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S.C.I.A. (o C.I.L.A.) illegittima e tutela del terzo pregiudicato. Gli effetti del silenzio del comune nel rapporto tripolare

S.C.I.A. edilizia
S.C.I.A. edilizia

S.C.I.A. (o C.I.L.A.) illegittima e tutela del terzo pregiudicato. Gli effetti del silenzio del comune nel rapporto tripolare

Nota a margine della sentenza del Consiglio di Stato, sez. II, dell'11 ottobre 2023, n. 8861

 

Abstract [It]:

Il presente contributo, a margine di una recente sentenza del Consiglio di Stato, di notevole interesse, riprende il dibattuto tema degli effetti della S.C.I.A. (ma anche della C.I.L.A. che ne condivide "l'intima natura giuridica") e dei rimedi spettanti al terzo pregiudicato nel rapporto tripolare con il segnalante e la Pubblica Amministrazione.

Il contributo propone, nei rilievi conclusivi, quale possibile soluzione al danno da ritardata conoscenza, l'obbligo di pubblicazione, mediante affissione, all'albo pretorio on line del Comune, della S.C.I.A. o C.I.L.A. nel rispetto del principio della "minimizzazione dei dati" a garanzia della privacy dei soggetti interessati.

 

Abstract [En]:

On the sidelines of a recent ruling of the Council of State, of considerable interest, this contribution takes up the debated topic of the effects of the S.C.I.A. (but also of the C.I.L.A. which shares its "intimate legal nature") and of the remedies available to the offended third party in the tripolar relationship with the reporting party and the Public Administration. The contribution proposes, in the final findings, as a possible solution to the damage caused by delayed knowledge, the obligation to publish by posting on the Municipality's online noticeboard, the S.C.I.A. or C.I.L.A. in compliance with the principle of  "data minimization" to guarantee the privacy of the stakeholders.

 

Sommario: 1. La vicenda. 2. La decisione del Consiglio di Stato. 3. Il complesso quadro normativo e le questioni relative al tempo dell’azione esperibile dal terzo controinteressato e al tipo di potere che lo stesso può “sollecitare” in presenza di una S.C.I.A. illegittima.  4.  La tutela spettante al terzo pregiudicato da una C.I.L.A., che «condivide l’intima natura giuridica» della S.C.I.A. 5. Considerazioni finali: la possibile soluzione dell'obbligo di pubblicazione della S.C.I.A. o C.I.L.A. nel rispetto del principio della "minimizzazione dei dati" a garanzia della privacy dei soggetti interessati

 

1. La vicenda

Nella sentenza che si annota, di notevole interesse[1] per le conseguenze derivanti per l'amministrazione comunale in caso di silenzio sulla diffida del terzo controinteressato ad annullare gli effetti della S.C.I.A. presentata dai proprietari limitrofi, la vicenda viene così ricostruita.

 L’appellante espone di essere proprietaria di un immobile, confinante con la proprietà degli appellati, composto da un corpo di fabbrica principale costituito da quattro piani e da un capannone retrostante a destinazione artigianale.

Precisa, inoltre, che, in relazione a tale immobile, sono state rilasciate in epoca risalente (anni 1966 e 1975) due licenze edilizie per la realizzazione di una sopraelevazione al primo piano e di una ulteriore sopraelevazione ai piani secondo e terzo.

Per il capannone a destinazione artigianale è stato invece rilasciato, nell'anno 2012, un permesso di costruire in sanatoria.

Nell'anno 2013, i proprietari hanno presentato denunce di inizio attività per frazionamento e diversa distribuzione degli spazi interni del locale artigianale, il quale, contrariamente a quanto evidenziato nella relazione tecnica, è risultato modificato e ampliato nella superficie, nel volume, nella sagoma e nei prospetti.

Ciononostante, gli stessi, nell'anno 2015, hanno presentato una nuova denuncia di inizio attività per la realizzazione di un intervento di sostituzione della copertura in lamiere con solaio in latero cemento, ma l’intervento previsto, erroneamente qualificato come “manutenzione straordinaria”, ha comportato la sostituzione totale delle strutture portanti, con modifica di sagoma e altezze e traslazione di volume.

Nell'anno 2017, i proprietari hanno anche presentato una S.C.I.A. per la realizzazione di terrazzi di pertinenza.

L'intervento in questione, tuttavia, anche in tal caso, è stato erroneamente qualificato come “manutenzione straordinaria”.

Tanto premesso, l'appellante ha rappresentato che, nell'anno 2018, il Comune ha avviato il procedimento di annullamento d’ufficio della S.C.I.A., avendo riscontrato: difformità tra il rilievo fotografico e la rappresentazione grafica dello stato di fatto; mancata indicazione della distanza dai fabbricati confinanti; mancato rispetto dell’art. 38 del Regolamento Edilizio Comunale.

In seguito, la civica amministrazione ha emesso un'ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, che, però, con sentenza n. 831 del 14 febbraio 2019 del T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, è stata annullata per carenza di adeguata motivazione[2].

L’appellante ha ancora rappresentato di aver notificato al Comune un “atto di significazione, diffida e messa in mora”, invitando l’ente ad adottare i necessari provvedimenti sanzionatori, con dichiarazione di inefficacia delle denunce di inizio attività e della S.C.I.A. presentate dai proprietari, essendo dimostrata sia l’inesistenza dell’autorizzazione e del deposito sismico sia l’esistenza di abusi e difformità tra quanto denunciato e segnalato e quanto in concreto realizzato.

Senonché, essendo tale diffida rimasta senza effetto, la controinteressata ha proposto ricorso al T.A.R. Campania Napoli, in seguito deciso con la sentenza appellata.

