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OPA - Cassazione Civile: all’elusione dell’obbligo legale di lanciare un’OPA consegue il diritto degli azionisti di minoranza al risarcimento del danno

 

Dalla violazione dell’obbligo di lanciare un’offerta di pubblico acquisto deriva il risarcimento del danno degli azionisti di minoranza, che provino la perdita di un possibile guadagno a causa della mancata promozione di detta offerta. Questo è quanto deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza n.6504/2016.

In un primo momento, il Tribunale di Milano era stato investito della questione. Ciò che la parte attorea lamentava era l’impossibilità di esercitare un diritto espressamente riconosciuto dal legislatore, a causa  dell’elusione dell’obbligo di procedere ad una OPA (offerta di pubblico acquisto) sulla totalità delle azioni di una società quotata in un mercato regolamentato, ad opera di chi era giunto a detenere una partecipazione azionaria nel capitale superiore al 30%. Il Tribunale di Milano, accogliendo la richiesta attorea, aveva liquidato il danno in via equitativa commisurandolo alla differenza tra il prezzo dell’esercizio del diritto di opzione a cui sarebbe stato tenuto l’offerente in sede di OPA e il valore del titolo sul mercato nel periodo rilevante.

Nel successivo grado di giudizio, la Corte d’Appello ha poi ritenuto fondato l’assunto per cui all’obbligo legale di OPA non corrisponde tout court un diritto degli azionisti di minoranza al prezzo di acquisizione corrisposto come premio di maggioranza, dal momento che l’irrogazione della sanzione (consistente nell’obbligo di dismissione della partecipazione in eccedenza) ad opera della Consob ripristina la situazione quo ante a vantaggio dei soci di minoranza. I quali ultimi, a seguito dell’eventuale accoglimento della pretesa risarcitoria, beneficerebbero di un arricchimento senza giusta causa.

La questione giunge all’attenzione della Corte di Cassazione, la quale, richiamando una serie di sentenze rese dalla stessa in precedenza, conferma il principio secondo cui: “in caso di violazione dell’obbligo di offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni di una società quotata in un mercato regolamentato da parte di chi, in conseguenza di acquisti azionari, sia venuto a detenere una partecipazione superiore al trenta percento del capitale sociale, compete agli azionisti, cui l’offerta avrebbe dovuto essere rivolta, il diritto di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da essi sofferto ove dimostrino di aver perso una possibilità di guadagno a causa della mancata promozione di detta offerta”.

Ricordando poi che il legislatore ha specificamente previsto la necessità di procedere all’offerta, ad opera di chi acquisisce la partecipazione superiore al 30% del capitale, la Suprema Corte sottolinea che la proposizione dell’OPA è – in tal caso – non un mero onere ma un vero e proprio obbligo. Allo stesso tempo, però, afferma che il danno subito dagli azionisti non coincide necessariamente con il “risultato economico della vendita azionaria che si sarebbe verificata se l’offerta vi fosse stata e fosse stata accettata” perché, continuano i Giudici della Cassazione, “un conto è la possibilità di stipulare un contratto altro conto è l’averlo effettivamente stipulato”. Si tratta quindi di verificare se la perdita dell’opzione di acquisto abbia in concreto determinato una perdita di guadagno, anche in considerazione degli eventi successivi incidenti sul valore di borsa delle azioni rimaste in portafoglio agli azionisti.

Basandosi su questi presupposti, la Corte di Cassazione così conclude: “Va quindi ribadita la giurisprudenza […] laddove afferma che è la stessa violazione dell’obbligo di offerta pubblica a ledere un diritto soggettivo degli azionisti di minoranza. […] Alla lesione di questo diritto consegue il diritto al risarcimento del danno consistito nella vanificazione della posizione di vantaggio riconosciuta dall’ordinamento e non più realizzabile per fatto del soggetto che era tenuto a lanciare l’offerta pubblica di acquisto ma non vi ha provveduto”.

