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Professione forense al bivio: Studio associato o individuale?

associati o individuali?
associati o individuali?

Associati o individuali? La scelta della forma giuridica con cui condurre la professione forense non è solo una questione di impostazione formale e giuridica, è una scelta prima di tutto di mentalità.

La professione forense svolta secondo il classico approccio dell’avvocato tuttofare, del progetto professionale individuale, assume connotati ben diversi nel momento in cui si sceglie di condividere l’avventura con dei soci.

Già, perché se nel primo caso l’organizzazione interna risente di questo imprinting egocentrico, di una struttura quasi sempre molto snella dove l’organizzazione e la comunicazione interna richiedono poco (e spesso non si concede neppure quel poco che sarebbe invece opportuno), lo scenario cambia radicalmente quando si decide di dare un’impostazione più imprenditoriale alla professione.

La scelta non dovrebbe tuttavia seguire solo una logica meramente di convenienza nel business (valutazione ovviamente opportuna e corretta), ma anche di attitudine verso il lavoro di squadra. Ciò che deve essere messo in conto sin da subito è che tale scelta richiede competenze manageriali, di gestione di persone, attività, strumenti, luoghi. Non si può pensare di costituire uno Studio associato con la stessa mentalità dell’avvocato individualista libero battitore. Se si opta per la forma associata si scelgono soci con cui dividere gioie e dolori, bisogna dedicare tempo alla comunicazione sia nella stanza dei bottoni, tra soci, dove la trasparenza e la fiducia sono fondamentali per porre solide basi, sia nelle gerarchie con i collaboratori. Riunioni, delega e feedback devono diventare pane quotidiano. Accanto al cappellino con scritto “avvocato” dobbiamo sapere che ne indosseremo quotidianamente uno con scritto “manager”, gestore di risorse. Là dove ci sono più “teste”, stili, aspettative, competenze, esse vanno gestite, altrimenti l’inefficienza fino allo stallo vero e proprio sono dietro l’angolo.

In molti, invece, la primaria (se non unica) valutazione la conducono sugli aspetti meramente di business: quanti clienti ciascuno, i contatti reciproci, le competenze da mettere in comune e da spendere verso l’esterno. Importante, certo, ma utile quanto un kiwi senza polpa.

Il mercato sappiamo che sta mutando velocemente, sappiamo che la concorrenza è cresciuta e che le aspettative dei clienti sono più alte e specifiche.

La soluzione non è optare per la forma associata (o le Stp), in quanto l’unione fa la forza. È l’unione profonda a fare la forza e non quella formale. Quanto diceva Ghandi “fate battere i vostri cuori all’unisono” potremmo riprenderlo anche in questo caso con la variante che se la mentalità dei soci di questa avventura è in sintonia, orientata all’unisono verso un obiettivo comune, allora partiamo decisamente bene.