 In sintesi, con tale sentenza, il T.A.R. ha respinto il ricorso in quanto:

- il Comune aveva avviato il procedimento teso all’annullamento d’ufficio degli effetti della S.C.I.A. presentata e successivamente aveva adottato l’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi;

- il provvedimento sanzionatorio era stato annullato dal T.A.R. con la sentenza n. 831/2019;

- all’atto della presentazione della diffida non sussisteva, pertanto, alcun obbligo di provvedere a carico del Comune;

- peraltro, l'obbligo di provvedere non sussisteva anche per essere l'istanza del  privato volta a sollecitare l’esercizio  dei  poteri  di  riesame di una situazione divenuta ormai inoppugnabile;

- infine, all’esito del sopralluogo effettuato in data 16 settembre 2021 da parte della Polizia Municipale, erano emerse solo lievi difformità strutturali;

- la nuova istanza avanzata nel 2022 era, dunque, inammissibile, in quanto sostanzialmente finalizzata a rimettere in discussione una situazione già scrutinata dall’Autorità Giudiziaria.

Proposto appello, la controinteressata ha lamentato l’erroneità della decisione, deducendo, in primo luogo, che la sentenza n. 831/2019, richiamata dal T.A.R., aveva annullato l’ordinanza di demolizione (che, per giunta, aveva ad oggetto esclusivamente le opere di cui alla S.C.I.A.) per carenza di adeguata motivazione, senza entrare nel merito degli abusi edilizi analiticamente individuati nel proprio atto di diffida.

Ha, altresì, evidenziato che l’art. 19, comma 4, della legge n. 241/90 consente di esercitare i poteri anche una volta decorso il termine di sessanta giorni (30 in materia edilizia), in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-novies, ovvero secondo le regole generali che governano l’annullamento d’ufficio di atti illegittimi, ricordando, inoltre, che il comma 6-ter, a sua volta, riconosce al terzo la possibilità di compulsare tali controlli, che non si diversificano per tempistica, contenuti e finalità da quelli attivati ex officio.

Nel caso di cui all’art. 19, comma 4, della legge n. 241/90 - ha aggiunto - l'amministrazione ha l’obbligo di rispondere, risultando la discrezionalità relegata alla verifica in concreto della sussistenza o meno dei presupposti di cui all’articolo 21-novies.

D'altronde, il comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241/90 riconosce ai terzi «esclusivamente» la possibilità, in caso di inerzia, di esperire l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, del c.p.a.: il che sottintende, appunto, un obbligo di pronuncia, ancorché negativa.

Secondo l’appellante il T.A.R. avrebbe anche errato nell'omettere di considerare che l’atto di diffida era volto ad ottenere da parte del Comune le necessarie verifiche sulle attività contestate e sulle denunce di inizio attività e S.C.I.A. presentate sia al fine di accertarne formalmente la illegittimità, la falsità e la inefficacia, in vista del doveroso esercizio dei poteri di autotutela ex art. 21-novies della legge n. 241/90, sia al fine di accertare l’inesistenza dell’autorizzazione o del deposito sismico, sia al fine di accertare l’esistenza di abusi e difformità tra quanto denunciato e segnalato e quanto in concreto realizzato, con conseguente adozione dei dovuti provvedimenti repressivi.

Costituitosi in giudizio, il Comune ha eccepito che, con la sentenza del T.A.R. Campania n. 831/2019, era già stato riconosciuto il vizio di violazione dell’art. 21-novies della legge n. 241/90 e che, in ogni caso, sulla base di quanto affermato dall’Adunanza plenaria con sentenza del 17 ottobre 2017, n. 8,  “l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole[3].

Gli appellati si sono, invece, difesi rilevando che il T.A.R. si era già pronunciato in identica fattispecie con sentenza del 27 ottobre 2022, n. 66[4], sul giudizio promosso da un altro vicino, richiamando, ai fini del rigetto, proprio la precedente sentenza n. 831/2019 e concludendo, dunque, che, all’atto della presentazione della diffida, non sussisteva alcun obbligo di provvedere a carico del Comune.

In definitiva, l’appellante avrebbe tentato di provocare un intervento dell'amministrazione in autotutela con inammissibile superamento della regola della necessaria impugnazione dell'atto amministrativo nel termine di decadenza.

Per di più, nessuna prova supportava l’affermazione che gli interventi contestati non fossero legittimi e - d’altra parte - il Comune aveva valutato più volte la regolarità della attività edificatoria, prima all'atto della presentazione della predetta S.C.I.A. e successivamente in occasione di due nuovi sopralluoghi effettuati nel 2021 sempre a seguito di esposti.
 

2. La decisione del Consiglio di Stato

A diverse conclusioni è pervenuto il Consiglio di Stato, che ha accolto l'appello facendo leva sulle coordinate ermeneutiche delineate dalla precedente sentenza n. 2731 del 7 marzo 2023[5], in relazione alla tutela del terzo controinteressato e alla tipologia di poteri esercitabili dall'amministrazione nei procedimenti dichiarativi in materia edilizia.

Ha affermato, in particolare,  che  il  termine  entro  cui  i  controinteressati  possono produrre osservazioni sollecitando interventi dell'amministrazione - senza il quale si avrebbe un potere temporalmente illimitato e in bianco, in manifesto contrasto con il principio di "legalità-tipicità" - è correlato alle verifiche cui la stessa è chiamata ai sensi dell'art. 19  della legge n. 241/90, da esercitarsi, in materia edilizia, entro il termine di trenta giorni decorrente dalla data di presentazione della S.C.I.A., ovvero, per il combinato disposto dei commi 3, 4, 6-bis e 6-ter, nei successivi 12 mesi, da computare a far data dallo spirare del termine ordinario di controllo di trenta giorni (gli originari diciotto mesi sono stati ridotti agli attuali dodici dal d.l. n. 77/21, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108/21).

