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Libertà religiosa : Corte Europea Diritti Dell’Uomo

Il riconoscimento delle minoranze religiose è il nocciolo della protezione offerta dall’articolo 9 CEDU, argomenti della simulazione processuale di diritto pubblico comparato presso l’Università di Bologna

1. Si è svolta, in collaborazione con le cattedre delle professoresse S. Mancini e E. Ferioli dell’Università di Bologna, una simulazione di processo davanti la Corte Europea Diritti dell’Uomo avente ad oggetto il ricorso presentato da taluni membri della confessione religiosa dei Cemeviti. Le parti, composte da studenti selezionati dal Bologna Moot Team, sono state:

- Cemeviti

- Stato di Angorandia

- Associazione no profit Freereligions

- Corte Europea Diritti Dell’Uomo, presieduta dall’ Avv. B. Micolano.

Si stima che attualmente nella Repubblica di Angorandia più di un sesto della popolazione sia di fede Cemevita, branca scismatica della religione Malai, tradizionalmente maggioritaria nel paese. Fino agli anni 50 il Cemetivismo era rimasto relegato nelle regioni rurali, oggi a causa della migrazione si è diffuso a macchia d’olio anche nelle città. Nonostante ciò il governo repubblicano continua ad ignorare questa fede.

Alcuni aderenti al movimento dei “Cemeviti”, branca della religione maggioritaria “Malai”, presentavano, dunque, nel 2005 una petizione al primo ministro dello Stato di “Angorandia”, chiedendo che il “Cemevitismo” acquisisse lo status riservato alle confederazioni religiose. L’ufficio del Primo ministro provvedeva ad un diniego della richiesta.

A seguito di ciò, 1919 persone di fede “Cemevita” depositavano un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale amministrativo. Questo respingeva la richiesta sostenendo che il rifiuto dell’autorità competente fosse conforme alla normativa vigente, decisione successivamente confermata anche dal “Tribunale Amministrativo Supremo”. La parte soccombente ha, dunque, adito la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

2. La Simulazione ha visto una prima fase in cui i ricorrenti,  l’ Avvocatura generale dello stato di Angorandia e la terza parte interveniente, Freereligions, hanno redatto delle memorie inviate all’attenzione della Corte e della controparte in data 30 Novembre 2015.

Nell’atto presentato alla Corte di Strasburgo, i ricorrenti hanno censurato la sentenza del Tribunale Amministrativo Supremo sulla base del parametro dell’articolo 9 CEDU, che garantisce la piena libertà di religione e coscienza, in combinato disposto con l’art. 11 CEDU, che sancisce la libertà di unione e associazione, sostenendo che la libertà religiosa include il diritto di associarsi liberamente.

L’Avvocatura di stato ha replicato a tali argomentazioni, sostenendo, in primo luogo, come il movimento di pensiero dei “Cemeviti” sia una branca scismatica della religione “Malai” e per questa ragione non presenti né un sufficiente grado di differenziazione dottrinale, né una soddisfacente autonomia organizzativa e funzionale, requisiti necessari per l’accettazione sociale e giuridica.

Il convenuto inoltre ha evidenziato come il diniego sia perfettamente rispettoso dell’art. 9 CEDU, che disciplina, al secondo comma, la possibilità di restrizioni alla libertà religiosa, qualora costituiscano misure necessarie, in una società democratica, per la tutela dell’ordine pubblico. Nel caso di specie, la richiesta dei ricorrenti sembra tesa ad ottenere esclusivamente il privilegio di sottrarsi al dovere di contribuire alle spese pubbliche, privilegio che, se riconosciuto, metterebbe a repentaglio l’integrità e l’ordine pubblico democratico e laico della Repubblica ex articolo 14 della Costituzione.

