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Rimborso dei biglietti aerei tramite voucher: una potenziale pratica commerciale scorretta

Pratica commerciale scorretta
Pratica commerciale scorretta

1. Premessa

 

È notizia di questi giorni che lAutorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle compagnie aeree Blue Panorama, Easyjet, Ryanair e Vueling, per la vendita di biglietti per servizi di trasporto aereo in seguito cancellati dalle quattro compagnie a causa del Covid-19, pur essendo programmati per un periodo nel quale non erano più vigenti i limiti di circolazione imposti dai provvedimenti governativi.

 

In particolare, si legge nel comunicato stampa rilasciato dall’Autorità, adducendo come motivo della cancellazione lemergenza per la pandemia, BluePanorama, Easyjet, Ryanair e Vueling hanno offerto, in alternativa allo spostamento del volo, soltanto lerogazione di un voucher anziché il rimborso del prezzo del biglietto già pagato, in possibile violazione dei diritti dei passeggeri previsti dal Reg. (CE) n. 261/2004.

Inoltre, le compagnie aeree non hanno informato i consumatori sui diritti loro spettanti in caso di cancellazione.

Da qui l’abbrivio per trattare dei risvolti civilistici legati al rimborso dei biglietti aerei tramite voucher, atteso che un’eventuale statuizione dell’Autorità in merito alla scorrettezza delle predette pratiche commerciali avrà un effetto solo mediato sulla tutela dei consumatori, posto che i relativi effetti avranno ripercussioni sulla regolamentazione del mercato piuttosto che sulla sfera dei singoli consumatori.

Al fine di rintracciare i possibili risvolti civilistici dell’emissione dei voucher di viaggio in luogo del rimborso in denaro, tuttavia, occorre muovere da una doverosa precisazione: le considerazioni qui svolte non sono suscettibili di applicazione generalizzata.

Infatti, non sono ancora disponibili i dettagli dell’istruttoria svolta dall’Autorità Garante e pertanto non è dato sapere se sia possibile rintracciare il carattere dell’omogeneità nel comportamento adottato dalle singole compagnie aeree nell’emissione dei predetti voucher.

Eppure, il risultato finale, in molti casi, potrebbe non divergere: l’emissione del voucher può costituire manifestazione di una pratica commerciale sleale.

D’altronde, è la stessa materia delle pratiche commerciali sleali a non prestarsi a generalizzazioni: la scorrettezza, infatti, può manifestarsi in modi differenti, difficilmente riconducibili ad unità.

Da qui, l’impossibilità di ricostruire un unico modo di atteggiarsi delle diverse compagnie in relazione all’emissione dei voucher, suscettibile di riflettersi sul piano civilistico.

Un dato è certo: le considerazioni che seguono prendono spunto da fatti realmente accaduti, cioè da un concreto modo di atteggiarsi di taluni professionisti nei confronti dei consumatori-clienti.

Ciò che non è ancora certo, invece, è se il comportamento tenuto da talune compagnie possa condurre con certezza alla configurabilità di una pratica sleale.

Chi scrive ritiene che tale possibilità sia concretamente prospettabile ma, ad ogni modo, in attesa di una pronuncia da parte dell’AGCM, si procederà con un incedere talvolta ipotetico nelle osservazioni che seguono.

 

2. Il quadro normativo di riferimento: il Regolamento CE 261/2004

Ai fini della presente indagine, occorre prendere le mosse dal Regolamento Comunitario 261/2004 il quale prevede, nei casi di cancellazione dei voli, che le compagnie forniscano ai passeggeri: l’informativa; la riprotezione; il rimborso del prezzo del biglietto (non la corresponsione di un voucher); la compensazione, ove dovuta.

