cercata  in altro criterio – visto anche l’esito contra constitutionem che ha avuto l’introduzione nell’ordinamento, dal 1998 al 2004, del criterio di riparto imperniato sull’allargamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo mediante attribuzione alla stessa di interi blocchi di materie – ma, e qui mi ricollego alle considerazioni svolte del prof. Vandelli che pienamente condivido, in un adeguamento e perfezionamento del criterio vigente, proprio attraverso una sua rivisitazione, alla luce del passaggio tra giudizio sull’atto e giudizio sul rapporto, che necessariamente debba essere più solidamente fondata sulla verifica circa la sussistenza o meno, nella controversia, dell’esercizio o del mancato esercizio, da parte di una pubblica amministrazione, del potere attribuitole dalla legge.

Una nuova questione di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario aperta dalle SS.UU. della Corte di Cassazione: l’azione risarcitoria nel caso di annullamento di provvedimento illegittimo favorevole

Dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo e, quindi, successivamente all’assetto dato dalla nuova normativa codicistica al riparto di giurisdizione in materia di azioni risarcitorie intentate nei confronti della pubblica amministrazione, un nuovo esteso fronte sul riparto di giurisdizione in detta materia è stato aperto dal giudice della giurisdizione con tre ordinanze gemelle rese dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in data 23/3/2011, tutte e tre in sede di Regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c.. Le ordinanze n. 6594 e n. 6595 hanno entrambe ad oggetto un’azione risarcitoria in materia di annullamento di concessione edilizia, in un caso mediante provvedimento di ritiro in autotutela da parte del Comune e nell’altro mediante annullamento giurisdizionale ad opera del giudice amministrativo). Nella causa relativa alla seconda ordinanza vi è inoltre un antefatto, costituito da un “certificato di destinazione urbanistica” che ha indotto un soggetto ad acquistare un fondo e poi a chiedere il relativo titolo edilizio. L’ordinanza n. 6956 verte, invece, su azione risarcitoria proposta dall’aggiudicataria di una gara pubblica contro l’amministrazione comunale banditrice per rivalersi del danno procuratole dal successivo legittimo annullamento (sempre in sede giurisdizionale) del provvedimento di aggiudicazione. Tutte le ordinanze hanno pertanto quale oggetto azioni risarcitorie nei confronti di una pubblica amministrazione, intentate dal soggetto che aveva da questa ottenuto un provvedimento favorevole, con conseguente piena soddisfazione dell’interesse legittimo pretensivo sotteso alla domanda o di concessione edilizia o di partecipazione alla gara pubblica alla quale aveva chiesto e ottenuto di partecipare) che però sono stati successivamente caducati o in autotutela ad opera della stessa amministrazione o dal giudice amministrativo a seguito di accoglimento del ricorso presentato da terzi interessati all’impugnazione di detto provvedimento ampliativo rivelatosi illegittimo. Secondo le Sezioni Unite, in questi casi, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sussisterebbe solo se il ricorrente si dolesse dell’illegittimità di qualche atto della procedura: ad esempio, nell’ipotesi in cui si ritenesse illegittimo il provvedimento di annullamento in autotutela adottato dalla stessa P.A. e contestualmente o successivamente, lo stesso ricorrente chiedesse il risarcimento dei danni da esso derivanti. In tal caso – sostiene la Cassazione - l’azione risarcitoria assolverebbe appieno – secondo il principio enucleabile dalle stesse sentenze della Corte Costituzionale n. 204 e n. 281 del 2004 -  la finalità di strumento processuale “ulteriore e di completamento” del classico rimedio demolitorio, con conseguente ragionevolezza della concentrazione di entrambe le azioni dinanzi ad un unico giudice: nella specie il giudice amministrativo. La Cassazione, a supporto di tale esiziale conclusione comportante l’esclusione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in questo tipo di controversie, afferma che il legislatore abbia inteso realizzare l’unificazione della tutela avanti il giudice amministrativo, concentrando dinanzi allo stesso giudice sia i poteri di annullamento dell’atto illegittimo che la tutela risarcitoria consequenziale alla pronuncia di illegittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre. Ne deriva che l’attuazione della tutela risarcitoria nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo può verificarsi esclusivamente qualora il danno patito dal soggetto che ha proceduto all’impugnazione dell’atto sia conseguenza immediata e diretta -ex art. 1223 cod. civ.- dell’illegittimità dell’atto impugnato. Pertanto, qualora – come nei casi in esame – si tratti di atto o provvedimento rispetto al quale l’interesse tutelabile è quello pretensivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo , perché vittima di danno ricollegabile con nesso di causalità immediato e diretto al provvedimento impugnato, è colui che si è visto, a seguito di fondata richiesta, ingiustamente negare o adottare con ritardo il provvedimento richiesto. Nel caso, invece, di provvedimento amministrativo lesivo di interesse legittimo di tipo oppositivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria è esclusivamente quello che è portatore dell’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio acquisita (riguardo a una delle fattispecie esaminate tale provvedimento potrebbe essere, appunto, quello di annullamento in autotutela della concessione edilizia). In conclusione, ritiene la Cassazione che solo in questi casi la tutela risarcitoria assolve le finalità di completamento della tutela impugnatoria e solo questa ricorrenza giustifica la concentrazione delle azioni dinanzi al giudice amministrativo. Nelle controversie esaminate con le suddette ordinanze, invece, tali presupposti non sussistono, cosicché il proprietario del fondo non potrà chiedere né la tutela demolitoria di qualche atto, né la tutela risarcitoria che a quel tipo di tutela è collegata con funzione di completarla. Eliminata in tal modo, la possibilità di un’azione risarcitoria da presentare alla cognizione del giudice amministrativo, il ragionamento della Cassazione prosegue tracciando un nuovo obbligato percorso risarcitorio che l’interessato (id est: il soggetto destinatario del provvedimento ampliativo poi legittimamente caducato), deve necessariamente percorrere al fine di vedere presa in considerazione ed eventualmente soddisfatta la propria pretesa risarcitoria. Secondo la Cassazione egli deve infatti fondare la propria azione risarcitoria esclusivamente su una diversa situazione (qualificata espressamente quale diritto soggettivo) che si ritiene lesa a causa di una condotta scorretta della P.A. e che consiste “nell’emissione di atti favorevoli, poi ritirati in autotutela (o annullati dal giudice amministrativo), atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare”. Prosegue la Cassazione affermando che “In mancanza di un atto impugnabile il proprietario o il titolare di altro diritto che lo abiliti a costruire sul fondo (o l’originario aggiudicatario della gara pubblica) hanno la esclusiva possibilità di invocare un’unica tutela (che non essendo collegata alla impugnabilità di un atto non può essere attratta nell’ambito di applicazione della giurisdizione esclusiva, atteso che…..la autonoma tutela risarcitoria non costituisce una ulteriore ipotesi di giurisdizione esclusiva): quella risarcitoria fondata sull’affidamento; viene in considerazione un danno che oggettivamente prescinde da valutazioni sull’esercizio del potere pubblico, fondandosi su doveri di comportamento il cui contenuto certamente non dipende dalla natura privatistica o pubblicistica del soggetto che ne è responsabile, atteso che anche la pubblica amministrazione, come qualsiasi privato, è tenuta a rispettare “…principi generali di comportamento, quali la perizia, la prudenza la diligenza, la correttezza”. A conclusione di tale elaborato percorso argomentativo e coerentemente con siffatte premesse- le Sezioni Unite individuano nel giudice ordinario il plesso giurisdizionale al quale attribuire  tali controversie, trattandosi di risarcimento del danno derivante da fatto illecito che lede diritti soggettivi. Il principio sotteso alle suddette ordinanze è, in definitiva, che, nelle cause risarcitorie esaminate, l’unica tutela accordabile mediante lo strumento risarcitorio, al ricorrente che – senza sua colpa – ha confidato nella legittimità (successivamente venuta meno) della condotta della pubblica amministrazione, è quella da proporre dinanzi al giudice ordinario, ponendo a base della domanda il mancato rispetto, da parte della P.A., con il suo comportamento, del principio del neminem laedere. Ritiene la Cassazione che sussista una responsabilità aquiliana ex art. 2043 del codice civile, dal momento che, in riferimento al ricorrente (o meglio all’attore), il provvedimento amministrativo ampliativo, poi giustamente annullato perché illegittimo “rileva…esclusivamente quale mero comportamento degli organi che hanno provveduto al suo rilascio, integrando così, ex art. 2043 c.c. gli estremi di un atto illecito per violazione del principio del neminem laedere …”per avere tale atto, con la sua apparente legittimità, ingenerato, nel destinatario, l’incolpevole convincimento sull’affidamento in ordine alla legittimità dell’atto amministrativo e, quindi, sulla correttezza dell’azione amministrativa, di potere legittimamente procedere sulla base di tale provvedimento ampliativo. A supporto della posizione assunta dalle Sezioni Unite è prontamente intervenuto l’Ufficio del Massimario e del Ruolo della stessa Corte di Cassazione. La relazione del Direttore dell’Ufficio n. 45 del 17/5/2011 resa in sede di “soluzione di questione di particolare importanza”, puntualizza, infatti, in riferimento alle predette ordinanze che “la giurisdizione amministrativa in tanto può sussistere in quanto nella singola controversia sia concretamente contestata la illegittimità di un potere che deve essere comunque riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere quale atto o provvedimento. Del resto, prosegue la Relazione “…che il fondamento della giurisdizione amministrativa sia il controllo della illegittimità dell’esercizio del potere è confermato dalla centralità che nel cod. proc. amm. assume l’azione di annullamento (art. 29) alla quale l’azione di condanna (art. 30) resta sostanzialmente subordinata con funzione accessoria e, appunto, di completamento della tutela.”. Nella Relazione si sostiene, inoltre, che volendo interpretare, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata l’art. 30, comma 6 del c.p.a., secondo cui: “Di ogni domanda di condanna al risarcimento dei danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo”, i soli diritti soggettivi che possono essere conosciuti dal G.A. in sede di giurisdizione esclusiva, sono pur sempre quelli concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, come specificato dall’art. 7, comma 1 del Codice, con la conseguenza che sono attribuite alla cognizione del giudice amministrativo le sole azioni risarcitorie collegate all’esercizio o al mancato esercizio del potere, con esclusione, quindi, di quelle nelle quali, come nelle controversie decise con le tre ordinanze in esame, la richiesta tutela risarcitoria non sia in alcun modo collegata alla verifica della legittimità o meno dell’uso o del mancato uso del potere da parte di una p.a.. Diversamente opinando, conclude la Relazione, la norma di cui all’art. 30, comma 6, del Codice del Processo Amministrativo difficilmente potrebbe sottrarsi a giudizio di incostituzionalità per eccesso di delega, non essendo contemplata, nella legge delega sul riassetto del processo amministrativo n. 69 del 2009, alcuna novità o comunque modificazione da introdurre con il Codice del Processo Amministrativo, rispetto al precedente assetto della giurisdizione del giudice amministrativo.