Ha evidenziato ancora che l'art. 19, comma 3, attribuisce all'amministrazione, nel ristretto lasso temporale previsto, un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi) e che la portata cogente della disposizione è stata di recente rinforzata, sanzionando di "inefficacia" i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti adottati dopo la scadenza del termine (art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241/90, introdotto dall'art. 12, comma 1, lett. a), del d.l. n. 76/20, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 120/20).

Il comma 4 dell'art. 19 cit. consente, peraltro, di esercitare tali poteri anche una volta decorso tale termine, ma solo in presenza delle  condizioni previste dall'art. 21-novies della legge n. 241/90, ovvero secondo le regole generali che governano l'annullamento d'ufficio di atti illegittimi, che impongono la verifica della sussistenza di un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, l'effettuazione di un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, l'osservanza del termine di dodici mesi dall'emanazione dell'atto[6].

 Il comma 6-bis, riferito alla materia edilizia, non contiene, inoltre, alcuna diversa declinazione dei poteri di controllo, salvo ridurre i termini per l'effettuazione di quelli ordinari a trenta giorni, secondo il modello così ricostruito.

Il comma 6-ter, a sua volta, riconosce al terzo la possibilità di compulsare tali controlli, che tuttavia non si diversificano per tempistica, contenuti e finalità da quelli attivati ex officio.

Il Consiglio di Stato ha, altresì, precisato che l'autotutela di cui al comma 4 dell'articolo 19 della legge n. 241/90 si diversifica per così dire sul piano ontologico dal modello generale declinato dall'art. 21-novies, cui pure rinvia, soprattutto perché non incide su un precedente provvedimento amministrativo, connotandosi, pertanto, per conseguire ad un procedimento di primo e non di secondo grado, tanto da indurre la dottrina a rivederne finanche la qualificazione.

Senonché, mentre di regola il potere di autotutela è ampiamente discrezionale nell'apprezzamento dell'interesse pubblico che può imporne l'esercizio e, pertanto, non coercibile, al punto che l'amministrazione non ha neanche l'obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l'esercizio, nel caso di cui all'art. 19, comma 4, della legge n. 241/90 l'amministrazione ha l'obbligo di rispondere, sicché la discrezionalità risulta relegata alla mera verifica in concreto della sussistenza o meno dei  presupposti di cui all'articolo 21-novies[7].

Infatti, secondo il Supremo Consesso, "depongono nel senso della doverosità (in  deroga al consolidato orientamento secondo cui l'istanza di autotutela non è coercibile) sia l'argomento letterale - segnatamente, la  differente formulazione  dell'art.  21-nonies  rispetto  all'art.  19, comma 4, della legge n. 241 del 1990, il quale ultimo, a differenza del primo, dispone che l'amministrazione "adotta comunque" (e non già semplicemente "può adottare") i  provvedimenti  repressivi  e  conformativi  (sempre  che  ricorrano  le  'condizioni' per l'autotutela)  -,  sia la lettura costituzionalmente orientata del disposto normativo" (Cons. Stato, Sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208)[8].

In altri termini, l'amministrazione è chiamata a motivare non soltanto la scelta di procedere all'annullamento, nell'accezione chiarita con riferimento ai procedimenti dichiarativi, ma anche quella opposta di non annullare, seppure in presenza di presupposti di illegittimità dell'atto, utilizzando in senso speculare i parametri individuati dal legislatore (la mancanza di interesse pubblico all'annullamento ovvero la tutela dell'affidamento del soggetto la cui posizione sia stata ampliata dall'atto che si andrebbe ad eliminare).

Il regime delle tutele accordate al terzo controinteressato - ha poi ricordato il Consiglio di Stato - è contenuto nel comma 6-ter dell'art. 19 della legge n. 241/90.

La norma, dopo avere stabilito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili e codificato, inoltre, la facoltà del terzo di "sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione", completa il quadro riconoscendogli esclusivamente la possibilità, in caso di inerzia, di esperire l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del c.p.a.: il che sottintende, appunto, un obbligo di pronuncia, ancorché negativa, pur senza indirizzarne i contenuti.

Dunque, il terzo vanta certamente un interesse pretensivo a che l'amministrazione attivi su suo impulso quegli stessi controlli cui essa è obbligata in via autonoma.

Del resto, il consolidarsi della situazione illegittima - o meglio accertata come tale ex post, d'ufficio o su impulso di parte, in via giudiziale o stragiudiziale - non fa venir meno "le responsabilità connesse all'adozione [recte, in caso di s.c.i.a., alla mancata effettuazione dei controlli nel termine ordinario di 30 o 60 giorni] e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo" (art. 21-novies, comma 1, ultimo periodo); ed è di tutta evidenza che, laddove l'illegittimità trasmodi in "abusivismo", la motivazione  della  scelta  del  mantenimento  dell'opera  dovrà essere ancora più incisiva, stante la possibilità per il terzo pregiudicato di agire per il risarcimento del danno derivatogli dall'inerzia colpevole dell'amministrazione,  nei  controlli  tempestivi e,  quindi, nell'annullamento d'ufficio, laddove possibile.

Pertanto, facendo applicazione di tali principi, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, nella specie, il Comune avesse l’obbligo di pronunciarsi sull’istanza della controinteressata, tanto più che quest’ultima non aveva evidenziato solo profili di illegittimità dell’attività costruttiva e di non veridicità di alcune dichiarazioni a base delle segnalazioni presentate, ma anche veri e propri interventi abusivi rispetto alle opere oggetto delle stesse.
 

3. Il complesso quadro normativo e le questioni relative al tempo dell’azione esperibile dal terzo controinteressato e al tipo di potere che lo stesso può “sollecitare” in presenza di una S.C.I.A. illegittima

L’art. 19 della legge n. 241/90 dispone che l’attività oggetto della segnalazione può essere   iniziata   dalla   data   della   sua   presentazione   all’amministrazione competente[9].