Viene inoltre rispettato il principio di laicità ex articolo 2 Costituzione, principio mutevole a seconda della realtà culturale e giuridica in cui viene esplicato e per questo, necessariamente, letto e interpretato in conformità con la tradizione  giuridica storica e culturale di ogni Stato

3. In aggiunta i ricorrenti hanno lamentato la violazione dell’articolo 14 CEDU, che disciplina il divieto di discriminazione, dell’articolo 10 della Costituzione (principio di uguaglianza), dell’articolo 2 Protocollo numero uno addizionale alla Convenzione che afferma il compito dello Stato, “nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, di rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche” e, infine, della libertà di organizzazione autonoma, proclamata dalla giurisprudenza della Corte stessa (Casi Serif v Grecia” e “Hasan e Chaush v Bulgaria).

Secondo i ricorrenti, questi parametri sarebbero vulnerati dall’illegittimo rifiuto della richiesta di riconoscimento del gruppo come organizzazione confessionale, volto al fine di ottenere la legittimazione dei ministri di culto quali funzionari pubblici, l’individuazione dei propri luoghi di riunione quali luoghi di culto e l’applicazione di tutte le esenzioni fiscali di regola applicate ai culti riconosciuti.

Il convenuto, in opposizione alle sopracitate argomentazioni, si è soffermato sul fatto che nella disciplina di materie particolarmente delicate, per lo stretto contatto con la morale, per la natura soggettiva e per la variabilità nel tempo e nello spazio, sia necessaria, come riconosciuto della stessa Corte nella sua giurisprudenza, una certa discrezionalità di scelta visto “il continuo e diretto rapporto tra lo Stato e le forze vitali del proprio paese” (caso “Handyside). Ciò giustificherebbe l’operatività della clausola del margine di apprezzamento.

4. Ad adiuvandum, è intervenuta “Freereligions”, organizzazione no profit che si occupa di difesa della libertà religiosa, la quale ha evidenziato davanti la Corte i numerosi profili di rischio per l’esercizio della libertà stessa all’interno dello Stato di “Angorandia”.  Secondo gli intervenienti, nello Stato di Angorandia, dove l’educazione religiosa è obbligatoria (art 24 Cost Angorandia) nella scuola primaria e secondaria ed è basata totalmente sui principi della fede tradizionale e Maggioritaria Malai , più che mai sono in pericolo di discriminazione i diritti dei genitori e dei loro bambini.

 Inoltre il rifiuto da parte dello stato di fornire risorse e strumenti necessari per lo sviluppo dell’autonomia dei Cemeviti, costituisce il presupposto della negazione dell’esercizio di  libertà religiosa.

5. Nella seconda fase di udienza pubblica, dopo l’illustrazione delle rispettive argomentazioni da parte dei ricorrenti, dell’Avvocatura dello Stato e della terza parte interveniente, la Camera ha esposto la propria sentenza accompagnata da una sola opinione dissenziente.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha accolto il ricorso degli esponenti della minoranza religiosa dei “Cemeviti”, sostenendo che il rapporto Stato-minoranze religiose, regolato da normativa interna, non può derogare al principio di libertà di religione (articolo 9 CEDU) e al principio di non discriminazione (articolo 14 CEDU).

La Suprema Corte ha infatti sentenziato che il diniego comprime, in modo ingiustificato, la libertà religiosa ex articolo 9 CEDU. Il mancato riconoscimento di personalità giuridica comporta, infatti, limitazioni operative, quali l’acquisizione di beni, lo stabilimento di luoghi di culto, l’insegnamento nelle scuole. Questo, ledendo la dimensione pratica della libertà di religione, non consente di godere della libertà stessa in modo effettivo, riducendola ad un esercizio illusorio e puramente astratto.

I giudici di Strasburgo hanno evidenziato, inoltre, l’impossibilità di invocare il margine di apprezzamento statale che opera nel caso in cui determinate interferenze siano necessarie per il mantenimento di una società democratica. Le ragioni del caso di specie non appaiono consistenti e convincenti.

In conclusione, l’autonomia delle comunità religiose è indispensabile per il pluralismo in una società democratica.

6. La simulazione di processo pubblico comparato sul ricorso dei Cemeviti ha smosso, con questa sentenza, la timida giurisprudenza della Corte europea Diritti dell’Uomo verso il superamento del richiamo al margine di apprezzamento, che troppo spesso, ha vanificato le aspirazioni universalistiche della Convenzione ma soprattutto la stessa credibilità della Corte.