La relazione pertanto condivide appieno la tesi delle Sezioni Unite secondo la quale “la giurisdizione del G.A. sussiste nelle controversie in cui il privato contestando in concreto e direttamente la illegittimità del provvedimento, miri effettivamente a orientare o indirizzare l’esercizio del potere pubblico in una certa direzione: solo in tale ambito il giudice amministrativo può disporre il risarcimento del danno come ulteriore forma di tutela e ciò anche autonomamente – come prevede l’art. 30 c.p.a. - rispetto all’azione impugnatoria”. In dottrina si è sostenuto che le ordinanze delle Sezioni Unite, pur se condivisibili nelle parti in cui più volte ribadiscono che l’azione risarcitoria non è una nuova materia di giurisdizione esclusiva affidata giudice amministrativo, costituendo essa uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto all’azione impugnatoria, con concentrazione, quindi, della cognizione di entrambe ad un unico giudice, di contro non sarebbero assolutamente persuasive nelle conclusioni che da tali argomentazioni le Sezioni Unite traggono con l’attribuzione di tali controversie al giudice ordinario.

A) - Si è rilevato, da parte di un autore, che dette conclusioni risultano incompatibili con l’assetto normativo della giurisdizione sul risarcimento del danno nei confronti della P.A. delineato nel Codice del Processo Amministrativo. Si è infatti osservato che il criterio di riparto di giurisdizione delineato nel Codice é incentrato – anche ovviamente per quanto riguarda l’azione di risarcimento del danno, quale strumento di tutela ulteriore e di completamento per il cittadino nei confronti di una P.A. – sulla distinzione tra attività della P.A. (compresi i comportamenti) che sono espressione di una potestà pubblicistica (ripartite nelle sottocategorie del cattivo uso e del non uso del potere in concreto attribuito alla P.A.) ed attività privatistica e meri comportamenti da questa posta in essere : vale a dire comportamenti privi, cioè, di qualsiasi profilo di pubblicità e perciò soggetti alla ordinaria disciplina privatistica del codice civile. Conseguentemente l’applicazione di tali criteri di riparto alle fattispecie sopra esaminate avrebbe dovuto condurre la Cassazione ad attribuire le relative controversie  alla cognizione del giudice amministrativo, non essendo oggettivamente discutibile che il comportamento della P.A. che la Cassazione ritiene oggetto di azione risarcitoria esclusivamente nell’ottica della violazione del neminem laedere per l’affidamento ingenerato nel privato in ordine alla legittimità dell’atto ampliativo poi caducato, in realtà trae origine proprio dal cattivo uso del potere da parte dell’amministrazione, determinato dall’adozione di un provvedimento favorevole nei confronti del privato titolare di un interesse legittimo di tipo pretensivo, mentre se di tale potere l’amministrazione avesse fatto un uso corretto, essa avrebbe dovuto, nei primi due casi respingere l’istanza di concessione edilizia e nel terzo, escludere la concorrente dalla gara pubblica e non adottare il provvedimento di aggiudicazione in suo favore.

B) Altra autorevole dottrina non ha condiviso già il primo dei due passaggi logici tracciati  dalla Cassazione nelle esaminate ordinanze, in particolare ove afferma che – nei casi in esame –  1) non sussiste una posizione di interesse legittimo in capo al beneficiario di un provvedimento ampliativo poi caducato legittimamente; 2) unica strada risarcitoria percorribile da tale soggetto è quella dell’azione dinanzi al giudice ordinario per l’incolpevole affidamento del medesimo nella legittimità del provvedimento a lui favorevole adottato dalla P.A..

A giudizio dell’autore, infatti, se vale la tesi classica che afferma che l’interesse legittimo è una posizione giuridica tipicamente “relazionale” che esprime il rapporto fra il cittadino e l’amministrazione nell’esercizio di un potere, la lesione di un interesse legittimo si configura non solo quando l’amministrazione neghi illegittimamente un provvedimento favorevole, ma anche quando rilasci illegittimamente al cittadino un provvedimento favorevole. Di conseguenza – continua l’Autore – “L’interesse legittimo… può essere  leso anche da un provvedimento favorevole; la circostanza che un provvedimento favorevole normalmente non arrechi di per sé un danno è profilo che attiene alla tematica del danno, ma non pare corretto arguire che, ove manchi il danno, non si possa neppure configurare una lesione della situazione soggettiva di interesse legittimo”. In altre parole, l’autore sostiene che, nei casi esaminati, non è l’affidamento la posizione protetta dalla tutela risarcitoria, ma l’interesse legittimo. Infatti, una cosa è individuare quale tipo di danno vada riparato e una cosa è individuare la situazione protetta del cittadino fatta valere nella fattispecie, a maggior ragione se tale necessità è finalizzata a individuare il giudice dinanzi al quale azionare la pretesa risarcitoria.

C) Inoltre, e sotto diverso profilo, altri autori hanno osservato che, anche a volereseguire il ragionamento della Cassazione nella parte in cui qualifica la fattispecie oggetto di azione risarcitoria esclusivamente enfatizzando la qualificazione della condotta della P.A. quale suo comportamento illecito e di contro  affermando l’irrilevanza dell’attività procedimentale culminata con il provvedimento favorevole al privato, detto “comportamento” non possa comunque essere qualificato quale “mero comportamento”, essendo esso oggettivamente connesso con l’esercizio di poteri pubblicistici. Tale profilo di critica risulterebbe ulteriormente rafforzato dalla constatazione che tutte e tre le controversie risarcitorie decise dalle SS.UU. in sede di Regolamento preventivo di giurisdizione, vertono in materie incluse – ex art. 133 comma 1 lettere e) punto 1 ed f) del Codice del Processo amministrativo - nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Pertanto, se si tiene a mente quanto dispone l’art. 7, comma 1, del Codice, nel punto in cui afferma che in sede di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo decide su “…provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere”,  si deve logicamente concludere che, in tali materie di giurisdizione esclusiva, il collegamento richiesto tra dette attività e l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo potrà anche avere minore spessore rispetto alle cause oggetto di ordinario giudizio di legittimità, pur restando oggettivamente la connessione con l’esercizio del potere.

D) Ulteriori critiche alle ordinanze delle Sezioni Unite provengono inoltre dal fronte dottrinario che focalizza il rapporto di causalità di cui all’art. 1223 codice civile che, come si è visto, la a Cassazione utilizza allo scopo di escludere che il comportamento della P.A. fosse, nei casi citati, diretta conseguenza dei provvedimenti adottati dalla P.A.. Sul punto, questa dottrina  sostiene che essendo proprio l’art. 1223 c.c. a richiedere che il danno patito dal soggetto sia “conseguenza immediata e diretta della condotta”, in tutti e tre i casi esaminati dalla Cassazione, la condotta della P.A. consiste oggettivamente attraverso un iter procedimentale pubblicistico nel corso del quale l’amministrazione esercita (e male) il potere di cui in concreto è dotata.

E) Da ultimo, non si può non sottolineare che le ordinanze della Cassazione sembrano andare in direzione opposta rispetto a quella tracciata dal Codice anche sul punto fondamentale della concreta finalità di concentrare davanti ad un unico giudice – in vista dell’attuazione dei principi di effettività e giusta durata del processo e inoltre al fine di evitare possibili contrasti tra giudicati del giudice amministrativo e del giudice ordinario – dette azioni risarcitorie afferenti controversie in materie pacificamente rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. E’ possibile ipotizzare, infatti – a volere seguire il criterio di riparto tracciato dalle SS.UU – che un identico fatto posto in essere dalla P.A. causativo di danno ingiusto sia oggetto di due azioni risarcitorie che dovranno essere decise l’una (quella del soggetto che ha ottenuto il provvedimento favorevole poi giustamente annullato) dal giudice ordinario; l’altra (quella del soggetto leso da tale provvedimento e che è connessa all’azione impugnatoria che ha portato all’annullamento dello stesso o altra azione risarcitoria intentata sempre da quest’ultimo soggetto per l’eventuale ingiusto ritardo con cui si ritiene che l’amministrazione abbia agito in autotutela annullando il provvedimento di concessione edilizia o di aggiudicazione, per restare ai casi esaminati) che pacificamente sarà  vagliata dal giudice amministrativo. Mi sembra evidente che, in tali fattispecie, il percorrere la strada che a mio parere risulta chiaramente indicata dal Codice con affidamento di entrambe le azioni risarcitorie dinanzi allo stesso giudice amministrativo ridurrebbe al minimo i rischi sopra menzionati.