Il comma 3 prevede che l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per lo svolgimento dell’attività oggetto di S.C.I.A., «nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni».

Il comma 6-bis prevede, altresì, che «nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni».

Il comma 4 prevedeva che: «decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente».

L’art. 25, comma 1, lett. b-bis), del d.l. n. 133/14, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164/14, ha modificato quest’ultimo inciso, disponendo che «è fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, nei casi di cui al comma 4 del presente articolo».

Il richiamato comma 4, anch’esso modificato, prevede che, decorso il termine per l’esercizio dei poteri inibitori, «all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa  vigente».  

La successiva legge n. 124/15 ha, poi, nuovamente modificato il comma 4, disponendo che, decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti inibitori, «l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies».

Quest’ultima disposizione è stata anch’essa modificata dall’art. 6 della legge n. 124/15, il quale ha previsto che il provvedimento illegittimo «può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (…) e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».

Il comma 6-ter, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. c), del d.l. n. 138/11, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148/11, dispone che: «La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104».

Il richiamo anche al terzo comma dell’art. 31 implica che il giudice amministrativo «può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione».

La non chiarezza del vigente quadro normativo, più volte manipolato, ha posto le questioni - non risolte dal legislatore (cfr. Consiglio di Stato, comm. spec., parere 30 marzo 2016, n. 839) - relative al tempo dell’azione esperibile dal terzo e al tipo di potere che il terzo stesso può “sollecitare”[10].

In relazione al tempo, si è sostenuto che non è perfettamente adattabile lo schema dell’azione avverso il silenzio inadempimento a quello proposto dal terzo nell’ambito del procedimento S.C.I.A.

L’art. 31 c.p.a. prevede, infatti, che l’azione si propone entro il termine di un anno dalla conclusione del procedimento.

Ma in questo caso il ricorrente, essendo titolare dell’interesse legittimo pretensivo all’adozione di un provvedimento favorevole che ha attivato con la sua istanza, è a conoscenza del momento in cui il procedimento si deve concludere e, conseguentemente, di quando inizia a decorrere il termine di un anno.

Nel caso della S.C.I.A., invece, il terzo è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’adozione di atti sfavorevoli per il destinatario dell’azione amministrativa.

Non è, pertanto, a conoscenza “diretta” della evoluzione del procedimento.

Ne consegue che il termine decorre da quando il terzo ha avuto piena conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera giuridica.

In relazione alla natura del potere, un primo orientamento ha ritenuto che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare all’amministrazione di esercitare i poteri inibitori, anche nel caso in cui sia trascorso il termine di trenta (o sessanta) giorni previsto dall’art. 19[11].

Un secondo orientamento, che la giurisprudenza del Consiglio di Stato, richiamata nella sentenza in commento[12], ha ritenuto preferibile, assume, invece, che il terzo possa chiedere la condanna dell’amministrazione all’esercizio di poteri che devono avere i requisiti che giustificano l’autotutela amministrativa.

Quest’ultima, come già evidenziato nella predetta sentenza, si connota in modo peculiare perché: i) essa non incide su un precedente provvedimento amministrativo e dunque si caratterizza - come già detto - per essere un atto di “primo grado” che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di “secondo grado”; ii) l’amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo, ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere.

Tale seconda opzione interpretativa è più convincente, in quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di liberalizzazione sottese alla S.C.I.A. con quelle di tutela del terzo.

Se quest’ultimo potesse sollecitare i poteri inibitori senza limiti temporali e di valutazione dell’incidenza sulle posizioni del privato che è ricorso a questo modulo di azione verrebbero frustrate le ragioni della liberalizzazione, in quanto l’interessato, anche molto tempo dopo lo spirare dei trenta (o sessanta) giorni previsti dalla legge per l’esercizio dei poteri in esame, potrebbe essere destinatario di atti amministrativi inibitori dell’intervento posto in essere.

La qualificazione dell'agire amministrativo come potere di autotutela costituisce invece, da un lato, maggiore garanzia per il privato che ha presentato la S.C.I.A., in quanto l’amministrazione deve tener conto dei presupposti che legittimano l’esercizio dei poteri di autotutela (e, in particolare, dell’affidamento ingenerato nel destinatario dell’azione amministrativa) e, dall’altro, non vanifica le esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le proprie pretese.

Va ricordato, sul punto, che il tema della fissazione di un termine entro cui il terzo interessato può attivare i poteri di verifica dell’amministrazione è stato affrontato anche dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 45 del 2019 e n. 153 del 2020[13].

La Corte ha affermato, in buona sostanza, che il comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241/90, chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuisce al terzo controinteressato la facoltà di «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3» dell’allegato 1 (c.p.a.) al decreto legislativo n. 104/10 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).

Orbene, nulla dice la disposizione circa il termine entro cui va fatta la sollecitazione e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica.

Tale carenza non sembrerebbe colmabile in via interpretativa e ciò esporrebbe la norma a dubbi di legittimità costituzionale.

Certamente non è infondata la tesi secondo cui la previsione di un termine costituisca, nel contesto normativo in questione, un requisito essenziale dei poteri di verifica sulla S.C.I.A. a tutela dell’affidamento del segnalante.

La Corte ha, dunque, precisato che il comma 3 dell’art. 19 attribuisce all'amministrazione un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della S.C.I.A., dando la preferenza a quelli conformativi, «qualora sia possibile»; mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili «in presenza delle condizioni» previste dall’art. 21-novies della stessa legge n. 241/90.

Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi (oggi dodici mesi, come si è visto).

Il comma 6-bis dell’art. 19 applica questa disciplina anche alla S.C.I.A. edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a trenta giorni e prevedendo, inoltre, che, «restano […] ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali».

Ebbene, è a questi poteri che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6-ter.

