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Ricettazione - Cassazione Penale: il reato è commesso in Italia se si effettua l’ordinativo della merce sul territorio nazionale, anche se il contratto si è concluso all’estero

Ricettazione - Cassazione Penale: il reato è commesso in Italia se si effettua l’ordinativo della merce sul territorio nazionale, anche se il contratto si è concluso all’estero
Ricettazione - Cassazione Penale: il reato è commesso in Italia se si effettua l’ordinativo della merce sul territorio nazionale, anche se il contratto si è concluso all’estero

La Corte di Cassazione ha stabilito che affinché si possa ritenere che un reato è stato commesso in Italia è sufficiente che ivi sia stata commessa una parte dell’azione: in tema di ricettazione, affinché si possa applicare la legge italiana è sufficiente che l’ordinativo sia stato effettuato dal territorio nazionale, anche se il contratto è stato concluso all’estero.

Il caso in esame

A seguito dell’acquisto di quindici paia di scarpe contraffatte effettuato sul sito e-bay da un venditore malese, l’acquirente era tratto a giudizio per il reato di ricettazione e per il delitto di cui all’articolo 471 del Codice Penale (“Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”) e condannato dal giudice di primo grado e dalla Corte territoriale.

Avverso la decisione di quest’ultimo giudice, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, la violazione dell’articolo 56 del Codice Penale, per avere la Corte erroneamente ritenuto che il reato fosse stato consumato, laddove era configurabile, al più, un tentativo, e la violazione dell’articolo 9 del Codice Penale, per essere l’azione penale improcedibile mancando sia la richiesta del Ministro della Giustizia sia una querela idonea dalla persona offesa.

La decisione dei giudici di Cassazione

Per quanto concerne la censura della ritenuta consumazione del reato di ricettazione, i giudici di legittimità hanno osservato che: “il delitto di ricettazione si consuma, nella ipotesi di acquisto, al momento dell’accordo fra cedente ed acquirente sulla cosa proveniente da delitto e sul prezzo, considerato che la traditio della res – nella quale può ravvisarsi null’altro che un momento che pertiene all’adempimento del contratto, già perfezionato ed efficace – non può ritenersi imposta dalla norma penale, come elemento strutturale della fattispecie, al punto da contrassegnarne la consumazione come si desume dall’interpretazione letterale dell’art. 648 c.p. che distingue l’ipotesi dell’acquisto da quella della ricezione”. Secondo la Cassazione, pertanto, la Corte territoriale ha correttamente riconosciuto la consumazione del reato in questione.

Quanto alla presunta violazione dell’articolo 9 del Codice Penale, per essere l’azione penale improcedibile per mancanza della richiesta del Ministero della Giustizia e della querela da parte della persona offesa, condizioni di procedibilità che si hanno nel caso in cui un cittadino si rende responsabile di un reato in territorio estero, i giudici di Cassazione hanno ritenuto la stessa infondata, essendo stato il reato commesso sul territorio nazionale, a norma dell’articolo 6 del Codice Penale.

Preliminarmente, la Corte ha osservato infatti come all’epoca dei fatti fosse applicabile la legge dello Stato Italiano in quanto “non risulta che fra le parti fosse stata pattuita l’applicabilità di una legge diversa da quella dello Stato Italiano, luogo di residenza dell’imputato; il contratto stipulato rientrava con evidenza nelle ipotesi previste dall’art. 5/2 Convenzione di Roma del 19/06/1980 (allora vigente), alla quale rinviava la L. n. 218 del 1995, art. 57; le norme interne applicabili alla fattispecie, erano, quindi, gli artt. 1336, 1326 e 1327 c.c.”.

L’annuncio di vendita pubblicato sul sito e-bay dal venditore malese, qualificato come offerta al pubblico ai sensi dell’articolo 1336 del Codice Civile, in quanto diretta ad un pubblico indifferenziato (gli utenti del sito internet) e contenente gli estremi essenziali del contratto ai quali il consumatore, ove avesse voluto aderire, non poteva fare altro che accettare, vale in effetti come offerta al pubblico. Da qui, il rinvio all’articolo 1326 del Codice Civile, a norma del quale “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.

