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Antitrust: sanzionati gli operatori di telefonia mobile per addebito di “servizi premium” non richiesti e/o richiesti inconsapevolmente

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) il 13 gennaio 2015 ha sanzionato i principali operatori del settore delle comunicazioni mobili - H3G, Telecom, Vodafone e Wind - per aver adottato pratiche commerciali scorrette nell’ambito della commercializzazione di servizi a sovrapprezzo (cosiddetti “servizi premium”, quali giochi e video) accessibili durante la navigazione da terminale mobile mediante banner, pop-up e landing page.

Preliminarmente l’Antitrust ha ritenuto che detti gestori di telefonia mobile non avessero informato adeguatamente i propri utenti circa l’abilitazione di default della sim alla ricezione - durante la navigazione in mobilità - di servizi a pagamento e della possibilità di impedire detta ricezione esclusivamente dietro esplicita richiesta del cliente (cosiddetto “blocco selettivo”).

Tale condotta è stata considerata ingannevole in quanto (i) “omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno (…) per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso” (articolo 22, comma 1, Codice del consumo); (ii) “occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti (…) o non indica l’intento commerciale della pratica stessa” (articolo 22, comma 2, Codice del consumo); (iii) è, in ogni caso, “contraria alla diligenza professionale” e“idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge” (articolo 20 Codice del consumo);

Un ulteriore profilo di “scorrettezza” nella commercializzazione dei servizi premium è stato ravvisato nell’avere, gli operatori di telefonia mobile, adottato un sistema automatico (cosiddetto “enrichment”) di trasferimento del numero di telefono dell’utente ai soggetti terzi fornitori dei contenuti digitali a pagamento (cosiddetti “Content Service Provider”), nonché di addebito del servizio all’utente mediante decurtazione del credito prepagato o inserimento nella fattura dell’abbonamento.

L’Antitrust ha sottolineato come tale pratica possa condurre ad attivazioni del servizio non consapevoli o accidentali, potendo l’utente “trovarsi nella condizione di aver sfiorato involontariamente il tasto di attivazione nella landing page - fenomeno tipicamente connesso ai comandi in touch screen che caratterizzano gli smartphone di dimensioni ridotte utilizzati per l’attivazione - senza rendersi conto che sta attivando un servizio a pagamento con addebito automatico sul suo credito/conto telefonico, in assenza di un’adeguata informativa in tempo reale sull’esistenza del meccanismo di enrichment e di una procedura di attivazione e addebito dei servizi che gli consenta di esprimere in modo consapevole e non condizionato la propria scelta di acquisto.

In ogni caso, la procedura prevista per l’attivazione dell’abbonamento, essendo affidata ad un unico e semplice click, senza ulteriori passaggi, non consente al consumatore di poter acquisire piena consapevolezza del fatto che sta sottoscrivendo un servizio in abbonamento, immediatamente addebitato sul proprio credito telefonico, attraverso la cessione del proprio numero di telefono dall’operatore al soggetto che eroga il servizio”. Tale condotta è stata, pertanto, ritenuta: (i) ingannevole in quanto idonea a determinare un indebito condizionamento della libertà di comportamento del consumatore, non essendo la fornitura del servizio richiesta consapevolmente dall’utente (articoli 24 e 25, lettera a), Codice del consumo); e (ii) aggressiva poiché implica “il pagamento immediato o differito (...) di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto” (articolo 26, lettera f), Codice del consumo).

Infine, l’Autorità garante ha censurato l’assenza, nei messaggi volti a promuovere i servizi a pagamento, di informazioni rilevanti circa gli elementi principali dell’offerta e i diritti dei consumatori nella contrattazione a distanza (come, ad esempio, il recesso), nonché la circostanza che a partire da essi si possa determinare, senza un’espressa manifestazione di volontà del consumatore, l’accesso e l’attivazione di detti servizi (essendo sufficiente anche uno sfioramento manuale dello schermo da parte dell’utente, un click sul pulsante che identifica il comando di chiusura del relativo banner, eccetera).

