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Matrimonio "bianco" e addebito della separazione

1. Massima

In tema di separazione giudiziale dei coniugi, non costituisce di per sé motivo di addebito una relazione extraconiugale, se il coniuge - che richiede la pronuncia di addebito - non prova il  nesso di causalità tra l’infedeltà dell’altro coniuge e la crisi coniugale (nel caso di specie, la Corte esclude che al coniuge infedele possa essere addebita sic et simpliciter la separazione, se è stato spinto all’adulterio dal rifiuto dell’altro coniuge, reiterato nel tempo, di avere rapporti sessuali).

2. Il caso e i precedenti

La controversia in esame vede contrapporsi ad una moglie, offesa dal tradimento e dall’abbandono del coniuge, un marito fedifrago che, rifiutato sessualmente dalla moglie, cerca l’appagamento sentimentale in un rapporto adulterino (che lo spinge, poi, ad abbandonare la casa coniugale).

Nel corso del giudizio di separazione, la prima chiede l’addebito della separazione al secondo, ma non prova che l’interruzione della convivenza era imputabile alla condotta infedele del marito, di tal ché i giudici di merito rigettano la richiesta ed accertano che la convivenza era diventata intollerabile a causa dei rifiuti, continui e persistenti nel tempo della moglie, ad avere rapporti intimi e non a causa della relazione extraconiugale del marito (conseguente, invece, alla prolungata astinenza sessuale imposta dalla moglie).

Successivamente, la Corte di Cassazione, chiamata a decidere sulla legittimità della decisione dei giudici di merito, con l’ordinanza in epigrafe, rigetta il ricorso della moglie tradita, per confermare integralmente le decisioni di primo e secondo grado.

Invero, fa suo il principio espresso nei gradi precedenti di giudizio ed esclude che la separazione giudiziale possa essere addebita al coniuge che viene spinto ad una relazione extraconiugale dalla astinenza sessuale imposta dalla moglie “sin dal nascita del figlio”.

In particolare i giudici di legittimità, escludono la sussistenza del nesso causale tra l’adulterio e l’intollerabilità della convivenza (in senso conforme, Cassazione 14 febbraio 2012, n. 2059, in Foro it. 2012, I, 2434;  Cassazione 1 marzo 2005, n. 4290,  id., 2005, I, 2994, che, invece, addebita la separazione alla moglie, avendo accertato il fattore causale dissolutivo della convivenza nella relazione omosessuale intrattenuta dalla moglie stessa con altra donna) e, implicitamente, da una parte, giustificano il comportamento del coniuge respinto, da altra parte, condannano l’atteggiamento del coniuge ricalcitrante ai rapporti sessuali (allineandosi a Cassazione 6 novembre 2012, n. 19112, la cui massima recita: “La sedatio concupiscentiae, ossia l’appagamento sessuale, non è l’unico scopo del matrimonio, ma il rifiuto della moglie, reiterato nel tempo, di avere rapporti sessuali con il marito, qualora sia effetto di una repulsione personale nonché fonte di umiliazione e offesa alla dignità dello stesso, costituisce causa di addebito della separazione. Tale condotta integra pertanto violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale di cui all’art. 143 c.c”.

In estrema sintesi, i giudici - nel bilanciare i contrapposti interessi e nel ricostruire la serie causale che intercorre tra: a) inappagamento sessuale e adulterio, b) adulterio e separazione e c) separazione e intollerabilità della convivenza -  riconoscono un nesso tra inappagamento sessuale e intollerabilità della convivenza e quindi un rapporto concatenato e diretto tra la prima, la seconda e la separazione, derubricando, così, a semplice occasione (e non causa) della separazione l’adulterio: la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, in una situazione caratterizzata da una convivenza meramente formale, rende l’adulterio irrilevante ai fini dell’addebito.

Ovvero la Suprema Corte riconosce che, in condizioni di normalità e in assenza di altri motivi (che giustifichino la condotta ricalcitrante di uno o entrambi i coniugi): 1) l’intimità sessuale è uno dei fini essenziali del matrimonio ed entrambi i coniugi hanno il diritto di richiederla; 2) la mancanza di intimità  rende la  convivenza meramente formale; 3) il continuo rifiuto, opposto da parte di uno dei due coniugi, ad avere rapporti sessuali, giustifica la condotta adulterina del coniuge rifiutato e la rende irrilevante ai fini dell’addebito.