Come specificato dai giudici in sentenza, “nella fattispecie in esame, è, però, pacifico, che la prestazione, da parte del venditore, doveva eseguirsi senza una preventiva risposta stante la natura dell’affare: infatti, non appena l’imputato pagò il prezzo stabilito nella proposta di vendita, il venditore, senza altre formalità, provvide a spedire la merce in Italia”.

Come stabilisce l’articolo 1327 del Codice Civile, “qualora […] la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione”, ossia nel momento in cui il venditore malese consegnò la merce al vettore, cioè al fuori dal territorio nazionale.

Dal punto di vista civilistico, il contratto si è concluso all’estero, nel luogo che, secondo una consolidata giurisprudenza, dovrebbe rappresentare anche il locus commissi delicti del reato di ricettazione.

Tuttavia, i giudici di legittimità hanno ritenuto di dover disattendere tale conclusione, in quanto il delitto in questione “deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato [in quanto] il reato la cui condotta anche omissiva, sia stata commessa anche in minima parte nello Stato, seppure priva dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo (teoria della cd. ubiquità)” è, a norma dell’articolo 6 del Codice Penale, commesso in Italia. A questo proposito, sono “rilevanti tutti i comportamenti che, attuando una modificazione del mondo esteriore, possono contribuire alla perpetrazione del reato”.

Secondo la Cassazione, è “sufficiente che sia avvenuta in Italia una parte anche subvalente dell’azione o dell’omissione, pur se priva dei requisiti di idoneità e di univocità richiesti per il tentativo. Di conseguenza, essendo pacifico che l’imputato inviò l’ordine di acquisto dal territorio italiano, il reato di ricettazione deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato proprio perché una parte dell’azione (ordinativo della merce), da intendersi nel senso amplissimo di cui si è detto, fu commessa in Italia”.

La Cassazione ha, per questi motivi, rigettato il ricorso, affermando il seguente principio di diritto: “in caso di ricettazione di merce contraffatta, il cui contratto si sia concluso – secondo le norme civilistiche – in un paese estero, il reato, tuttavia, deve ritenersi commesso, ai sensi dell’art. 6 c.p., comma 2, nel territorio dello Stato, se ivi è stata commessa una parte dell’azione (nella specie, l’ordinativo della merce). Di conseguenza, ai fini della procedibilità, non è necessaria, ai sensi dell’art. 9 c.p., né la richiesta del Ministro della Giustizia, né l’istanza o la querela della persona offesa”.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 14 novembre 2016, n. 48017)

La Corte di Cassazione ha stabilito che affinché si possa ritenere che un reato è stato commesso in Italia è sufficiente che ivi sia stata commessa una parte dell’azione: in tema di ricettazione, affinché si possa applicare la legge italiana è sufficiente che l’ordinativo sia stato effettuato dal territorio nazionale, anche se il contratto è stato concluso all’estero.

Il caso in esame

A seguito dell’acquisto di quindici paia di scarpe contraffatte effettuato sul sito e-bay da un venditore malese, l’acquirente era tratto a giudizio per il reato di ricettazione e per il delitto di cui all’articolo 471 del Codice Penale (“Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”) e condannato dal giudice di primo grado e dalla Corte territoriale.

Avverso la decisione di quest’ultimo giudice, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, la violazione dell’articolo 56 del Codice Penale, per avere la Corte erroneamente ritenuto che il reato fosse stato consumato, laddove era configurabile, al più, un tentativo, e la violazione dell’articolo 9 del Codice Penale, per essere l’azione penale improcedibile mancando sia la richiesta del Ministro della Giustizia sia una querela idonea dalla persona offesa.

La decisione dei giudici di Cassazione

Per quanto concerne la censura della ritenuta consumazione del reato di ricettazione, i giudici di legittimità hanno osservato che: “il delitto di ricettazione si consuma, nella ipotesi di acquisto, al momento dell’accordo fra cedente ed acquirente sulla cosa proveniente da delitto e sul prezzo, considerato che la traditio della res – nella quale può ravvisarsi null’altro che un momento che pertiene all’adempimento del contratto, già perfezionato ed efficace – non può ritenersi imposta dalla norma penale, come elemento strutturale della fattispecie, al punto da contrassegnarne la consumazione come si desume dall’interpretazione letterale dell’art. 648 c.p. che distingue l’ipotesi dell’acquisto da quella della ricezione”. Secondo la Cassazione, pertanto, la Corte territoriale ha correttamente riconosciuto la consumazione del reato in questione.

