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MARIA MARTELLO, Una giustizia alta e altra. La mediazione nella nostra vita e nei tribunali

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MARIA MARTELLO, Una giustizia alta e altra. La mediazione nella nostra vita e nei tribunali, Roma, Paoline Editoriale Libri, 2022, 1-160

 

INTERVENTO Presidente FLICK – MONZA 10 OTTOBRE 2022 *
 

Per affrontare il tema della mediazione vorrei muovere da una constatazione preliminare. L'individuo diventa persona attraverso lo sviluppo di tre caratteristiche che esprimono il DNA della sua personalità: la relazione con gli altri; la collocazione nello spazio reale o virtuale; la percezione dello spazio del tempo passato e futuro.

Queste tre caratteristiche dell'identità umana sono state e verranno sempre più compresse nello sviluppo di una tecnologia che sta facendo miracoli, ma che apre anche a molti problemi. Il primo è quello delle relazioni tra la persona e gli altri. Mi ha colpito il discorso da cui muove la Professoressa Martello: “il giudizio danneggia le relazioni” perché rischia di svilupparsi in termini di autoreferenzialità, attraverso un procedimento ed un linguaggio tecnico non sempre (rectius quasi mai) comprensibili. Noi facciamo del nostro meglio per non farci capire, anche per mantenere un'aura di potenza nella gestione delle relazioni. La conflittualità, che è la crisi della relazione, si risolve fino a un certo punto nel giudizio; continuo a sentire questo limite nella mia esperienza di persona che si è occupata essenzialmente, se non prevalentemente, del diritto.

Ritrovo questo discorso, ad esempio, in un tema che sembra non avere a che fare nulla con il tema della mediazione, ma che è tremendamente attuale: il problema del conflitto fra Ucraina e Russia. È la necessità di sbloccare una situazione in cui ci troviamo di fronte a posizioni inconciliabili e alla difficoltà di far capire all'uno quello che dice l'altro; non dico di farlo accettare, ma di farlo entrare almeno in una logica di dialogo anziché di scontro.

Si richiede a gran voce di trovare un mediatore credibile che avvii i primi contatti in modo da frenare le pulsioni estreme dei due schieramenti. È un discorso che ho ritrovato in un messaggio stimolante e interessante del cardinal Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, quando ha parlato recentemente del ruolo suo e della Comunità di Sant'Egidio (in cui lavorava) per avviare un dialogo tra le parti contendenti in Mozambico e per arrivare poi a una soluzione di pace. Ci sono voluti alcuni anni.

La pace non è soltanto vincere una guerra, ma è accettare il dialogo con l'altro in modo da creare una relazione che non si riproponga in termini di conflitto alla prima nuova occasione.

È un discorso interessante, affascinante. Un discorso che, come diceva Maria Martello, parte da una considerazione abbastanza semplice ma importantissima: perché non proviamo a imparare a dire “forse”?

Io aggiungerei qualcosa di più. Dovremmo imparare anche a passare non solo dalla logica del “è così” alla logica del “forse”; ma anche dalla posizione “non capisci” alla posizione “non mi spiego”. Sono regolette semplici a dirsi, ma difficili da mettere in atto concretamente.

Sono entrato in un percorso ormai lungo nel mondo del diritto; ero spinto dalla necessità di trovare la certezza e convinto che l'avrei trovata nella legge. Ne esco, spero il più tardi possibile, scoprendo che non la certezza della legge ma il ragionevole dubbio è la chiave per portare avanti il discorso della giustizia come tanti altri discorsi.

Vorrei ricordare due piccoli emblemi del mio modo di vivere il problema giustizia nelle varie sue forme: come giudice delle persone, poi come giudice delle leggi, con un intervallo significativo di accademia, di professione e di istituzione come ministro della Giustizia ormai nella preistoria. In questo percorso ho scoperto due realtà che provo a sintetizzare.

