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Omesso versamento IVA: esimente della crisi di liquidità e assenza del fine di evadere

Borghetto
Ph. Francesca Russo / Borghetto

Indice:

1. L’omesso versamento dell’IVA

2. Rilievi e rilievo della pronuncia

3. Coscienza e volontà nell’omissione

4. L’inesigibilità quale causa di esclusione della colpevolezza non positivizzata

5. Scollamento tra giurisprudenza di legittimità e giurisprudenza di merito

6. Conclusioni

 

1. L’omesso versamento dell’IVA

Il reato di omesso versamento IVA è previsto all’articolo 10-ter Decreto Legislativo 74/2000 e sanziona con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non paghi, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale[1], per un ammontare superiore a duecentocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.

Esso si configura come istantaneo e si consuma con lo scadere del termine per il «versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo», per il calcolo del quale è, quindi, opportuno fare riferimento al termine del 27 dicembre successivo alla dichiarazione annuale validamente presentata[2] dalla quale risulta l’imposta dovuta e non versata oltre soglia.

In taluni casi, è inoltre ipotizzabile il concorso con i delitti dichiarativi, quali quelli integrati da Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex articolo 2 Decreto Legislativo 74/2000, Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex articolo 4 Decreto Legislativo 74/2000 e Dichiarazione infedele ex articolo 4 Decreto Legislativo 74/2000[3].

Nel caso oggetto della pronuncia in esame, l’imputato era stato dichiarato responsabile e condannato alla pena di nove mesi di reclusione in relazione al reato di cui all’articolo 10 ter Decreto Legislativo 74/2000 ascrittogli per avere, quale legale rappresentante di una società, omesso di presentare entro il termine stabilito per il versamento dell’acconto d’imposta relativo al periodo successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta per gli anni 2010 e 2011. Lo stesso proponeva quindi impugnazione presso la Corte territoriale la quale escludeva che fosse certa la volontà dell’imputato di omettere la condotta doverosa.

Avverso tale sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte d’appello territoriale, proponeva ricorso per Cassazione affidato a un unico motivo, lamentando il mancato assolvimento dell’obbligo di motivazione cosiddetta rafforzata, sussistente quando venga riformata integralmente la decisione impugnata. Sottolineava altresì la sufficienza del dolo generico[4] per poter ritenere integrato il reato di cui all’articolo 10 ter Decreto Legislativo 74/2000 contestato all’imputato, cioè la consapevolezza di omettere un versamento d’imposta dovuta e la mancata individuazione di cause di giustificazione idonee a scriminare la condotta illecita del soggetto o di cause di esclusione della colpevolezza, richiamando al riguardo la sentenza n. 6220 del 2018 della stessa Sezione.

L’imputato ha, quindi, depositato una memoria difensiva, mediante la quale ha eccepito la genericità del ricorso del pubblico ministero, privo di confronto critico con l’analisi della vicenda contenuta nella sentenza impugnata e con il percorso argomentativo, con il quale la Corte d’appello aveva escluso che vi fosse la certezza della volontarietà da parte dell’imputato della omissione della condotta doverosa. Il ricorso è stato dichiarato dalla sentenza in argomento inammissibile «a causa della genericità delle doglianze cui è stato affidato»[5].

 

2. Rilievi e rilievo della pronuncia

Importanti riflessioni sulla valenza scriminante della crisi di liquidità nel reato di omesso versamento IVA ex articolo 10ter del Decreto Legislativo 74/2000 sono possibili alla luce della Cassazione penale, Sez. III, sentenza 16 ottobre 2019, n. 42522, pronuncia che ha tentato di tracciare, in caso di crisi di liquidità, un significativo cambio di passo interpretativo rispetto alla granitica visione giurisprudenziale del Supremo Collegio, sempre orientato a confermare l’automatismo, per cui la scelta di non pagare l’IVA provi di per sé il dolo[6], appena temperato dalla previsione di un poderoso e, a tratti, diabolico onere di allegazione difensiva volto a dimostrare l’adozione di tutte le iniziative per la corresponsione del tributo (Corte di Cassazione, sezione III penale, 23 luglio 2020 n. 25433), anche attingendo al patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 2014, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, in motivazione), per far fronte ad una crisi che deve essere grave, imprevedibile e inevitabile (Sez. 3 Num. 23619 Anno 2020).