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 4 aprile 2016, n. 6504)

 

Dalla violazione dell’obbligo di lanciare un’offerta di pubblico acquisto deriva il risarcimento del danno degli azionisti di minoranza, che provino la perdita di un possibile guadagno a causa della mancata promozione di detta offerta. Questo è quanto deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza n.6504/2016.

In un primo momento, il Tribunale di Milano era stato investito della questione. Ciò che la parte attorea lamentava era l’impossibilità di esercitare un diritto espressamente riconosciuto dal legislatore, a causa  dell’elusione dell’obbligo di procedere ad una OPA (offerta di pubblico acquisto) sulla totalità delle azioni di una società quotata in un mercato regolamentato, ad opera di chi era giunto a detenere una partecipazione azionaria nel capitale superiore al 30%. Il Tribunale di Milano, accogliendo la richiesta attorea, aveva liquidato il danno in via equitativa commisurandolo alla differenza tra il prezzo dell’esercizio del diritto di opzione a cui sarebbe stato tenuto l’offerente in sede di OPA e il valore del titolo sul mercato nel periodo rilevante.

Nel successivo grado di giudizio, la Corte d’Appello ha poi ritenuto fondato l’assunto per cui all’obbligo legale di OPA non corrisponde tout court un diritto degli azionisti di minoranza al prezzo di acquisizione corrisposto come premio di maggioranza, dal momento che l’irrogazione della sanzione (consistente nell’obbligo di dismissione della partecipazione in eccedenza) ad opera della Consob ripristina la situazione quo ante a vantaggio dei soci di minoranza. I quali ultimi, a seguito dell’eventuale accoglimento della pretesa risarcitoria, beneficerebbero di un arricchimento senza giusta causa.

La questione giunge all’attenzione della Corte di Cassazione, la quale, richiamando una serie di sentenze rese dalla stessa in precedenza, conferma il principio secondo cui: “in caso di violazione dell’obbligo di offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni di una società quotata in un mercato regolamentato da parte di chi, in conseguenza di acquisti azionari, sia venuto a detenere una partecipazione superiore al trenta percento del capitale sociale, compete agli azionisti, cui l’offerta avrebbe dovuto essere rivolta, il diritto di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da essi sofferto ove dimostrino di aver perso una possibilità di guadagno a causa della mancata promozione di detta offerta”.

Ricordando poi che il legislatore ha specificamente previsto la necessità di procedere all’offerta, ad opera di chi acquisisce la partecipazione superiore al 30% del capitale, la Suprema Corte sottolinea che la proposizione dell’OPA è – in tal caso – non un mero onere ma un vero e proprio obbligo. Allo stesso tempo, però, afferma che il danno subito dagli azionisti non coincide necessariamente con il “risultato economico della vendita azionaria che si sarebbe verificata se l’offerta vi fosse stata e fosse stata accettata” perché, continuano i Giudici della Cassazione, “un conto è la possibilità di stipulare un contratto altro conto è l’averlo effettivamente stipulato”. Si tratta quindi di verificare se la perdita dell’opzione di acquisto abbia in concreto determinato una perdita di guadagno, anche in considerazione degli eventi successivi incidenti sul valore di borsa delle azioni rimaste in portafoglio agli azionisti.

Basandosi su questi presupposti, la Corte di Cassazione così conclude: “Va quindi ribadita la giurisprudenza […] laddove afferma che è la stessa violazione dell’obbligo di offerta pubblica a ledere un diritto soggettivo degli azionisti di minoranza. […] Alla lesione di questo diritto consegue il diritto al risarcimento del danno consistito nella vanificazione della posizione di vantaggio riconosciuta dall’ordinamento e non più realizzabile per fatto del soggetto che era tenuto a lanciare l’offerta pubblica di acquisto ma non vi ha provveduto”.

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 4 aprile 2016, n. 6504)