L’articolo 5 del Regolamento 261/2004, nel caso di cancellazione del volo, richiama espressamente l’articolo 8 del medesimo Regolamento. L’articolo 8, rubricato “Diritto al rimborso o all’imbarco su un volo alternativo”, prevede che:

1. Quando è fatto riferimento al presente articolo, al passeggero è offerta la scelta tra:

a) - il rimborso entro sette giorni, secondo quanto previsto nell’articolo 7, paragrafo 3, del prezzo pieno del biglietto, allo stesso prezzo al quale è stato acquistato, per la o le parti di viaggio non effettuate e per la o le parti di viaggio già effettuate se il volo in questione è divenuto inutile rispetto al programma di viaggio iniziale del passeggero, nonché, se del caso:

  • un volo di ritorno verso il punto di partenza iniziale, non appena possibile;
  • b) l’imbarco su un volo alternativo verso la destinazione finale, in condizioni di trasporto comparabili, non appena possibile; o
  • c) l’imbarco su un volo alternativo verso la destinazione finale, in condizioni di trasporto comparabili, ad una data successiva di suo gradimento, a seconda delle disponibilità di posti”.

L’articolo 7, paragrafo 3 disciplina puntualmente le modalità per effettuare il rimborso del biglietto aereo: esso deve avvenire in “contanti, mediante trasferimento bancario elettronico, con versamenti o assegni bancari, o, previo accordo firmato dal passeggero, con buoni di viaggio e/o altri servizi”.

La disciplina richiamata, di derivazione comunitaria e quindi sovraordinata rispetto alle fonti del diritto interno, lascia poco spazio ad interpretazioni di sorta: nel caso di cancellazione del volo, al consumatore-cliente deve essere garantito l’integrale rimborso del prezzo del biglietto aereo. La corresponsione del rimborso mediante l’emissione di buoni viaggio (c.d. voucher), invece, è per espressa previsione normativa limitata ai soli casi di previo accordo firmato dal passeggero[1].

Durante l’epidemia da Covid-19 numerose Compagnie non hanno adempiuto alle previsioni contenute negli articoli 5 e 8 del richiamato Regolamento, complice il diritto nazionale arricchitosi di disposizioni dissonanti rispetto alla disciplina di derivazione comunitaria.

Nello specifico, l’articolo 88 bis della Legge n. 27 del 24 aprile 2020 ha previsto espressamente la possibilità di emettere voucher, al fine di agevolare le compagnie nel contrasto agli effetti economici negativi derivanti dall’epidemia.

Tuttavia, la nuova normativa italiana contrasta con il diritto UE, espressione di armonizzazione massima dei diritti nazionali, con la conseguenza che neppure una legislazione di emergenza emanata da uno Stato membro può derogare alle sue disposizioni, a maggior ragione se a scapito dei diritti del consumatore.

Merita di essere segnalato, a tal proposito, che la Commissione UE ha avviato un procedimento di infrazione nei confronti della Grecia e dell’Italia, per non aver rispettato le norme comunitarie in materia di tutela dei diritti dei consumatori.

Si legge nell’informativa al riguardo, disponibile sul sito internet della Commissione UE – rappresentanza in Italia che “la Grecia e l’Italia hanno adottato una legislazione che consente ai vettori di offrire voucher come unica forma di rimborso.

Secondo i regolamenti dell’UE sui diritti dei passeggeri, tuttavia, i passeggeri hanno il diritto di scegliere tra un rimborso in denaro o in altra forma, tra cui il voucher.

I passeggeri a cui viene offerto un voucher sono costretti ad accettare questa soluzione.

La Grecia e l’Italia dispongono ora di 2 mesi per rispondere alle argomentazioni formulate dalla Commissione, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato.

 

3. La violazione del Regolamento CE 261/2004: impossibilità di richiamare l’emergenza sanitaria dettata dal COVID-19 quale ragione per l’emissione dei voucher successivi al 3 giugno 2020

Alla luce della disciplina nazionale richiamata, molte compagnie non hanno proceduto al rimborso del biglietto aereo, ma direttamente all’emissione di voucher. Inoltre, talune di esse hanno prospettato l’emissione del voucher quale unica scelta possibile, mancando di raccogliere il consenso scritto (firmato) dal cliente al fine di procedere all’emissione del predetto voucher.

