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Cassazione Lavoro: il raggiungimento dell’età pensionabile non costituisce giusta causa di licenziamento

La Corte di cassazione ha stabilito che il raggiungimento dell’età pensionabile non costituisce giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro ed è nulla la clausola contrattuale che prevede la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della massima anzianità contributiva.

Nel caso in esame, un soggetto stipulava con una società un contratto di lavoro subordinato per lo svolgimento delle mansioni di dirigente dell’area tecnica per la durata di cinque anni, tacitamente rinnovabile per ulteriori cinque anni in assenza di preavviso delle parti, da comunicarsi con un preavviso di diversi mesi prima della scadenza.

Alla scadenza del contratto, questo si rinnovava una prima volta, in assenza di disdetta, per un ulteriore quinquennio. Nel corso del rapporto, avendo il lavoratore raggiunto il sessantacinquesimo anno di età, la società comunicava allo stesso l’intenzione di risolvere il rapporto.

Il Tribunale, adito dal lavoratore per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento e la condanna al risarcimento del danno, rigettava la domanda. La Corte d’appello, su ricorso dello stesso lavoratore, accoglieva la domanda attorea, dichiarava illegittimo il provvedimento di risoluzione del rapporto e condannava l’azienda a risarcire il danno subito dal ricorrente, in quanto riteneva che non costituisse giusta causa di risoluzione del contratto il raggiungimento dell’età pensionabile.

La società datrice di lavoro proponeva ricorso in Cassazione, assumendo che la Corte territoriale avesse erroneamente interpretato il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro adottato nel caso concreto, ritenendo possibile il licenziamento ad nutum del dirigente ultrasessantenne, salvo obbligo di preavviso.

La Corte di legittimità ha ritenuto il motivo di gravame infondato, in quanto “nel lavoro subordinato, a differenza di quanto avviene nei rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, la tipicità e la tassatività delle cause di estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età, ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, ancorché contemplate dalla contrattazione collettiva. È nulla la previsione contrattuale secondo cui il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva”.

Richiamando una precedente decisione della Cassazione stessa, la Corte ha stabilito che è “la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia e non anche il mero raggiungimento della massima anzianità contributiva” che comporta la recedibilità ad nutum dal rapporto di lavoro.

In mancanza di tale presupposto, il licenziamento è reso possibile solo in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso e il raggiungimento di un qualsivoglia limite di età non ne costituisce una fattispecie, né può ritenersi valida una clausola che fa discendere l’automatica risoluzione del rapporto di lavoro al raggiungimento di requisiti pensionistici.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza impugnata.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 17 aprile 2015, n. 7899)

La Corte di cassazione ha stabilito che il raggiungimento dell’età pensionabile non costituisce giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro ed è nulla la clausola contrattuale che prevede la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della massima anzianità contributiva.

Nel caso in esame, un soggetto stipulava con una società un contratto di lavoro subordinato per lo svolgimento delle mansioni di dirigente dell’area tecnica per la durata di cinque anni, tacitamente rinnovabile per ulteriori cinque anni in assenza di preavviso delle parti, da comunicarsi con un preavviso di diversi mesi prima della scadenza.

Alla scadenza del contratto, questo si rinnovava una prima volta, in assenza di disdetta, per un ulteriore quinquennio. Nel corso del rapporto, avendo il lavoratore raggiunto il sessantacinquesimo anno di età, la società comunicava allo stesso l’intenzione di risolvere il rapporto.

Il Tribunale, adito dal lavoratore per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento e la condanna al risarcimento del danno, rigettava la domanda. La Corte d’appello, su ricorso dello stesso lavoratore, accoglieva la domanda attorea, dichiarava illegittimo il provvedimento di risoluzione del rapporto e condannava l’azienda a risarcire il danno subito dal ricorrente, in quanto riteneva che non costituisse giusta causa di risoluzione del contratto il raggiungimento dell’età pensionabile.

La società datrice di lavoro proponeva ricorso in Cassazione, assumendo che la Corte territoriale avesse erroneamente interpretato il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro adottato nel caso concreto, ritenendo possibile il licenziamento ad nutum del dirigente ultrasessantenne, salvo obbligo di preavviso.

La Corte di legittimità ha ritenuto il motivo di gravame infondato, in quanto “nel lavoro subordinato, a differenza di quanto avviene nei rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, la tipicità e la tassatività delle cause di estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età, ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, ancorché contemplate dalla contrattazione collettiva. È nulla la previsione contrattuale secondo cui il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva”.

Richiamando una precedente decisione della Cassazione stessa, la Corte ha stabilito che è “la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia e non anche il mero raggiungimento della massima anzianità contributiva” che comporta la recedibilità ad nutum dal rapporto di lavoro.

In mancanza di tale presupposto, il licenziamento è reso possibile solo in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso e il raggiungimento di un qualsivoglia limite di età non ne costituisce una fattispecie, né può ritenersi valida una clausola che fa discendere l’automatica risoluzione del rapporto di lavoro al raggiungimento di requisiti pensionistici.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza impugnata.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 17 aprile 2015, n. 7899)