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Obbligo di informazione e diritto ad un equo processo

Nota a Corte di Giustizia UE, Sentenza 26 giugno 2007
Oggetto della sentenza è la richiesta di annullamento dei seguenti articoli:

• art. 4 della legge 12 gennaio 2004, che ha inserito nella legge 11 gennaio 1993 (relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite e del finanziamento del terrorismo) l’art. 2 ter (riguardante l’applicabilità delle disposizioni della presente legge, anche agli avvocati quando assistono il loro cliente nella progettazione o nella realizzazione di determinate operazioni);

• l’art. 25 della legge 12 gennaio 2004, che ha inserito un terzo paragrafo all’art. 14 bis della legge 11 gennaio 1993 (relativamente all’obbligo per gli avvocati di informare il Presidente del Consiglio dell’ordine di cui fanno parte, di fatti che sanno o sospettano essere connessi al riciclaggio di capitali o al finanziamento del terrorismo);

• l’art. 27 della legge 12 gennaio 2004 che ha sostituito l’art. 15, n. 1, della legge 11 gennaio 1993 (relativo all’obbligo per gli avvocati di fornire ogni informazione supplementare utile, richiesta dall’organo destinatario della segnalazione o uno dei suoi membri o uno dei membri del personale designato a tal fine dal magistrato che la dirige).

A richiedere l’annullamento, muovendo due ricorsi, sono stati l’Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni, l’Ordine francese degli avvocati del foro di Bruxelles, l’Ordine degli avvocati fiamminghi, nonché l’Ordine olandese degli avvocati del foro di Bruxelles. Il Consiglio degli ordini dell’Unione europea e l’Ordine degli avvocati del foro di Liegi sono intervenuti nella causa principale.

Gli ordini ricorrenti sostengono che gli articoli in esame pregiudichino ingiustificatamente il principio del segreto professionale e l’indipendenza dell’avvocato, elementi primari del diritto fondamentale di ogni singolo ad un equo processo (art. 6 della CEDU) e al rispetto del diritto alla difesa.

Gli obblighi di denuncia e l’incriminazione del cliente vanno oltre, secondo “l’accusa”, la semplice violazione del segreto professionale: questi violano decisamente il rapporto di fiducia tra questo e il suo avvocato.

A giudizio del Consiglio degli ordini degli avvocati dell’Unione europea, la legge 11 gennaio 1993, come modificata dalla legge 12 gennaio 2004, non permette di preservare l’insieme dell’attività tradizionale dell’avvocato.

Ma la direttiva 91/308 limita l’applicazione degli obblighi di informazione e di collaborazione in un duplice modo:

• gli avvocati, in forza dell’art. 2 bis, punto 5, della direttiva 91/308, sono sottoposti agli obblighi da questa previsti e, nello specifico, agli obblighi di informazione e di collaborazione imposti dall’art. 6, n. 1, di detta direttiva, solo nei limiti in cui essi partecipino, secondo le modalità specificate al detto art. 2 bis, punto 5, a talune operazioni tassativamente elencate da quest’ultima disposizione (assistenza dei clienti nella progettazione o nella realizzazione di operazioni determinate);

• gli Stati membri, secondo l’art. 6, n. 3, comma 2, della direttiva 91/308, non sono tenuti ad imporre gli obblighi di informazione e di collaborazione degli avvocati con riferimento alle informazioni che essi ricevono da un loro cliente, o ottengono su di esso, nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale provvedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

In altre parole, gli obblighi di comunicazione e di collaborazione si applicano agli avvocati solo nei limiti in cui essi assistono i loro clienti nella progettazione o nella realizzazione di talune operazioni essenzialmente di ordine finanziario e immobiliare, o nel caso in cui agiscano in nome e per conto del loro cliente in una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare. La Corte afferma che tali attività non sono collegate ad un procedimento giudiziario e, pertanto, si pongono al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto a un equo processo.

Inoltre, se un avvocato è chiamato all’esercizio di un incarico di difesa o di rappresentanza in giudizio o per l’ottenimento di consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento giudiziario, tale avvocato è esonerato dagli obblighi di informazione e collaborazione e tale esonero è di natura tale da preservare il diritto del cliente ad un equo processo.

La Corte (Grande Sezione), alla luce di quanto emerso, stabilisce che gli obblighi di informazione e di collaborazione con le autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio previsti all’art. 6, n. 1, della direttiva 91/308 e imposti agli avvocati dall’art. 2 bis, punto 5, di tale direttiva, non violano il diritto ad un equo processo, come garantito dagli artt. 6 della CEDU e 6, n. 2, UE.