Tale comportamento, inoltre, non sempre risulta giustificato dal richiamo all’emergenza sanitaria dettata dall’epidemia da COVID-19.

Invero, dal 3 giugno 2020 sono state rimosse le restrizioni alla circolazione delle persone fisiche all’interno del territorio nazionale e nell’area europea Schengen, Regno Unito e Irlanda del Nord.

Pertanto, le cancellazioni operate dalle compagnie a partire dal 3 giugno 2020 non possono essere ricondotte alle fattispecie di impedimento determinate dal COVID-19, previste dall’articolo 88 bis della Legge n. 27 del 24 aprile 2020, bensì determinate da scelte attribuibili alla volontà del vettore stesso.

Nello stesso senso si è espresso anche l’ENAC in una informativa del 18 giugno 2020.

La disciplina applicabile a dette cancellazioni è rappresentata, dunque, dal Regolamento (CE) 261/2004, che prevede l’informativa al passeggero, la riprotezione, il rimborso del prezzo del biglietto, e non la corresponsione del voucher, e la compensazione, ove dovuta.

Da qui, la possibilità che si configuri una pratica commerciale scorretta, laddove le compagnie aeree provvedano al rimborso tramite voucher dei voli cancellati in epoca successiva al 3 giugno 2020.

 

4. Il tipo di pratica commerciale scorretta perpetrata in danno dei consumatori-clienti

Ai sensi dell’articolo 18 del Codice del consumo per «pratica commerciale» deve intendersi «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori» (articolo 18 lett. d) cod. consumo). Ove per prodotto, ovviamente, deve intendersi ogni bene o servizio, compresi i diritti e le obbligazioni (così articolo 18, lett. c), Codice del consumo).

A norma dell’articolo 20, secondo comma, Codice del consumo, è da ritenersi scorretta una pratica commerciale che sia:

  1. contraria alla diligenza professionale;
  2. falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta ad un determinato gruppo di consumatori.

Numerosi gli indici di scorrettezza delle pratiche commerciali poste in essere dalle Compagnie aeree a seguito dell’emissione di voucher di viaggio per il periodo successivo al 3 giugno. E nello specifico:

  1. Prospettare, in caso di cancellazione del volo, il rimborso tramite voucher quale unica forma di rimborso possibile;
  2. Prospettare, in caso di cancellazione del volo, la possibilità di ottenere il rimborso del viaggio, salvo omettere di indicare che lo stesso avverrà esclusivamente tramite voucher;
  3. alla specifica richiesta di rimborso, replicare che lo stesso possa avvenire solo tramite emissione del voucher a cause dell’epidemia;
  4. applicare la normativa nazionale sui voucher per le cancellazioni avvenute in seguito al 3 giugno 2020, in spregio alla inattualità del richiamo e alla normativa europea di riferimento;
  5. falsare il comportamento economico del consumatore-cliente che si vede costretto a cambiare le date e/o l’itinerario del proprio viaggio, magari sostenendo ulteriori spese.

Tali comportamenti debbono considerarsi, oltreché contrari alla clausola generale prevista dall’articolo 20 Codice del consumo, altresì ingannevoli ex articoli 21 e 22 Codice del consumo.

Le azioni ingannevoli, infatti, consistono in pratiche commerciali che, inducendo o essendo idonee ad indurre il consumatore ad assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso (nel caso di specie, tra l’altro, ottenere i voucher anziché il rimborso), contengono informazioni false ovvero corrette, ma rappresentate in maniera tale da far cadere il consumatore medio in errore in ordine ad almeno uno degli elementi indicati nell’articolo 21 Codice del consumo.

