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Condominio - Cassazione Civile: no agli asili nido se il regolamento condominiale vieta gli esercizi rumorosi

Condominio - Cassazione Civile: no agli asili nido se il regolamento condominiale vieta gli esercizi rumorosi
Condominio - Cassazione Civile: no agli asili nido se il regolamento condominiale vieta gli esercizi rumorosi

La Corte Suprema ha respinto il ricorso presentato dalla cooperativa esercente l’attività di asilo nido all’interno di un condominio, condannandola alla cessazione immediata dell’esercizio e al pagamento delle spese di giudizio.

Il regolamento condominiale e gli esiti della consulenza tecnica

La pronuncia della Corte di Cassazione trae origine da un atto di citazione del 28 aprile 2005 con cui il proprietario di un appartamento, situato in uno stabile di ventisei condomini, citava a comparire innanzi al Tribunale di Roma il proprio condominio. L’attore esponeva che con delibera dell’assemblea condominiale gli era stato fatto divieto (sulla base del regolamento di condominio) di destinare il proprio appartamento ad uso di asilo nido e, dinanzi al giudice di merito, chiedeva l’annullamento della delibera.

Il tribunale adito rigettava tutte le richieste del proprietario e ordinava alla società cooperativa a responsabilità limitata, incaricata di gestire l’asilo nido all’interno dell’appartamento di proprietà dell’attore, di cessare immediatamente la sua attività poiché esercitata con modalità in violazione con quanto previsto dal regolamento condominiale.

La sentenza di rigetto veniva poi confermata anche dalla Corte d’Appello di Roma. In sede di giudizio di secondo grado: la Corte territoriale, da un lato, richiamava l’articolo 3 del regolamento condominiale, il quale vietava esplicitamente la destinazione degli appartamenti ad esercizi rumorosi, dall’altro riconosceva la necessità di accertare in concreto la rumorosità dell’asilo nido “in dipendenza dalle sue concrete modalità di espletamento”.

A tal fine, la Corte ancorava il proprio giudizio agli esiti di una consulenza tecnica d’ufficio (c.t.u.) disposta dal primo giudice, la quale, attenendosi ai parametri legislativi in materia di immissioni acustiche dettati dall’articolo 844 del Codice Civile, aveva evidenziato che le propagazioni provenienti dall’asilo nido superavano i limiti di normale tollerabilità in due degli appartamenti esaminati.

In seguito alla decisione da parte della Corte d’Appello, la società cooperativa citata terza in giudizio impugnava la sentenza chiedendone la cassazione sulla scorta di errori interpretativi e procedurali da essa stessa individuati.

I motivi del ricorso in Cassazione

In primo luogo, la ricorrente rilevava una errata interpretazione, da parte della Corte d’appello, di una clausola contenuta nell’articolo 3 del regolamento condominiale, ove si vieta un uso degli appartamenti “contrario alla tranquillità dell’intero fabbricato”. Deduceva che, dal momento che la c.t.u. svolta in primo grado aveva accertato che l’attività eccedeva i limiti di normale tollerabilità soltanto per due condomini su ventisei, l’ordine di cessazione dell’esercizio risultava da una scorretta interpretazione del senso complessivo degli atti.

La società cooperativa denunciava poi “l’insufficiente, l’omessa ovvero la contraddittoria motivazione” e “l’omessa e insufficiente valutazione delle prove” in sede di giudizio, concludendo che l’attività di asilo nido non fosse di per sé rumorosa e che, invero, occorresse verificare le concrete modalità di esercizio “onde accertarne la effettiva rumorosità”.

La decisione della Corte

La Cassazione respinge innanzitutto la critica, da parte della cooperativa, della soluzione interpretativa sviluppata dalla Corte d’Appello in merito al concetto di “interezza” del fabbricato. L’interpretazione letterale invocata dalla ricorrente, in base alla quale si sarebbe potuto vietare l’attività di asilo nido solo nel caso in cui essa avesse recato fastidio a tutti i condomini dell’edificio, è da considerarsi del tutto priva di logica.

Il giudice di ultima istanza ritiene inoltre del tutto ingiustificate le deduzioni della ricorrente secondo cui “la Corte di merito erra quando parte dal presupposto che l’attività di asilo nido è di per sé rumorosa”. Difatti, in merito all’iter procedurale per la valutazione della rumorosità, la Cassazione ribadisce che le motivazioni della corte distrettuale sono state correttamente sviluppate alla luce degli esiti della c.t.u. e, di conseguenza, “al cospetto del concreto riscontro della rumorosità dell’attività”.

Secondo il giudizio finale della Cassazione, dal momento che la Corte di Roma aveva esaminato analiticamente non solo gli esiti della c.t.u. ma anche le censure addotte avverso la relazione di consulenza, concludendo che la metodologia adoperata dall’ausiliario si era attenuta ai parametri normativi della materia, le motivazioni prodotte nella sentenza possono ritenersi pienamente giustificate.