F) Nel senso sostanziale delle riferite posizioni della dottrina, si pone anche la giurisprudenza amministrativa che ha già avuto modo di misurarsi su questioni similari a quelle decise dalle Sezioni Unite, ancora prima delle ordinanze in parola e ancor prima dell’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo. Nello specifico, Il T.A.R. Puglia, sezione  di Lecce, con la sentenza n. 21 pubblicata il 12 gennaio 2009 ha deciso su ricorso presentato da titolare di un permesso di costruire che poi è stato legittimamente annullato in autotutela dal Comune. Nella motivazione della sentenza, il T.A.R., pur riconoscendo la piena legittimità del provvedimento di ritiro, ha censurato il Comune “…per ciò che concerne le modalità di esercizio del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il rilascio…dell’originario titolo abilitativo (il che rileva ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria).” In buona sostanza, il TAR salentino ha ritenuto che, nella specie, il Comune non avesse correttamente esercitato il suo potere,  avendo rilasciato un permesso di costruire senza richiedere il necessario parere dell’Autorità preposta alla tutela di un vincolo idrogeologico incontestatamente operante sull’area da edificare e ha, per tale motivo, ritenuto il Comune responsabile ex art. 1337 cod. civ. del danno procurato al proprietario dell’area. Ritengo, tuttavia, che l’aspetto più interessante della decisione sia il passaggio nel quale i colleghi pugliesi hanno ritenuto che l’azione risarcitoria dedotta in ricorso rientrasse nella giurisdizione del giudice amministrativo. Il T.A.R. fonda le proprie argomentazioni sull’accertamento della posizione giuridica di cui è stata chiesta la tutela, e, pertanto “…una volta riconosciuto che tutto quello che accade nel corso del procedimento e che riguarda le modalità con cui la P.A. esercita il potere di cui è attributaria incide comunque sempre e solo sull’interesse legittimo…”, conclude ritenendo di avere giurisdizione nella causa ai sensi dell’art. 103 Cost.. A ciò consegue, secondo il T.A.R. – “…che la domanda con cui viene chiesto il ristoro dei danni che la P.A. ha cagionato al soggetto coinvolto nel procedimento, agendo in violazione di una qualsiasi norma o principio che regola quel procedimento, si deve intendere finalizzata alla tutela della posizione giuridica incisa, ossia per quanto detto supra, dell’interesse legittimo”. Da qui, avendo l’azione risarcitoria alla base la lesione di un interesse legittimo, la stessa deve essere decisa dal giudice amministrativo ex art. 7 L. n. 205 del 2000 (ora ex artt. 7 e 30 C.P.A.). Nell’argomentare del T.A.R. Lecce mi pare persuasiva e condivisibile l’argomentazione secondo cui la lesione dell’interesse legittimo non debba essere individuata singolarmente o nel provvedimento ampliativo (poi annullato) o nel provvedimento di ritiro, quanto nel comportamento complessivo dell’amministrazione lungo l’iter procedimentale, nella specie certamente caratterizzato da cattivo uso del potere. Conclusione, questa, che a mio avviso conferma come anche la giurisprudenza amministrativa abbia percepito e seguito il “vento nuovo”  di passaggio dalla concezione del giudizio amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto, che ha poi trovato concreta attuazione normativa nel Codice del Processo Amministrativo.

Conclusioni e prospettive

Dalle problematiche e questioni precedentemente trattate, ritengo che si possa pervenire a conclusioni che oggettivamente smentiscono l’eccessivo ottimismo di quegli “addetti ai lavori” che, con l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo avevano ritenuto – alla luce dei criteri e delle soluzioni indicate dal legislatore del 2010 – che fosse stato raggiunto uno stabile e duraturo assetto normativo in riferimento, in generale, al riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario nelle controversie in cui sia parte una pubblica amministrazione e, in particolare, riguardo alle cause di risarcimento del danno nei confronti della P.A.. Nonostante il codice radichi chiaramente la giurisdizione del giudice amministrativo per le cause risarcitorie in cui l’amministrazione abbia esercitato (malamente) o non abbia esercitato (come avrebbe dovuto) pubblici poteri e nonostante che sia stata data una risposta positiva all’annosa questione della c.d. “pregiudiziale amministrativa”, con soluzione certamente discutibile sotto vari aspetti, ma avente l’indubbio pregio di essere chiara, inequivocabilmente essa prevedendo – in capo al soggetto che intenda essere risarcito per un danno causato da un’attività provvedimentale posta in essere dalla P.A. - e seppure al prezzo di rilevanti penalizzazioni sul piano processuale - la possibilità di introdurre un’azione risarcitoria c.d. “pura”, senza l’obbligo, quindi, di previa o contestuale impugnazione del provvedimento lesivo.  Nonostante tutto ciò, ripeto, il giudice della giurisdizione – avvalendosi di una concezione del giudizio amministrativo ancora incentrata sul singolo provvedimento amministrativo e che ignora il rapporto tra cittadino e P.A. nascente dal procedimento, ha nuovamente inteso “ritagliare” un ulteriore spazio di giurisdizione al giudice ordinario, prelevandolo dalla sfera di attribuzioni, che, per quanto detto, in applicazione della disciplina normativa di cui agli artt. 7 e 30 del Codice del Processo Amministrativo, avrebbe dovuto rimanere al giudice amministrativo.

Allo stato, peraltro, non mi sembra che vi siano elementi o nuovi sviluppi giurisprudenziali per prevedere se quanto affermato dalle Sezioni Unite costituisca solamente un ultimo colpo di coda inferto ad un assetto normativo del riparto tra giurisdizioni oramai in via di definitivo consolidamento, o se, invece, le argomentazioni e motivazioni contenute nelle esaminate ordinanze saranno ancora utilizzate dalla Cassazione al fine di erodere ulteriormente tale assetto, in favore sempre del giudice ordinario. Tuttavia, ritengo ipotizzabile – con spunto tratto proprio dall’oggetto della causa base sottostante l’azione risarcitoria decisa con la terza ordinanza delle Sezioni Unite - che le argomentazioni giuridiche che sorreggono le esaminate ordinanze (e la terza in particolare) potrebbero trovare applicazione nelle controversie risarcitorie in cui viene imputata alla P.A. una responsabilità di tipo pre – contrattuale in causa principale avente ad oggetto un procedimento di gara pubblica in cui l’aggiudicazione ad un’impresa concorrente sia stata legittimamente revocata. Lo stato attuale dell’arte prevede che siano attribuite alla cognizione del giudice amministrativo le controversie in cui dette trattative si svolgono nell’ambito e seguendo le varie fasi di un procedimento ad evidenza pubblica, diretto alla scelta del contraente privato da parte di una  P.A. per la realizzazione di un’opera pubblica, per l’esecuzione di un servizio o l’acquisizione di una fornitura . In questo contesto procedimentale, ove si pervenga all’aggiudicazione della gara ad un concorrente, con provvedimento poi revocato legittimamente dall’amministrazione unitamente a tutti gli atti di gara per ragioni di interesse pubblico (quali, ad esempio la sopravvenuta mancanza o insufficienza dei fondi a disposizione dell’amministrazione appaltante v. in termini Cons. Stato Adunanza Plenaria n. 6 del 2005), l’aggiudicatario potrà – alla stregua dei suddetti criteri di riparto, come confermati dalla nuova normativa codicistica, chiedere il risarcimento del danno subito per avere fatto affidamento sull’esito positivo di tali peculiari “trattative” intercorse con l’amministrazione, introducendo il relativo ricorso dinanzi al competente Tribunale Amministrativo Regionale (c.d. responsabilità pre-contrattuale “pura” della P.A. derivante dalla legittimità dell’aggiudicazione e degli atti di gara, tuttavia oggetto di revoca per ragioni di pubblico interesse). Dalle considerazioni appena svolte mi sembra che vi sia similitudine tra tale ultima fattispecie e quella oggetto della terza ordinanza, decisa, invece, dalle Sezioni Unite con l’affidamento della giurisdizione al giudice ordinario. In entrambi i casi, infatti, avviene che un provvedimento favorevole al danneggiato (aggiudicazione) venga legittimamente ritirato dall’amministrazione: nel primo caso annullato per illegittimità, nel secondo caso revocato per inopportunità. Ritengo inoltre che la riscontrata similitudine trovi conferma nel testo della stessa ordinanza delle SS.UU, ove si rileva che l’intervento del Procuratore Generale presso la Cassazione SS.UU. conclude nel senso di affermare, nel comportamento dell’amministrazione appaltante, una responsabilità di tipo pre – contrattuale ex art. 1337 cod. civ., con conseguente attribuzione della controversia alla cognizione del giudice amministrativo. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, l’assenza di evidenti obiezioni, sul piano logico, all’estensione (e quindi alla applicabilità) anche a tali controversie del ragionamento sviluppato dalle Sezione Unite, con il quale, come si è detto, é stato individuato un unico possibile strumento risarcitorio per tutelare il soggetto originario aggiudicatario; strumento che si traduce in un’azione risarcitoria avente ad oggetto il fatto illecito costituito, secondo la Cassazione, dall’affidamento ingenerato dall’amministrazione nel concorrente con l’adozione nei suoi confronti del provvedimento di aggiudicazione (successivamente legittimamente revocato).