L’ingannevolezza derivante da informazioni false può riguardare qualsivoglia aspetto della pratica.

Gli articoli 21-23 Codice del consumo delineano una fattispecie di pericolo in quanto, essendo preordinati a garantire la correttezza dell’attività del professionista già nella fase pubblicitaria, prodromica a quella negoziale, prescindono dalla sussistenza del pregiudizio economico dei consumatori, ritenendo sufficiente, per qualificare come scorretta la pratica, la potenziale lesione della loro libertà di autodeterminazione[2].

Gli elementi che possono costituire oggetto delle false informazioni, o comunque delle informazioni vere ma presentate in modo tale da indurre all’errore, sono elencati nello stesso articolo 21 Codice del consumo. Tra di essi, ovviamente, sono ricompresi i diritti che spettano al consumatore (tra i quali deve ritenersi compreso anche il diritto al rimborso in denaro del viaggio cancellato).

L’articolo 22 Codice del consumo è dedicato alle “omissioni ingannevoli” e decreta l’illiceità di tutte quelle pratiche commerciali carenti delle informazioni rilevanti per il consumatore medio, necessarie affinché questo possa prendere decisioni consapevoli e libere da condizionamenti.

Rientrano in questa tipologia di pratiche, e sono menzionate dal secondo comma dell’articolo in esame, quelle in cui il professionista fornisce in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole, ovvero omette di dichiarare l’intento commerciale della pratica stessa, salvo che ciò non sia desumibile con certezza dal contesto in cui si svolge. In questo caso, ad essere sanzionata non è l’assenza di informazioni, ma la modalità con cui le stesse sono presentate al consumatore.

In definitiva, nelle pratiche ingannevoli è possibile riscontrare un presupposto «costante» ed uno «variabile»[3]. Il primo, l’elemento costante, è costituito dall’attitudine della pratica ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Nel caso di specie, ad ottenere l’emissione del voucher in luogo del rimborso in denaro. Il secondo, l’elemento variabile, è costituito dalle singole fattispecie in cui può concretarsi la pratica commerciale, a seconda che si tratti di un’azione o di un’omissione[4]. Nel caso di specie, ad esempio, prospettare la possibilità di ottenere il rimborso del prezzo a causa della cancellazione del volo, senza specificare che lo stesso avverrà mediante l’emissione del voucher.

 

5. Il risarcimento del danno quale rimedio individuale contro le pratiche commerciali scorrette

Quid iuris allorché il consumatore-cliente sia destinatario di una pratica commerciale sleale?

La tutela individuale contro la slealtà delle pratiche commerciali sembra assumere le caratteristiche proprie della responsabilità di tipo extracontrattuale[5].

La pretesa risarcitoria di cui all’articolo 2043 Codice Civile, come noto, impone la prova:

  1. dell’elemento psicologico doloso o colposo dell’agente
  2. del danno ingiusto subito
  3. del nesso causale tra il danno lamentato e la condotta censurata

Secondo quanto prescritto dall’articolo 2697 Codice Civile è l’attore, e dunque il consumatore, a dover dimostrare i fatti costitutivi dell’illecito, essendo inapplicabile, come condivisibilmente rilevato dalla dottrina[6], la regola che opera per il procedimento davanti all’AGCM per cui è il professionista a dover provare che non poteva ragionevolmente prevedere l’impatto negativo della pratica da lui posta in essere sui consumatori (articolo 27, co. 5, Codice del consumo).

Al riguardo, utili spunti possono essere tratti dal campo del risarcimento del danno conseguente a comportamenti anticoncorrenziali vietati ai sensi della Legge n. 287/1990[7] a tutela della concorrenza e del mercato. In tale ambito, le azioni risarcitorie sono distinte tra c.d. follow-on actions e c.d. stand-alone actions, a seconda che esse prendano le mosse o meno dal previo accertamento dell’illecito da parte dell’AGCM o della Commissione[8].