Quanto alla presunta violazione dell’articolo 9 del Codice Penale, per essere l’azione penale improcedibile per mancanza della richiesta del Ministero della Giustizia e della querela da parte della persona offesa, condizioni di procedibilità che si hanno nel caso in cui un cittadino si rende responsabile di un reato in territorio estero, i giudici di Cassazione hanno ritenuto la stessa infondata, essendo stato il reato commesso sul territorio nazionale, a norma dell’articolo 6 del Codice Penale.

Preliminarmente, la Corte ha osservato infatti come all’epoca dei fatti fosse applicabile la legge dello Stato Italiano in quanto “non risulta che fra le parti fosse stata pattuita l’applicabilità di una legge diversa da quella dello Stato Italiano, luogo di residenza dell’imputato; il contratto stipulato rientrava con evidenza nelle ipotesi previste dall’art. 5/2 Convenzione di Roma del 19/06/1980 (allora vigente), alla quale rinviava la L. n. 218 del 1995, art. 57; le norme interne applicabili alla fattispecie, erano, quindi, gli artt. 1336, 1326 e 1327 c.c.”.

L’annuncio di vendita pubblicato sul sito e-bay dal venditore malese, qualificato come offerta al pubblico ai sensi dell’articolo 1336 del Codice Civile, in quanto diretta ad un pubblico indifferenziato (gli utenti del sito internet) e contenente gli estremi essenziali del contratto ai quali il consumatore, ove avesse voluto aderire, non poteva fare altro che accettare, vale in effetti come offerta al pubblico. Da qui, il rinvio all’articolo 1326 del Codice Civile, a norma del quale “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.

Come specificato dai giudici in sentenza, “nella fattispecie in esame, è, però, pacifico, che la prestazione, da parte del venditore, doveva eseguirsi senza una preventiva risposta stante la natura dell’affare: infatti, non appena l’imputato pagò il prezzo stabilito nella proposta di vendita, il venditore, senza altre formalità, provvide a spedire la merce in Italia”.

Come stabilisce l’articolo 1327 del Codice Civile, “qualora […] la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione”, ossia nel momento in cui il venditore malese consegnò la merce al vettore, cioè al fuori dal territorio nazionale.

Dal punto di vista civilistico, il contratto si è concluso all’estero, nel luogo che, secondo una consolidata giurisprudenza, dovrebbe rappresentare anche il locus commissi delicti del reato di ricettazione.

Tuttavia, i giudici di legittimità hanno ritenuto di dover disattendere tale conclusione, in quanto il delitto in questione “deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato [in quanto] il reato la cui condotta anche omissiva, sia stata commessa anche in minima parte nello Stato, seppure priva dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo (teoria della cd. ubiquità)” è, a norma dell’articolo 6 del Codice Penale, commesso in Italia. A questo proposito, sono “rilevanti tutti i comportamenti che, attuando una modificazione del mondo esteriore, possono contribuire alla perpetrazione del reato”.

Secondo la Cassazione, è “sufficiente che sia avvenuta in Italia una parte anche subvalente dell’azione o dell’omissione, pur se priva dei requisiti di idoneità e di univocità richiesti per il tentativo. Di conseguenza, essendo pacifico che l’imputato inviò l’ordine di acquisto dal territorio italiano, il reato di ricettazione deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato proprio perché una parte dell’azione (ordinativo della merce), da intendersi nel senso amplissimo di cui si è detto, fu commessa in Italia”.

La Cassazione ha, per questi motivi, rigettato il ricorso, affermando il seguente principio di diritto: “in caso di ricettazione di merce contraffatta, il cui contratto si sia concluso – secondo le norme civilistiche – in un paese estero, il reato, tuttavia, deve ritenersi commesso, ai sensi dell’art. 6 c.p., comma 2, nel territorio dello Stato, se ivi è stata commessa una parte dell’azione (nella specie, l’ordinativo della merce). Di conseguenza, ai fini della procedibilità, non è necessaria, ai sensi dell’art. 9 c.p., né la richiesta del Ministro della Giustizia, né l’istanza o la querela della persona offesa”.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 14 novembre 2016, n. 48017)