Con la pronuncia in esame, la Cassazione ha escluso la sussistenza del dolo generico richiesto per la configurabilità del delitto di omesso versamento dell’IVA previsto dall’articolo 10 ter del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, laddove l’imputato provveda al pagamento di dipendenti e fornitori in una prospettiva di continuità aziendale, nella convinzione che tale scelta – scrivono i Giudici – consenta di proseguire l’attività d’impresa attraverso il conseguimento di ricavi e di utili.

Le circostanze fattuali del caso in oggetto, in particolare, delineavano una situazione in cui era senz’altro mancata la rappresentazione da parte dell’imputato della futura carenza delle risorse necessarie per assolvere all’obbligazione tributaria con la conseguente mancata integrazione della fattispecie, sotto il profilo dell’adesione volitiva.

Significativamente, nella pronuncia in esame, non trova spazio la riflessione sul tema degli accantonamenti periodici che non sono sanzionati penalmente, ma sono stati indebitamente ritenuti sintomatici della volontà finale di omettere il versamento dell’IVA[7], in un sistema che rischia, così, di virare verso forme di responsabilità oggettiva, incriminando condotte non sorrette dal fine dell’evasione fiscale[8].

Nella pronuncia in argomento, si conferma, altresì, il principio di inesigibilità[9], costruzione giuridica che, tuttavia, conserva un suo peculiare inquadramento[10], essendo le valutazioni che la integrano complementari all’analisi dell’elemento soggettivo del reato. Secondo il paradigma della inesigibilità, infatti, l’esclusione della colpevolezza esprime la scelta dell’ordinamento che, in presenza di particolari circostanze fattuali, ritiene inesigibili “umanamente” condotte obiettivamente contrarie alle prescrizioni legali.

L’impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità[11] (da provare adeguatamente mediante allegazioni peritali in ampia soddisfazione dell’onore di allegazione difensiva[12]), nell’assunto giurisprudenziale, funge da scriminante, sotto il profilo dell’assenza di adesione volitiva al fatto delittuoso, collegata alla non esigibilità della condotta doverosa omessa.

Orbene, la pronuncia è di interesse sotto questi ed altri profili, consentendo un’analisi approfondita del delitto sempre più al centro del dibattito sui reati dichiarativi, rispetto ai quali si levano istanze di modifica legislativa tese alla tutela della continuità dell’impresa, anche nell’ottica della salvaguardia del tessuto economico italiano. Il reato di omesso versamento IVA, nonché il reato di omesso versamento delle ritenute dovute o certificate previsto all’articolo 10 bis del D. lgs. 74/2000 «tratteggiano invero delle fattispecie del tutto estranee alla fraudolenza del momento dichiarativo – connotata dal dolo specifico di evasione – che avrebbe dovuto fungere da perimetro dell’area del penalmente rilevante secondo l’innovativa mens legis insita del Decreto Legislativo 74/2000»[13].

 

3. Coscienza e volontà dell’omissione

Se «il processo penale, a differenza di quello tributario, impone di valutare la volontarietà dell’omissione»[14], sul tema della coscienza e della volontarietà della condotta richiesta dall’ordinamento, originali e potenzialmente dirimenti appaiono le riflessioni che provengono dal cd. neuro-diritto e che procedono, per indagini di ricerca sulla razionalità decisionale e sull’elemento soggettivo nel reato economico[15]. Esse muovono dal rilievo di una differenza strutturale sostanziale tra scelta soggettiva tout court – come conosciuta e trattata dalla dogmatica classica[16] – e scelta economica, essendo quest’ultima compulsata non già da un determinismo puro della volontà, ma dall’impasto di valutazioni razionali, di criteri finanziari, di suggerimenti statistici e così via.