La prima è il paradigma del porcospino, indicato da Schopenhauer. Due porcospini di notte avevano freddo, si strinsero per scaldarsi. Si punsero, si allontanarono, però ebbero di nuovo freddo. Prova e riprova, nello stringersi l'uno con all'altro e allontanarsi, riuscirono a scaldarsi abbastanza senza pungersi troppo. Credo che dovremmo avviare il tema della mediazione in una prospettiva di questo tipo. Non c'è mai nessuno che vince completamente e non c'è mai nessuno che perde completamente. E se è così, nella soluzione imposta dall’esterno rimane una animosità che può far scattare altre volte il conflitto.

L'altro emblema che mi porto dietro è quello del vecchio giudice che amministrava la giustizia sotto l'albero. E che un giorno si portò ad assistere al suo lavoro il nipote piccolo. Arrivò il primo contendente ed espose le proprie ragioni. Il giudice lo ascoltò e gli disse “Vai pure, hai ragione”. Poi arrivò l'avversario ed espose a sua volta le proprie ragioni. E il giudice ascoltò con attenzione anche lui e poi gli disse “Vai pure, hai ragione”. Il nipote allora entrò in crisi: “Nonno, com’è possibile che abbiano ragione tutte e due?”. Il giudice ci pensò un momento. Poi disse: “hai ragione anche tu”.

Questo è un po’ il cliché che mi ha accompagnato nel valorizzare l'idea del dubbio. Credo che possa valere per chiunque di noi abbia sperimentato i limiti e le difficoltà della giurisdizione attuale: sia esso giudice, imputato, testimone, parte di un processo civile, o come me ministro che si è trovato a verificare le difficoltà, le carenze dell’ordinamento giudiziario; quelle di organizzazione nei tribunali; le disfunzioni e i ritardi dei processi; il disastro delle nostre carceri. Quelle disfunzioni  vanno rimosse, ma non risolveranno una questione di fondo. Perché io credo che qui c'è un altro insegnamento del quale sono particolarmente grato a Maria Martello.

È il riferimento a San Francesco; è stato il primo ambientalista del nostro Paese e il Cantico delle creature è il primo codice dell'ambiente che funziona, o dovrebbe funzionare ancora e soprattutto adesso. La voce dei fiori, delle piante, degli animali, dell'erba, della natura che noi stiamo spegnendo con tutte le voci della tecnologia e del progresso che sono diventate assordanti.

Ho scoperto che Francesco non è solo il primo ecologista d'Italia, ma è anche il primo mediatore d'Italia, nelle pagine che Maria Martello dedica all'incontro tra Francesco e il lupo di Gubbio.

Francesco ha una serie di contatti e di prediche. È un relation man, è un uomo delle relazioni ante litteram. Da quando si spoglia in piazza davanti al vescovo e davanti a suo padre a quando, uscendo da Roma e abbandonandola, fa la predica agli uccelli rapaci, non solo agli uccellini dipinti da Giotto negli affreschi della vita di Francesco.

Ma Francesco ha un discorso ancora più interessante quando riesce a sbloccare la situazione del lupo di Gubbio, il quale aveva fame e, quindi, faceva delle cose che non doveva fare. I cittadini di Gubbio avevano paura e d'altra parte avevano fame anche loro. Il discorso di Francesco è un'ipotesi primigenia di mediazione, che cerca di stabilire una relazione tra le due parti. Tu non puoi continuare a mangiare la gente; ma voi non potete lasciarlo morire di fame.

È difficile, complicato, ma tutto sommato abbastanza importante per delineare la strada del patto, dell'accordo che è difficilissimo da raggiungere. Solo un terzo, dotato di neutralità e capace di ispirare fiducia, può portarlo avanti.

Il Presidente della Repubblica delinea, nel suo secondo discorso di insediamento (il 22 febbraio di quest'anno) un contesto ben diverso  da quello del suo discorso di sette anni fa, quando (il 22 febbraio 2017, nel suo primo insediamento) parlava della magistratura come di una realtà che dà fiducia, che dà uno splendido esempio. Ammonisce che quel contesto è oggi cambiato molto. Ora il Presidente della repubblica propone con decisione una mediazione autorevole: “Dovete piantarla lì. E dovete mettervi d'accordo con gli avvocati e trovare una sinergia per fare presto le riforme”.