3. Il testo dell’ordinanza

1. Con sentenza del 14 settembre 2010 il Tribunale di (...) ha pronunciato la separazione personale dei coniugi A e B rigettando la domanda di addebito della separazione al B e di condanna al risarcimento danni, disponendo l’affido condiviso del figlio minore C , e la sua residenza presso la madre, imponendo al B  un assegno di mantenimento in favore del figlio minore di euro [...] dalla domanda al febbraio 2009 e di euro [...] dal marzo 2009. Il Tribunale ha posto la metà delle spese processuali a carico della C. in ragione del rigetto della domanda di addebito e di risarcimento.

2. Ha proposto appello A contestando la mancata pronuncia di addebito e di condanna al risarcimento dei danni nonostante il B avesse riconosciuto di aver intrapreso una relazione extra-coniugale con un’altra donna e di essersi allontanato dalla residenza familiare per intraprendere la convivenza con la nuova compagna. La A ha contestato, altresì, la decorrenza e la misura dell’assegno e la sua condanna parziale al pagamento delle spese processuali.

3. Si è costituito B chiedendo il rigetto del gravame.

4. La Corte di appello di [...] ha respinto l’appello rilevando che il B , pur ammettendo i fatti ascritti dalla controparte, aveva chiarito che in realtà il ménage familiare si era già dissolto da tempo, dichiarando di essere andato via da casa perché la situazione familiare non era più sopportabile e che dalla nascita del figlio non vi erano stati più rapporti sessuali fra i coniugi. La Corte ha ribadito che l’addebito della responsabilità della separazione presuppone non solo la violazione dei doveri coniugali derivanti dal matrimonio ma anche la prova, a carico del coniuge che richiede la pronuncia di addebito, del nesso di causalità tra tale violazione e l’intollerabilità della convivenza e ha ritenuto che tale prova non era stata prodotta dalla A ma che, al contrario, in base alle acquisizioni istruttorie potesse escludersi che la relazione extra-coniugale del B fosse la causa della rottura del vincolo coniugale.

5. Ricorre per cassazione A affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 143-151 e 2697 c.c. e degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c. nonché la erronea e contraddittoria motivazione.

6. Si difende con controricorso B.

Ritenuto che:

7. L’obbligo di fedeltà coniugale costituisce oggetto di una norma di condotta imperativa, la cui violazione, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, determina normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e costituisce, di regola, causa della separazione personale, addebitabile al coniuge che ne è responsabile, sempre che non si constati la mancanza di un nesso di causalità tra l’infedeltà e la crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass. Civ. sezione I n. 13592 del 12 giugno 2006).

8. L’abbandono della casa familiare, che di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale e, conseguentemente, causa di addebito della separazione, in quanto porta alla impossibilità che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto (Cass. civ. sezione I n. 10719 dell’8 maggio 2013 e n. 12373 del 10 giugno 2005).

9. La Corte di appello ha ritenuto la domanda di addebito infondata alla luce di questi precedenti giurisprudenziali consolidati e del più generale principio secondo cui grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza degli obblighi familiari, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata violazione del dovere derivante dal matrimonio (cfr. Cass. civ. sezione I, n. 2059 del 14 febbraio 2012).

10. La Corte distrettuale ha infatti ritenuto provata la circostanza, dedotta dal B e riferita de relato dall’unica teste, escussa (sorella del B ) e non smentita dalla A , della fine dei rapporti sessuali fra i coniugi sin dal nascita del figlio avvenuta nel 2000. La Corte ha inoltre valorizzato le dichiarazioni della A circa la volontà unilaterale del B di separarsi (attuata poi con la proposizione del ricorso giudiziale) a fronte di una sua volontà riconciliativa manifestata anche dopo l’allontanamento dalla residenza familiare e la conoscenza della relazione extra-coniugale del marito.

11. Si tratta di una motivazione, coerente ai principi giurisprudenziali sopra richiamati, congrua dal punto di vista logico e non smentita da altri elementi di prova addotti dalla C. che possano escludere la preesistenza di una situazione di esaurimento della comunità morale e affettiva fra i coniugi cui attribuire la intollerabilità della prosecuzione della convivenza. In tale contesto appare coerente anche la motivazione relativa al rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.

12. Conseguentemente la Corte, dissentendo dalla relazione ex art. 380 bis c.p.c. del 27 giugno – 4 luglio 2013, ritiene che il ricorso vada respinto.

13. Sussistono giusti motivi in relazione alla violazione dei doveri coniugali riconosciuta dal B per compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.