«Si avverte cioè la sensazione che, nonostante sul piano dei principi e della struttura del reato la valutazione dei crimini economici richieda l’accertamento della componente psicologica (l’elemento soggettivo) in maniera in nessun modo differente da quella di qualsiasi altro reato, per i suddetti illeciti tale elemento di valutazione venga per così dire lasciato scivolare sullo sfondo, con un rischio di «trasformazione» in reati a responsabilità pressoché oggettiva e l’evocazione sovente del paradigma del dolus in re ipsa. Impressione confermata anche da una semplice «misurazione quantitativa» dello spazio ad esso dedicato nelle sentenze in materia di reati economici, spesso alquanto ridotto rispetto all’analisi dell’elemento oggettivo»[17].

Tale linea di ricerca, se ancora più criticamente sviluppata, chiaramente, porterebbe a considerare la sanzione penale, almeno quella della costruzione “obiettivista” attuale, forse non idonea allo scopo[18] che l’ordinamento tenta di perseguire in radice, soprattutto, in ragione delle congiunture economiche attuali che vedono l’impresa sempre più sola nel fronteggiare le crisi di liquidità, spesso non adeguatamente sorretta dal credito bancario e in balia dei tempi ingovernabili di pagamento dei crediti, sicché non possono non accogliersi benevolmente quelle “istanze di moderazione”[19] rese operanti proprio per il tramite dell’applicazione del principio di non esigibilità.

 

4. L’inesigibilità quale causa di esclusione della colpevolezza non positivizzata

In particolare, nella sentenza in esame, si precisa «La Corte territoriale è pervenuta alla assoluzione dell’imputato ritenendo non esigibile la condotta antidoverosa omessa, sulla base del rilievo che i soci di controllo della società capogruppo avevano adottato le iniziative idonee a tentare di fronteggiare la crisi finanziaria che aveva, tra le altre, colpito la società amministrata dall’imputato, facendo ricorso anche a beni personali allo scopo di reperire la liquidità necessaria per assolvere alle obbligazioni sociali, e anche insussistente l’elemento soggettivo del reato, sottolineando che la scelta dell’imputato di provvedere al pagamento di dipendenti e fornitori era avvenuta in una prospettiva di continuità aziendale, nella convinzione che tale opzione avrebbe consentito la prosecuzione dell’attività d’impresa, il conseguimento di ricavi e la produzione utili e, quindi, anche l’adempimento alla scadenza della obbligazione tributaria, con la conseguente insussistenza della rappresentazione da parte dell’imputato medesimo della mancanza delle risorse necessarie per assolvere a tale adempimento alla scadenza»[20].

Con queste parole la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del Procuratore generale ritenendo, dunque, non sussistente il dolo generico previsto dalla normativa. La prova della volontarietà, richiesta del sistema penale classico, manca quando, a causa della crisi finanziaria rispetto alla quale l’imprenditore non ha alcuna responsabilità, egli si sia trovato in una condizione di “illiquidità”, che «lo rende, pur se inadempiente nel pagamento dell’IVA, non perseguibile penalmente»[21], in una condizione idonea quindi ad escludere la colpevolezza tipica[22].

Si tratta del paradigma della c.d. inesigibilità, intesa come impossibilità relativa di adempiere «da valutarsi in relazione a quanto umanamente esigibile dal soggetto nel caso concreto»[23]. Va precisato, a tal proposito, che il rimprovero di colpevolezza, in linea generale, presuppone «l’assenza di circostanze anormali, concomitanti all’azione, che rendano psicologicamente necessitato il comportamento delittuoso»[24].

