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Raddoppio dei termini di accertamento alla luce della legge delega fiscale 2014

La disciplina dei termini di accertamento in presenza di fattispecie che hanno rilevanza penale si avvia verso una regolamentazione ed una razionalizzazione nell’ambito della legge delega fiscale pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e che entrerà in vigore il 27 marzo 2014.

Infatti, all’articolo 8, comma 2, viene espressamente previsto che “Il Governo è delegato altresì a definire, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di decadenza, fatti comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi”.

Giova ricordare che la disciplina del raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento, in presenza di una notizia di reato tributario, è stata introdotta dall’articolo 37, commi 24, 25 e 26, del Decreto Legge n. 223/2006.

In particolare, il comma 24 ha integrato l’articolo 43 del Decreto del Presidente della Repubblica  n. 600/1973, tramite l’inserimento del terzo comma, in base al quale “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.

In virtù delle citate norme, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati qualora il pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, constati una violazione per la quale sussiste l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del Codice di Procedura Penale, per uno dei reati previsti dal Decreto Legislativo n. 74/2000.

Ciò vuol dire che il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione dei redditi, ovvero del quinto anno in caso di omessa presentazione della dichiarazione, diviene, pertanto, 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero del decimo anno in caso di omessa presentazione della dichiarazione.

Sul punto, tante e diverse le recenti interpretazioni giurisprudenziali di merito sempre però più attente nel valutare la fondatezza del raddoppio dei termini di decadenza dell’accertamento in presenza di reati tributari. Pronunce che si inseriscono a poca distanza dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 247/2011 che, nel confermare la legittimità, in presenza di reato, del raddoppio del termine di decadenza, ha sancito il dovere dei giudici di merito, a richiesta del contribuente, di svolgere un controllo sul riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia per evitare un utilizzo strumentale della segnalazione da parte dell’amministrazione.

E così, la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria (237/1/11 e 41/02/2012) ha ritenuto che se il reato tributario è prescritto, l’ufficio non può usufruire del raddoppio. Ad analoghe conclusioni è poi giunta sia la Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza (824/1/12) sia, più di recente, la Commissione Tributaria Provinciale di Ancona (102/2/13).

A ciò va poi aggiunto che l’amministrazione, proprio per consentire alle Commissioni Tributarie di operare la valutazione richiesta dalla Consulta, deve produrre la comunicazione di reato, circostanza che, di norma, non avviene.

Per queste ragioni alcune commissioni (Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sentenze 231/40/2011 e 327/5/2011, Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, 135/1/2012, Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, 73/5/2012, Commissione Tributaria Provinciale di Lecco, 74/1/12) hanno chiarito che, non potendo verificare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, il raddoppio in questione non è legittimo.

Sotto il profilo dell’onere probatorio, è l’Amministrazione finanziaria che ha l’obbligo di giustificare il più ampio potere accertativo attribuitole dal terzo comma dell’articolo 57 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72. (Commissione Tributaria Regionale di Bari n. 68/8/2013 del 11.10.2013).

La stessa Consulta, con l’Ordinanza n. 247/2011, ha precisato però che il raddoppio si realizza anche se il reato viene scoperto dai verificatori dopo il termine di decadenza ordinario laddove ha avuto modo di sancire come in seguito all’entrata in vigore della norma del 2006, sia stato introdotto nel nostro ordinamento una sorta di “doppio binario” relativamente ai termini di accertamento, distinguendosi tra termine breve e termine raddoppiato:

- il “breve” si applicherebbe ogni qualvolta non sussista l’obbligo di presentare una denuncia penale per uno dei reati di cui al Decreto Legislativo n. 74/2000;

- il “raddoppiato” sarebbe anch’esso un termine fissato dalla legge, operante automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, qual è la sussistenza dell’obbligo di denuncia penale.

Ed è qui, che la legge delega pur mantenendo invariata l’impostazione data dai giudici costituzionali, mira a razionalizzare il meccanismo del doppio binario sancendo il principio che, in ogni caso, il presupposto che dovrebbe far scattare il termine raddoppiato in luogo di quello breve, ordinario, ossia la presentazione dell’informativa contenente la notizia di reato ai sensi dell’articolo 331 del Codice di Procedura Penale, si realizzi prima che il termine breve si sia consumato e, con esso, si sia realizzata la decadenza dell’azione accertatrice da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Ciò vuol dire che il Governo dovrà arginare la possibilità che oggi ha l’Agenzia delle Entrate di riaprire i termini scaduti per l’accertamento tributario, attraverso il ricorso alla segnalazione di reati all’autorità giudiziaria.