Oggetto della sentenza è la richiesta di annullamento dei seguenti articoli:

• art. 4 della legge 12 gennaio 2004, che ha inserito nella legge 11 gennaio 1993 (relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite e del finanziamento del terrorismo) l’art. 2 ter (riguardante l’applicabilità delle disposizioni della presente legge, anche agli avvocati quando assistono il loro cliente nella progettazione o nella realizzazione di determinate operazioni);

• l’art. 25 della legge 12 gennaio 2004, che ha inserito un terzo paragrafo all’art. 14 bis della legge 11 gennaio 1993 (relativamente all’obbligo per gli avvocati di informare il Presidente del Consiglio dell’ordine di cui fanno parte, di fatti che sanno o sospettano essere connessi al riciclaggio di capitali o al finanziamento del terrorismo);

• l’art. 27 della legge 12 gennaio 2004 che ha sostituito l’art. 15, n. 1, della legge 11 gennaio 1993 (relativo all’obbligo per gli avvocati di fornire ogni informazione supplementare utile, richiesta dall’organo destinatario della segnalazione o uno dei suoi membri o uno dei membri del personale designato a tal fine dal magistrato che la dirige).

A richiedere l’annullamento, muovendo due ricorsi, sono stati l’Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni, l’Ordine francese degli avvocati del foro di Bruxelles, l’Ordine degli avvocati fiamminghi, nonché l’Ordine olandese degli avvocati del foro di Bruxelles. Il Consiglio degli ordini dell’Unione europea e l’Ordine degli avvocati del foro di Liegi sono intervenuti nella causa principale.

Gli ordini ricorrenti sostengono che gli articoli in esame pregiudichino ingiustificatamente il principio del segreto professionale e l’indipendenza dell’avvocato, elementi primari del diritto fondamentale di ogni singolo ad un equo processo (art. 6 della CEDU) e al rispetto del diritto alla difesa.

Gli obblighi di denuncia e l’incriminazione del cliente vanno oltre, secondo “l’accusa”, la semplice violazione del segreto professionale: questi violano decisamente il rapporto di fiducia tra questo e il suo avvocato.

A giudizio del Consiglio degli ordini degli avvocati dell’Unione europea, la legge 11 gennaio 1993, come modificata dalla legge 12 gennaio 2004, non permette di preservare l’insieme dell’attività tradizionale dell’avvocato.

Ma la direttiva 91/308 limita l’applicazione degli obblighi di informazione e di collaborazione in un duplice modo:

• gli avvocati, in forza dell’art. 2 bis, punto 5, della direttiva 91/308, sono sottoposti agli obblighi da questa previsti e, nello specifico, agli obblighi di informazione e di collaborazione imposti dall’art. 6, n. 1, di detta direttiva, solo nei limiti in cui essi partecipino, secondo le modalità specificate al detto art. 2 bis, punto 5, a talune operazioni tassativamente elencate da quest’ultima disposizione (assistenza dei clienti nella progettazione o nella realizzazione di operazioni determinate);

• gli Stati membri, secondo l’art. 6, n. 3, comma 2, della direttiva 91/308, non sono tenuti ad imporre gli obblighi di informazione e di collaborazione degli avvocati con riferimento alle informazioni che essi ricevono da un loro cliente, o ottengono su di esso, nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale provvedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

In altre parole, gli obblighi di comunicazione e di collaborazione si applicano agli avvocati solo nei limiti in cui essi assistono i loro clienti nella progettazione o nella realizzazione di talune operazioni essenzialmente di ordine finanziario e immobiliare, o nel caso in cui agiscano in nome e per conto del loro cliente in una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare. La Corte afferma che tali attività non sono collegate ad un procedimento giudiziario e, pertanto, si pongono al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto a un equo processo.

Inoltre, se un avvocato è chiamato all’esercizio di un incarico di difesa o di rappresentanza in giudizio o per l’ottenimento di consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento giudiziario, tale avvocato è esonerato dagli obblighi di informazione e collaborazione e tale esonero è di natura tale da preservare il diritto del cliente ad un equo processo.

La Corte (Grande Sezione), alla luce di quanto emerso, stabilisce che gli obblighi di informazione e di collaborazione con le autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio previsti all’art. 6, n. 1, della direttiva 91/308 e imposti agli avvocati dall’art. 2 bis, punto 5, di tale direttiva, non violano il diritto ad un equo processo, come garantito dagli artt. 6 della CEDU e 6, n. 2, UE.