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Cassazione Lavoro: malattia professionale e periodo di comporto

La Suprema Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento maggioritario in materia di rapporto tra malattia professionale e comporto, secondo il quale non rientrano nel calcolo del periodo di comporto i giorni di assenza derivanti da malattia professionale causata dalla violazione da parte del datore di lavoro del principio di cui all’articolo 2087 del codice civile.

Nel caso oggetto di giudizio, una lavoratrice si assentava dal luogo di lavoro per diciannove giorni, superando il limite temporale del periodo di comporto disposto dal CCNL di riferimento, a causa dei postumi di un infortunio occorso nello svolgimento delle proprie mansioni. Per tale motivo, la società datrice di lavoro le intimava il licenziamento.

A seguito di impugnazione del licenziamento, il datore di lavoro, soccombente in primo e secondo grado, ricorreva in Cassazione, contestando, tra gli altri motivi, la scorretta applicazione della disposizione di cui all’articolo 2110 del codice civile.

Secondo il parere della società ricorrente, la Corte di Appello aveva erroneamente detratto dal calcolo del periodo di comporto le giornate di assenza conseguenti all’infortunio, senza preventivamente verificare l’eventuale responsabilità, ex articolo 2087 del Codice civile, del datore di lavoro nella causazione dell’evento.

I Giudici della Suprema Corte, con la sentenza oggetto di commento, rigettano il ricorso del società, ritenendo provato un inadempimento degli obblighi posti dall’articolo 46, Decreto Legislativo n. 626/1994, dall’articolo 11, Legge n. 653/34, e dal principio generale di cui all’articolo 2087 del codice civile. La lavoratrice, invero, era stata adibita ad attività oggettivamente nocive per la sua salute, ed il datore di lavoro non aveva posto in essere i necessari correttivi, organizzativi e strumentali, disposti dalla normativa vigente in materia.

La Cassazione contestualmente ribadisce un orientamento ormai consolidato in materia di comporto, statuendo che sono escluse dal calcolo del periodo di comporto esclusivamente le assenze del prestatore di lavoro connesse a malattie professionali in riferimento alle quali sussista una responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 del codice civile. Di conseguenza, sono computabili a tal fine le assenze per malattie professionali rispetto alle quali non è ravvisabile qualsivoglia responsabilità del datore.

La massima espressa dalla Cassazione in questa occasione, risulta in linea anche con quanto affermato dalla stessa Suprema Corte in materia di mobbing, con la Sentenza N. 22538/2013.

Secondo la tesi interpretativa ivi adottata, anche le assenze del prestatore di lavoro, alla cui genesi abbia concorso il datore con comportamenti ascrivibili alla nozione di mobbing, devono essere detratte dal calcolo del comporto.

Un siffatta lettura della disciplina in oggetto tutela correttamente il lavoratore, il quale in caso contrario subirebbe una pesante penalizzazione a causa del comportamento illegittimo del proprio datore di lavoro.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 22 ottobre - 15 dicembre 2014, n. 26307)

La Suprema Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento maggioritario in materia di rapporto tra malattia professionale e comporto, secondo il quale non rientrano nel calcolo del periodo di comporto i giorni di assenza derivanti da malattia professionale causata dalla violazione da parte del datore di lavoro del principio di cui all’articolo 2087 del codice civile.

Nel caso oggetto di giudizio, una lavoratrice si assentava dal luogo di lavoro per diciannove giorni, superando il limite temporale del periodo di comporto disposto dal CCNL di riferimento, a causa dei postumi di un infortunio occorso nello svolgimento delle proprie mansioni. Per tale motivo, la società datrice di lavoro le intimava il licenziamento.

A seguito di impugnazione del licenziamento, il datore di lavoro, soccombente in primo e secondo grado, ricorreva in Cassazione, contestando, tra gli altri motivi, la scorretta applicazione della disposizione di cui all’articolo 2110 del codice civile.

Secondo il parere della società ricorrente, la Corte di Appello aveva erroneamente detratto dal calcolo del periodo di comporto le giornate di assenza conseguenti all’infortunio, senza preventivamente verificare l’eventuale responsabilità, ex articolo 2087 del Codice civile, del datore di lavoro nella causazione dell’evento.

I Giudici della Suprema Corte, con la sentenza oggetto di commento, rigettano il ricorso del società, ritenendo provato un inadempimento degli obblighi posti dall’articolo 46, Decreto Legislativo n. 626/1994, dall’articolo 11, Legge n. 653/34, e dal principio generale di cui all’articolo 2087 del codice civile. La lavoratrice, invero, era stata adibita ad attività oggettivamente nocive per la sua salute, ed il datore di lavoro non aveva posto in essere i necessari correttivi, organizzativi e strumentali, disposti dalla normativa vigente in materia.

La Cassazione contestualmente ribadisce un orientamento ormai consolidato in materia di comporto, statuendo che sono escluse dal calcolo del periodo di comporto esclusivamente le assenze del prestatore di lavoro connesse a malattie professionali in riferimento alle quali sussista una responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 del codice civile. Di conseguenza, sono computabili a tal fine le assenze per malattie professionali rispetto alle quali non è ravvisabile qualsivoglia responsabilità del datore.

La massima espressa dalla Cassazione in questa occasione, risulta in linea anche con quanto affermato dalla stessa Suprema Corte in materia di mobbing, con la Sentenza N. 22538/2013.

Secondo la tesi interpretativa ivi adottata, anche le assenze del prestatore di lavoro, alla cui genesi abbia concorso il datore con comportamenti ascrivibili alla nozione di mobbing, devono essere detratte dal calcolo del comporto.

Un siffatta lettura della disciplina in oggetto tutela correttamente il lavoratore, il quale in caso contrario subirebbe una pesante penalizzazione a causa del comportamento illegittimo del proprio datore di lavoro.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 22 ottobre - 15 dicembre 2014, n. 26307)