Se tali considerazioni finali…. sono rose (…e spero di no) fioriranno,  anche perché, come è avvenuto in passato, con l’annosa disputa sulla c.d. pregiudiziale amministrativa, queste “rose” avrebbero ancora tante, troppe inutili spine…che ferirebbero ulteriormente il cittadino nel suo sacrosanto diritto ad una effettiva e tempestiva tutela giurisdizionale.

Note introduttive

Ritengo utile, al fine di una più chiara trattazione del tema affidatomi, pervenire all’esame della situazione attuale – vigente il Nuovo Codice del Processo Amministrativo nel testo modificato dai due correttivi entrati in vigore con i decreti legislativi n.  195 del 2011 e n. 160 del 2012– dopo avere tracciato un rapido – ma spero non troppo incompleto – excursus storico – normativo sulle questioni di giurisdizione relative ad azioni risarcitorie promosse dai privati nei confronti della pubblica amministrazione, cercando di tenere presente, lungo tutto il percorso argomentativo, quali necessari e fondanti elementi di riferimento e collegamento in subiecta materia, sia la sussistenza ab origine del c.d. dogma della irrisarcibilità delle lesioni di posizioni di interesse legittimo ed il lento e faticoso cammino per superare tale imponente ostacolo che si frapponeva alla concreta effettività della tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo, sia, soprattutto le rilevanti modifiche legislative intervenute tra il 1998 e il 2000, nonché le fondamentali sentenze: n. 500 del 1999 della Corte di Cassazione SS.UU. con cui è stata “costruita” – in tutte le sue componenti: oggettiva, soggettiva ed eziologica - l’azione risarcitoria conseguente a lesione dell’interesse legittimo, nonché le sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006 della Corte Costituzionale – concernenti il giudizio di illegittimità costituzionale dell’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di interi blocchi di materie e il ritorno al criterio basato sull’intreccio delle posizioni soggettive alla luce dell’esistenza o meno, nella fattispecie, dell’esercizio o del mancato esercizio di pubblici poteri da parte della P.A..di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Elementi, questi, che, a mio avviso, tanto hanno rilevato per giungere all’attuale stato dell’arte  in tema di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo relativamente ad azioni risarcitorie avverso le attività comportanti esercizio o mancato esercizio di pubblici poteri da parte della P.A.

Gli anni precedenti l’entrata in vigore della L. n. 134 del 1992

Fino agli inizi degli anni 90 dominava la scena il dogma della irrisarcibilità delle lesioni delle posizioni di interesse legittimo, che era fondata, oltre che sulla Legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865 e sulla legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (attributiva di tutela giurisdizionale alla lesione di posizioni di interesse legittimo), soprattutto  sulla tradizionale lettura dell’art. 2043 codice civile, disciplinante l’azione risarcitoria da fatto illecito. L’obbligo del risarcimento del danno ivi previsto era pacificamente qualificato alla stregua di norma secondaria, costituente la sanzione per la violazione di una norma primaria, posta a protezione di un diritto soggettivo assoluto. Da qui la risarcibilità nei confronti di una P.A. delle sole attività paritetiche e dei soli comportamenti materiali – vere proprie vie di fatto - da questa posti in essere, con azioni risarcitorie da presentare ovviamente davanti al giudice ordinario, quale unico giudice del diritto soggettivo e, quindi, del risarcimento del danno. Ciò ha comportato l’esclusione di qualsiasi azione risarcitoria  del privato nei confronti di una P.A. relativamente alla sua istituzionale  attività provvedimentale.

La breccia nel muro dell’irrisarcibilità della lesione dell’interesse legittimo operata dall’entrata in vigore dell’art. 13 della L. n. 142 del 1992

Tale disposizione, contenuta nella c.d. “legge comunitaria” del 1992, era diretta ad introdurre nell’ordinamento italiano, in applicazione di quanto imposto con direttiva del Consiglio n. 89/665/CEE, e seppure unicamente in  materia di appalti di lavori pubblici e forniture di rilievo comunitario, la tutela risarcitoria in favore di soggetti che avessero subito lesioni derivanti da atti delle amministrazioni aggiudicatrici adottati in violazione di norme comunitarie, o norme interne di recepimento. Ovviamente, essendo questo l’ambito applicativo della norma, ne derivava anche l’introduzione della possibilità di azioni risarcitorie da parte di soggetti, quali le imprese partecipanti a una gara pubblica per ottenere l’aggiudicazione di appalti pubblici, che avessero lamentato la lesione del loro interesse legittimo alla partecipazione o all’aggiudicazione della gara causata da attività procedimentale e provvedimentale dell’amministrazione appaltante. La forte portata innovativa della norma  consisteva soprattutto nell’avere dato per la prima volta tutela risarcitoria (oltre che l’ordinaria tutela impugnatoria) a situazioni in cui era leso un interesse legittimo di tipo pretensivo. In punto di giurisdizione, però, non vi era questione alcuna riguardo al giudice del risarcimento, che era, ovviamente, il giudice ordinario, previo giudizio impugnatorio degli atti lesivi dinanzi al giudice amministrativo, secondo quanto disponeva l’art. 13, secondo comma, della legge.

La rivoluzione del sistema: gli artt. 33, 34 e 35 del D. Lgs. n. 80 del 1998

E’ solo quasi alla fine degli anni novanta che il legislatore, con l’art. 35 del D. Lgs. n. 80 del 1998, affida alla cognizione del giudice amministrativo le eventuali azioni di risarcimento del danno connesse a cause rientranti nelle particolari materie attribuite alla sua giurisdizione esclusiva dagli artt. 33 e 34 e queste materie, oltre ai procedimenti di gara ad evidenza pubblica, sono i servizi pubblici, l’edilizia e urbanistica in senso lato, (comprensiva anche di ogni uso del territorio, ivi inclusi, pertanto, anche i procedimenti e i comportamenti espropriativi). Con il decreto n. 80 del 1998, viene introdotto un nuovo criterio di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il tradizionale criterio di riparto di giurisdizione imperniato sulla effettiva “causa petendi ” della controversia e, pertanto, sulla oggettiva qualificazione della posizione giuridica fatta valere in giudizio: se era di interesse legittimo la causa rientrava nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo se di diritto soggettivo la causa doveva essere decisa dal giudice ordinario. Discendeva da tale criterio,  che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo potesse includere  solo quelle controversie in materie nelle quali vi era un complesso intreccio tra posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, cosicché il legislatore aveva valutato l’opportunità – al fine di rendere effettiva e celere la tutela giurisdizionale e anche al fine di evitare possibili contrasti tra decisioni – di attribuirne la cognizione in via esclusiva ad un unico giudice. Il decreto legislativo n. 80 del 1998 come si è anticipato, sovverte tale criterio, includendo nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie concernenti interi blocchi di materie, la cui individuazione è stabilita dal legislatore, unicamente sul presupposto della sua discrezionalità legislativa. Tale dirompente innovazione aveva l’evidente e condivisibile scopo, mediante l’allargamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - di accordare tutela risarcitoria oltre che impugnatoria al privato leso da un’attività provvedimentale o anche da meri comportamenti posti in essere da una P.A. relativamente a settori centrali e di grande rilievo del diritto amministrativo quali certamente sono da annoverare, oltre ai procedimenti ad evidenza pubblica, i pubblici servizi, l’edilizia e l’urbanistica  ivi compresi tutti gli aspetti relativi alla gestione del territorio (procedimenti ablativi). Oltre a ciò, l’innovazione più importante é l’attribuzione allo stesso giudice amministrativo la cognizione dell’azione risarcitoria connessa a controversie vertenti in tali materie, con conseguente  superamento o per meglio dire “aggiramento” (attraverso un nuovo concetto di giurisdizione esclusiva) del dogma dell’irrisarcibilità della lesione dell’interesse legittimo.

Entra in scena la Cassazione SS.UU. civili : la sentenza n. 500 del 1999 tra riappropriazione della tutela risarcitoria da parte del Giudice ordinario e il definitivo superamento del dogma della irrisarcibilità della lesione dell’interesse legittimo

Nel frattempo, la Corte di Cassazione SS.UU. con la famosa sentenza n. 500 del 1999 – in tempestiva risposta  alle innovazioni introdotte dal D. Lgs. n. 80 del 1998, e nell’evidente opposto tentativo di riassorbire gran parte della tutela risarcitoria che il decreto n. 80 aveva attribuito al giudice amministrativo in settori di primaria importanza del diritto amministrativo - riusciva a “superare” in altro modo l’ormai anacronistico ed obsoleto dogma della irrisarcibilità della lesione di interessi legittimi causata da attività provvedimentale della P.A., mediante una lettura dell’art. 2043 del codice civile imperniata non più sul risarcimento quale sanzione per l’avvenuta violazione  di una norma primaria posta a protezione di una posizione di diritto soggettivo, ma ponendo quale fulcro dell’interpretazione della norma il danno stesso, che è ingiusto e, pertanto, risarcibile, quando esso opera “non iure”, vale a dire quando lede ingiustificatamente un interesse ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Attraverso tale nuovo angolo di visuale dell’art. 2043 cod. civ. è ben possibile, pertanto, che a causare un “danno ingiusto” meritevole di risarcimento sia una lesione derivante da attività provvedi mentale della P.A. nell’espletamento dei propri poteri pubblicistici, con conseguente irrilevanza della posizione soggettiva lesa al fine di determinarne o meno la possibilità di risarcimento. Ciò non toglie, secondo l’ulteriore ragionamento delle Sezioni unite, che, al diverso fine del riparto di giurisdizione, le azioni risarcitorie nei confronti della P.A. debbano essere decise dal giudice ordinario, in quanto giudice dei diritti, essendo di diritto soggettivo la posizione di colui che agisce per essere risarcito dalla lesione subita ad opera di attività provvedi mentale della P.A.