1. Si è svolta, in collaborazione con le cattedre delle professoresse S. Mancini e E. Ferioli dell’Università di Bologna, una simulazione di processo davanti la Corte Europea Diritti dell’Uomo avente ad oggetto il ricorso presentato da taluni membri della confessione religiosa dei Cemeviti. Le parti, composte da studenti selezionati dal Bologna Moot Team, sono state:

- Cemeviti

- Stato di Angorandia

- Associazione no profit Freereligions

- Corte Europea Diritti Dell’Uomo, presieduta dall’ Avv. B. Micolano.

Si stima che attualmente nella Repubblica di Angorandia più di un sesto della popolazione sia di fede Cemevita, branca scismatica della religione Malai, tradizionalmente maggioritaria nel paese. Fino agli anni 50 il Cemetivismo era rimasto relegato nelle regioni rurali, oggi a causa della migrazione si è diffuso a macchia d’olio anche nelle città. Nonostante ciò il governo repubblicano continua ad ignorare questa fede.

Alcuni aderenti al movimento dei “Cemeviti”, branca della religione maggioritaria “Malai”, presentavano, dunque, nel 2005 una petizione al primo ministro dello Stato di “Angorandia”, chiedendo che il “Cemevitismo” acquisisse lo status riservato alle confederazioni religiose. L’ufficio del Primo ministro provvedeva ad un diniego della richiesta.

A seguito di ciò, 1919 persone di fede “Cemevita” depositavano un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale amministrativo. Questo respingeva la richiesta sostenendo che il rifiuto dell’autorità competente fosse conforme alla normativa vigente, decisione successivamente confermata anche dal “Tribunale Amministrativo Supremo”. La parte soccombente ha, dunque, adito la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

2. La Simulazione ha visto una prima fase in cui i ricorrenti,  l’ Avvocatura generale dello stato di Angorandia e la terza parte interveniente, Freereligions, hanno redatto delle memorie inviate all’attenzione della Corte e della controparte in data 30 Novembre 2015.

Nell’atto presentato alla Corte di Strasburgo, i ricorrenti hanno censurato la sentenza del Tribunale Amministrativo Supremo sulla base del parametro dell’articolo 9 CEDU, che garantisce la piena libertà di religione e coscienza, in combinato disposto con l’art. 11 CEDU, che sancisce la libertà di unione e associazione, sostenendo che la libertà religiosa include il diritto di associarsi liberamente.

L’Avvocatura di stato ha replicato a tali argomentazioni, sostenendo, in primo luogo, come il movimento di pensiero dei “Cemeviti” sia una branca scismatica della religione “Malai” e per questa ragione non presenti né un sufficiente grado di differenziazione dottrinale, né una soddisfacente autonomia organizzativa e funzionale, requisiti necessari per l’accettazione sociale e giuridica.

Il convenuto inoltre ha evidenziato come il diniego sia perfettamente rispettoso dell’art. 9 CEDU, che disciplina, al secondo comma, la possibilità di restrizioni alla libertà religiosa, qualora costituiscano misure necessarie, in una società democratica, per la tutela dell’ordine pubblico. Nel caso di specie, la richiesta dei ricorrenti sembra tesa ad ottenere esclusivamente il privilegio di sottrarsi al dovere di contribuire alle spese pubbliche, privilegio che, se riconosciuto, metterebbe a repentaglio l’integrità e l’ordine pubblico democratico e laico della Repubblica ex articolo 14 della Costituzione.

Viene inoltre rispettato il principio di laicità ex articolo 2 Costituzione, principio mutevole a seconda della realtà culturale e giuridica in cui viene esplicato e per questo, necessariamente, letto e interpretato in conformità con la tradizione  giuridica storica e culturale di ogni Stato

3. In aggiunta i ricorrenti hanno lamentato la violazione dell’articolo 14 CEDU, che disciplina il divieto di discriminazione, dell’articolo 10 della Costituzione (principio di uguaglianza), dell’articolo 2 Protocollo numero uno addizionale alla Convenzione che afferma il compito dello Stato, “nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, di rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche” e, infine, della libertà di organizzazione autonoma, proclamata dalla giurisprudenza della Corte stessa (Casi Serif v Grecia” e “Hasan e Chaush v Bulgaria).

