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Danno - Cassazione Civile: responsabilità medica in caso di informativa incompleta

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di trattamenti sanitari, il consenso informato del paziente è elemento legittimante di ogni attività che ponga in essere una potenziale lesione dell’integrità psicofisica e della salute della persona e che condizione necessaria affinché si abbia un valido consenso è un’informazione completa di tutte le caratteristiche dell’intervento e dei possibili rischi.

Nel caso in esame, la paziente, in seguito ad un intervento chirurgico effettuato per eliminare una lieve miopia corretta da lenti, registrava un peggioramento delle capacità visive che in breve tempo la portava ad avere un residuo visivo di 2/10 in occhio destro e 3/10 in occhio residuo e invalidità permanente al 60%.

La paziente conveniva in giudizio l’Azienda Ospedaliera e il medico che aveva effettuato l’intervento per ottenere la condanna degli stessi in sede giudiziaria al risarcimento del danno patito, denunciando di non essere stata adeguatamente informata dal medico convenuto in giudizio sulla natura e i rischi dell’intervento, al quale non si sarebbe sottoposta se fosse stata informata della insorgenza delle intervenute complicanze.

Il Tribunale adito, all’esito dell’istruttoria, consistita nell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio medico-legale, rigettava la domanda attrice.

In secondo grado, la Corte d’appello del luogo, acquisito il “depliant informativo” consegnato alla paziente, accoglieva l’impugnazione solo in punto di regolazione delle spese processuali, confermando nel resto la sentenza impugnata. I giudici, infatti, ritenevano che la consegna dell’opuscolo, contenente l’indicazione dei possibili rischi poi verificatisi, alla paziente, persona di idoneo livello culturale e che aveva deciso di affrontare l’intervento, integrasse “uno standard informativo adeguato, definendo l’informazione ricevuta dalla paziente come completa e dettagliata.

Avverso tale decisione, la paziente ricorreva per Cassazione, deducendo vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto, in base alle prove acquisite, era emerso che, durante la visita preintervento, in cui era stato consegnato l’opuscolo informativo, il medico aveva assicurato la stessa che l’intervento chirurgico avrebbe risolto completamente i problemi visivi denunciati e che l’intervento non avrebbe provocato complicanze, fatta eccezione per quelli indicati nell’opuscolo, peraltro solo transitori, tacendo sugli ulteriori effetti che potevano determinarsi. L’assistita aveva ricevuto, dunque, un’informazione solo parziale e dall’istruttoria svolta in primo grado doveva evincersi che se la paziente avesse ricevuto “la esatta informazione che le complicanze e i postumi fossero stati permanenti e/o che avesse subito una regressione della vista, di certo non si sarebbe sottoposta all’intervento”.

Il medico, obbligato a fornire un’informazione completa ed esaustiva, avrebbe violato il principio di buona fede nella formazione del contratto e gli obblighi di legge in materia di trattamenti sanitari, eseguendo un intervento chirurgico in assenza di un consenso consapevole e informato, cagionando “una lesione della situazione giuridica della paziente inerente alla salute ed all’integrità fisica”.

La Corte di legittimità ha ritenuto fondato il ricorso per motivi proposti dalla ricorrente.

Come affermato dalla Legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (Legge n. 833/1978) e dall’articolo 32 della Costituzione, i trattamenti sanitari sono, di norma, volontari, in quanto solo la legge può imporre un determinato trattamento, senza comunque violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Esclusi i casi dei trattamenti sanitari imposti dalla legge, rispondenti ad esigenze di carattere generale e collettivo, l’esecuzione di tutti i trattamenti sanitari necessita del consenso del paziente, soggetto sottoposto al trattamento e titolare del diritto alla vita e alla salute che può risultare compromesso.

I giudici rammentano, quanto alle modalità ed ai caratteri del consenso alla prestazione medica, che “esso, anzitutto, deve essere personale, specifico e esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo consentito il consenso presunto; deve essere pienamente consapevole e completo, ossia deve essere informato, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico, ciò implicando la piena conoscenza della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative”.

La qualità del paziente non rileva ai fini della completezza ed effettività del consenso, bensì sulle modalità con cui è veicolata l’informazione, ossia nel suo dispiegarsi in modo adeguato al livello culturale del paziente stesso, in forza di una comunicazione che adotti un linguaggio a lui comprensibile in ragione dello stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.

La Corte territoriale aveva erroneamente evidenziato che, attraverso la consegna da parte del medico dell’opuscolo informativo, dallo stesso redatto, la paziente fosse stata adeguatamente informata sulla portata e sui rischi dell’intervento e delle complicanze successivamente insorte, mancando di considerare la perdita della capacità visiva, che nel predetto depliant non veniva indicata.

Da ciò risultava evidente l’incompletezza dell’informazione ricevuta dall’assistita e l’informazione così viziata determinava anche un vizio del consenso prestato dalla stessa, che delegittimava l’intervento chirurgico.