La scorrettezza di tale pratica (ai sensi dell’articolo 22, comma 4, Codice del consumo) è stata imputata ai soggetti terzi fornitori dei servizi a pagamento, pur tuttavia le compagnie telefoniche sono state anch’esse ritenute responsabili (i) poiché consapevoli dell’esistenza di attivazioni e addebiti relativi a servizi non richiesti da parte dei propri clienti mobili; (ii) per non aver previsto procedure idonee ad avvisare l’utente “in tempo reale” della circostanza che la sottoscrizione del servizio implicasse un automatico trasferimento della numerazione telefonica al Content Service Provider, con immediato pagamento mediante il proprio credito telefonico (ciò avrebbe garantito un consenso pienamente consapevole del consumatore all’attivazione del servizio e all’addebito); (iii) per non aver posto in essere controlli circa l’attendibilità delle richieste effettuate dai soggetti terzi fornitori dei contenuti. L’Antitrust ha, inoltre, evidenziato l’esistenza di uno specifico interesse economico alla commercializzazione dei servizi premium in capo agli operatori telefonici, poiché non percepiscono un compenso forfettario dai Content Service Provider, ma trattengono direttamente una percentuale dei ricavi sui servizi da questi ultimi erogati (meccanismo di revenue sharing).

In conclusione, le modalità di commercializzazione dei servizi premium sopra descritte sono state giudicate scorrette dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che ne è ha vietato la diffusione o la continuazione, comminando una sanzione pecuniaria alle compagnie di telefonia mobile (1.750.000 euro ciascuno per Telecom e H3G e 800.000 euro ciascuno per Wind e Vodafone). Nei confronti della H3G è stata disposta anche la pubblicazione di un estratto del provvedimento (sia su Internet che a mezzo stampa) in ragione dei rilevanti effetti delle condotte da essa attuate.

(Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Provvedimenti 13 gennaio 2015, nn. 25262-25265)

Avv. Italo Cerno

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) il 13 gennaio 2015 ha sanzionato i principali operatori del settore delle comunicazioni mobili - H3G, Telecom, Vodafone e Wind - per aver adottato pratiche commerciali scorrette nell’ambito della commercializzazione di servizi a sovrapprezzo (cosiddetti “servizi premium”, quali giochi e video) accessibili durante la navigazione da terminale mobile mediante banner, pop-up e landing page.

Preliminarmente l’Antitrust ha ritenuto che detti gestori di telefonia mobile non avessero informato adeguatamente i propri utenti circa l’abilitazione di default della sim alla ricezione - durante la navigazione in mobilità - di servizi a pagamento e della possibilità di impedire detta ricezione esclusivamente dietro esplicita richiesta del cliente (cosiddetto “blocco selettivo”).

Tale condotta è stata considerata ingannevole in quanto (i) “omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno (…) per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso” (articolo 22, comma 1, Codice del consumo); (ii) “occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti (…) o non indica l’intento commerciale della pratica stessa” (articolo 22, comma 2, Codice del consumo); (iii) è, in ogni caso, “contraria alla diligenza professionale” e“idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge” (articolo 20 Codice del consumo);

Un ulteriore profilo di “scorrettezza” nella commercializzazione dei servizi premium è stato ravvisato nell’avere, gli operatori di telefonia mobile, adottato un sistema automatico (cosiddetto “enrichment”) di trasferimento del numero di telefono dell’utente ai soggetti terzi fornitori dei contenuti digitali a pagamento (cosiddetti “Content Service Provider”), nonché di addebito del servizio all’utente mediante decurtazione del credito prepagato o inserimento nella fattura dell’abbonamento.