È tale ragionamento che ha fatto assurgere a causa di esclusione della colpevolezza proprio l’inesigilibità, quale rinuncia alla pretesa della condotta doverosa da parte dell’ordinamento o, meglio, elaborazione di una «impossibilità di pretendere, in presenza delle circostanze concrete in cui l’agente si è trovato ad operare – la significativa crisi di liquidità – un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto»[25]. Tale condizione, apparentemente costruita in modo del tutto similare allo stato di necessità[26], difetta però dell’attualità del pericolo grave e imminente da questa fattispecie invece richiesta[27], potendo tali condizioni ricorrere per circostanze altrettanto gravi seppur non ascrivibili al pericolo di vita.

Il principio di inesigibilità consente, quindi, di superare le difficoltà insite nell’applicazione del principio di legalità e dei corollari della tassatività (quindi, tipicità) e determinatezza (divieto di analogia) della norma[28], nei casi in cui l’applicazione della stessa andrebbe a creare condizioni di eccessiva afflittività o in cui la generalità e l’astrattezza della norma non siano sufficienti a coprire le sfumature fattuali che fuggono dai modelli[29]. Esso diviene lo strumento per “aggirare”, attraverso il ricorso all’analogia juris[30], la severità intrinseca della norma penale, così da ammettere l’operatività di una causa di esclusione della colpevolezza non codificata che si atteggia a canone extra-legislativo di giudizio[31].

Una “clausola vuota”[32], «perché non riesce, di per sé, ad indicare i criteri che dovrebbero veramente presiedere alla soluzione dei casi concreti»[33] afferma certa dottrina, ma che consente all’ordinamento di “respirare in termini umani”[34], incidendo sulla qualifica di antigiuridicità attribuita normalmente al comportamento doveroso omesso e ciò, soprattutto, in caso di “conflitto di doveri”[35], situazione in cui sempre versa l’imprenditore nella gestione aziendale e su cui non sembrano finire le oscillazioni giurisprudenziali[36] sulla valutazione giuspenalistica delle sue scelte.

Così, nel caso analizzato, la Corte di legittimità, confutando le argomentazioni del PG e riconfermando quell’idea di complementarietà dell’elemento soggettivo del reato e delle condizioni di inesigibilità della condotta, precisa  «Il ricorrente […] non ha preso in esame i dubbi espressi dalla Corte territoriale sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, che hanno condotto alla assoluzione dell’imputato con formula dubitativa, né è stata valutata l’idoneità delle condotte dei soci, sul piano della esigibilità della condotta»[37].

Questa ricostruzione dogmatica, ad avviso di chi scrive, dovrebbe consentire di superare le perplessità di coloro secondo i quali «la sentenza non pare condivisibile perché la continuità aziendale è strettamente connaturata al rischio d’impresa, che non può certo garantire l’impunità. Non è dato cogliere, infatti, un substrato normativo o dogmatico capace di sorreggere in modo persuasivo la tesi assolutoria, a meno di ritenere che il diritto all’attività d’impresa sia di tale caratura da scriminare l’agente ex articolo 51 c.p., al pari di quanto avviene per il diritto di cronaca rispetto alla lesione dell’altrui reputazione»[38].

 

5. Scollamento tra giurisprudenza di legittimità e giurisprudenza di merito

La pronuncia in commento, come detto, costituisce un tentativo significativo di modifica dell’orientamento granitico del Supremo Collegio, in attesa di un’auspicabile riforma legislativa che riconduca la punibilità, nei reati dichiarativi, in via esclusiva, dentro il recinto della “piena” coscienza e volontà “di evadere” l’imposta, obiettivo che potrebbe raggiungersi intervenendo proprio sulla lettera della disposizione normativa, inserendo l’inciso “al fine di evadere”. Coerente con questo spirito sembra essere l’orientamento seguito dai giudici di merito che, nel caso in esame e in pochi altri, non sono stati contraddetti dal Giudice di legittimità solitamente severo nel confermare la visione “obiettivista”.

