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Rottamazione e saldo e stralcio. Da evitare per la Corte Costituzionale

Breve analisi politico-giuridica sul caso
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Rottamazione e saldo e stralcio. Da evitare per la Corte Costituzionale


“Dovranno essere evitati interventi di “rottamazione” o “stralcio” contrari al valore costituzionale del dovere tributario e tali da recare pregiudizio al sistema dei diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione”.

Questa è l’affermazione più delicata che si può leggere nella sentenza n. 66 emessa dalla Corte Costituzionale (Pres. Amato), depositata lo scorso 11 marzo 2022 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale nella 1a Serie Speciale al n. 11 del 16 marzo 2022 [1].

Apparentemente si tratta di una decisione di mero perimetro giuridico e che, in effetti, richiama quegli aspetti valoriali della nostra Carta fondamentale in vigore del 1948.

Il caso trattato dalla Corte Cost., tuttavia, pur essendo quasi interamente legato ad altro problema della riscossione pubblica (le famose proroghe di concessione per gli Enti locali) pone in chiusura del corpo motivazionale un vero e proprio monito: al Governo o al Parlamento questo è indifferente perché il punto cardine è che la normazione, secondo il ragionamento operato dai massimi giudici, non può legittimare (cercando una interpretazione politico-giuridico-economica) “benefici per gli irregolari delle imposte”.

È su questo solco che si crea un problema politico: il 15 marzo scorso Italia Oggi [2] diede la notizia della riapertura termini delle c.d. rottamazioni e saldo e stralcio spiegandosi nell’articolo anche che “Nel caso della rimessione in termini si tratta di una strada già percorsa con il decreto Ristori (dl 137/20, convertito in legge 176/20) riaprendo i termini per adempiere a chi ha piani di dilazione in seguito all’adesione di rottamazione ter e saldo e stralcio. La finestra si era chiusa al 31 dicembre 2021, con la contrarietà da parte del ministero dell'economia di riaprire un qualunque corridoio di adempimento”.

C’è quindi un contrasto evidente: da una parte la Corte Costituzionale che pone l’attenzione sul piano dei valori e diritti costituzionali appunto; dall’altra parte il Ministero dell’economia che richiama il Governo sugli interessi dell’erario.

Ma è qui che il bilanciamento delle cose non può che finire sul fronte dell’opportunità della scelta politica su cui non solo il Governo Draghi, ma anche quelli di Conte e Renzi furono, in un certo senso, costretti a sbilanciarsi per almeno due ragioni:

  • la necessità di incamerare soldi nelle casse erariali;
  • garantire la tenuta sociale tenuto conto delle enormi sofferenze delle partite iva specie medio-piccole.

Tuttavia la Corte Costituzionale, con dovere del caso, ha perimetrato ed evidenziato (seppure in via implicita) che queste attività decisionali non fanno altro che mortificare i pagatori regolari rispetto agli irregolari; nell’opinione pubblica prevalente quest’ultimi sono etichettati e definiti come evasori.

Ma è qui il discrimine da farsi: un conto sono gli evasori, un conto sono i morosi.

E la questione investe non una scelta normativa in quanto tale, ma una scelta socio-politica; ciò dalla sentenza in questione non può che fiorire nuovamente nel dibattito pubblico: il ché diventa un processo da chiarirsi sul piano culturale del Paese ed a cui solo la politica può dare avvio e risposta.

In pratica occorre differenziare i trattamenti punitivi, in primis, e di recupero del contribuente dall’altra parte.

Il motivo non è che intuibile proprio dalle parole della Corte Costituzionale e cioè se bisogna evitare rottamazione e saldo e stralcio poiché ritenuti contrari ad alcuni valori costituzionali, allora, queste misure occorrerebbe differenziarle, anche qui, su almeno due piani: per gli evasori (i sottrattori d’imposta) un trattamento che si lega al principio di riabilitazione sociale (il ché necessiterebbe di una riforma organica alla luce delle nuove dinamiche sociali essendo il D.lgs. 74/2000 ormai vecchio di oltre vent’anni), mentre per i semplici morosi (cioè chi ha dichiarato od accettato le rettifiche dell’erario e non riesce a pagare) un trattamento che si lega ai principi di rientro agevolato non perché questi siano più fortunati dei pagatori regolari, ma perché il loro recupero (anche sul piano della serenità mentale) è un piccolo e modesto bilanciamento delle storture di mercato o delle inefficienze dello Stato nel suo complesso ed in termini di prossimità alla piccola e medio impresa.

Intorno a questo processo culturale di trattamento differenziato non solo potrebbe rispettarsi l’indicazione della Corte Costituzionale di cui alla sentenza 66/2022, ma si potrebbe rispettare il primo articolo della nostra Costituzione stessa: Repubblica, fondata sul lavoro.

Se le piccole e medie imprese chiudono a catena che succede?

Significa più debito pubblico, meno capacità contributiva diffusa, più evasione.

Scollamento sociale e fallimenti.

E occhio che anche questi costano allo Stato e in maniera molto più salata delle rottamazioni.

Da qui a rischio la tenuta del Paese.

 

[1] https://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do

[2] https://www.italiaoggi.it/news/riapre-la-rottamazione-ter-2555414