Già alcune pronunce di merito, tra cui la Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna, Sentenza 11 settembre 2013, n. 191, avevano quindi giudicato l’operato dell’Ufficio tardivo (o almeno non tempestivo) in riferimento all’inoltro della denuncia: atto, questo, che avrebbe dovuto precedere l’emissione dell’avviso di accertamento ed esservi allegato, sia per rispettare un’estensiva interpretazione del comma 1 dell’articolo 7 della Legge n. 212/2000 sia, soprattutto, per far comprendere al contribuente (e consentirgli quindi una maggior tutela del proprio diritto di difesa) quali erano i fatti di rilevanza penale comunicati alla Procura della Repubblica che determinavano l’applicazione di una norma per lui fortemente penalizzante. (Nello stesso Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, n. 115 del 19 settembre 2012; Commissione Tributaria Provinciale di Prato n. 30 del 16 maggio 2013; Commissione Tributaria Provinciale di Varese n. 61 del 19 aprile 2013).

Tale pronuncia si pone in linea con un precedente della Commissione Tributaria Provinciale di Bari (Sentenza n. 192/2011) che ha stabilito che il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale, previsto nei casi di reati tributari con obbligo di denuncia penale (ex articolo 37, comma 24, Decreto Legge n. 223/06), non può essere applicato retroattivamente, tenuto conto del carattere afflittivo sanzionatorio che ne deriverebbe al ricorrente.

Da ultimo, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano n. 147/24/2014 secondo cui è necessario, pertanto, affinché il raddoppio dei termini non venga utilizzato quale un mero automatismo per resuscitare periodi d’imposta già chiusi nel cassetto, che l’atto impositivo dia esplicita contezza dell’utilizzo di tale strumento, esponendo nel contempo le motivazioni che ne sorreggano la legittimità: in mancanza l’avviso di accertamento è nullo.

Ora con un’apposita norma di delegazione il Parlamento è intervenuto su questo raddoppio.

Si spera soltanto che nel disporre che “il raddoppio debba prodursi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia entro un determinato termine”, il Parlamento non abbia consentito però ampi margini discrezionali al Governo per l’attuazione, laddove ha previsto che “il termine possa non coincidere con quello ordinario per l’esercizio dell’azione accertatrice, bensì essere a esso semplicemente “correlato”.

Va brevemente ricordato che i termini di decadenza sono previsti per soddisfare un interesse ordinamentale di carattere “pubblicistico”, vale a dire che gli atti siano compiuti in un tempo preciso ed inderogabile, con la conseguenza che il decorso di tale termine estingue automaticamente il diritto non esercitato in quei termini.

Con particolare riguardo alla disciplina fiscale, tale principio trova riscontro nella scansione temporale a cui è sottoposta l’emissione degli avvisi di accertamento, soggetti appunto a decadenza, “in ragione di fondamentali esigenze di certezza e di stabilizzazione”.

A ben vedere, tutti i rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuenti sono ordinariamente regolati, per esigenza di tutela della certezza e trasparenza del rapporto tributario, appunto, da termini di decadenza (e non di prescrizione); inoltre, i termini di accertamento, per espressa previsione di legge (rafforzata) non sono derogabili. Ragion per cui, il contribuente dovrà rimarcare nei propri atti difensivi qualsiasi argomentazione utile per eventualmente contestare l’intempestività usata dai controllori nell’espletare le loro specifiche mansioni.

Ed allora, non ci si può esimere, però, dal considerare che l’attuale situazione comporta, inevitabilmente, una profonda lesione del diritto di difesa del contribuente, il quale potrebbe (del tutto legittimamente) trovarsi sprovvisto di documentazione contabile necessaria per sostenere un contraddittorio.

Difatti, l’articolo 22 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600/73 sancisce l’obbligo di conservare le scritture contabili fino allo scadere degli ordinari termini di decadenza dell’azione accertatrice. Quindi, riaprire un’annualità ormai prescritta significa trovarsi, di fatto, nell’impossibilità di difendersi, pur avendo posto in essere un comportamento perfettamente conforme alla legge, che prevede la conservazione della contabilità fino allo spirare dei termini ordinari. Sarebbe, pertanto, coerente con i principi costituzionali consentire il raddoppio dei termini solo qualora la denunzia ex articolo 331 del Codice di Procedura Penale intervenga nel periodo ordinario di accertamento del tributo.

In conclusione, solo qualora si attuassero i “reali” propositi della legge delega fiscale, sarebbero tutelati i diritti del contribuente, giacché ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione non è consentito essere assoggettati all’azione esecutiva del Fisco per un tempo indeterminato e comunque, se non corrispondente a quello ordinario di prescrizione, decisamente irragionevole.

