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Benchmark - Cassazione Civile: parametro oggettivo del grado di rischio nella gestione di portafogli di valori mobiliari

Benchmark - Cassazione Civile: parametro oggettivo del grado di rischio nella gestione di portafogli di valori mobiliari
Benchmark - Cassazione Civile: parametro oggettivo del grado di rischio nella gestione di portafogli di valori mobiliari

La Corte di Cassazione ha stabilito che nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, il benchmark può essere assunto come parametro oggettivo coerente del grado di rischio connesso alle singole gestioni, al fine di valutare la razionalità e l’adeguatezza dell’attività dell’intermediario. Questo poiché ad esso è associato un rischio, misurato statisticamente dalla volatilità che caratterizza il parametro prescelto come riferimento.

Il contratto

Nel caso di specie due soggetti investitori, a seguito della stipulazione di un contratto di gestione patrimoniale di “tipo C-Azionario globale” con la banca, e del successivo inadempimento da parte di quest’ultima, ricorrevano davanti al tribunale ottenendo una pronuncia di condanna al risarcimento dei danni subiti dalla banca. Quest’ultima, soccombente in primo grado, dopo aver proposto il gravame dinnanzi alla Corte d’appello, e vedendosi nuovamente condannata al risarcimento, ricorreva innanzi alla Corte di Cassazione.

Il contratto oggetto della controversia assumeva come definizione del rischio di investimento un parametro di riferimento c.d. “benchmark” per il 30% a indice di stato JP Morgan Globale in euro e per il 70% a indice mondiale MSCI in euro.

Secondo la banca, la Corte d’appello aveva impropriamente utilizzato come parametro della sua condotta quello stesso benchmark, che, pur giustamente definito come indicatore statico e solo approssimativo, in primo luogo non presupponeva l’obbligo di risultato del gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate e, in secondo luogo, non integrava una clausola gerarchicamente sovraordinata rispetto a tutte le altre, contenute nel contratto, indicative delle caratteristiche di gestione ai sensi dell’articolo 38 del Regolamento Intermediari.

Il fatto

La Cassazione, ripercorrendo l’accertamento effettuato tramite consulenza tecnica d’ufficio dal giudice d’appello nel precedente grado di giudizio, ha descritto l’azione della banca come gestione incoerente con i rischi contrattualmente assunti e sinteticamente rappresentati dal benchmark, con netta preferenza, durante un periodo continuativo di sei mesi circa, della componente azionaria in misura percentuale ampiamente eccedente quella prevista, procurando agli investitori le perdite stimate.

L’interpretazione è in linea con l’orientamento giurisprudenziale recente rappresentato dalla sentenza n. 8089 del 2016 della stessa Prima Sezione della Cassazione.

Obblighi comportamentali dell’intermediario

A norma degli articoli 36 e seguenti del Regolamento Intermediari, è previsto l’obbligo della “preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale proprio col fine di indicare all’investitore un parametro oggettivo coerente dei rischi connessi” alle singole gestioni.

Tale parametro è indicato, nel contratto, al fine della valutazione dei margini di discrezionalità dell’intermediario nella determinazione delle specifiche operazioni da compiere.

Ha spiegato la Corte che la gestione individuale si distingue dalla gestione collettiva “per il carattere appunto personalizzato, che consente all’investitore di predeterminare, nel contratto, le linee di gestione e di impartire soluzioni vincolanti” come previsto all’articolo 24 del Testo Unico della Finanza.

Il regolamento sopra indicato prescrive, per quanto riguarda il contratto di gestione individuale, l’obbligatoria indicazione delle caratteristiche di gestione (articolo 37), della tipologia di operazioni suscettibili di essere effettuate (articolo 40) e della misura massima della leva finanziaria utilizzabile (articolo 41).

Benchmark

Secondo la Cassazione “assume un ruolo fondamentale proprio il benchmark, definito dall’articolo 42 come “parametro oggettivo di riferimento coerente con i rischi a essa connessi al quale commisurare i risultati della gestione”. In altre parole il benchmark rappresenta il termine di paragone per poi valutare l’operato del gestore, sicché fornisce all’investitore elemento essenziale per la valutazione del servizio offerto”.