1. Massima

In tema di separazione giudiziale dei coniugi, non costituisce di per sé motivo di addebito una relazione extraconiugale, se il coniuge - che richiede la pronuncia di addebito - non prova il  nesso di causalità tra l’infedeltà dell’altro coniuge e la crisi coniugale (nel caso di specie, la Corte esclude che al coniuge infedele possa essere addebita sic et simpliciter la separazione, se è stato spinto all’adulterio dal rifiuto dell’altro coniuge, reiterato nel tempo, di avere rapporti sessuali).

2. Il caso e i precedenti

La controversia in esame vede contrapporsi ad una moglie, offesa dal tradimento e dall’abbandono del coniuge, un marito fedifrago che, rifiutato sessualmente dalla moglie, cerca l’appagamento sentimentale in un rapporto adulterino (che lo spinge, poi, ad abbandonare la casa coniugale).

Nel corso del giudizio di separazione, la prima chiede l’addebito della separazione al secondo, ma non prova che l’interruzione della convivenza era imputabile alla condotta infedele del marito, di tal ché i giudici di merito rigettano la richiesta ed accertano che la convivenza era diventata intollerabile a causa dei rifiuti, continui e persistenti nel tempo della moglie, ad avere rapporti intimi e non a causa della relazione extraconiugale del marito (conseguente, invece, alla prolungata astinenza sessuale imposta dalla moglie).

Successivamente, la Corte di Cassazione, chiamata a decidere sulla legittimità della decisione dei giudici di merito, con l’ordinanza in epigrafe, rigetta il ricorso della moglie tradita, per confermare integralmente le decisioni di primo e secondo grado.

Invero, fa suo il principio espresso nei gradi precedenti di giudizio ed esclude che la separazione giudiziale possa essere addebita al coniuge che viene spinto ad una relazione extraconiugale dalla astinenza sessuale imposta dalla moglie “sin dal nascita del figlio”.

In particolare i giudici di legittimità, escludono la sussistenza del nesso causale tra l’adulterio e l’intollerabilità della convivenza (in senso conforme, Cassazione 14 febbraio 2012, n. 2059, in Foro it. 2012, I, 2434;  Cassazione 1 marzo 2005, n. 4290,  id., 2005, I, 2994, che, invece, addebita la separazione alla moglie, avendo accertato il fattore causale dissolutivo della convivenza nella relazione omosessuale intrattenuta dalla moglie stessa con altra donna) e, implicitamente, da una parte, giustificano il comportamento del coniuge respinto, da altra parte, condannano l’atteggiamento del coniuge ricalcitrante ai rapporti sessuali (allineandosi a Cassazione 6 novembre 2012, n. 19112, la cui massima recita: “La sedatio concupiscentiae, ossia l’appagamento sessuale, non è l’unico scopo del matrimonio, ma il rifiuto della moglie, reiterato nel tempo, di avere rapporti sessuali con il marito, qualora sia effetto di una repulsione personale nonché fonte di umiliazione e offesa alla dignità dello stesso, costituisce causa di addebito della separazione. Tale condotta integra pertanto violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale di cui all’art. 143 c.c”.

In estrema sintesi, i giudici - nel bilanciare i contrapposti interessi e nel ricostruire la serie causale che intercorre tra: a) inappagamento sessuale e adulterio, b) adulterio e separazione e c) separazione e intollerabilità della convivenza -  riconoscono un nesso tra inappagamento sessuale e intollerabilità della convivenza e quindi un rapporto concatenato e diretto tra la prima, la seconda e la separazione, derubricando, così, a semplice occasione (e non causa) della separazione l’adulterio: la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, in una situazione caratterizzata da una convivenza meramente formale, rende l’adulterio irrilevante ai fini dell’addebito.

Ovvero la Suprema Corte riconosce che, in condizioni di normalità e in assenza di altri motivi (che giustifichino la condotta ricalcitrante di uno o entrambi i coniugi): 1) l’intimità sessuale è uno dei fini essenziali del matrimonio ed entrambi i coniugi hanno il diritto di richiederla; 2) la mancanza di intimità  rende la  convivenza meramente formale; 3) il continuo rifiuto, opposto da parte di uno dei due coniugi, ad avere rapporti sessuali, giustifica la condotta adulterina del coniuge rifiutato e la rende irrilevante ai fini dell’addebito.