La distinzione non è ovviamente fine a se stessa; avviare il contenzioso dinanzi al giudice ordinario solo a seguito dell’azione amministrativa dell’AGCM (follow-on action) comporterà per la parte attrice un indiscutibile vantaggio in termini di onere della prova[9].

Pertanto, replicare il medesimo distinguo in materia di illecito consumeristico significherebbe alleggerire l’onere della prova della scorrettezza della pratica commerciale che grava sul consumatore; così, laddove sia già intervenuta l’AGCM ad accertare il carattere illegittimo del comportamento tenuto dal professionista, potrebbe ritenersi sufficiente, per ritenere integrata la prova della scorrettezza, allegare nell’atto di citazione il provvedimento inibitorio o sanzionatorio adottato dall’Autorità stessa[10].

Tanto sembra trovare riscontro nelle pronunce della Corte di Cassazione, che però sul punto si è mostrata più cauta.

La Suprema Corte, infatti, ha stabilito che “l’allegazione del provvedimento inibitorio dell’Autorità Garante può tutt’al più fornire al giudice indicazioni in ordine alla natura astrattamente ingannevole della pubblicità, natura che, comunque, deve essere idoneamente provata dalla parte e sufficientemente motivata dal giudice[11].

In ogni caso, accertata la scorrettezza della pratica commerciale, andranno provati gli ulteriori elementi costitutivi dell’illecito propri dell’articolo 2043 Codice Civile.

  1. Per quanto concerne la prova della colpevolezza, la dottrina ha proposto l’applicazione di una presunzione quale quella di cui all’articolo 2600, co.3, Codice Civile, secondo cui «accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume»[12]. Inoltre, si può osservare che l’impresa è soggetto tipico di rischio, e questo solo può bastare a giustificare un collegamento non colposo, ma meramente oggettivo alla responsabilità[13]. Pertanto la colpa potrebbe ritenersi in re ipsa una volta appurato che la pratica possa ritenersi sleale[14].
  2. Con riferimento al «danno ingiusto» non sembra revocabile in dubbio che la disciplina repressiva delle pratiche scorrette sia espressiva, da un alto, della loro antigiuridicità, e dall’altro, dell’ingiustizia del relativo pregiudizio, in quanto lesivo di un interesse del consumatore rilevante e protetto[15]. Tale interesse è stato individuato nel c.d. «diritto all’autodeterminazione consumeristica»[16]. Detto diritto sembra peraltro riconducibile al più generale diritto al corretto funzionamento del mercato, riconosciuto sia dalla Corte di Giustizia[17], sia dalla giurisprudenza della Cassazione che lo ha posto alla base dell’azione risarcitoria antitrust[18].
  3. Ulteriore questione, nella ricostruzione della disciplina del risarcimento del danno ex articolo 2043 Codice Civile, attiene all’indagine sul nesso causale esistente tra il comportamento sleale dell’impresa e la lamentata lesione del consumatore. Al riguardo la dottrina[19], similmente a quanto accade in materia antitrust per il rapporto tra intese illecite fra imprese e contratti a valle conclusi con i consumatori[20], ha suggerito di ritenere sussistente il nesso causale desumendolo dal solo fatto dell’esistenza della stipulazione del contratto (id est, nel caso di specie, l’emissione del voucher), non voluto o auspicato a condizioni diverse, da configurarsi quale diretta conseguenza della realizzazione della pratica scorretta.
  4. Per quanto attiene, infine, alla quantificazione del danno subito dal consumatore, sembra ragionevole ritenere che il danno risarcibile possa farsi coincidere con il danno emergente ed il lucro cessante, nonché con l’eventuale danno non patrimoniale[21].

Per concludere sul punto è possibile rilevare come, seppur nell’ottica di governo delle logiche di mercato, la normativa sulle pratiche commerciali sleali fonda in capo al consumatore un interesse giuridicamente rilevante a non subire pratiche scorrette.

