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Garante Privacy: diritto all’oblio e snippet da valutare caso per caso

Gli utenti non possono ottenere da Google la cancellazione dai risultati di ricerca di una notizia che li riguarda se si tratta di un fatto recente e di rilevante interesse pubblico: il diritto all’oblio, infatti, deve essere bilanciato con il diritto di cronaca. È quanto ha deciso il Garante Privacy che ha respinto un ricorso contro Google che non aveva accolto la richiesta di deindicizzare un articolo che riferiva di un’inchiesta giudiziaria.

Nel caso in esame, la persona indagata chiedeva di cancellare il riferimento all’articolo perché, a suo avviso, il testo riprodotto era “estremamente fuorviante ed altamente pregiudizievole”. Durante l’istruttoria avviata dal Garante, è però emerso che la notizia contestata risultava essere molto recente e soprattutto di sicuro interesse pubblico, riguardando un’importante indagine giudiziaria che ha visto coinvolte numerose persone, seppure in ambito locale. Inoltre, i dati personali riportati erano stati trattati nel rispetto del principio di essenzialità dell’informazione.

L’Autorità ha quindi respinto la richiesta del ricorrente di bloccare Google, facendo prevalere il diritto di cronaca su quello all’oblio. Inoltre, il Garante ha ricordato che la persona interessata, nel caso ritenga non veritiere le notizie che la riguardano, può comunque chiedere all’editore l’aggiornamento, la rettifica e l’integrazione dei dati contenuti nell’articolo.

Nell’ambito dello stesso procedimento si è posto, per la prima volta, anche il problema della coerenza con i testi originali scansionati dal motore stesso dei cosiddetti “snippet”, ovvero le sintesi automatiche generate da Google e poste a corredo dei risultati di ricerca.

Il ricorrente aveva infatti chiesto a Mountain View che, in alternativa alla deindicizzazione, cancellasse o modificasse lo snippet che compariva sotto il link all’articolo, dato che secondo lui associava il proprio nominativo a reati più gravi rispetto a quelli per i quali era indagato.

Dai riscontri del Garante è emerso che l’abstract proposto poteva risultare fuorviante in quanto non in linea con la narrazione dei fatti riportati nell’articolo. Tale richiesta, ritenuta legittima, è stata autonomamente accolta dalla multinazionale americana che ha così provveduto a eliminare il riassunto generato dal proprio algoritmo.

Pertanto, il Garante Privacy ha dichiarato infondata la richiesta di deindicizzazione della url riferita all’articolo contenente dati personali dell’interessato; ha determinato nella misura forfettaria di euro 500 l’ammontare delle spese e dei diritti del procedimento, posti, nella misura di 200 euro, a carico di Google Inc., il quale dovrà liquidarli direttamente a favore del ricorrente; ha compensato tra le parti la residua porzione delle spese.

(Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento 18 dicembre 2014, n. 618)

Gli utenti non possono ottenere da Google la cancellazione dai risultati di ricerca di una notizia che li riguarda se si tratta di un fatto recente e di rilevante interesse pubblico: il diritto all’oblio, infatti, deve essere bilanciato con il diritto di cronaca. È quanto ha deciso il Garante Privacy che ha respinto un ricorso contro Google che non aveva accolto la richiesta di deindicizzare un articolo che riferiva di un’inchiesta giudiziaria.

Nel caso in esame, la persona indagata chiedeva di cancellare il riferimento all’articolo perché, a suo avviso, il testo riprodotto era “estremamente fuorviante ed altamente pregiudizievole”. Durante l’istruttoria avviata dal Garante, è però emerso che la notizia contestata risultava essere molto recente e soprattutto di sicuro interesse pubblico, riguardando un’importante indagine giudiziaria che ha visto coinvolte numerose persone, seppure in ambito locale. Inoltre, i dati personali riportati erano stati trattati nel rispetto del principio di essenzialità dell’informazione.

L’Autorità ha quindi respinto la richiesta del ricorrente di bloccare Google, facendo prevalere il diritto di cronaca su quello all’oblio. Inoltre, il Garante ha ricordato che la persona interessata, nel caso ritenga non veritiere le notizie che la riguardano, può comunque chiedere all’editore l’aggiornamento, la rettifica e l’integrazione dei dati contenuti nell’articolo.

Nell’ambito dello stesso procedimento si è posto, per la prima volta, anche il problema della coerenza con i testi originali scansionati dal motore stesso dei cosiddetti “snippet”, ovvero le sintesi automatiche generate da Google e poste a corredo dei risultati di ricerca.

Il ricorrente aveva infatti chiesto a Mountain View che, in alternativa alla deindicizzazione, cancellasse o modificasse lo snippet che compariva sotto il link all’articolo, dato che secondo lui associava il proprio nominativo a reati più gravi rispetto a quelli per i quali era indagato.

Dai riscontri del Garante è emerso che l’abstract proposto poteva risultare fuorviante in quanto non in linea con la narrazione dei fatti riportati nell’articolo. Tale richiesta, ritenuta legittima, è stata autonomamente accolta dalla multinazionale americana che ha così provveduto a eliminare il riassunto generato dal proprio algoritmo.

Pertanto, il Garante Privacy ha dichiarato infondata la richiesta di deindicizzazione della url riferita all’articolo contenente dati personali dell’interessato; ha determinato nella misura forfettaria di euro 500 l’ammontare delle spese e dei diritti del procedimento, posti, nella misura di 200 euro, a carico di Google Inc., il quale dovrà liquidarli direttamente a favore del ricorrente; ha compensato tra le parti la residua porzione delle spese.

(Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento 18 dicembre 2014, n. 618)