A tale conclusione - secondo la Corte - si perviene anzitutto sulla base del dato testuale: la locuzione «verifiche spettanti all’amministrazione» lascia chiaramente intendere che la norma rinvia a poteri già previsti.

Questa piana lettura testuale trova conferma, da una parte, nella genesi della disposizione e, dall’altra, nella evoluzione del quadro normativo di riferimento.

Quanto al primo profilo, il comma 6-ter è stato introdotto in aperta dialettica con la nota sentenza n. 15 del 2011 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato[14], con la finalità di escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili e, quindi, di limitare le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento.

In altre parole, il riferimento alle «verifiche spettanti all’amministrazione» non è finalizzato ad introdurre nuovi poteri, ma è funzionale alla sollecitazione da parte del terzo.

Quanto al secondo profilo, la diversa opzione ermeneutica darebbe luogo ad una evidente incongruenza del sistema, per come si è evoluto a seguito della introduzione  ad opera della legge n. 124/15  del termine di esercizio dell’autotutela nell’art. 21-novies della legge n. 241/90, termine reso applicabile anche ai poteri di controllo sulla S.C.I.A. dall’art. 19, comma 4, della stessa legge: si avrebbe qui, infatti, un potere sempre vincolato, e quindi più incisivo, e purtuttavia temporalmente illimitato.

Più in generale, il riconoscimento di un potere “in bianco” nel comma 6-ter sarebbe in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità che caratterizza, qualifica e limita tutti i poteri amministrativi, principio che, com’è noto, ha fondamento costituzionale (artt. 23, 97, 103 e 113 Cost.) e va letto non solo in senso formale, come necessità di una previsione espressa del potere, ma anche in senso sostanziale, come determinazione del suo ambito, e cioè dei fini, del contenuto e delle modalità del suo esercizio (Corte costituzionale, sentenze n. 115 del 2011, n. 32 del 2009, n. 307 del 2003 e n. 150 del 1982).

Non meno evidente, infine, è l’incompatibilità della lettura proposta con l’istituto della S.C.I.A., per come conformato dalla sua storia normativa e giurisprudenziale.

Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una - sia pur importante - parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi.

Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere.

Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono, pertanto, quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della S.C.I.A. (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto (oggi dodici) mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies).

Resta inteso che l'amministrazione è tenuta, in tutti i casi, a sorreggere, con adeguata motivazione, le proprie decisioni.

La motivazione - anzi - deve essere una "motivazione rafforzata".

Ciò vale soprattutto nel caso in cui, decorso il termine di trenta giorni di cui all'art. 19, comma 3, della legge n. 241/90, il privato può soltanto sollecitare l’esercizio dei poteri di autotutela.

 Si è sostenuto, di conseguenza, che, in tale ipotesi, assume una notevole rilevanza l’intensità della motivazione posta dall’amministrazione alla base del diniego di esercizio dei poteri di cui all’articolo 19, commi 3 e 4, legge n. 241/90 [15].

  1. le fila del ragionamento, può, in conclusione, affermarsi che, come ben chiarito anche dal T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, con sentenza del 22 novembre 2023, n. 6432, una volta decorsi i termini brevi di 30 (o 60 giorni in materie diverse da quella edilizia) dalla proposizione della S.C.I.A., l'amministrazione competente, ai sensi del comma 4 dell'art. 19 della legge n. 241/90, può (e non deve) comunque adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dal precedente comma 3, ma previa valutazione dell'esistenza delle condizioni previste per l'esercizio del cd. potere di autotutela di cui all'art. 21-nonies della stessa legge n. 241/90 (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II quater, 25 gennaio 2021, n. 911).
  2. conseguentemente ritenersi “illegittimo il provvedimento di annullamento d'ufficio di un permesso di costruire emanato dopo il decorso di un lungo lasso temporale e privo, da un lato, di adeguate motivazioni circa le ragioni di interesse pubblico attuali sotteseall'esercizio del potere di autotutela e, dall'altro, della necessaria presa in considerazione dell'affidamento maturato dal proprietario dell'area” (così T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 8 luglio 2020, n. 2922; negli stessi sensi, cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 20 settembre 2021, n. 6405, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 13 luglio 2021, n. 4850, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 29 giugno 2020, n. 1235, T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 28 gennaio 2019, n. 199, e Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341).
  3. termine entro il quale va esercitato il potere di autotutela, cui deve conformarsi l’esercizio del potere ex art. 19, comma 4, della legge 241/90 (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 16 ottobre 2023, n. 5658), è certamente di natura perentoria e decorre dalla presentazione della S.C.I.A. (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5018, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 29 giugno 2020, n. 1235; id., 18 febbraio 2016, n. 355), a tutela dell’affidamento e della certezza degli effetti giuridici di cui alla legge n. 241/90.
  4. eccezione alla perentorietà è prevista dal comma 2-bis dell’art. 21-nonies che ricorre “quando un titolo abilitativo è stato ottenuto dall'interessato in base a una falsa o erronea rappresentazione della realtà”, consentendo in tal caso all’amministrazione “di esercitare il proprio potere di autotutela, ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 giugno 2023, n. 6387), ma a condizione che “l'acclarata erroneità dei predetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all'Amministrazione e imputabile, di contro, esclusivamente al dolo (equiparabile alla colpa grave e corrispondente alla mala fede oggettiva) della parte” (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 23 aprile 2021, n. 1037; T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 6 ottobre 2022, n. 12680).
     

4. La tutela spettante al terzo pregiudicato da una C.I.L.A., che «condivide l’intima natura giuridica» della S.C.I.A.

Prima della sentenza in commento lo stesso Consiglio di Stato, Sez. II, occupandosi degli effetti della C.I.L.A. in relazione all'interesse antagonista del terzo, ha tenuto a sottolineare che tale strumento di semplificazione, introdotto con il d.lgs. n. 222/16, è divenuto il titolo general-residuale, necessario per tutti gli interventi edilizi per i quali le norme del testo unico non impongono la S.C.I.A. o il permesso di costruire o che non rientrano ai sensi dell’art. 6 nell’attività di edilizia libera.