Non ravvedendo alcun errore o contraddittorietà nella sentenza di secondo grado nel valutare l’inadempimento della banca per non aver rispettato le linee guida dell’investimento per le quali era stato assunto il rischio contrattuale, la Corte ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Prima Sezione Civile, Sentenza 3 gennaio 2017, n. 24)

La Corte di Cassazione ha stabilito che nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, il benchmark può essere assunto come parametro oggettivo coerente del grado di rischio connesso alle singole gestioni, al fine di valutare la razionalità e l’adeguatezza dell’attività dell’intermediario. Questo poiché ad esso è associato un rischio, misurato statisticamente dalla volatilità che caratterizza il parametro prescelto come riferimento.

Il contratto

Nel caso di specie due soggetti investitori, a seguito della stipulazione di un contratto di gestione patrimoniale di “tipo C-Azionario globale” con la banca, e del successivo inadempimento da parte di quest’ultima, ricorrevano davanti al tribunale ottenendo una pronuncia di condanna al risarcimento dei danni subiti dalla banca. Quest’ultima, soccombente in primo grado, dopo aver proposto il gravame dinnanzi alla Corte d’appello, e vedendosi nuovamente condannata al risarcimento, ricorreva innanzi alla Corte di Cassazione.

Il contratto oggetto della controversia assumeva come definizione del rischio di investimento un parametro di riferimento c.d. “benchmark” per il 30% a indice di stato JP Morgan Globale in euro e per il 70% a indice mondiale MSCI in euro.

Secondo la banca, la Corte d’appello aveva impropriamente utilizzato come parametro della sua condotta quello stesso benchmark, che, pur giustamente definito come indicatore statico e solo approssimativo, in primo luogo non presupponeva l’obbligo di risultato del gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate e, in secondo luogo, non integrava una clausola gerarchicamente sovraordinata rispetto a tutte le altre, contenute nel contratto, indicative delle caratteristiche di gestione ai sensi dell’articolo 38 del Regolamento Intermediari.

Il fatto

La Cassazione, ripercorrendo l’accertamento effettuato tramite consulenza tecnica d’ufficio dal giudice d’appello nel precedente grado di giudizio, ha descritto l’azione della banca come gestione incoerente con i rischi contrattualmente assunti e sinteticamente rappresentati dal benchmark, con netta preferenza, durante un periodo continuativo di sei mesi circa, della componente azionaria in misura percentuale ampiamente eccedente quella prevista, procurando agli investitori le perdite stimate.

L’interpretazione è in linea con l’orientamento giurisprudenziale recente rappresentato dalla sentenza n. 8089 del 2016 della stessa Prima Sezione della Cassazione.

Obblighi comportamentali dell’intermediario

A norma degli articoli 36 e seguenti del Regolamento Intermediari, è previsto l’obbligo della “preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale proprio col fine di indicare all’investitore un parametro oggettivo coerente dei rischi connessi” alle singole gestioni.

Tale parametro è indicato, nel contratto, al fine della valutazione dei margini di discrezionalità dell’intermediario nella determinazione delle specifiche operazioni da compiere.

Ha spiegato la Corte che la gestione individuale si distingue dalla gestione collettiva “per il carattere appunto personalizzato, che consente all’investitore di predeterminare, nel contratto, le linee di gestione e di impartire soluzioni vincolanti” come previsto all’articolo 24 del Testo Unico della Finanza.

Il regolamento sopra indicato prescrive, per quanto riguarda il contratto di gestione individuale, l’obbligatoria indicazione delle caratteristiche di gestione (articolo 37), della tipologia di operazioni suscettibili di essere effettuate (articolo 40) e della misura massima della leva finanziaria utilizzabile (articolo 41).

Benchmark

Secondo la Cassazione “assume un ruolo fondamentale proprio il benchmark, definito dall’articolo 42 come “parametro oggettivo di riferimento coerente con i rischi a essa connessi al quale commisurare i risultati della gestione”. In altre parole il benchmark rappresenta il termine di paragone per poi valutare l’operato del gestore, sicché fornisce all’investitore elemento essenziale per la valutazione del servizio offerto”.

Non ravvedendo alcun errore o contraddittorietà nella sentenza di secondo grado nel valutare l’inadempimento della banca per non aver rispettato le linee guida dell’investimento per le quali era stato assunto il rischio contrattuale, la Corte ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Prima Sezione Civile, Sentenza 3 gennaio 2017, n. 24)