Maggioritaria è, infatti, la tesi «di chiusura»[39] seguita in molteplici pronunce dalla giurisprudenza di legittimità, laddove essa ritiene che il reato di omesso versamento IVA sia, invece, integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, a nulla rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di crisi e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento questo ricondotto all’ordinario rischio di impresa e che non può, secondo gli Ermellini, comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale contratta con l’erario[40]. Ciò si colloca in senso contrastante alla giurisprudenza di merito che, proprio nel seguire percorsi interpretativi tesi a riconoscere e valorizzare l’inesigibilità della condotta, l’assenza del dolo, lo stato di necessità o, appunto, la forza maggiore nei termini in parte esplicati, ha ravvisato la non punibilità di tali condotte[41]. Sul tema oggetto della presente disamina, in particolare, significative pronunce di merito hanno stabilito come la «mancanza assoluta di mezzi economici» e la «crisi acuta di liquidità dell’impresa» siano fattori idonei ad escludere la responsabilità penale per difetto dell’elemento psicologico tipico del reato[42].

La pronuncia in esame, pertanto, apre timidamente un varco in un terreno ostile. A riprova di quanto si afferma, a poche settimane di distanza dalla sentenza in commento, la stessa Sezione III penale della Corte, con la sentenza n. 50007 depositata in data 11.12.2019, confermava, invece, la condanna per l’imprenditore che, nel corso di una crisi finanziaria, per garantire la continuità aziendale, aveva pagato altri creditori, dipendenti e fornitori, anziché versare le imposte dovute.

 

6. Conclusioni

La sentenza in esame ha avuto certamente il merito di sollevare questioni da cui non si può più prescindere nel dibattito sui reati dichiarativi.

Auspicando un consolidamento dell’orientamento della Corte di Cassazione, sul principio di inesigibilità della condotta collegato alla crisi di liquidità e alle scelte dell’imprenditore, si ritiene necessario un tempestivo intervento legislativo che introduca nella lettera della norma la finalità di evadere l’obbligazione tributaria quale presupposto per l’incriminazione.

 

[1]      Ai fini dell’integrazione del reato di omesso versamento IVA, ex articolo 10-ter del D.lgs n. 74/2000, l’entità delle somme da versare è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva desumibile dalle annotazioni contabili (cifr. Corte Cass., Sez. III pen., sentenza del 30 marzo 2018, n. 14595).

[2]      È escluso il concorso tra la fattispecie in esame e il reato di omessa dichiarazione ex articolo 5 Decreto Legislativo 74/2000.

[3]      In particolare, nell’ipotesi di presentazione della dichiarazione che esponga un debito d’imposta inferiore a quello effettivo, per la quale, ricorrendone i presupposti, possano configurarsi i reati di cui agli articoli 2, 3 e 4 Decreto Legislativo 74/2000, non viene integrato quello previsto dall’articolo 10-ter Decreto Legislativo 74/2000, qualora l’imposta a debito dichiarata sia stata versata

[4]      Cass. Sezioni Unite Penali, sentenza del 12 settembre 2013, n. 37424.

[5]      Sentenza in argomento, pag. 4.

[6]      Cass., Sez. III Pen., sentenza del 9 settembre 2015, n. 43599.

[7]      Cass., Sez. V Pen., sentenza del 9 ottobre 2018, n. 45308.

[8]      L. Sammicheli – R. Borsari, Neuroscienze, razionalità decisionale ed elemento soggettivo nei reati economici. Atti del convegno di Studi Padova, 28 novembre 2014. Contributo apparso su Diritto Penale e Uomo, Fascicolo 9/2019.

[9]      A. Giudici, L’inesigibilità nel diritto penale tra teoria e prassi, Tesi di dottorato in scienze giuridiche, Università di Milano.

[10]    Per G. Fiandaca – E. Musco, Diritto Penale - Parte generale, Zanichelli Editore, Settima Edizione, pp. 422-427, si tratta di un canone extra-giuridico; per F. Lisena, in La “riemersione” della c.d. inesigibilità in relazione alla nuova disciplina dei reati tributari, Nel Diritto, esso ha una forza “ultralegale”.