La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 33, 34 e 35 del D. Lgs. per eccesso di delega; il legislatore reintroduce le stesse norme nel corpo della L. n. 205 del 2000. La disciplina della tutela risarcitoria nei confronti di attività provvedi mentale della P.A. come risultante dall’art. 7 della stessa legge

Con sentenza n. 292 del 17/7/2000, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali i predetti art. 33, 34 e 35 del D. Lgs. n. 80 del 1990, in quanto il mutamento del criterio di riparto di giurisdizione non era tra gli argomenti previsti dalla legge delega. Nel 2000 il Legislatore interviene nuovamente,  eliminando il problema della delega mediante riproposizione degli stessi art. 33, 34 e 35 del Decreto nel testo di una legge ordinaria: l’art. 7, comma 1, della L. n. 205 del 2000, confermando così “la rivoluzione” posta in essere in punto di materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e di risarcibilità (in dette materie) della lesione di interessi legittimi. Tuttavia, la parte più dirompente della nuova normativa è contenuta nel successivo comma 4 dello stesso art. 7 della legge n. 205 del 2000 che sostituisce il primo periodo del terzo comma dell’art. 7 della L. n. 1034 del 1971 (istitutiva dei T.A.R.) con il seguente testo: “Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”. Tale norma è stata interpretata – fin dalla sua entrata in vigore - sia dalla giurisprudenza sia dalla prevalente dottrina, nel senso che il giudice amministrativo è in via generale il giudice delle azioni risarcitorie intentate avverso l’attività provvedimentale della P.A.; egli è, inoltre, il giudice che decide le controversie risarcitorie generate da controversie azionate dinanzi al medesimo nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva dagli artt. 33 e 34 del D. Lgs. n. 80 del 1998 come riproposti nell’art. 7, comma 1, della L. n. 205 del 2000.

La posizione della Corte Costituzionale sul riparto di giurisdizione e in particolare sui criteri di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A.

Con la fondamentale sentenza n. 204 del 2004 (poi ribadita, riguardo ai meri comportamenti espropriativi posti in essere dalla P.A. con la sentenza n. 191 del 2006), la Corte Costituzionale interviene in modo deciso sul riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, soprattutto in funzione di indicare i criteri di attribuzione al primo delle controversie rientranti nella sua giurisdizione esclusiva. La Consulta, oltre a ribadire il concetto che il risarcimento del danno non è una nuova materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma un’ulteriore strumento, oltre all’ordinaria azione impugnatoria, per rendere completa ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti dell’attività dalla P.A. direttamente connessa con l’esercizio di pubblici poteri, dichiara incostituzionali gli artt. 33, commi 1 e 2 e 34, comma 1 del d.lgs. n. 80 del 1998 nel testo reintrodotto nell’art. 7 della L. n. 205 del 2000 per contrasto con gli artt. 24 e 103  della Carta Costituzionale, nelle parti in cui dette norme attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o le controversie in materia di pubblici servizi, nella quale non è dato rinvenire intreccio alcuno tra posizioni di diritto soggettivo e interesse legittimo (sent. n. 204 del 2004) o controversie che, pur rientranti in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche secondo i previgenti criteri di riparto (procedimenti e comportamenti espropriativi), hanno quale specifico oggetto i c.d. “meri comportamenti” (tipo: quelli consistenti nella c.d. espropriazione usurpativa) che non risultano collegati, nemmeno in via  mediata, con l’esercizio del potere pubblico (sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006). La Consulta, ha dichiarato costituzionalmente illegittima, in ultima analisi, l’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di cause mediante il criterio imperniato sui c.d. “blocchi di materie”, essendo tale attribuzione consentita dalla Carta Costituzionale solo relativamente a quelle materie nelle quali fosse presente tale intreccio di posizioni soggettive ed alle relative controversie nelle quali si facesse questione di esercizio o di mancato esercizio di poteri da parte di una P.A.. Le suddette considerazioni sull’azione risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, nonché il ritorno al tradizionale criterio di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A., fondato sull’esistenza di intreccio tra posizioni soggettive e, infine, una più approfondita definizione e qualificazione dei comportamenti (anche omissivi) della P.A. da correlarsi all’esercizio o al mancato esercizio di pubblici poteri, costituiranno le basi fondanti della nuova disciplina sulla giurisdizione introdotta con il Codice del processo amministrativo.

Azione risarcitoria nei confronti della P.A. e riparto di giurisdizione nel Codice del Processo Amministrativo

Le suddette considerazioni sull’azione risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, nonché il ritorno al tradizionale criterio di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A., fondato sull’esistenza di intreccio tra posizioni soggettive e, infine, una più approfondita definizione e qualificazione dei comportamenti (anche omissivi) della P.A. correlati all’esercizio o al mancato esercizio di pubblici poteri, costituiscono le basi fondanti della nuova disciplina sulla giurisdizione introdotta con il Codice del processo amministrativo. Il Codice, all’art. 7 (norma mantenuta nel suo testo originale anche a seguito dell’entrata in vigore dei primi due correttivi al codice: d. lgs. n. 195 del 2011 e d. lgs. n. 160 del 2012), è chiaro nell’individuare quali siano le controversie devolute al giudice amministrativo in materia di azioni risarcitorie intentate nei confronti di una pubblica amministrazione. Il comma 4 della disposizione prevede, infatti, che “sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma”. A sua volta, il comma 5 dispone che ”Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’art. 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi”. Pertanto, il giudice amministrativo ha cognizione delle azioni risarcitorie nei confronti della P.A. relative a controversie, come chiarisce il comma 1 dello stesso art. 7 nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi “concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni.”. Il criterio di riparto fondamentale affinché una causa contenente un’azione risarcitoria sia devoluta al giudice amministrativo è che essa concerna una controversia in cui vi sia esercizio (o mancato esercizio) da parte di un’ amministrazione di pubblici poteri. Rientra sempre nella cognizione del giudice amministrativo anche l’azione risarcitoria correlata a causa rientrante nella sua giurisdizione esclusiva e, quindi, relativa a controversia nella quale possano essere in contestazione anche posizioni di diritto soggettivo e non solo di interesse legittimo, purché siano ugualmente connesse con l’esercizio del potere, così come vi rientrano quelle controversie risarcitorie nelle quali l’esercizio di pubblici poteri sia espletato (in via mediata) mediante l’utilizzo di strumenti di diritto privato quali accordi e/o convenzioni o altre forme negoziali. Per quanto concerne i comportamenti (commissivi od omissivi che siano) il suddetto criterio non muta e, pertanto, sarà devoluta al giudice amministrativo l’azione risarcitoria intentata nei confronti di una pubblica amministrazione inerente causa in cui il comportamento (contestato) della P.A. sia in concreto riconducibile al seppure illegittimo esercizio (o mancato esercizio) di un pubblico potere, con esclusione quindi dei “meri comportamenti”. Pertanto, anche in relazione alla riferita disciplina codicistica della tutela risarcitoria nei confronti della P.A., va condivisa l’opinione di parte rilevante della dottrina che indica il Codice del Processo Amministrativo quale sede “del conclamato passaggio tra una concezione del giudizio come giudizio sull’atto, alla concezione del giudizio stesso quale giudizio sul rapporto”.

Mi riallaccio ora, al fine di introdurre  la questione di riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario che intendo approfondire, a due significativi passaggi delle esaustive e condivisibili considerazioni svolte dal Presidente dott. Giancarlo Coraggio e dal Prof. Luciano Vandelli nei loro pregevoli interventi introduttivi. Il Presidente ha sottolineato il sostanziale evidente fallimento del criterio di riparto della “causa petendi” che è dimostrato dal fatto che ancora oggi, dopo più di un secolo dall’entrata in campo della tutela giurisdizionale da parte del giudice amministrativo con l’insediamento della quarta sezione (giurisdizionale) del Consiglio di Stato, questo criterio non permette al cittadino di avere ancora la certezza di presentare l’atto introduttivo di un giudizio dinanzi al giudice avente giurisdizione in riferimento alla causa intentata. Tale fatto è incontestabile e solo in parte esso può essere attribuito alla da più parti affermata “non  terzietà” del giudice della giurisdizione. Ritengo però che la soluzione del problema non possa essere cercata  in altro criterio – visto anche l’esito contra constitutionem che ha avuto l’introduzione nell’ordinamento, dal 1998 al 2004, del criterio di riparto imperniato sull’allargamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo mediante attribuzione alla stessa di interi blocchi di materie – ma, e qui mi ricollego alle considerazioni svolte del prof. Vandelli che pienamente condivido, in un adeguamento e perfezionamento del criterio vigente, proprio attraverso una sua rivisitazione, alla luce del passaggio tra giudizio sull’atto e giudizio sul rapporto, che necessariamente debba essere più solidamente fondata sulla verifica circa la sussistenza o meno, nella controversia, dell’esercizio o del mancato esercizio, da parte di una pubblica amministrazione, del potere attribuitole dalla legge.