Con tale scelta, in effetti, è radicalmente mutata l’opzione normativa di cui al previgente comma 4 del citato art. 6 che, al contrario, lasciava aperta la categoria dei lavori eseguibili mediante S.C.I.A. e tipizzava in maniera specifica gli interventi sottoposti a C.I.L.A.

A ciò è conseguito che sono ricondotte alla C.I.L.A. opere quantitativamente rilevanti, quali - come è dato evincere da una lettura a contrario dell’art. 22 - gli interventi di manutenzione straordinaria leggera, appunto, ovvero quelli che, pur comportando cambi di destinazione d’uso urbanisticamente non rilevanti, non riguardano parti strutturali dell’edificio e non incidono sui prospetti.

Trattasi, tuttavia, di uno strumento dichiarativo che non trova un corrispondente nella legge generale sull’azione amministrativa (ma solo in altre normative di settore, come quella sulle attività commerciali) e che si traduce in una ancor più intensa responsabilizzazione del privato, chiamato ad assumersi in prima persona il rischio di avviare un’attività in contrasto con le complesse e talvolta contorte normative di settore, per di più solo in parte confortato dall’asseverazione del tecnico abilitato (che peraltro, secondo il tenore letterale della norma, non deve fare riferimento agli strumenti urbanistici adottati né a tutte le normative di cui il comma 1 dell’art. 6 bis impone, comunque, specificamente il rispetto).

Diversamente da quanto disposto per la S.C.I.A., sulla conformità tecnico-giuridica della C.I.L.A. - ha affermato il Consiglio di Stato - “non è previsto un obbligo di controllo ordinario postumo entro un termine perentorio ravvicinato e, di conseguenza, un indice del legittimo avvio dell’attività oggetto della comunicazione, limitandosi la norma a introdurre una sanzione pecuniaria “secca”, pari a mille euro, ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione, per il caso di omessa presentazione della stessa, senza in alcun modo disciplinare l’ipotesi in cui la stessa si profili contra legem[16].

In mancanza di apposite disposizioni, l’indebito utilizzo dello strumento de quo è stato in passato ricondotto alle ipotesi di attività edilizia radicalmente sine titulo, senza passare per il tramite della declaratoria di inefficacia, legittimando l’applicazione delle corrispondenti sanzioni.

In particolare, la Commissione speciale chiamata ad esprimersi sul testo provvisorio del d.lgs. n. 222/16 (parere n. 1784/2016) ha precisato, in proposito, che «In tali casi l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori dell’abuso, come peraltro implicitamente previsto dalla stessa disposizione, laddove fa salve “le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia […]”».

La differenza di regime tra la previsione di un potere meramente sanzionatorio (in caso di C.I.L.A.) e quella di un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di controllo postumo in ‘autotutela’ rispetto alla S.C.I.A. si spiegherebbe, secondo il parere, «alla stregua dei principi di proporzionalità e di adeguatezza, tenuto conto che nella materia edilizia il legislatore ha costruito un sistema speciale, in cui il controllo dei poteri pubblici è meno invasivo qualora le attività private non determinino un significativo impatto sul territorio, secondo un modello che potrebbe essere chiamato di ‘semplificazione progressiva”», il quale implica che «l’attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere ‘soltanto’ conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio».

Senonché - afferma il Consiglio di Stato - proprio la mancata previsione di sistematicità dei controlli rischia di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della C.I.L.A., considerata anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione, avrebbe in sostanza l’unico effetto di attirare l’attenzione dell’amministrazione sull’intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l’attività totalmente abusiva, che l’ordinamento correttamente esclude quando l’amministrazione abbia omesso di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità sulla S.C.I.A. o sull’istanza di permesso.

Per tale ragione - conclude - “è da preferire la ricostruzione operata da questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 23 aprile 2021, n. 3275, che ha inteso mutuare in subiecta materia i principi via via consolidatisi con riferimento alla separazione tra autotutela decisoria e esecutiva in materia di s.c.i.a. o d.i.a., in particolare dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 45 del 2019. Di esse, infatti, la CILA «condivide l’intima natura giuridica», sicché trovano applicazione i limiti di tempo e di motivazione declinati nell’art. 19, commi 3, 4, 6 bis e 6 ter della l. n. 241 del 1990, in combinato disposto con il richiamo alle «condizioni» di cui all’art. 21 novies della medesima normativa”.
 

5. Considerazioni finali: la possibile soluzione dell'obbligo di pubblicazione della S.C.I.A. o C.I.L.A.  nel rispetto del principio della "minimizzazione dei dati" a garanzia della privacy dei soggetti interessati

Il quadro normativo, per come interpretato dal Consiglio di Stato e dalla Corte Costituzionale, consente, in definitiva, di ritenere che, decorsi i termini di legge, la situazione soggettiva di chi ha presentato la S.C.I.A. o C.I.L.A. si consolidi nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo.

Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, il quale, tuttavia, una volta venuta meno la possibilità di dialogo, entro i limiti temporali prefissati, con il corrispondente potere, si estingue per le ragioni sopra illustrate.

Tale conclusione, invero, non può essere messa in discussione dalla preoccupazione che possa derivare un vulnus alla situazione giuridica soggettiva del terzo.

Il problema del terzo, come ricordato dalla Corte costituzionale, seppure esistente, va affrontato in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati dall'ordinamento.

In particolare, nella prospettiva dell’interesse legittimo, il terzo potrà pur sempre attivare, oltre agli strumenti di tutela di cui si è detto, i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 241/90 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»); potrà, inoltre, sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241/90, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. n. 380/01 ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis.