L’Antitrust ha sottolineato come tale pratica possa condurre ad attivazioni del servizio non consapevoli o accidentali, potendo l’utente “trovarsi nella condizione di aver sfiorato involontariamente il tasto di attivazione nella landing page - fenomeno tipicamente connesso ai comandi in touch screen che caratterizzano gli smartphone di dimensioni ridotte utilizzati per l’attivazione - senza rendersi conto che sta attivando un servizio a pagamento con addebito automatico sul suo credito/conto telefonico, in assenza di un’adeguata informativa in tempo reale sull’esistenza del meccanismo di enrichment e di una procedura di attivazione e addebito dei servizi che gli consenta di esprimere in modo consapevole e non condizionato la propria scelta di acquisto.

In ogni caso, la procedura prevista per l’attivazione dell’abbonamento, essendo affidata ad un unico e semplice click, senza ulteriori passaggi, non consente al consumatore di poter acquisire piena consapevolezza del fatto che sta sottoscrivendo un servizio in abbonamento, immediatamente addebitato sul proprio credito telefonico, attraverso la cessione del proprio numero di telefono dall’operatore al soggetto che eroga il servizio”. Tale condotta è stata, pertanto, ritenuta: (i) ingannevole in quanto idonea a determinare un indebito condizionamento della libertà di comportamento del consumatore, non essendo la fornitura del servizio richiesta consapevolmente dall’utente (articoli 24 e 25, lettera a), Codice del consumo); e (ii) aggressiva poiché implica “il pagamento immediato o differito (...) di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto” (articolo 26, lettera f), Codice del consumo).

Infine, l’Autorità garante ha censurato l’assenza, nei messaggi volti a promuovere i servizi a pagamento, di informazioni rilevanti circa gli elementi principali dell’offerta e i diritti dei consumatori nella contrattazione a distanza (come, ad esempio, il recesso), nonché la circostanza che a partire da essi si possa determinare, senza un’espressa manifestazione di volontà del consumatore, l’accesso e l’attivazione di detti servizi (essendo sufficiente anche uno sfioramento manuale dello schermo da parte dell’utente, un click sul pulsante che identifica il comando di chiusura del relativo banner, eccetera).

La scorrettezza di tale pratica (ai sensi dell’articolo 22, comma 4, Codice del consumo) è stata imputata ai soggetti terzi fornitori dei servizi a pagamento, pur tuttavia le compagnie telefoniche sono state anch’esse ritenute responsabili (i) poiché consapevoli dell’esistenza di attivazioni e addebiti relativi a servizi non richiesti da parte dei propri clienti mobili; (ii) per non aver previsto procedure idonee ad avvisare l’utente “in tempo reale” della circostanza che la sottoscrizione del servizio implicasse un automatico trasferimento della numerazione telefonica al Content Service Provider, con immediato pagamento mediante il proprio credito telefonico (ciò avrebbe garantito un consenso pienamente consapevole del consumatore all’attivazione del servizio e all’addebito); (iii) per non aver posto in essere controlli circa l’attendibilità delle richieste effettuate dai soggetti terzi fornitori dei contenuti. L’Antitrust ha, inoltre, evidenziato l’esistenza di uno specifico interesse economico alla commercializzazione dei servizi premium in capo agli operatori telefonici, poiché non percepiscono un compenso forfettario dai Content Service Provider, ma trattengono direttamente una percentuale dei ricavi sui servizi da questi ultimi erogati (meccanismo di revenue sharing).

In conclusione, le modalità di commercializzazione dei servizi premium sopra descritte sono state giudicate scorrette dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che ne è ha vietato la diffusione o la continuazione, comminando una sanzione pecuniaria alle compagnie di telefonia mobile (1.750.000 euro ciascuno per Telecom e H3G e 800.000 euro ciascuno per Wind e Vodafone). Nei confronti della H3G è stata disposta anche la pubblicazione di un estratto del provvedimento (sia su Internet che a mezzo stampa) in ragione dei rilevanti effetti delle condotte da essa attuate.

(Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Provvedimenti 13 gennaio 2015, nn. 25262-25265)

Avv. Italo Cerno