Una nuova questione di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario aperta dalle SS.UU. della Corte di Cassazione: l’azione risarcitoria nel caso di annullamento di provvedimento illegittimo favorevole

Dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo e, quindi, successivamente all’assetto dato dalla nuova normativa codicistica al riparto di giurisdizione in materia di azioni risarcitorie intentate nei confronti della pubblica amministrazione, un nuovo esteso fronte sul riparto di giurisdizione in detta materia è stato aperto dal giudice della giurisdizione con tre ordinanze gemelle rese dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in data 23/3/2011, tutte e tre in sede di Regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c.. Le ordinanze n. 6594 e n. 6595 hanno entrambe ad oggetto un’azione risarcitoria in materia di annullamento di concessione edilizia, in un caso mediante provvedimento di ritiro in autotutela da parte del Comune e nell’altro mediante annullamento giurisdizionale ad opera del giudice amministrativo). Nella causa relativa alla seconda ordinanza vi è inoltre un antefatto, costituito da un “certificato di destinazione urbanistica” che ha indotto un soggetto ad acquistare un fondo e poi a chiedere il relativo titolo edilizio. L’ordinanza n. 6956 verte, invece, su azione risarcitoria proposta dall’aggiudicataria di una gara pubblica contro l’amministrazione comunale banditrice per rivalersi del danno procuratole dal successivo legittimo annullamento (sempre in sede giurisdizionale) del provvedimento di aggiudicazione. Tutte le ordinanze hanno pertanto quale oggetto azioni risarcitorie nei confronti di una pubblica amministrazione, intentate dal soggetto che aveva da questa ottenuto un provvedimento favorevole, con conseguente piena soddisfazione dell’interesse legittimo pretensivo sotteso alla domanda o di concessione edilizia o di partecipazione alla gara pubblica alla quale aveva chiesto e ottenuto di partecipare) che però sono stati successivamente caducati o in autotutela ad opera della stessa amministrazione o dal giudice amministrativo a seguito di accoglimento del ricorso presentato da terzi interessati all’impugnazione di detto provvedimento ampliativo rivelatosi illegittimo. Secondo le Sezioni Unite, in questi casi, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sussisterebbe solo se il ricorrente si dolesse dell’illegittimità di qualche atto della procedura: ad esempio, nell’ipotesi in cui si ritenesse illegittimo il provvedimento di annullamento in autotutela adottato dalla stessa P.A. e contestualmente o successivamente, lo stesso ricorrente chiedesse il risarcimento dei danni da esso derivanti. In tal caso – sostiene la Cassazione - l’azione risarcitoria assolverebbe appieno – secondo il principio enucleabile dalle stesse sentenze della Corte Costituzionale n. 204 e n. 281 del 2004 -  la finalità di strumento processuale “ulteriore e di completamento” del classico rimedio demolitorio, con conseguente ragionevolezza della concentrazione di entrambe le azioni dinanzi ad un unico giudice: nella specie il giudice amministrativo. La Cassazione, a supporto di tale esiziale conclusione comportante l’esclusione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in questo tipo di controversie, afferma che il legislatore abbia inteso realizzare l’unificazione della tutela avanti il giudice amministrativo, concentrando dinanzi allo stesso giudice sia i poteri di annullamento dell’atto illegittimo che la tutela risarcitoria consequenziale alla pronuncia di illegittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre. Ne deriva che l’attuazione della tutela risarcitoria nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo può verificarsi esclusivamente qualora il danno patito dal soggetto che ha proceduto all’impugnazione dell’atto sia conseguenza immediata e diretta -ex art. 1223 cod. civ.- dell’illegittimità dell’atto impugnato. Pertanto, qualora – come nei casi in esame – si tratti di atto o provvedimento rispetto al quale l’interesse tutelabile è quello pretensivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo , perché vittima di danno ricollegabile con nesso di causalità immediato e diretto al provvedimento impugnato, è colui che si è visto, a seguito di fondata richiesta, ingiustamente negare o adottare con ritardo il provvedimento richiesto. Nel caso, invece, di provvedimento amministrativo lesivo di interesse legittimo di tipo oppositivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria è esclusivamente quello che è portatore dell’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio acquisita (riguardo a una delle fattispecie esaminate tale provvedimento potrebbe essere, appunto, quello di annullamento in autotutela della concessione edilizia). In conclusione, ritiene la Cassazione che solo in questi casi la tutela risarcitoria assolve le finalità di completamento della tutela impugnatoria e solo questa ricorrenza giustifica la concentrazione delle azioni dinanzi al giudice amministrativo. Nelle controversie esaminate con le suddette ordinanze, invece, tali presupposti non sussistono, cosicché il proprietario del fondo non potrà chiedere né la tutela demolitoria di qualche atto, né la tutela risarcitoria che a quel tipo di tutela è collegata con funzione di completarla. Eliminata in tal modo, la possibilità di un’azione risarcitoria da presentare alla cognizione del giudice amministrativo, il ragionamento della Cassazione prosegue tracciando un nuovo obbligato percorso risarcitorio che l’interessato (id est: il soggetto destinatario del provvedimento ampliativo poi legittimamente caducato), deve necessariamente percorrere al fine di vedere presa in considerazione ed eventualmente soddisfatta la propria pretesa risarcitoria. Secondo la Cassazione egli deve infatti fondare la propria azione risarcitoria esclusivamente su una diversa situazione (qualificata espressamente quale diritto soggettivo) che si ritiene lesa a causa di una condotta scorretta della P.A. e che consiste “nell’emissione di atti favorevoli, poi ritirati in autotutela (o annullati dal giudice amministrativo), atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare”. Prosegue la Cassazione affermando che “In mancanza di un atto impugnabile il proprietario o il titolare di altro diritto che lo abiliti a costruire sul fondo (o l’originario aggiudicatario della gara pubblica) hanno la esclusiva possibilità di invocare un’unica tutela (che non essendo collegata alla impugnabilità di un atto non può essere attratta nell’ambito di applicazione della giurisdizione esclusiva, atteso che…..la autonoma tutela risarcitoria non costituisce una ulteriore ipotesi di giurisdizione esclusiva): quella risarcitoria fondata sull’affidamento; viene in considerazione un danno che oggettivamente prescinde da valutazioni sull’esercizio del potere pubblico, fondandosi su doveri di comportamento il cui contenuto certamente non dipende dalla natura privatistica o pubblicistica del soggetto che ne è responsabile, atteso che anche la pubblica amministrazione, come qualsiasi privato, è tenuta a rispettare “…principi generali di comportamento, quali la perizia, la prudenza la diligenza, la correttezza”. A conclusione di tale elaborato percorso argomentativo e coerentemente con siffatte premesse- le Sezioni Unite individuano nel giudice ordinario il plesso giurisdizionale al quale attribuire  tali controversie, trattandosi di risarcimento del danno derivante da fatto illecito che lede diritti soggettivi. Il principio sotteso alle suddette ordinanze è, in definitiva, che, nelle cause risarcitorie esaminate, l’unica tutela accordabile mediante lo strumento risarcitorio, al ricorrente che – senza sua colpa – ha confidato nella legittimità (successivamente venuta meno) della condotta della pubblica amministrazione, è quella da proporre dinanzi al giudice ordinario, ponendo a base della domanda il mancato rispetto, da parte della P.A., con il suo comportamento, del principio del neminem laedere. Ritiene la Cassazione che sussista una responsabilità aquiliana ex art. 2043 del codice civile, dal momento che, in riferimento al ricorrente (o meglio all’attore), il provvedimento amministrativo ampliativo, poi giustamente annullato perché illegittimo “rileva…esclusivamente quale mero comportamento degli organi che hanno provveduto al suo rilascio, integrando così, ex art. 2043 c.c. gli estremi di un atto illecito per violazione del principio del neminem laedere …”per avere tale atto, con la sua apparente legittimità, ingenerato, nel destinatario, l’incolpevole convincimento sull’affidamento in ordine alla legittimità dell’atto amministrativo e, quindi, sulla correttezza dell’azione amministrativa, di potere legittimamente procedere sulla base di tale provvedimento ampliativo. A supporto della posizione assunta dalle Sezioni Unite è prontamente intervenuto l’Ufficio del Massimario e del Ruolo della stessa Corte di Cassazione. La relazione del Direttore dell’Ufficio n. 45 del 17/5/2011 resa in sede di “soluzione di questione di particolare importanza”, puntualizza, infatti, in riferimento alle predette ordinanze che “la giurisdizione amministrativa in tanto può sussistere in quanto nella singola controversia sia concretamente contestata la illegittimità di un potere che deve essere comunque riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere quale atto o provvedimento. Del resto, prosegue la Relazione “…che il fondamento della giurisdizione amministrativa sia il controllo della illegittimità dell’esercizio del potere è confermato dalla centralità che nel cod. proc. amm. assume l’azione di annullamento (art. 29) alla quale l’azione di condanna (art. 30) resta sostanzialmente subordinata con funzione accessoria e, appunto, di completamento della tutela.”. Nella Relazione si sostiene, inoltre, che volendo interpretare, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata l’art. 30, comma 6 del c.p.a., secondo cui: “Di ogni domanda di condanna al risarcimento dei danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo”, i soli diritti soggettivi che possono essere conosciuti dal G.A. in sede di giurisdizione esclusiva, sono pur sempre quelli concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, come specificato dall’art. 7, comma 1 del Codice, con la conseguenza che sono attribuite alla cognizione del giudice amministrativo le sole azioni risarcitorie collegate all’esercizio o al mancato esercizio del potere, con esclusione, quindi, di quelle nelle quali, come nelle controversie decise con le tre ordinanze in esame, la richiesta tutela risarcitoria non sia in alcun modo collegata alla verifica della legittimità o meno dell’uso o del mancato uso del potere da parte di una p.a.. Diversamente opinando, conclude la Relazione, la norma di cui all’art. 30, comma 6, del Codice del Processo Amministrativo difficilmente potrebbe sottrarsi a giudizio di incostituzionalità per eccesso di delega, non essendo contemplata, nella legge delega sul riassetto del processo amministrativo n. 69 del 2009, alcuna novità o comunque modificazione da introdurre con il Codice del Processo Amministrativo, rispetto al precedente assetto della giurisdizione del giudice amministrativo.