Avrà, inoltre, la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti dell'amministrazione in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l’art. 21, comma 2-ter, della legge n. 241/90 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non risulti conforme alle norme vigenti).

In presenza di siffatte disposizioni, il vero problema, peraltro da tutti riconosciuto, è quello della ritardata conoscenza della S.C.I.A. o C.I.L.A. da parte del terzo che assume di essere danneggiato dai lavori intrapresi.

Si è chiarito, infatti, che, una volta decorso il termine di un anno, decorrente dalla scadenza del trentesimo giorno a far data dalla presentazione della segnalazione al Comune, il terzo rimane privo di tutela, dovendosi, in tal caso, garantire l'affidamento del segnalante, consolidatosi ulteriormente per effetto del mancato esercizio dei poteri di autotutela da parte dell'amministrazione comunale.

Tutto questo, però, non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo controinteressato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.

Quanto alla esigenza di pronta informazione, una soluzione sul piano normativo potrebbe essere rappresentata dall'obbligo di prevedere la pubblicazione, all'albo pretorio on line del Comune, anche della S.C.I.A. o C.I.L.A., così come avviene oggi per il permesso di costruire, secondo quanto stabilito dall'art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380/01.

Orbene, è pur vero che le informazioni e i dati, anche di carattere personale, da presentare all’ente competente e contenuti in una S.C.I.A. o in una C.I.L.A. sono molteplici e di diverso genere e natura.

Il riferimento è, ad esempio, a nominativi, data e luogo di nascita, codici fiscali, residenza, e-mail, p.e.c., numeri di telefono fisso e cellulare riferiti al titolare dell’intervento in qualità di proprietario, comproprietario, usufruttuario, amministratore di condominio o dei loro rappresentanti; a informazioni sulla tipologia dell’intervento; alla data di inizio e fine dello stesso; all’ubicazione, ai dati catastali e alla destinazione d’uso dell’immobile oggetto dei lavori; al carattere oneroso o gratuito dell’intervento, con allegata eventuale ricevuta dei versamenti effettuati; alla “entità presunta del cantiere”; ai dati dei tecnici incaricati (direttori dei lavori e altri tecnici) e dell’impresa esecutrice dei lavori (riportati nell’allegato “soggetti coinvolti”); nonché, fra l’altro, al prospetto di calcolo preventivo del contributo di costruzione e agli elaborati grafici dello stato di fatto e del progetto.

È altrettanto vero, però, che non esiste “de iure condito” un obbligo di pubblicazione da parte del Comune delle S.C.I.A. o C.I.L.A. presentate, né in forma integrale né in forma riassuntiva; per i dati personali ivi contenuti il legislatore non ha, infatti, previsto alcun regime di pubblicità.

In questi casi, peraltro, come chiarito dal Garante della Privacy sia nel parere del 3 gennaio 2019 che in quello successivo del 22 settembre 2023 in materia di accesso civico, non vale invocare il regime di pubblicità di cui al richiamato art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380/01, né può ritenersi di ausilio la giurisprudenza che fa riferimento a tale disposizione normativa (come T.A.R. Puglia, Sez. I, 15 marzo 2022, n. 382) o a diversi titoli abilitativi edilizi (come T.A.R. Toscana Firenze, Sez. III, 12 giugno 2021, n. 896, in ordine al procedimento volto a ottenere l'accertamento della conformità in sanatoria di un intervento di ampliamento di un immobile).

Ciò in quanto la disposizione contenuta nell’art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380 cit. è una norma di settore attinente al solo «procedimento per il rilascio del permesso di costruire», che rappresenta un titolo edilizio diverso dalla S.C.I.A. o dalla C.I.L.A.

La predetta disposizione, inoltre, non prevede neanche la pubblicazione del provvedimento all’albo pretorio nella sua integrità, ma della mera «notizia» dell’«avvenuto rilascio del permesso di costruire» (i cui estremi sono peraltro «indicati nel cartello esposto presso il cantiere, secondo le modalità stabilite dal regolamento edilizio»).

In conclusione, l’introduzione nel sistema dell'obbligo di pubblicazione non si porrebbe in contrasto con la normativa in materia di protezione dei dati personali, sebbene limitato alla possibilità, per il Comune, di fornire al soggetto istante soltanto i dati più significativi relativi alla S.C.I.A. o C.I.L.A., quali l’indicazione della tipologia del titolo edilizio, la descrizione sintetica dell’intervento e l’indicazione della zona oggetto dello stesso.

Tali dati, forniti nel rispetto del principio della "minimizzazione" a garanzia della privacy dei soggetti interessati, finirebbero certamente per consentire al terzo pregiudicato di attivarsi quanto prima possibile al fine di chiedere all’amministrazione l’esercizio dei poteri inibitori e, una volta scaduto il primo termine di trenta giorni, di sollecitare l’annullamento in autotutela prima della scadenza del secondo termine di dodici mesi previsto dall’art. 21-novies della legge n. 241/90.

È evidente che, in tale ipotesi, la ritardata conoscenza, a fronte di una pubblicazione effettuata seppure con i dovuti temperamenti, renderebbe meno doloroso e più in linea con l’equo contemperamento dei contrapposti interessi il consolidamento della posizione soggettiva del privato.

La riforma del Testo Unico dell'Edilizia, al cui testo sta lavorando il Ministero delle Infrastrutture, potrebbe rappresentare l'occasione per la soluzione del problema.

 

 

[1] A pagina 10 della sentenza il Consiglio di Stato rileva: “La particolare complessità della fattispecie e la novità degli orientamenti giurisprudenziali a base della decisone integrano le eccezionali ragioni per disporre la compensazione delle spese del doppio grado”. La sentenza è acquisibile al collegamento ipertestuale: https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/dcsnprr .

[2] La sentenza del T.A.R. n. 831/2019 è acquisibile al collegamento ipertestuale: https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/dcsnprr .