Si conferma poi il giudizio della Corte d’Appello nel punto in cui disconosceva l’equiparabilità astratta dell’attività di un asilo nido con quella di una famiglia media, anche con bimbi in tenera età.

In conclusione, ritenendo infondate le deduzioni proposte dalla cooperativa nell’impugnare la sentenza d’appello, la Suprema Corte rigetta il ricorso e conferma, in ultima istanza, la validità della delibera decisa sulla scorta dell’articolo 3 del regolamento condominiale.

Focus Codice Civile: il criterio legale per le immissioni

Fra le disposizioni volte a disciplinare il godimento della proprietà, il Codice Civile interviene anche a regolare l’insorgere di probabili conflitti fra proprietari confinanti. Obiettivo della legge è infatti quello di porre dei limiti alle facoltà del proprietario, allo scopo di soddisfare le sue esigenze senza interferire con il godimento dell’altro.

In particolare, l’articolo 844 interviene a disciplinare i fenomeni di immissione, fra i quali vanno comprese non solo le esalazioni di fumo e di altre sostanze inquinanti, ma anche le propagazioni di calore, i rumori e le vibrazioni provenienti dalla proprietà del vicino.

In base a quanto stabilito dal Codice Civile, il criterio legale per la risoluzione dei conflitti sorti in materia di immissioni è quello della normale tollerabilità: non è possibile impedire le immissioni e le propagazioni provenienti dalla proprietà confinante, a patto che esse non superino la soglia oltre la quale risultano insostenibili per l’uomo di media tolleranza.

La normale tollerabilità, tuttavia, non può tenere conto soltanto del grado di intensità delle immissioni, ma deve anche avere riguardo alla condizione dei luoghi, al fine di contemperare le esigenze delle eventuali attività produttive presenti sul fondo con le ragioni della proprietà del vicino. Dal momento che in tal senso il criterio di legge rimane però generico, sia l’ambito di operatività della norma, sia le sue pratiche applicazioni vanno rimesse al prudente apprezzamento del giudice.

In caso di immissioni intollerabili illecite, al danneggiato viene concessa una duplice tutela: una di tipo inibitorio, finalizzata alla cessazione dell’attività lesiva e/o all’eliminazione della fonte delle immissioni, e una tutela risarcitoria, volta a compensare il danno personale secondo quanto previsto dall’articolo 2043 del Codice Civile.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile, Sentenza 6 dicembre 2016, n. 24958)

La Corte Suprema ha respinto il ricorso presentato dalla cooperativa esercente l’attività di asilo nido all’interno di un condominio, condannandola alla cessazione immediata dell’esercizio e al pagamento delle spese di giudizio.

Il regolamento condominiale e gli esiti della consulenza tecnica

La pronuncia della Corte di Cassazione trae origine da un atto di citazione del 28 aprile 2005 con cui il proprietario di un appartamento, situato in uno stabile di ventisei condomini, citava a comparire innanzi al Tribunale di Roma il proprio condominio. L’attore esponeva che con delibera dell’assemblea condominiale gli era stato fatto divieto (sulla base del regolamento di condominio) di destinare il proprio appartamento ad uso di asilo nido e, dinanzi al giudice di merito, chiedeva l’annullamento della delibera.

Il tribunale adito rigettava tutte le richieste del proprietario e ordinava alla società cooperativa a responsabilità limitata, incaricata di gestire l’asilo nido all’interno dell’appartamento di proprietà dell’attore, di cessare immediatamente la sua attività poiché esercitata con modalità in violazione con quanto previsto dal regolamento condominiale.

La sentenza di rigetto veniva poi confermata anche dalla Corte d’Appello di Roma. In sede di giudizio di secondo grado: la Corte territoriale, da un lato, richiamava l’articolo 3 del regolamento condominiale, il quale vietava esplicitamente la destinazione degli appartamenti ad esercizi rumorosi, dall’altro riconosceva la necessità di accertare in concreto la rumorosità dell’asilo nido “in dipendenza dalle sue concrete modalità di espletamento”.

A tal fine, la Corte ancorava il proprio giudizio agli esiti di una consulenza tecnica d’ufficio (c.t.u.) disposta dal primo giudice, la quale, attenendosi ai parametri legislativi in materia di immissioni acustiche dettati dall’articolo 844 del Codice Civile, aveva evidenziato che le propagazioni provenienti dall’asilo nido superavano i limiti di normale tollerabilità in due degli appartamenti esaminati.

In seguito alla decisione da parte della Corte d’Appello, la società cooperativa citata terza in giudizio impugnava la sentenza chiedendone la cassazione sulla scorta di errori interpretativi e procedurali da essa stessa individuati.