La disciplina dei termini di accertamento in presenza di fattispecie che hanno rilevanza penale si avvia verso una regolamentazione ed una razionalizzazione nell’ambito della legge delega fiscale pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e che entrerà in vigore il 27 marzo 2014.

Infatti, all’articolo 8, comma 2, viene espressamente previsto che “Il Governo è delegato altresì a definire, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di decadenza, fatti comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi”.

Giova ricordare che la disciplina del raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento, in presenza di una notizia di reato tributario, è stata introdotta dall’articolo 37, commi 24, 25 e 26, del Decreto Legge n. 223/2006.

In particolare, il comma 24 ha integrato l’articolo 43 del Decreto del Presidente della Repubblica  n. 600/1973, tramite l’inserimento del terzo comma, in base al quale “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.

In virtù delle citate norme, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati qualora il pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, constati una violazione per la quale sussiste l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del Codice di Procedura Penale, per uno dei reati previsti dal Decreto Legislativo n. 74/2000.

Ciò vuol dire che il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione dei redditi, ovvero del quinto anno in caso di omessa presentazione della dichiarazione, diviene, pertanto, 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero del decimo anno in caso di omessa presentazione della dichiarazione.

Sul punto, tante e diverse le recenti interpretazioni giurisprudenziali di merito sempre però più attente nel valutare la fondatezza del raddoppio dei termini di decadenza dell’accertamento in presenza di reati tributari. Pronunce che si inseriscono a poca distanza dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 247/2011 che, nel confermare la legittimità, in presenza di reato, del raddoppio del termine di decadenza, ha sancito il dovere dei giudici di merito, a richiesta del contribuente, di svolgere un controllo sul riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia per evitare un utilizzo strumentale della segnalazione da parte dell’amministrazione.

E così, la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria (237/1/11 e 41/02/2012) ha ritenuto che se il reato tributario è prescritto, l’ufficio non può usufruire del raddoppio. Ad analoghe conclusioni è poi giunta sia la Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza (824/1/12) sia, più di recente, la Commissione Tributaria Provinciale di Ancona (102/2/13).

A ciò va poi aggiunto che l’amministrazione, proprio per consentire alle Commissioni Tributarie di operare la valutazione richiesta dalla Consulta, deve produrre la comunicazione di reato, circostanza che, di norma, non avviene.

Per queste ragioni alcune commissioni (Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sentenze 231/40/2011 e 327/5/2011, Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, 135/1/2012, Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, 73/5/2012, Commissione Tributaria Provinciale di Lecco, 74/1/12) hanno chiarito che, non potendo verificare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, il raddoppio in questione non è legittimo.

Sotto il profilo dell’onere probatorio, è l’Amministrazione finanziaria che ha l’obbligo di giustificare il più ampio potere accertativo attribuitole dal terzo comma dell’articolo 57 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72. (Commissione Tributaria Regionale di Bari n. 68/8/2013 del 11.10.2013).

La stessa Consulta, con l’Ordinanza n. 247/2011, ha precisato però che il raddoppio si realizza anche se il reato viene scoperto dai verificatori dopo il termine di decadenza ordinario laddove ha avuto modo di sancire come in seguito all’entrata in vigore della norma del 2006, sia stato introdotto nel nostro ordinamento una sorta di “doppio binario” relativamente ai termini di accertamento, distinguendosi tra termine breve e termine raddoppiato:

- il “breve” si applicherebbe ogni qualvolta non sussista l’obbligo di presentare una denuncia penale per uno dei reati di cui al Decreto Legislativo n. 74/2000;

- il “raddoppiato” sarebbe anch’esso un termine fissato dalla legge, operante automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, qual è la sussistenza dell’obbligo di denuncia penale.

Ed è qui, che la legge delega pur mantenendo invariata l’impostazione data dai giudici costituzionali, mira a razionalizzare il meccanismo del doppio binario sancendo il principio che, in ogni caso, il presupposto che dovrebbe far scattare il termine raddoppiato in luogo di quello breve, ordinario, ossia la presentazione dell’informativa contenente la notizia di reato ai sensi dell’articolo 331 del Codice di Procedura Penale, si realizzi prima che il termine breve si sia consumato e, con esso, si sia realizzata la decadenza dell’azione accertatrice da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Ciò vuol dire che il Governo dovrà arginare la possibilità che oggi ha l’Agenzia delle Entrate di riaprire i termini scaduti per l’accertamento tributario, attraverso il ricorso alla segnalazione di reati all’autorità giudiziaria.

