x

x

Lavoro - Cassazione Penale: se l’ordine del superiore è illecito la paura della ritorsione non aiuta, si deve disobbedire

Lavoro - Cassazione Penale: se l’ordine del superiore è illecito la paura della ritorsione non aiuta, si deve disobbedire
Lavoro - Cassazione Penale: se l’ordine del superiore è illecito la paura della ritorsione non aiuta, si deve disobbedire

Con la sentenza in esame la Cassazione conferma la responsabilità del dipendente che non disobbedisce né denuncia l’ordine illecito del superiore, ma anzi lo pone in essere.

Il caso

In un punto vendita, un dipendente modifica la data di scadenza riportata su alcune confezioni di hot dog. L’ordine è impartito dalla responsabile del negozio, suo superiore, ed il soggetto non vi si oppone per il timore di poter subire eventuali ripercussioni sul lavoro.

L’iter giudiziario

Il Tribunale di primo grado sentenzia che la condotta del dipendente non è scusabile. 

La preoccupazione di subire conseguenze negative in ambito lavorativo non fa venir meno il dovere del subordinato di denunciare l’eventuale ordine illecito ricevuto. I ricorrenti sono quindi condannati alla sola pena pecuniaria, a norma degli articoli 56 (delitto tentato), 110 (pena per coloro che concorrono nel reato) e 515 (frode nell’esercizio del commercio) del Codice Penale.

La Corte d’Appello di Palermo conferma e riforma parzialmente quanto deciso dal Tribunale. In particolare, esclude la sussistenza dell’invocato “stato di necessità”: il pericolo di conseguenze negative poteva essere evitato dal lavoratore denunciando la condotta illecita del superiore ad altri.

La Corte di Cassazione, infine, rigetta per non fondatezza i ricorsi dei soggetti precedentemente condannati. 

La decisione della Corte di Cassazione

Tre dei motivi di impugnazione presentati risultano inammissibili. Due sono aspecifici, dato che “non svolgono alcuna funzione critica rispetto all’apparato argomentativo della decisione censurata”; l’altro è manifestamente infondato, dimostrato che la motivazione della Corte d’Appello è adeguata, logica e corretta, come da articolo 131-bis del Codice Penale. Diversamente, gli altri motivi possono essere presi in considerazione, ma risultano infondati.

In forza soprattutto di testimonianze, si riscontra la responsabilità dei soggetti in giudizio, non essendovi motivo di ritenere inattendibili tali dichiarazioni.

Inoltre, non è applicabile l’articolo 54 del Codice Penale, che prevede l’ipotesi di stato di necessità: “infatti, non ricorre, nella specie, l’elemento essenziale dell’inevitabilità del pericolo”. Il timore di perdere il posto di lavoro può essere scongiurato dal dipendente denunciando l’ordine ricevuto ad altri superiori.

Per quanto concerne l’invocato articolo 51 del Codice Penale, questo stabilisce, al primo comma: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”.

La Cassazione non ritiene applicabile la norma al caso di specie, poiché: “i rapporti di subordinazione presi in considerazione sono esclusivamente quelli che sono previsti dal diritto pubblico”: di conseguenza, i rapporti tra privati datori di lavoro e dipendenti ne risultano esclusi. In questi ultimi manca infatti “un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge”.

In conclusione, la Corte stabilisce che è non solo possibile, bensì obbligo per il lavoratore dissentire dagli ordini del superiore, se questi sono illeciti; egli deve, in tali casi,  denunciare il fatto ad altri superiori. Qualora invece obbedisca, si renderebbe anch’egli personalmente responsabile.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 24 gennaio 2107, n. 3394)

Con la sentenza in esame la Cassazione conferma la responsabilità del dipendente che non disobbedisce né denuncia l’ordine illecito del superiore, ma anzi lo pone in essere.

Il caso

In un punto vendita, un dipendente modifica la data di scadenza riportata su alcune confezioni di hot dog. L’ordine è impartito dalla responsabile del negozio, suo superiore, ed il soggetto non vi si oppone per il timore di poter subire eventuali ripercussioni sul lavoro.

L’iter giudiziario

Il Tribunale di primo grado sentenzia che la condotta del dipendente non è scusabile. 

La preoccupazione di subire conseguenze negative in ambito lavorativo non fa venir meno il dovere del subordinato di denunciare l’eventuale ordine illecito ricevuto. I ricorrenti sono quindi condannati alla sola pena pecuniaria, a norma degli articoli 56 (delitto tentato), 110 (pena per coloro che concorrono nel reato) e 515 (frode nell’esercizio del commercio) del Codice Penale.

La Corte d’Appello di Palermo conferma e riforma parzialmente quanto deciso dal Tribunale. In particolare, esclude la sussistenza dell’invocato “stato di necessità”: il pericolo di conseguenze negative poteva essere evitato dal lavoratore denunciando la condotta illecita del superiore ad altri.

La Corte di Cassazione, infine, rigetta per non fondatezza i ricorsi dei soggetti precedentemente condannati. 

La decisione della Corte di Cassazione

Tre dei motivi di impugnazione presentati risultano inammissibili. Due sono aspecifici, dato che “non svolgono alcuna funzione critica rispetto all’apparato argomentativo della decisione censurata”; l’altro è manifestamente infondato, dimostrato che la motivazione della Corte d’Appello è adeguata, logica e corretta, come da articolo 131-bis del Codice Penale. Diversamente, gli altri motivi possono essere presi in considerazione, ma risultano infondati.

In forza soprattutto di testimonianze, si riscontra la responsabilità dei soggetti in giudizio, non essendovi motivo di ritenere inattendibili tali dichiarazioni.

Inoltre, non è applicabile l’articolo 54 del Codice Penale, che prevede l’ipotesi di stato di necessità: “infatti, non ricorre, nella specie, l’elemento essenziale dell’inevitabilità del pericolo”. Il timore di perdere il posto di lavoro può essere scongiurato dal dipendente denunciando l’ordine ricevuto ad altri superiori.

Per quanto concerne l’invocato articolo 51 del Codice Penale, questo stabilisce, al primo comma: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”.

La Cassazione non ritiene applicabile la norma al caso di specie, poiché: “i rapporti di subordinazione presi in considerazione sono esclusivamente quelli che sono previsti dal diritto pubblico”: di conseguenza, i rapporti tra privati datori di lavoro e dipendenti ne risultano esclusi. In questi ultimi manca infatti “un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge”.

In conclusione, la Corte stabilisce che è non solo possibile, bensì obbligo per il lavoratore dissentire dagli ordini del superiore, se questi sono illeciti; egli deve, in tali casi,  denunciare il fatto ad altri superiori. Qualora invece obbedisca, si renderebbe anch’egli personalmente responsabile.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 24 gennaio 2107, n. 3394)