La relazione pertanto condivide appieno la tesi delle Sezioni Unite secondo la quale “la giurisdizione del G.A. sussiste nelle controversie in cui il privato contestando in concreto e direttamente la illegittimità del provvedimento, miri effettivamente a orientare o indirizzare l’esercizio del potere pubblico in una certa direzione: solo in tale ambito il giudice amministrativo può disporre il risarcimento del danno come ulteriore forma di tutela e ciò anche autonomamente – come prevede l’art. 30 c.p.a. - rispetto all’azione impugnatoria”. In dottrina si è sostenuto che le ordinanze delle Sezioni Unite, pur se condivisibili nelle parti in cui più volte ribadiscono che l’azione risarcitoria non è una nuova materia di giurisdizione esclusiva affidata giudice amministrativo, costituendo essa uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto all’azione impugnatoria, con concentrazione, quindi, della cognizione di entrambe ad un unico giudice, di contro non sarebbero assolutamente persuasive nelle conclusioni che da tali argomentazioni le Sezioni Unite traggono con l’attribuzione di tali controversie al giudice ordinario.

A) - Si è rilevato, da parte di un autore, che dette conclusioni risultano incompatibili con l’assetto normativo della giurisdizione sul risarcimento del danno nei confronti della P.A. delineato nel Codice del Processo Amministrativo. Si è infatti osservato che il criterio di riparto di giurisdizione delineato nel Codice é incentrato – anche ovviamente per quanto riguarda l’azione di risarcimento del danno, quale strumento di tutela ulteriore e di completamento per il cittadino nei confronti di una P.A. – sulla distinzione tra attività della P.A. (compresi i comportamenti) che sono espressione di una potestà pubblicistica (ripartite nelle sottocategorie del cattivo uso e del non uso del potere in concreto attribuito alla P.A.) ed attività privatistica e meri comportamenti da questa posta in essere : vale a dire comportamenti privi, cioè, di qualsiasi profilo di pubblicità e perciò soggetti alla ordinaria disciplina privatistica del codice civile. Conseguentemente l’applicazione di tali criteri di riparto alle fattispecie sopra esaminate avrebbe dovuto condurre la Cassazione ad attribuire le relative controversie  alla cognizione del giudice amministrativo, non essendo oggettivamente discutibile che il comportamento della P.A. che la Cassazione ritiene oggetto di azione risarcitoria esclusivamente nell’ottica della violazione del neminem laedere per l’affidamento ingenerato nel privato in ordine alla legittimità dell’atto ampliativo poi caducato, in realtà trae origine proprio dal cattivo uso del potere da parte dell’amministrazione, determinato dall’adozione di un provvedimento favorevole nei confronti del privato titolare di un interesse legittimo di tipo pretensivo, mentre se di tale potere l’amministrazione avesse fatto un uso corretto, essa avrebbe dovuto, nei primi due casi respingere l’istanza di concessione edilizia e nel terzo, escludere la concorrente dalla gara pubblica e non adottare il provvedimento di aggiudicazione in suo favore.

B) Altra autorevole dottrina non ha condiviso già il primo dei due passaggi logici tracciati  dalla Cassazione nelle esaminate ordinanze, in particolare ove afferma che – nei casi in esame –  1) non sussiste una posizione di interesse legittimo in capo al beneficiario di un provvedimento ampliativo poi caducato legittimamente; 2) unica strada risarcitoria percorribile da tale soggetto è quella dell’azione dinanzi al giudice ordinario per l’incolpevole affidamento del medesimo nella legittimità del provvedimento a lui favorevole adottato dalla P.A..

A giudizio dell’autore, infatti, se vale la tesi classica che afferma che l’interesse legittimo è una posizione giuridica tipicamente “relazionale” che esprime il rapporto fra il cittadino e l’amministrazione nell’esercizio di un potere, la lesione di un interesse legittimo si configura non solo quando l’amministrazione neghi illegittimamente un provvedimento favorevole, ma anche quando rilasci illegittimamente al cittadino un provvedimento favorevole. Di conseguenza – continua l’Autore – “L’interesse legittimo… può essere  leso anche da un provvedimento favorevole; la circostanza che un provvedimento favorevole normalmente non arrechi di per sé un danno è profilo che attiene alla tematica del danno, ma non pare corretto arguire che, ove manchi il danno, non si possa neppure configurare una lesione della situazione soggettiva di interesse legittimo”. In altre parole, l’autore sostiene che, nei casi esaminati, non è l’affidamento la posizione protetta dalla tutela risarcitoria, ma l’interesse legittimo. Infatti, una cosa è individuare quale tipo di danno vada riparato e una cosa è individuare la situazione protetta del cittadino fatta valere nella fattispecie, a maggior ragione se tale necessità è finalizzata a individuare il giudice dinanzi al quale azionare la pretesa risarcitoria.

C) Inoltre, e sotto diverso profilo, altri autori hanno osservato che, anche a volereseguire il ragionamento della Cassazione nella parte in cui qualifica la fattispecie oggetto di azione risarcitoria esclusivamente enfatizzando la qualificazione della condotta della P.A. quale suo comportamento illecito e di contro  affermando l’irrilevanza dell’attività procedimentale culminata con il provvedimento favorevole al privato, detto “comportamento” non possa comunque essere qualificato quale “mero comportamento”, essendo esso oggettivamente connesso con l’esercizio di poteri pubblicistici. Tale profilo di critica risulterebbe ulteriormente rafforzato dalla constatazione che tutte e tre le controversie risarcitorie decise dalle SS.UU. in sede di Regolamento preventivo di giurisdizione, vertono in materie incluse – ex art. 133 comma 1 lettere e) punto 1 ed f) del Codice del Processo amministrativo - nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Pertanto, se si tiene a mente quanto dispone l’art. 7, comma 1, del Codice, nel punto in cui afferma che in sede di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo decide su “…provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere”,  si deve logicamente concludere che, in tali materie di giurisdizione esclusiva, il collegamento richiesto tra dette attività e l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo potrà anche avere minore spessore rispetto alle cause oggetto di ordinario giudizio di legittimità, pur restando oggettivamente la connessione con l’esercizio del potere.

D) Ulteriori critiche alle ordinanze delle Sezioni Unite provengono inoltre dal fronte dottrinario che focalizza il rapporto di causalità di cui all’art. 1223 codice civile che, come si è visto, la a Cassazione utilizza allo scopo di escludere che il comportamento della P.A. fosse, nei casi citati, diretta conseguenza dei provvedimenti adottati dalla P.A.. Sul punto, questa dottrina  sostiene che essendo proprio l’art. 1223 c.c. a richiedere che il danno patito dal soggetto sia “conseguenza immediata e diretta della condotta”, in tutti e tre i casi esaminati dalla Cassazione, la condotta della P.A. consiste oggettivamente attraverso un iter procedimentale pubblicistico nel corso del quale l’amministrazione esercita (e male) il potere di cui in concreto è dotata.

E) Da ultimo, non si può non sottolineare che le ordinanze della Cassazione sembrano andare in direzione opposta rispetto a quella tracciata dal Codice anche sul punto fondamentale della concreta finalità di concentrare davanti ad un unico giudice – in vista dell’attuazione dei principi di effettività e giusta durata del processo e inoltre al fine di evitare possibili contrasti tra giudicati del giudice amministrativo e del giudice ordinario – dette azioni risarcitorie afferenti controversie in materie pacificamente rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. E’ possibile ipotizzare, infatti – a volere seguire il criterio di riparto tracciato dalle SS.UU – che un identico fatto posto in essere dalla P.A. causativo di danno ingiusto sia oggetto di due azioni risarcitorie che dovranno essere decise l’una (quella del soggetto che ha ottenuto il provvedimento favorevole poi giustamente annullato) dal giudice ordinario; l’altra (quella del soggetto leso da tale provvedimento e che è connessa all’azione impugnatoria che ha portato all’annullamento dello stesso o altra azione risarcitoria intentata sempre da quest’ultimo soggetto per l’eventuale ingiusto ritardo con cui si ritiene che l’amministrazione abbia agito in autotutela annullando il provvedimento di concessione edilizia o di aggiudicazione, per restare ai casi esaminati) che pacificamente sarà  vagliata dal giudice amministrativo. Mi sembra evidente che, in tali fattispecie, il percorrere la strada che a mio parere risulta chiaramente indicata dal Codice con affidamento di entrambe le azioni risarcitorie dinanzi allo stesso giudice amministrativo ridurrebbe al minimo i rischi sopra menzionati.