La lesione di tale interesse si rivela sicuramente ingiusta e sussiste sia quando il consumatore è indotto dalla pratica scorretta a determinarsi commercialmente contro la propria volontà, sia quando è indotto a stipulare a condizioni diverse da quelle auspicate, sia, infine, quando è costretto a rinunciare al bene o servizio a causa della condotta sleale del professionista[22].

È pertanto il rimedio risarcitorio a costituire il più generale strumento di reazione individuale contro le pratiche scorrette, adattandosi più facilmente alle circostanze del caso concreto e proteggendo comunque la sfera giuridica del consumatore.

 

6. Metodi alternativi di soluzione delle controversie dei consumatori

Un rilievo conclusivo si impone: le controversie i cui protagonisti sono i consumatori vittime di pratiche commerciali scorrette difficilmente approdano nelle aule di giustizia, dato il valore tendenzialmente esiguo delle stesse.

Il rimborso del biglietto aereo ne è una dimostrazione: a fronte di prezzi di viaggio ormai vantaggiosi, risulta antieconomico intraprendere un lungo procedimento civile al fine di ottenerne quanto di giustizia.

Per risolvere le liti di consumo appare allora preferibile ricorrere a procedure alternative di risoluzione (Alternative Dispute Resolution – ADR), che presentano il vantaggio di offrire una soluzione veloce, semplice ed extragiudiziale alle controversie tra consumatori e professionisti.

Il provvedimento che introduce in Italia una nuova disciplina delle procedure ADR è il Decreto Legislativo 6 agosto 2015, n. 130 che ha recepito la direttiva 2013/11/UE[23].

In capo ai professionisti vi è l’obbligo di informare i consumatori su quali organismi ADR possono essere aditi per trattare eventuali controversie che possano sorgere dal rapporto contrattuale.

La scelta di adottare metodi di soluzione delle controversie alternativi a quello giudiziario ha trovato largo consenso soprattutto perché consente di sfuggire alle lungaggini del processo civile[24]. I metodi alternativi di risoluzione delle controversie, pertanto, consentono di portare a soluzione questioni che diversamente mai sarebbero giunte all’attenzione dell’autorità giudiziaria[25].

Con essi, in definitiva, si offre una diversificazione dell’offerta di giustizia per categorie di controversie e soggetti destinatari[26].

 

[1] Così, espressamente, articolo 7 parag. 3, richiamato dall’articolo 8 Reg. CE 261/2004.

[2] T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, 4.2.2013, n. 1177; T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, 16.6.2011, n. 5390.

[3] Così G. De Cristofaro, in Commentario breve al diritto dei consumatori, sub articolo 21, op. cit.

[4] Così, ad esempio, nel caso di omissione ingannevole, l’elemento variabile può consistere nell’omissione di informazioni, nell’occultamento di informazioni rilevanti o nell’messa dichiarazione dell’intento commerciale dell’attività.

[5] Così A. Mirone, Pubblicità e invalidità del contratto: la tutela individuale contro le pratiche commerciali sleali, op. cit., cit. p. 332. Nello stesso senso F. Longobucco, I rimedi civilistici individuali e le pratiche commerciali scorrette, in Il risarcimento del danno al consumatore, op. cit., L. Gilberti, Il danno da pratica commerciale scorretta, op. cit., C. Tenella Sillani, Pratiche commerciali sleali e tutela del consumatore, op. cit.

[6] C. Tenella Sillani, Pratiche commerciali sleali e tutela del consumatore, op. cit.

[7] Legge 10 ottobre 1990, n. 287, Norme per la tutela della concorrenza e del mercato, in G.U. del 13 ottobre 1990, n. 240.

[8] Sul punto C. Fratea, Il private enforcement del diritto della concorrenza dell’Unione europea, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2015, p. 13 ss., M. Libertini, Diritto della concorrenza dell’Unione Europea, Giuffrè, 2014, p. 489 ss. 

