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Consiglio di Stato: le graduatorie illegittime vanno annullate, a prescindere dagli effetti

Con la Sentenza del 13 aprile 2015 n. 4 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha fatto chiarezza in merito all’annullabilità delle graduatorie, approvate in violazione del procedimento amministrativo, nel caso in cui, essendo passato tanto tempo, l’annullamento potrebbe avere un impatto devastante nella vita degli altri contro-interessati vincitori e nessun beneficio per il ricorrente.

L’occasione della pronuncia è sorta a seguito di un ricorso avanzato da una concorrente esclusa in un concorso pubblico bandito da un ente locale, avverso una graduatoria definitiva, che però in primo grado veniva dichiarata legittima.

In fase di impugnazione la Quinta Sezione del Consiglio di Stato rimetteva la questione all’Adunanza Plenaria domandando se “il giudice amministrativo – in basi ai principi fondanti la giustizia amministrativa ovvero in applicazione dell’articolo 34, comma 3, del c.p.a. - possa non disporre l’annullamento della graduatoria di un concorso, risultata illegittima per un vizio non imputabile ad alcun candidato, e disporre che al ricorrente spetti un risarcimento del danno (malgrado questi abbia chiesto soltanto l’annullamento degli atti risultati illegittimi), quando la pronuncia giurisdizionale sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dalla approvazione della graduatoria e dalla nomina dei vincitori, e cioè quando questi abbiano consolidato le scelte di vita e l’annullamento comporti un impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie.”

L’Adunanza Plenaria non accoglieva le tesi proposte dalla Sezione riportando al centro dell’attenzione il principio della domanda secondo l’articolo 34 del Codice del processo amministrativo (che guida la risposta del Giudice alla domanda “nei limiti di essa”); nonché l’articolo 112 Codice di procedura civile (per cui “il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa”).

Ricordavano gli ermellini di Palazzo Spada che: “non è consentito al giudice, stante l’esistenza dell’interesse all’annullamento, derogare, sulla base di ragioni di opportunità, giustizia ed equità, al principio della domanda e trasformarne il petitum o la causa petendi, incorrendo altrimenti nel vizio di extrapetizione”.

Del resto vi è da ricordare come sostanziali differenze intercorrono tra l’azione di annullamento e l’azione risarcitori, a tanto in merito al “petitum” che alla “causa petendi”, che sono rappresentati nel primo caso dalla illegittimità dell’atto e nel secondo dall’illegittimità di un comportamento.

Pertanto il “dare risposta” ad una domanda/azione che presenta per natura una diversa connotazione in termini di tutela rappresenterebbe il tipico caso di violazione del principio della domanda.

Dalla pronuncia si evince altresì che, se la domanda di annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo con il suo effetto tipico di eliminazione dell’atto impugnato dall’ordinamento giuridico non dovesse soddisfare l’interesse del ricorrente e anzi dovesse lederlo, la pronuncia del giudice non potrebbe essere che quella relativa alla sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente che aveva proposto domanda di annullamento.

In definitiva, l’Adunanza Plenaria ha statuito che non è consentito al giudice derogare, in presenza della obiettiva esistenza dell’interesse all’annullamento richiesto sulla base di invocate ragioni di opportunità, giustizia, equità, proporzionalità, al principio della domanda. Qualora il giudice provvedesse ugualmente si configurerebbe il caso di omessa pronuncia e di una violazione della domanda, previsto dall’articolo 99 del codice di procedura civile, e del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, previsto dall’articolo 112 del codice di procedura civile.

(Consiglio di Stato - Adunanza Plenaria, Sentenza 13 aprile 2015, n.4)

Con la Sentenza del 13 aprile 2015 n. 4 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha fatto chiarezza in merito all’annullabilità delle graduatorie, approvate in violazione del procedimento amministrativo, nel caso in cui, essendo passato tanto tempo, l’annullamento potrebbe avere un impatto devastante nella vita degli altri contro-interessati vincitori e nessun beneficio per il ricorrente.

L’occasione della pronuncia è sorta a seguito di un ricorso avanzato da una concorrente esclusa in un concorso pubblico bandito da un ente locale, avverso una graduatoria definitiva, che però in primo grado veniva dichiarata legittima.

In fase di impugnazione la Quinta Sezione del Consiglio di Stato rimetteva la questione all’Adunanza Plenaria domandando se “il giudice amministrativo – in basi ai principi fondanti la giustizia amministrativa ovvero in applicazione dell’articolo 34, comma 3, del c.p.a. - possa non disporre l’annullamento della graduatoria di un concorso, risultata illegittima per un vizio non imputabile ad alcun candidato, e disporre che al ricorrente spetti un risarcimento del danno (malgrado questi abbia chiesto soltanto l’annullamento degli atti risultati illegittimi), quando la pronuncia giurisdizionale sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dalla approvazione della graduatoria e dalla nomina dei vincitori, e cioè quando questi abbiano consolidato le scelte di vita e l’annullamento comporti un impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie.”

L’Adunanza Plenaria non accoglieva le tesi proposte dalla Sezione riportando al centro dell’attenzione il principio della domanda secondo l’articolo 34 del Codice del processo amministrativo (che guida la risposta del Giudice alla domanda “nei limiti di essa”); nonché l’articolo 112 Codice di procedura civile (per cui “il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa”).

Ricordavano gli ermellini di Palazzo Spada che: “non è consentito al giudice, stante l’esistenza dell’interesse all’annullamento, derogare, sulla base di ragioni di opportunità, giustizia ed equità, al principio della domanda e trasformarne il petitum o la causa petendi, incorrendo altrimenti nel vizio di extrapetizione”.

Del resto vi è da ricordare come sostanziali differenze intercorrono tra l’azione di annullamento e l’azione risarcitori, a tanto in merito al “petitum” che alla “causa petendi”, che sono rappresentati nel primo caso dalla illegittimità dell’atto e nel secondo dall’illegittimità di un comportamento.

Pertanto il “dare risposta” ad una domanda/azione che presenta per natura una diversa connotazione in termini di tutela rappresenterebbe il tipico caso di violazione del principio della domanda.

Dalla pronuncia si evince altresì che, se la domanda di annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo con il suo effetto tipico di eliminazione dell’atto impugnato dall’ordinamento giuridico non dovesse soddisfare l’interesse del ricorrente e anzi dovesse lederlo, la pronuncia del giudice non potrebbe essere che quella relativa alla sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente che aveva proposto domanda di annullamento.

In definitiva, l’Adunanza Plenaria ha statuito che non è consentito al giudice derogare, in presenza della obiettiva esistenza dell’interesse all’annullamento richiesto sulla base di invocate ragioni di opportunità, giustizia, equità, proporzionalità, al principio della domanda. Qualora il giudice provvedesse ugualmente si configurerebbe il caso di omessa pronuncia e di una violazione della domanda, previsto dall’articolo 99 del codice di procedura civile, e del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, previsto dall’articolo 112 del codice di procedura civile.

(Consiglio di Stato - Adunanza Plenaria, Sentenza 13 aprile 2015, n.4)