F) Nel senso sostanziale delle riferite posizioni della dottrina, si pone anche la giurisprudenza amministrativa che ha già avuto modo di misurarsi su questioni similari a quelle decise dalle Sezioni Unite, ancora prima delle ordinanze in parola e ancor prima dell’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo. Nello specifico, Il T.A.R. Puglia, sezione  di Lecce, con la sentenza n. 21 pubblicata il 12 gennaio 2009 ha deciso su ricorso presentato da titolare di un permesso di costruire che poi è stato legittimamente annullato in autotutela dal Comune. Nella motivazione della sentenza, il T.A.R., pur riconoscendo la piena legittimità del provvedimento di ritiro, ha censurato il Comune “…per ciò che concerne le modalità di esercizio del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il rilascio…dell’originario titolo abilitativo (il che rileva ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria).” In buona sostanza, il TAR salentino ha ritenuto che, nella specie, il Comune non avesse correttamente esercitato il suo potere,  avendo rilasciato un permesso di costruire senza richiedere il necessario parere dell’Autorità preposta alla tutela di un vincolo idrogeologico incontestatamente operante sull’area da edificare e ha, per tale motivo, ritenuto il Comune responsabile ex art. 1337 cod. civ. del danno procurato al proprietario dell’area. Ritengo, tuttavia, che l’aspetto più interessante della decisione sia il passaggio nel quale i colleghi pugliesi hanno ritenuto che l’azione risarcitoria dedotta in ricorso rientrasse nella giurisdizione del giudice amministrativo. Il T.A.R. fonda le proprie argomentazioni sull’accertamento della posizione giuridica di cui è stata chiesta la tutela, e, pertanto “…una volta riconosciuto che tutto quello che accade nel corso del procedimento e che riguarda le modalità con cui la P.A. esercita il potere di cui è attributaria incide comunque sempre e solo sull’interesse legittimo…”, conclude ritenendo di avere giurisdizione nella causa ai sensi dell’art. 103 Cost.. A ciò consegue, secondo il T.A.R. – “…che la domanda con cui viene chiesto il ristoro dei danni che la P.A. ha cagionato al soggetto coinvolto nel procedimento, agendo in violazione di una qualsiasi norma o principio che regola quel procedimento, si deve intendere finalizzata alla tutela della posizione giuridica incisa, ossia per quanto detto supra, dell’interesse legittimo”. Da qui, avendo l’azione risarcitoria alla base la lesione di un interesse legittimo, la stessa deve essere decisa dal giudice amministrativo ex art. 7 L. n. 205 del 2000 (ora ex artt. 7 e 30 C.P.A.). Nell’argomentare del T.A.R. Lecce mi pare persuasiva e condivisibile l’argomentazione secondo cui la lesione dell’interesse legittimo non debba essere individuata singolarmente o nel provvedimento ampliativo (poi annullato) o nel provvedimento di ritiro, quanto nel comportamento complessivo dell’amministrazione lungo l’iter procedimentale, nella specie certamente caratterizzato da cattivo uso del potere. Conclusione, questa, che a mio avviso conferma come anche la giurisprudenza amministrativa abbia percepito e seguito il “vento nuovo”  di passaggio dalla concezione del giudizio amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto, che ha poi trovato concreta attuazione normativa nel Codice del Processo Amministrativo.

Conclusioni e prospettive

Dalle problematiche e questioni precedentemente trattate, ritengo che si possa pervenire a conclusioni che oggettivamente smentiscono l’eccessivo ottimismo di quegli “addetti ai lavori” che, con l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo avevano ritenuto – alla luce dei criteri e delle soluzioni indicate dal legislatore del 2010 – che fosse stato raggiunto uno stabile e duraturo assetto normativo in riferimento, in generale, al riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario nelle controversie in cui sia parte una pubblica amministrazione e, in particolare, riguardo alle cause di risarcimento del danno nei confronti della P.A.. Nonostante il codice radichi chiaramente la giurisdizione del giudice amministrativo per le cause risarcitorie in cui l’amministrazione abbia esercitato (malamente) o non abbia esercitato (come avrebbe dovuto) pubblici poteri e nonostante che sia stata data una risposta positiva all’annosa questione della c.d. “pregiudiziale amministrativa”, con soluzione certamente discutibile sotto vari aspetti, ma avente l’indubbio pregio di essere chiara, inequivocabilmente essa prevedendo – in capo al soggetto che intenda essere risarcito per un danno causato da un’attività provvedimentale posta in essere dalla P.A. - e seppure al prezzo di rilevanti penalizzazioni sul piano processuale - la possibilità di introdurre un’azione risarcitoria c.d. “pura”, senza l’obbligo, quindi, di previa o contestuale impugnazione del provvedimento lesivo.  Nonostante tutto ciò, ripeto, il giudice della giurisdizione – avvalendosi di una concezione del giudizio amministrativo ancora incentrata sul singolo provvedimento amministrativo e che ignora il rapporto tra cittadino e P.A. nascente dal procedimento, ha nuovamente inteso “ritagliare” un ulteriore spazio di giurisdizione al giudice ordinario, prelevandolo dalla sfera di attribuzioni, che, per quanto detto, in applicazione della disciplina normativa di cui agli artt. 7 e 30 del Codice del Processo Amministrativo, avrebbe dovuto rimanere al giudice amministrativo.

Allo stato, peraltro, non mi sembra che vi siano elementi o nuovi sviluppi giurisprudenziali per prevedere se quanto affermato dalle Sezioni Unite costituisca solamente un ultimo colpo di coda inferto ad un assetto normativo del riparto tra giurisdizioni oramai in via di definitivo consolidamento, o se, invece, le argomentazioni e motivazioni contenute nelle esaminate ordinanze saranno ancora utilizzate dalla Cassazione al fine di erodere ulteriormente tale assetto, in favore sempre del giudice ordinario. Tuttavia, ritengo ipotizzabile – con spunto tratto proprio dall’oggetto della causa base sottostante l’azione risarcitoria decisa con la terza ordinanza delle Sezioni Unite - che le argomentazioni giuridiche che sorreggono le esaminate ordinanze (e la terza in particolare) potrebbero trovare applicazione nelle controversie risarcitorie in cui viene imputata alla P.A. una responsabilità di tipo pre – contrattuale in causa principale avente ad oggetto un procedimento di gara pubblica in cui l’aggiudicazione ad un’impresa concorrente sia stata legittimamente revocata. Lo stato attuale dell’arte prevede che siano attribuite alla cognizione del giudice amministrativo le controversie in cui dette trattative si svolgono nell’ambito e seguendo le varie fasi di un procedimento ad evidenza pubblica, diretto alla scelta del contraente privato da parte di una  P.A. per la realizzazione di un’opera pubblica, per l’esecuzione di un servizio o l’acquisizione di una fornitura . In questo contesto procedimentale, ove si pervenga all’aggiudicazione della gara ad un concorrente, con provvedimento poi revocato legittimamente dall’amministrazione unitamente a tutti gli atti di gara per ragioni di interesse pubblico (quali, ad esempio la sopravvenuta mancanza o insufficienza dei fondi a disposizione dell’amministrazione appaltante v. in termini Cons. Stato Adunanza Plenaria n. 6 del 2005), l’aggiudicatario potrà – alla stregua dei suddetti criteri di riparto, come confermati dalla nuova normativa codicistica, chiedere il risarcimento del danno subito per avere fatto affidamento sull’esito positivo di tali peculiari “trattative” intercorse con l’amministrazione, introducendo il relativo ricorso dinanzi al competente Tribunale Amministrativo Regionale (c.d. responsabilità pre-contrattuale “pura” della P.A. derivante dalla legittimità dell’aggiudicazione e degli atti di gara, tuttavia oggetto di revoca per ragioni di pubblico interesse). Dalle considerazioni appena svolte mi sembra che vi sia similitudine tra tale ultima fattispecie e quella oggetto della terza ordinanza, decisa, invece, dalle Sezioni Unite con l’affidamento della giurisdizione al giudice ordinario. In entrambi i casi, infatti, avviene che un provvedimento favorevole al danneggiato (aggiudicazione) venga legittimamente ritirato dall’amministrazione: nel primo caso annullato per illegittimità, nel secondo caso revocato per inopportunità. Ritengo inoltre che la riscontrata similitudine trovi conferma nel testo della stessa ordinanza delle SS.UU, ove si rileva che l’intervento del Procuratore Generale presso la Cassazione SS.UU. conclude nel senso di affermare, nel comportamento dell’amministrazione appaltante, una responsabilità di tipo pre – contrattuale ex art. 1337 cod. civ., con conseguente attribuzione della controversia alla cognizione del giudice amministrativo. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, l’assenza di evidenti obiezioni, sul piano logico, all’estensione (e quindi alla applicabilità) anche a tali controversie del ragionamento sviluppato dalle Sezione Unite, con il quale, come si è detto, é stato individuato un unico possibile strumento risarcitorio per tutelare il soggetto originario aggiudicatario; strumento che si traduce in un’azione risarcitoria avente ad oggetto il fatto illecito costituito, secondo la Cassazione, dall’affidamento ingenerato dall’amministrazione nel concorrente con l’adozione nei suoi confronti del provvedimento di aggiudicazione (successivamente legittimamente revocato).

Se tali considerazioni finali…. sono rose (…e spero di no) fioriranno,  anche perché, come è avvenuto in passato, con l’annosa disputa sulla c.d. pregiudiziale amministrativa, queste “rose” avrebbero ancora tante, troppe inutili spine…che ferirebbero ulteriormente il cittadino nel suo sacrosanto diritto ad una effettiva e tempestiva tutela giurisdizionale.