Ecco allora il miracolo della mediazione, come dice Maria  Martello: una figura terza autorevole fra  le parti in conflitto; l'ascolto separato delle loro ragioni e poi il dialogo; il riconoscimento dei ruoli quando vi sono una vittima e un persecutore (ruoli che si scambiano l'uno con l'altro naturalmente); la responsabilizzazione di chi in quel momento è persecutore; la scoperta delle vere motivazioni che portano al conflitto. E poi l'accordo e il patto.

Difficile come discorso e come percorso. Difficile e interessante da percorrere, perché io credo che la prima volta in cui  abbiamo parlato di mediazione in Italia, eravamo tutti un po’ prevenuti. Siamo partiti (io non ho dato il via al colpo di pistola di partenza perchè sono stato mandato via con il governo) e altri hanno proseguito sull'onda dell'indicazione europea per le ADR, con metodi alternativi di risoluzione della disputa proposti dall’Europa.

Siamo partiti col piede sbagliato: una tendenza alla mediazione come rimedio di deflazione attraverso l'accordo; ma, per deflazionare il ricorso alla giustizia classica, arrivando fino all'obbligo sanzionato di sottostare alla mediazione. Questa viene allora interpretata da colui che la subisce come una sorta di minaccia; come il rischio di perdere delle garanzie difensive, di perdere la capacità di poter far valere le proprie ragioni, di avere di fronte uno che non è giudice distaccato o superiore, ma che magari se la fa con l'altra parte. Poi c’è la prevenzione degli avvocati … “qui ci rubano il mestiere!”.

Forse sbagliammo, compreso il governo, che ha cercato di mettere in piedi una rete di formazione alla mediazione la quale in realtà era un modo per creare posti di lavoro a basso costo. Forse l'allargamento della platea dei mediatori era visto come una sorta di parcheggio per la disoccupazione: allontaniamo il momento in cui la persona metterà a fuoco che non trova lavoro. E quindi cerchiamogli delle occupazioni. Anche da questo punto di vista siamo partiti col piede sbagliato ed è rimasta in molti di noi, me compreso, una specie di piccola o grande prevenzione.

Il merito di Maria Martello è quello di riuscire a superare quella prevenzione e di cominciare - un'esperienza che ho maturato nel frattempo - a pensare che probabilmente la strada della giustizia debba essere anche questa, tenendo conto dei vantaggi della tecnologia ma anche dei rischi di una giustizia robotica. È la strada in cui non potremo mai pensare che sia un robot a stabilire la giusta distanza tra tutti i porcospini e sia un robot superare le infinite varianti della dimensione del conflitto sotto il profilo personale dei suoi protagonisti: le varianti che portano il vecchio giudice a dire a tutti i contendenti e agli spettatori “hai ragione anche tu”.

A questo punto la mediazione non è solo giustizia differita e tantomeno negata. È un discorso che mette a fuoco in modo molto concreto la differenza tra il punire e il riparare … E sottintende la speranza di arrivare alla giustizia riparativa.

È un modo di riconoscere in fondo l'unità, la capacità di trovare una soluzione unica, una posizione comune rispetto a posizioni di diversità; un modo che tra l'altro finalmente ha scoperto la necessità di introdurre l'incentivazione al posto di una obbligatorietà magari fissata dal giudice, senza neppure interpellare (come chiedono le norme europee) di sentire cosa ne pensano le parti.

È un discorso nel quale dobbiamo tutti fare una profonda riflessione. E nessuno può e deve farla meglio di avvocati e magistrati e di professori che combattono (anche se i professori hanno il difetto e l'obiettivo di rendere difficile le cose facili attraverso quelle inutili per potersi far notare meglio; lo dico perché sono professore, naturalmente).

Questo è l'augurio che faccio al convegno: che si possa continuare a ragionare in una prospettiva di dialogo, in un momento in cui purtroppo continuiamo – attraverso i talk show; attraverso il modo di ragionare sui media e le piattaforme della rete; e attraverso la polemica – a essere perennemente tutti contro tutti.

* Intervento alla presentazione del libro “UNA GIUSTIZIA ALTA E ALTRA: la mediazione dei conflitti nella nostra vita e nei tribunali” della Professoressa Maria Martello