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Stalking - Cassazione Penale: è comunque persecuzione in caso di destabilizzazione della serenità o aggravamento del malessere

Nelle vittime di stalking che già soffrono di uno stato di precarietà psichica per motivi personali e per particolari contesti familiari al momento dei fatti incriminati, la loro fragilità non rileva al fine dell’esclusione del reato, anzi, specie se nota al reo, rende la vittima meritevole di maggiore tutela. Ha così statuito la Corte di Cassazione in una recente pronuncia che riguarda il caso di un uomo, condannato per atti persecutori o stalking ai danni della figlia dell’amante della propria moglie. Il soggetto si rivolge alla Corte di Cassazione deducendo che le corti territoriali, nelle pronunce di condanna, non avevano  tenuto conto dello stato psicologico in cui versava la vittima precedentemente ai fatti criminosi: la giovane, infatti, già orfana di madre, aveva da poco perso anche il padre.

Secondo il ricorrente quindi la fragilità della ragazza era dovuta agli eventi spiacevoli che aveva vissuto e quindi il “perdurante e grave stato di ansia e di paura”, che, a norma di legge, deve prodursi perché si realizzi il reato di stalking, non poteva specificatamente essere riconosciuto come conseguenza diretta delle condotte incriminate.  Pertanto l’uomo lamentava l’inconsistenza delle prove presentate a suo carico e una erronea applicazione dell’articolo 612 bis del Codice Penale. La Suprema Corte si sofferma ad analizzare la norma sopracitata e, basandosi anche sui precedenti giurisprudenziali propri e costituzionali, conferma che non sia essenziale che la persona offesa modifichi le proprie abitudini di vita, purché la condotta persecutoria determini come conseguenza un turbamento della “serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima”. Tale destabilizzazione si può provare tramite un’accurata osservazione del comportamento del soggetto e delle sue dichiarazioni e dalle sue condizioni.

Nelle sentenze di merito oggetto di ricorso, nota la Cassazione, si dà ampio spazio al racconto della giovane, la quale riportava di aver subito minacce, strattonamenti, e che le venivano rivolte frasi piene di disprezzo, che spesso evocavano la prematura morte del genitore, per il quale non era celato di certo il risentimento dovuto alla relazione extra-coniugale intrattenuta con la moglie dell’imputato. Un soggetto già fragile, come la giovane vittima del caso di specie, secondo la Cassazione merita maggiore tutela rispetto alle condotte qualificabili come atti persecutori, “dove gli eventi indotti ben possono costituire aggravamenti di un’ansia od un timore pre-esistenti, ed altrimenti provocati”.

Pertanto la Cassazione, ritenendo legittime le conclusioni della Corte territoriale per cui lo stato psicologico pregresso della vittima non esclude la sussistenza del reato, rigetta il ricorso e conferma la condanna del ricorrente.

(Corte di Cassazione - Quinta Sezione Penale, Sentenza 11 novembre 2015, n. 45184)

Nelle vittime di stalking che già soffrono di uno stato di precarietà psichica per motivi personali e per particolari contesti familiari al momento dei fatti incriminati, la loro fragilità non rileva al fine dell’esclusione del reato, anzi, specie se nota al reo, rende la vittima meritevole di maggiore tutela. Ha così statuito la Corte di Cassazione in una recente pronuncia che riguarda il caso di un uomo, condannato per atti persecutori o stalking ai danni della figlia dell’amante della propria moglie. Il soggetto si rivolge alla Corte di Cassazione deducendo che le corti territoriali, nelle pronunce di condanna, non avevano  tenuto conto dello stato psicologico in cui versava la vittima precedentemente ai fatti criminosi: la giovane, infatti, già orfana di madre, aveva da poco perso anche il padre.

Secondo il ricorrente quindi la fragilità della ragazza era dovuta agli eventi spiacevoli che aveva vissuto e quindi il “perdurante e grave stato di ansia e di paura”, che, a norma di legge, deve prodursi perché si realizzi il reato di stalking, non poteva specificatamente essere riconosciuto come conseguenza diretta delle condotte incriminate.  Pertanto l’uomo lamentava l’inconsistenza delle prove presentate a suo carico e una erronea applicazione dell’articolo 612 bis del Codice Penale. La Suprema Corte si sofferma ad analizzare la norma sopracitata e, basandosi anche sui precedenti giurisprudenziali propri e costituzionali, conferma che non sia essenziale che la persona offesa modifichi le proprie abitudini di vita, purché la condotta persecutoria determini come conseguenza un turbamento della “serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima”. Tale destabilizzazione si può provare tramite un’accurata osservazione del comportamento del soggetto e delle sue dichiarazioni e dalle sue condizioni.

Nelle sentenze di merito oggetto di ricorso, nota la Cassazione, si dà ampio spazio al racconto della giovane, la quale riportava di aver subito minacce, strattonamenti, e che le venivano rivolte frasi piene di disprezzo, che spesso evocavano la prematura morte del genitore, per il quale non era celato di certo il risentimento dovuto alla relazione extra-coniugale intrattenuta con la moglie dell’imputato. Un soggetto già fragile, come la giovane vittima del caso di specie, secondo la Cassazione merita maggiore tutela rispetto alle condotte qualificabili come atti persecutori, “dove gli eventi indotti ben possono costituire aggravamenti di un’ansia od un timore pre-esistenti, ed altrimenti provocati”.

Pertanto la Cassazione, ritenendo legittime le conclusioni della Corte territoriale per cui lo stato psicologico pregresso della vittima non esclude la sussistenza del reato, rigetta il ricorso e conferma la condanna del ricorrente.

(Corte di Cassazione - Quinta Sezione Penale, Sentenza 11 novembre 2015, n. 45184)