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Cassazione Civile: per il risarcimento della violazione della privacy la lesione deve essere grave e il danno non futile

In tema di trattamento illecito dei dati personali (disciplinato dal Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n.196), il danno non patrimoniale è oggetto di accertamento del giudice di merito da compiersi con riferimento alla concretezza della vicenda sottoposta alla sua cognizione e da valutarsi sotto i profili della “gravità della lesione” e della “serietà del danno” da essa derivante.

La Suprema Corte si è pronunciata in seguito all’impugnazione di una sentenza del Tribunale di Roma che accoglieva la domanda di tre specializzandi, i quali denunciavano l’illecito trattamento dei dati personali da parte di un ateneo della città di Roma. Nella specie, nella domanda attorea si lamentava il fatto che fosse possibile, digitando il nome e il cognome di alcuni studenti, reperire un documento excel pubblicato sul sito Internet dell’Università, e accedere liberamente ad alcune informazioni riservate (generalità, codice fiscale, attività di studio, posizione lavorativa e retributiva).

I giudici di merito disponevano la cancellazione dal web dei dati personali ed identificativi dei ricorrenti in giudizio, contenuti nel documento excel, inibendone la diffusione e condannando l’Università a risarcire i danni non patrimoniali patiti dagli stessi attori, ai sensi dell’articolo 15 del Codice Privacy (Decreto Legislativo 196/2003) rubricato “Danni cagionati per effetto del trattamento”. Riscontravano, inoltre, a fondamento del pregiudizio liquidato “un disagio conseguente alla propria (indiscriminata) esposizione personale anche di carattere economico.

I giudici di Cassazione hanno ritenuto che, per orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale ex articolo 2059 del Codice Civile, il giudice è chiamato a valutare se la lesione dell’interesse o diritto della persona di rilevanza costituzionale di cui si chiede tutela presenti i caratteri della gravità (e cioè che superi la soglia minima di tollerabilità, imposta dai doveri di solidarietà sociale ex articolo 2 Cost.) e che il danno non sia futile (vale a dire non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario)” (Cass. n. 8703 del 2009).

Tale accertamento è oggetto di valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato e privo di vizi logici. Gravità della lesione e serietà del danno sono i parametri che devono essere rispettati per disporre il risarcimento del danno non patrimoniale, non potendosi considerare tali elementi connaturati nel fatto dannoso, “in re ipsa”, si potrebbe dire.

Nella specie, il Tribunale di Roma, nell’accertamento del danno non patrimoniale poi liquidato ai ricorrenti, ha fatto riferimento al mero “disagio conseguente alla propria (indiscriminata) esposizione personale anche di carattere economico”, mancando altresì, di rendere pienamente intellegibile lo sviluppo dei criteri che hanno guidato un tale giudizio, il quale avrebbe dovuto formarsi all’esito di una verifica in concreto circa la gravità della lesione e la serietà del danno”.

Con tale motivazione, la Corte di legittimità ha cassato la sentenza impugnata e disposto il rinvio al Tribunale, per un nuovo esame della questione.

Il testo della sentenza è liberamente consultabile sul sito internet istituzionale della Corte di Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 15 luglio 2014, n.16133)

In tema di trattamento illecito dei dati personali (disciplinato dal Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n.196), il danno non patrimoniale è oggetto di accertamento del giudice di merito da compiersi con riferimento alla concretezza della vicenda sottoposta alla sua cognizione e da valutarsi sotto i profili della “gravità della lesione” e della “serietà del danno” da essa derivante.

La Suprema Corte si è pronunciata in seguito all’impugnazione di una sentenza del Tribunale di Roma che accoglieva la domanda di tre specializzandi, i quali denunciavano l’illecito trattamento dei dati personali da parte di un ateneo della città di Roma. Nella specie, nella domanda attorea si lamentava il fatto che fosse possibile, digitando il nome e il cognome di alcuni studenti, reperire un documento excel pubblicato sul sito Internet dell’Università, e accedere liberamente ad alcune informazioni riservate (generalità, codice fiscale, attività di studio, posizione lavorativa e retributiva).

I giudici di merito disponevano la cancellazione dal web dei dati personali ed identificativi dei ricorrenti in giudizio, contenuti nel documento excel, inibendone la diffusione e condannando l’Università a risarcire i danni non patrimoniali patiti dagli stessi attori, ai sensi dell’articolo 15 del Codice Privacy (Decreto Legislativo 196/2003) rubricato “Danni cagionati per effetto del trattamento”. Riscontravano, inoltre, a fondamento del pregiudizio liquidato “un disagio conseguente alla propria (indiscriminata) esposizione personale anche di carattere economico.

I giudici di Cassazione hanno ritenuto che, per orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale ex articolo 2059 del Codice Civile, il giudice è chiamato a valutare se la lesione dell’interesse o diritto della persona di rilevanza costituzionale di cui si chiede tutela presenti i caratteri della gravità (e cioè che superi la soglia minima di tollerabilità, imposta dai doveri di solidarietà sociale ex articolo 2 Cost.) e che il danno non sia futile (vale a dire non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario)” (Cass. n. 8703 del 2009).

Tale accertamento è oggetto di valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato e privo di vizi logici. Gravità della lesione e serietà del danno sono i parametri che devono essere rispettati per disporre il risarcimento del danno non patrimoniale, non potendosi considerare tali elementi connaturati nel fatto dannoso, “in re ipsa”, si potrebbe dire.

Nella specie, il Tribunale di Roma, nell’accertamento del danno non patrimoniale poi liquidato ai ricorrenti, ha fatto riferimento al mero “disagio conseguente alla propria (indiscriminata) esposizione personale anche di carattere economico”, mancando altresì, di rendere pienamente intellegibile lo sviluppo dei criteri che hanno guidato un tale giudizio, il quale avrebbe dovuto formarsi all’esito di una verifica in concreto circa la gravità della lesione e la serietà del danno”.

Con tale motivazione, la Corte di legittimità ha cassato la sentenza impugnata e disposto il rinvio al Tribunale, per un nuovo esame della questione.

Il testo della sentenza è liberamente consultabile sul sito internet istituzionale della Corte di Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 15 luglio 2014, n.16133)