[11]    Sullo stesso tema si veda anche Cass. Pen., III sez. pen., sentenza dell’1 agosto 2018, n. 37089.

[12]    Cass., Sez. III Pen., sentenza del 21 marzo 2019, n. 23796.

[13]    N. Biligotti, Crisi di liquidità e omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto ex articolo 10-ter D. Lgs. 74/2000: le molteplici declinazioni di un’esimente, Giurisprudenza Penale Web, 2018, n. 3.

[14]    F. Romoli, Omesso versamento di IVA e crisi di liquidità, in www.archiviopenale.it.

[15]    L. Sammicheli – R. Borsari, Ibidem.

[16]    G. Marinucci, Il reato come azione – Critica di un dogma, Milano, 1971.

[17]    Ibidem.

[18]    Quello di mettere le “manette agli evasori”, slogan con cui il gergo giornalistico indicò la l. 516 del 1982 che segnò una fondamentale tappa nell’ambito dell’evoluzione della normativa del diritto penale tributario.

[19]    F. Lisena, Ibidem.

[20]    Sentenza in argomento, p. 3.

[21]    Così F. Romoli, Ibidem.

[22]    A. Carotenuto, Illiquidità dell’impresa e dolo nell’articolo 10- bis del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, in Il fisco, n. 33/2005, 5197.

[23]    Ibidem.

[24]    G. Fiandaca – E. Musco, Diritto Penale - Parte generale, Zanichelli Editore, Settima Edizione, pp. 422-427.

[25]    Ibidem.

[26]    Articolo 54 c.p.

[27]    G. Fiandaca – E. Musco, Ibidem.

[28]    G. Cocco – E. M. Ambrosetti, La legge penale, Parte generale – 1, I, p., CEDAM, 2016

[29]    In ossequio al principio costituzionale di uguaglianza sostanziale.

[30]    G. Fiandaca – E. Musco, Ibidem.

[31]    Ibidem.

[32]    Ibidem.

[33]    Ibidem.

[34]    Riprendendo l’espressione di G. Bettiol, Diritto penale, Padova, 1982, 489 e ss.. L’inesigibilità si atteggia a «valvola che permette ad un sistema di norme di respirare in termini umani» sullo schema della dottrina germanica «la quale ha sostenuto che tanto il dolo quanto la colpa sono sempre esclusi allorché l’agente si sia trovato in condizioni tali da non potersi umanamente pretendere dal medesimo una condotta diversa da quella tenuta in concreto e, quindi, da non potersi esigere un comportamento conforme al precetto penale».

[35]    G. Fiandaca – E. Musco, Ibidem.

[36]    E. Fontana, Oscillazioni giurisprudenziali sulla valenza scriminante della crisi di liquidità, Diritto & Giustizia, fasc. 226, pag. 7.

[37]    Sentenza in esame, p. 3.

[38]    L. Gianzi – A. P. Casati, Crisi di liquidità e omessi versamenti IVA, in www.cdpt.it, 2020. A conferma di una potenziale valenza generale della esimente della crisi di liquidità, nella prospettiva della continuità aziendale, depone una recentissima pronuncia della Cassazione (Cass., Sez. V Pen. sentenza del 2 marzo 2020, n. 18528), in tema di bancarotta preferenziale, «quanto all’elemento soggettivo del reato, si rileva che questo è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale. Ne consegue che detta finalità non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile».

[39]    L. Sammicheli – R. Borsari, Ibidem.

[40]    Cass., Sez. III Pen., sentenza del 13 novembre 2018, n. 12906.

[41]    L. Sammicheli – R. Borsari, Ibidem.

[42]    G.I.P. Trib. Catanzaro, 19 dicembre 1990, in Giust. Pen., 1992, II, 95; Trib. Larino, 28 settembre 1988, in Il Fisco, 1989, 1756.