3. Il testo dell’ordinanza

1. Con sentenza del 14 settembre 2010 il Tribunale di (...) ha pronunciato la separazione personale dei coniugi A e B rigettando la domanda di addebito della separazione al B e di condanna al risarcimento danni, disponendo l’affido condiviso del figlio minore C , e la sua residenza presso la madre, imponendo al B  un assegno di mantenimento in favore del figlio minore di euro [...] dalla domanda al febbraio 2009 e di euro [...] dal marzo 2009. Il Tribunale ha posto la metà delle spese processuali a carico della C. in ragione del rigetto della domanda di addebito e di risarcimento.

2. Ha proposto appello A contestando la mancata pronuncia di addebito e di condanna al risarcimento dei danni nonostante il B avesse riconosciuto di aver intrapreso una relazione extra-coniugale con un’altra donna e di essersi allontanato dalla residenza familiare per intraprendere la convivenza con la nuova compagna. La A ha contestato, altresì, la decorrenza e la misura dell’assegno e la sua condanna parziale al pagamento delle spese processuali.

3. Si è costituito B chiedendo il rigetto del gravame.

4. La Corte di appello di [...] ha respinto l’appello rilevando che il B , pur ammettendo i fatti ascritti dalla controparte, aveva chiarito che in realtà il ménage familiare si era già dissolto da tempo, dichiarando di essere andato via da casa perché la situazione familiare non era più sopportabile e che dalla nascita del figlio non vi erano stati più rapporti sessuali fra i coniugi. La Corte ha ribadito che l’addebito della responsabilità della separazione presuppone non solo la violazione dei doveri coniugali derivanti dal matrimonio ma anche la prova, a carico del coniuge che richiede la pronuncia di addebito, del nesso di causalità tra tale violazione e l’intollerabilità della convivenza e ha ritenuto che tale prova non era stata prodotta dalla A ma che, al contrario, in base alle acquisizioni istruttorie potesse escludersi che la relazione extra-coniugale del B fosse la causa della rottura del vincolo coniugale.

5. Ricorre per cassazione A affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 143-151 e 2697 c.c. e degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c. nonché la erronea e contraddittoria motivazione.

6. Si difende con controricorso B.

Ritenuto che:

7. L’obbligo di fedeltà coniugale costituisce oggetto di una norma di condotta imperativa, la cui violazione, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, determina normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e costituisce, di regola, causa della separazione personale, addebitabile al coniuge che ne è responsabile, sempre che non si constati la mancanza di un nesso di causalità tra l’infedeltà e la crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass. Civ. sezione I n. 13592 del 12 giugno 2006).

8. L’abbandono della casa familiare, che di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale e, conseguentemente, causa di addebito della separazione, in quanto porta alla impossibilità che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto (Cass. civ. sezione I n. 10719 dell’8 maggio 2013 e n. 12373 del 10 giugno 2005).

9. La Corte di appello ha ritenuto la domanda di addebito infondata alla luce di questi precedenti giurisprudenziali consolidati e del più generale principio secondo cui grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza degli obblighi familiari, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata violazione del dovere derivante dal matrimonio (cfr. Cass. civ. sezione I, n. 2059 del 14 febbraio 2012).

10. La Corte distrettuale ha infatti ritenuto provata la circostanza, dedotta dal B e riferita de relato dall’unica teste, escussa (sorella del B ) e non smentita dalla A , della fine dei rapporti sessuali fra i coniugi sin dal nascita del figlio avvenuta nel 2000. La Corte ha inoltre valorizzato le dichiarazioni della A circa la volontà unilaterale del B di separarsi (attuata poi con la proposizione del ricorso giudiziale) a fronte di una sua volontà riconciliativa manifestata anche dopo l’allontanamento dalla residenza familiare e la conoscenza della relazione extra-coniugale del marito.

11. Si tratta di una motivazione, coerente ai principi giurisprudenziali sopra richiamati, congrua dal punto di vista logico e non smentita da altri elementi di prova addotti dalla C. che possano escludere la preesistenza di una situazione di esaurimento della comunità morale e affettiva fra i coniugi cui attribuire la intollerabilità della prosecuzione della convivenza. In tale contesto appare coerente anche la motivazione relativa al rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.

12. Conseguentemente la Corte, dissentendo dalla relazione ex art. 380 bis c.p.c. del 27 giugno – 4 luglio 2013, ritiene che il ricorso vada respinto.

13. Sussistono giusti motivi in relazione alla violazione dei doveri coniugali riconosciuta dal B per compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.