In ragione di ciò, la Corte di legittimità ha cassato la sentenza impugnata e rinviato gli atti alla Corte d’appello competente in diversa composizione, per una nuova decisione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 4 febbraio 2016, n. 2177)

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di trattamenti sanitari, il consenso informato del paziente è elemento legittimante di ogni attività che ponga in essere una potenziale lesione dell’integrità psicofisica e della salute della persona e che condizione necessaria affinché si abbia un valido consenso è un’informazione completa di tutte le caratteristiche dell’intervento e dei possibili rischi.

Nel caso in esame, la paziente, in seguito ad un intervento chirurgico effettuato per eliminare una lieve miopia corretta da lenti, registrava un peggioramento delle capacità visive che in breve tempo la portava ad avere un residuo visivo di 2/10 in occhio destro e 3/10 in occhio residuo e invalidità permanente al 60%.

La paziente conveniva in giudizio l’Azienda Ospedaliera e il medico che aveva effettuato l’intervento per ottenere la condanna degli stessi in sede giudiziaria al risarcimento del danno patito, denunciando di non essere stata adeguatamente informata dal medico convenuto in giudizio sulla natura e i rischi dell’intervento, al quale non si sarebbe sottoposta se fosse stata informata della insorgenza delle intervenute complicanze.

Il Tribunale adito, all’esito dell’istruttoria, consistita nell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio medico-legale, rigettava la domanda attrice.

In secondo grado, la Corte d’appello del luogo, acquisito il “depliant informativo” consegnato alla paziente, accoglieva l’impugnazione solo in punto di regolazione delle spese processuali, confermando nel resto la sentenza impugnata. I giudici, infatti, ritenevano che la consegna dell’opuscolo, contenente l’indicazione dei possibili rischi poi verificatisi, alla paziente, persona di idoneo livello culturale e che aveva deciso di affrontare l’intervento, integrasse “uno standard informativo adeguato, definendo l’informazione ricevuta dalla paziente come completa e dettagliata.

Avverso tale decisione, la paziente ricorreva per Cassazione, deducendo vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto, in base alle prove acquisite, era emerso che, durante la visita preintervento, in cui era stato consegnato l’opuscolo informativo, il medico aveva assicurato la stessa che l’intervento chirurgico avrebbe risolto completamente i problemi visivi denunciati e che l’intervento non avrebbe provocato complicanze, fatta eccezione per quelli indicati nell’opuscolo, peraltro solo transitori, tacendo sugli ulteriori effetti che potevano determinarsi. L’assistita aveva ricevuto, dunque, un’informazione solo parziale e dall’istruttoria svolta in primo grado doveva evincersi che se la paziente avesse ricevuto “la esatta informazione che le complicanze e i postumi fossero stati permanenti e/o che avesse subito una regressione della vista, di certo non si sarebbe sottoposta all’intervento”.

Il medico, obbligato a fornire un’informazione completa ed esaustiva, avrebbe violato il principio di buona fede nella formazione del contratto e gli obblighi di legge in materia di trattamenti sanitari, eseguendo un intervento chirurgico in assenza di un consenso consapevole e informato, cagionando “una lesione della situazione giuridica della paziente inerente alla salute ed all’integrità fisica”.

La Corte di legittimità ha ritenuto fondato il ricorso per motivi proposti dalla ricorrente.

Come affermato dalla Legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (Legge n. 833/1978) e dall’articolo 32 della Costituzione, i trattamenti sanitari sono, di norma, volontari, in quanto solo la legge può imporre un determinato trattamento, senza comunque violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Esclusi i casi dei trattamenti sanitari imposti dalla legge, rispondenti ad esigenze di carattere generale e collettivo, l’esecuzione di tutti i trattamenti sanitari necessita del consenso del paziente, soggetto sottoposto al trattamento e titolare del diritto alla vita e alla salute che può risultare compromesso.

I giudici rammentano, quanto alle modalità ed ai caratteri del consenso alla prestazione medica, che “esso, anzitutto, deve essere personale, specifico e esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo consentito il consenso presunto; deve essere pienamente consapevole e completo, ossia deve essere informato, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico, ciò implicando la piena conoscenza della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative”.

La qualità del paziente non rileva ai fini della completezza ed effettività del consenso, bensì sulle modalità con cui è veicolata l’informazione, ossia nel suo dispiegarsi in modo adeguato al livello culturale del paziente stesso, in forza di una comunicazione che adotti un linguaggio a lui comprensibile in ragione dello stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.

La Corte territoriale aveva erroneamente evidenziato che, attraverso la consegna da parte del medico dell’opuscolo informativo, dallo stesso redatto, la paziente fosse stata adeguatamente informata sulla portata e sui rischi dell’intervento e delle complicanze successivamente insorte, mancando di considerare la perdita della capacità visiva, che nel predetto depliant non veniva indicata.

Da ciò risultava evidente l’incompletezza dell’informazione ricevuta dall’assistita e l’informazione così viziata determinava anche un vizio del consenso prestato dalla stessa, che delegittimava l’intervento chirurgico.

In ragione di ciò, la Corte di legittimità ha cassato la sentenza impugnata e rinviato gli atti alla Corte d’appello competente in diversa composizione, per una nuova decisione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 4 febbraio 2016, n. 2177)