I motivi del ricorso in Cassazione

In primo luogo, la ricorrente rilevava una errata interpretazione, da parte della Corte d’appello, di una clausola contenuta nell’articolo 3 del regolamento condominiale, ove si vieta un uso degli appartamenti “contrario alla tranquillità dell’intero fabbricato”. Deduceva che, dal momento che la c.t.u. svolta in primo grado aveva accertato che l’attività eccedeva i limiti di normale tollerabilità soltanto per due condomini su ventisei, l’ordine di cessazione dell’esercizio risultava da una scorretta interpretazione del senso complessivo degli atti.

La società cooperativa denunciava poi “l’insufficiente, l’omessa ovvero la contraddittoria motivazione” e “l’omessa e insufficiente valutazione delle prove” in sede di giudizio, concludendo che l’attività di asilo nido non fosse di per sé rumorosa e che, invero, occorresse verificare le concrete modalità di esercizio “onde accertarne la effettiva rumorosità”.

La decisione della Corte

La Cassazione respinge innanzitutto la critica, da parte della cooperativa, della soluzione interpretativa sviluppata dalla Corte d’Appello in merito al concetto di “interezza” del fabbricato. L’interpretazione letterale invocata dalla ricorrente, in base alla quale si sarebbe potuto vietare l’attività di asilo nido solo nel caso in cui essa avesse recato fastidio a tutti i condomini dell’edificio, è da considerarsi del tutto priva di logica.

Il giudice di ultima istanza ritiene inoltre del tutto ingiustificate le deduzioni della ricorrente secondo cui “la Corte di merito erra quando parte dal presupposto che l’attività di asilo nido è di per sé rumorosa”. Difatti, in merito all’iter procedurale per la valutazione della rumorosità, la Cassazione ribadisce che le motivazioni della corte distrettuale sono state correttamente sviluppate alla luce degli esiti della c.t.u. e, di conseguenza, “al cospetto del concreto riscontro della rumorosità dell’attività”.

Secondo il giudizio finale della Cassazione, dal momento che la Corte di Roma aveva esaminato analiticamente non solo gli esiti della c.t.u. ma anche le censure addotte avverso la relazione di consulenza, concludendo che la metodologia adoperata dall’ausiliario si era attenuta ai parametri normativi della materia, le motivazioni prodotte nella sentenza possono ritenersi pienamente giustificate.

Si conferma poi il giudizio della Corte d’Appello nel punto in cui disconosceva l’equiparabilità astratta dell’attività di un asilo nido con quella di una famiglia media, anche con bimbi in tenera età.

In conclusione, ritenendo infondate le deduzioni proposte dalla cooperativa nell’impugnare la sentenza d’appello, la Suprema Corte rigetta il ricorso e conferma, in ultima istanza, la validità della delibera decisa sulla scorta dell’articolo 3 del regolamento condominiale.

Focus Codice Civile: il criterio legale per le immissioni

Fra le disposizioni volte a disciplinare il godimento della proprietà, il Codice Civile interviene anche a regolare l’insorgere di probabili conflitti fra proprietari confinanti. Obiettivo della legge è infatti quello di porre dei limiti alle facoltà del proprietario, allo scopo di soddisfare le sue esigenze senza interferire con il godimento dell’altro.

In particolare, l’articolo 844 interviene a disciplinare i fenomeni di immissione, fra i quali vanno comprese non solo le esalazioni di fumo e di altre sostanze inquinanti, ma anche le propagazioni di calore, i rumori e le vibrazioni provenienti dalla proprietà del vicino.

In base a quanto stabilito dal Codice Civile, il criterio legale per la risoluzione dei conflitti sorti in materia di immissioni è quello della normale tollerabilità: non è possibile impedire le immissioni e le propagazioni provenienti dalla proprietà confinante, a patto che esse non superino la soglia oltre la quale risultano insostenibili per l’uomo di media tolleranza.

La normale tollerabilità, tuttavia, non può tenere conto soltanto del grado di intensità delle immissioni, ma deve anche avere riguardo alla condizione dei luoghi, al fine di contemperare le esigenze delle eventuali attività produttive presenti sul fondo con le ragioni della proprietà del vicino. Dal momento che in tal senso il criterio di legge rimane però generico, sia l’ambito di operatività della norma, sia le sue pratiche applicazioni vanno rimesse al prudente apprezzamento del giudice.

In caso di immissioni intollerabili illecite, al danneggiato viene concessa una duplice tutela: una di tipo inibitorio, finalizzata alla cessazione dell’attività lesiva e/o all’eliminazione della fonte delle immissioni, e una tutela risarcitoria, volta a compensare il danno personale secondo quanto previsto dall’articolo 2043 del Codice Civile.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile, Sentenza 6 dicembre 2016, n. 24958)