Già alcune pronunce di merito, tra cui la Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna, Sentenza 11 settembre 2013, n. 191, avevano quindi giudicato l’operato dell’Ufficio tardivo (o almeno non tempestivo) in riferimento all’inoltro della denuncia: atto, questo, che avrebbe dovuto precedere l’emissione dell’avviso di accertamento ed esservi allegato, sia per rispettare un’estensiva interpretazione del comma 1 dell’articolo 7 della Legge n. 212/2000 sia, soprattutto, per far comprendere al contribuente (e consentirgli quindi una maggior tutela del proprio diritto di difesa) quali erano i fatti di rilevanza penale comunicati alla Procura della Repubblica che determinavano l’applicazione di una norma per lui fortemente penalizzante. (Nello stesso Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, n. 115 del 19 settembre 2012; Commissione Tributaria Provinciale di Prato n. 30 del 16 maggio 2013; Commissione Tributaria Provinciale di Varese n. 61 del 19 aprile 2013).

Tale pronuncia si pone in linea con un precedente della Commissione Tributaria Provinciale di Bari (Sentenza n. 192/2011) che ha stabilito che il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale, previsto nei casi di reati tributari con obbligo di denuncia penale (ex articolo 37, comma 24, Decreto Legge n. 223/06), non può essere applicato retroattivamente, tenuto conto del carattere afflittivo sanzionatorio che ne deriverebbe al ricorrente.

Da ultimo, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano n. 147/24/2014 secondo cui è necessario, pertanto, affinché il raddoppio dei termini non venga utilizzato quale un mero automatismo per resuscitare periodi d’imposta già chiusi nel cassetto, che l’atto impositivo dia esplicita contezza dell’utilizzo di tale strumento, esponendo nel contempo le motivazioni che ne sorreggano la legittimità: in mancanza l’avviso di accertamento è nullo.

Ora con un’apposita norma di delegazione il Parlamento è intervenuto su questo raddoppio.

Si spera soltanto che nel disporre che “il raddoppio debba prodursi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia entro un determinato termine”, il Parlamento non abbia consentito però ampi margini discrezionali al Governo per l’attuazione, laddove ha previsto che “il termine possa non coincidere con quello ordinario per l’esercizio dell’azione accertatrice, bensì essere a esso semplicemente “correlato”.

Va brevemente ricordato che i termini di decadenza sono previsti per soddisfare un interesse ordinamentale di carattere “pubblicistico”, vale a dire che gli atti siano compiuti in un tempo preciso ed inderogabile, con la conseguenza che il decorso di tale termine estingue automaticamente il diritto non esercitato in quei termini.

Con particolare riguardo alla disciplina fiscale, tale principio trova riscontro nella scansione temporale a cui è sottoposta l’emissione degli avvisi di accertamento, soggetti appunto a decadenza, “in ragione di fondamentali esigenze di certezza e di stabilizzazione”.

A ben vedere, tutti i rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuenti sono ordinariamente regolati, per esigenza di tutela della certezza e trasparenza del rapporto tributario, appunto, da termini di decadenza (e non di prescrizione); inoltre, i termini di accertamento, per espressa previsione di legge (rafforzata) non sono derogabili. Ragion per cui, il contribuente dovrà rimarcare nei propri atti difensivi qualsiasi argomentazione utile per eventualmente contestare l’intempestività usata dai controllori nell’espletare le loro specifiche mansioni.

Ed allora, non ci si può esimere, però, dal considerare che l’attuale situazione comporta, inevitabilmente, una profonda lesione del diritto di difesa del contribuente, il quale potrebbe (del tutto legittimamente) trovarsi sprovvisto di documentazione contabile necessaria per sostenere un contraddittorio.

Difatti, l’articolo 22 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600/73 sancisce l’obbligo di conservare le scritture contabili fino allo scadere degli ordinari termini di decadenza dell’azione accertatrice. Quindi, riaprire un’annualità ormai prescritta significa trovarsi, di fatto, nell’impossibilità di difendersi, pur avendo posto in essere un comportamento perfettamente conforme alla legge, che prevede la conservazione della contabilità fino allo spirare dei termini ordinari. Sarebbe, pertanto, coerente con i principi costituzionali consentire il raddoppio dei termini solo qualora la denunzia ex articolo 331 del Codice di Procedura Penale intervenga nel periodo ordinario di accertamento del tributo.

In conclusione, solo qualora si attuassero i “reali” propositi della legge delega fiscale, sarebbero tutelati i diritti del contribuente, giacché ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione non è consentito essere assoggettati all’azione esecutiva del Fisco per un tempo indeterminato e comunque, se non corrispondente a quello ordinario di prescrizione, decisamente irragionevole.