[9] Si può leggere chiaramente in Sentenza Cass., sez. I, 13 febbraio 2009, n. 3640, che «la decisione dell’Autorità Garante o dei giudici amministrativi, che definitivamente confermano o riformano tale decisione, riveste un ruolo significativo nell’accertamento dell’intesa, della pratica concordata o dell’abuso di posizione dominante, costituendo prova privilegiata della sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso».

[10]  Cfr. C. Tenella Sillani, Pratiche commerciali sleali e tutela del consumatore, op. cit.

[11] Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2009, n. 794, in Resp. Civ. e prev., 4/2009, p. 800 ss. con nota di G. Buffone, La dicitura “light” è ingannevole: risarcibili i danni al consumatore di sigarette.

[12] Così A. Ciatti, Gli strumenti di tutela individuali e collettivi, in Pratiche commerciali scorrette e codice del consumo. Il recepimento della direttiva 2005/29/CE nel diritto italiano (decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007), a cura di G. De Cristofaro, G. Giappichelli Editore, Torino, 2008, p. 424 ss., in cui l’A. afferma che «se non si vuole applicare in via analogica la presunzione di cui all’articolo 2600, co.3, cod. civile, è in ogni modo da ritenere che l’elemento psicologico finisca col coincidere nell’assoluta maggioranza dei casi con il carattere scorretto della pratica».

[13] Così A. Gentili, Pratiche sleali e tutele legali: dal modello economico alla disciplina giuridica, op. cit.

[14] Cfr. C. Tenella Sillani, Pratiche commerciali sleali e tutela del consumatore, op. cit..

[15] A. Gentili, Pratiche sleali e tutele legali: dal modello economico alla disciplina giuridica, op. cit.

[16] Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2009, n. 794

[17] Sentenza CG, 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage Ltd. C. Crehan, con nota di Palmieri e Pardolesi, Intesa illecita e risarcimento a favore di una parte: “chi è causa del suo mal…si lagni e chieda i danni”, in Foro Italiano, 2002, IV, p. 75 ss.

[18] Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2005, n. 2207, con commento di Palmieri e Pardolesi, L’antitrust per il benessere (e il risarcimento del danno) dei consumatori, in Foro Italiano, 2005, I, p. 1015 ss. La Suprema Corte individua tale diritto nel «godere dei benefici della competizione commerciale».

[19] F. Longobucco, I rimedi civilistici individuali e le pratiche commerciali scorrette, in Il risarcimento del danno al consumatore, op. cit., C. Tenella Sillani, Pratiche commerciali sleali e tutela del consumatore, op. cit., C. E. Cazzato, Il danno da pratiche commerciali scorrette, op. cit.

[20] Il riferimento è a Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2005, n. 2207.

[21] Così C. E. Cazzato, Il danno da pratiche commerciali scorrette, op. cit., cit. p. 483.

[22] Così G. Taddei Elmi, I rimedi: tutela amministrativa e giurisdizionale. L’autodisciplina (articolo 27 – 27 quater cod. consumo), in Contratto e responsabilità. Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli. Oltre il consumatore, a cura di G. Vettori, Cedam, 2013, cit. p. 263.

[23] Direttiva 2013/11/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE  (Direttiva sull’ADR per i consumatori)

[24] V. Denti, Quale futuro per la giustizia minore?, in La risoluzione stragiudiziale delle controversie e il ruolo dell’avvocatura, a cura di G. Alpa e R. Danovi, Giuffrè Editore, 2004.

[25] Cfr. R. De Meo, Tutela del consumatore e accesso alla giustizia: funzioni e prospettive dei metodi alternativi di soluzione delle controversie, op. cit., p. 47.

[26] A. Proto Pisani, Sulla tutela giurisdizionale differenziata, in Riv. dir. proc., 1979, p. 536.