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Privacy - Garante: il datore di lavoro non può acquisire le conversazioni Skype dei dipendenti

Con provvedimento del 4 giugno, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha affermato che “il datore di lavoro non può spiare le conversazioni Skype dei dipendenti”. Il contenuto di comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro godono di garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale.

Il Garante Privacy, nell’accogliere il ricorso proposto da una dipendente che lamentava l’illecita acquisizione di conversazioni, avute con alcuni clienti/fornitori, ha rilevato come il datore di lavoro è incorso in una grave interferenza nelle comunicazioni. Infatti, quest’ultimo, per sua stessa ammissione, ha installato un software sul computer assegnato alla dipendente, in grado di visualizzare sia le conversazioni effettuate dalla ricorrente dalla propria postazione di lavoro prima di uscire dall’azienda, sia quelle avvenute successivamente da un computer collocato presso la propria abitazione.

Una procedura, secondo l’Autorità, in evidente contrasto con le “Linee guida del Garante per posta elettronica e Internet” e con le disposizioni poste dall’ordinamento a tutela della segretezza delle comunicazioni, nonché con la stessa policy aziendale approvata anche dalla competente Direzione territoriale del lavoro.

Infatti, afferma il Garante, pur spettando al datore di lavoro definire le modalità di utilizzo degli strumenti aziendali, occorre comunque che queste rispettino la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché i principi di correttezza, di pertinenza e non eccedenza stabiliti dal Codice privacy.

Pertanto, l’Autorità ha accolto il ricorso proposto dalla dipendente, ordinando al datore di lavoro di non effettuare alcun trattamento dei dati personali contenuti nelle conversazioni ottenute in modo illecito, limitandosi alla conservazione di quelli finora raccolti ai fini di una eventuale acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria.

(Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento 4 giugno 2015, n. 345)

Con provvedimento del 4 giugno, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha affermato che “il datore di lavoro non può spiare le conversazioni Skype dei dipendenti”. Il contenuto di comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro godono di garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale.

Il Garante Privacy, nell’accogliere il ricorso proposto da una dipendente che lamentava l’illecita acquisizione di conversazioni, avute con alcuni clienti/fornitori, ha rilevato come il datore di lavoro è incorso in una grave interferenza nelle comunicazioni. Infatti, quest’ultimo, per sua stessa ammissione, ha installato un software sul computer assegnato alla dipendente, in grado di visualizzare sia le conversazioni effettuate dalla ricorrente dalla propria postazione di lavoro prima di uscire dall’azienda, sia quelle avvenute successivamente da un computer collocato presso la propria abitazione.

Una procedura, secondo l’Autorità, in evidente contrasto con le “Linee guida del Garante per posta elettronica e Internet” e con le disposizioni poste dall’ordinamento a tutela della segretezza delle comunicazioni, nonché con la stessa policy aziendale approvata anche dalla competente Direzione territoriale del lavoro.

Infatti, afferma il Garante, pur spettando al datore di lavoro definire le modalità di utilizzo degli strumenti aziendali, occorre comunque che queste rispettino la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché i principi di correttezza, di pertinenza e non eccedenza stabiliti dal Codice privacy.

Pertanto, l’Autorità ha accolto il ricorso proposto dalla dipendente, ordinando al datore di lavoro di non effettuare alcun trattamento dei dati personali contenuti nelle conversazioni ottenute in modo illecito, limitandosi alla conservazione di quelli finora raccolti ai fini di una eventuale acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria.

(Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento 4 giugno 2015, n. 345)