Secondo i ricorrenti, questi parametri sarebbero vulnerati dall’illegittimo rifiuto della richiesta di riconoscimento del gruppo come organizzazione confessionale, volto al fine di ottenere la legittimazione dei ministri di culto quali funzionari pubblici, l’individuazione dei propri luoghi di riunione quali luoghi di culto e l’applicazione di tutte le esenzioni fiscali di regola applicate ai culti riconosciuti.

Il convenuto, in opposizione alle sopracitate argomentazioni, si è soffermato sul fatto che nella disciplina di materie particolarmente delicate, per lo stretto contatto con la morale, per la natura soggettiva e per la variabilità nel tempo e nello spazio, sia necessaria, come riconosciuto della stessa Corte nella sua giurisprudenza, una certa discrezionalità di scelta visto “il continuo e diretto rapporto tra lo Stato e le forze vitali del proprio paese” (caso “Handyside). Ciò giustificherebbe l’operatività della clausola del margine di apprezzamento.

4. Ad adiuvandum, è intervenuta “Freereligions”, organizzazione no profit che si occupa di difesa della libertà religiosa, la quale ha evidenziato davanti la Corte i numerosi profili di rischio per l’esercizio della libertà stessa all’interno dello Stato di “Angorandia”.  Secondo gli intervenienti, nello Stato di Angorandia, dove l’educazione religiosa è obbligatoria (art 24 Cost Angorandia) nella scuola primaria e secondaria ed è basata totalmente sui principi della fede tradizionale e Maggioritaria Malai , più che mai sono in pericolo di discriminazione i diritti dei genitori e dei loro bambini.

 Inoltre il rifiuto da parte dello stato di fornire risorse e strumenti necessari per lo sviluppo dell’autonomia dei Cemeviti, costituisce il presupposto della negazione dell’esercizio di  libertà religiosa.

5. Nella seconda fase di udienza pubblica, dopo l’illustrazione delle rispettive argomentazioni da parte dei ricorrenti, dell’Avvocatura dello Stato e della terza parte interveniente, la Camera ha esposto la propria sentenza accompagnata da una sola opinione dissenziente.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha accolto il ricorso degli esponenti della minoranza religiosa dei “Cemeviti”, sostenendo che il rapporto Stato-minoranze religiose, regolato da normativa interna, non può derogare al principio di libertà di religione (articolo 9 CEDU) e al principio di non discriminazione (articolo 14 CEDU).

La Suprema Corte ha infatti sentenziato che il diniego comprime, in modo ingiustificato, la libertà religiosa ex articolo 9 CEDU. Il mancato riconoscimento di personalità giuridica comporta, infatti, limitazioni operative, quali l’acquisizione di beni, lo stabilimento di luoghi di culto, l’insegnamento nelle scuole. Questo, ledendo la dimensione pratica della libertà di religione, non consente di godere della libertà stessa in modo effettivo, riducendola ad un esercizio illusorio e puramente astratto.

I giudici di Strasburgo hanno evidenziato, inoltre, l’impossibilità di invocare il margine di apprezzamento statale che opera nel caso in cui determinate interferenze siano necessarie per il mantenimento di una società democratica. Le ragioni del caso di specie non appaiono consistenti e convincenti.

In conclusione, l’autonomia delle comunità religiose è indispensabile per il pluralismo in una società democratica.

6. La simulazione di processo pubblico comparato sul ricorso dei Cemeviti ha smosso, con questa sentenza, la timida giurisprudenza della Corte europea Diritti dell’Uomo verso il superamento del richiamo al margine di apprezzamento, che troppo spesso, ha vanificato le aspirazioni universalistiche della Convenzione ma soprattutto la stessa credibilità della Corte.