[3] Si veda, sul punto, la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, n. 338 del 14 gennaio 2020, pubblicata su LexAmbiente https://lexambiente.it/index.php/materie/urbanistica/consiglio-di-stato64/urbanistica-annullamento-d-ufficio-di-un-titolo-edilizio-in-sanatoria

[4] La sentenza del T.A.R. n. 66/2022 è acquisibile al collegamento ipertestuale: https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/dcsnprr.

[5] La sentenza del Consiglio di Stato è acquisibile al seguente link: https://www.segretaricomunalivighenzi.it/archivio/anno-2023/marzo/cons-di-stato-sez-ii-sent-del-7-marzo-2023-n-2371.docx/at_download/fil

[6] V., al riguardo, il contributo di Mario Mollo, dal titolo: “Contrasto all'abusivismo edilizio: tra obbligo di motivazione e legittimo affidamento” pubblicato sul sito https://www.ingenio-web.it/articoli/il-contrasto-all-abusivismo-edilizio-tra-obbligo-di-motivazione-e-legittimo-affidamento/

[7] V. “Tratti peculiari dell’autotutela in materia edilizia: tra obbligo di attivazione ed obbligo di pronuncia”. Nota alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez II, 7 marzo 2023, n. 2371” - Pres. F.F. Simeoli Est. Manzione -Atto amministrativo – Autotutela – Segnalazione certificata di inizio attività - Obbligo di attivazione e obbligo di pronuncia - Istanza del terzo controinteressato ad un procedimento dichiarativo in materia edilizia - Violazioni urbanistiche - Motivazione; consultabile al seguente link: https://www.gazzettaamministrativa.it/servizicu/bancadatigari/viewnews/105e822401e5551873cc80584f19c649

[8] V., in proposito, il contributo dell’avvocato Francesca Idone, pubblicato su Altalex in data 3 agosto 2021, dal titolo: “Controllo tardivo su Scia sollecitato dal terzo: la Pa deve rispondere. L'inerzia della Pa non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo, ferma restando la discrezionalità nel quomodo (rif. sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5208/2021, pubblicata sul sito https://www.ildirittoamministrativo.it/Conseguenze-controllo-tardivo-sulla-Scia-su-istanza-terzo-Consiglio-Stato/ult2224).

[9] V. nota a sentenza T.A.R. Puglia-Bari, Sez. III, del 18 giugno 2020, n. 867:  “Le attività libere sottoposte a regime di comunicazione preventiva. La segnalazione certificata di inizio attività ed i poteri esercitabili dopo la scadenza del termine di sessanta giorni” di Carla Natalicchio, pubblicata sulla rivista Il Diritto Amministrativo e consultabile al seguente collegamento ipertestuale: https://www.ildirittoamministrativo.it/attivit%C3%A0-libere-sottoposte-comunicazione-preventiva-segnalazione-certificata-inizio-attivit%C3%A0-poteri-esercitabili-dopo-scadenza-termine-sessanta-giorni/gamm672

[10] V. Parere Consiglio di Stato n. 839/2016 in materia di segnalazione certificata di inizio attività, pubblicato sulla Rivista di diritto pubblico italiano Federalismi, n. 7 del 6 aprile 2016, acquisibile al seguente link: https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=31656&content=&content_author

[11] V. https://www.giurdanella.it/2019/05/scia-e-poteri-a-tutela-del-terzo/ “SCIA e poteri a tutela del terzo” del 20 maggio 2019, in cui si evidenzia che “In caso di SCIA, il terzo che viene danneggiato dall’attività segnalata può sollecitare l’intervento dell’Amministrazione con poteri inibitori (entro 60 o 30 giorni), eccezionalmente con i poteri in autotutela (alle rigide condizioni previste dalla norma), oppure in alternativa utilizzare i normali rimedi civilistici - Corte Costituzionale, sentenza n. 45/2019”.

[12] Trattasi, in particolare, dell’indirizzo propugnato dal Consiglio di Stato, Sez. II, nella sentenza del 7 marzo 2023, n. 2371, pubblicata sul sito https://www.lavoripubblici.it/normativa/20230307/Sentenza-Consiglio-di-Stato-7-marzo-2023-n-2371-26260.html

[13] In tema, v. articolo pubblicato sul sito http://www.salvisjuribus.it  il 6 agosto 2019, a firma di Martina Mele, dal titolo “S.C.I.A. e tutela dei terzi controinteressati: la sentenza n. 45/2019 della Corte Costituzionale”.

[14] V., in argomento, l’articolo di Alessandro Ferretti, pubblicato su Altalex il 2 gennaio 2022 al seguente link: https://www.altalex.com/documents/news/2012/01/02/denuncia-di-inizio-attivita-l-adunanza-plenaria-ne-chiarisce-la-natura

[15] Il tema della tutela del terzo è stato affrontato, in dottrina, anche dai seguenti Autori: F. LIGUORI, Le incertezze degli strumenti di semplificazione: lo strano caso della Dia-Scia, in «Dir. proc. amm.», 2015, 4, pp. 1223 ss.; G. GRECO, Ancora sulla Scia: silenzio e tutela del terzo (alla luce del comma 6-ter dell’art. 19, l. n. 241/90), in «Dir. proc. amm.», 2014, 2, pp. 645 ss.; F. TRIMARCHI BANFI, Il terzo nel diritto amministrativo: a proposito di semplificazioni, in «Dir. proc. amm.», 2014, 1, pp. 25 ss.; R. FERRARA, La segnalazione certificata di inizio attività e la tutela del terzo: il punto di vista del giudice amministrativo, in «Dir. proc. amm.», 2012, 1, pp. 193 ss. In tal senso, Cons. St., sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610.

[16] V. il contributo di Fabio Cusano a margine della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, n. 4110 del 24 aprile 2023, pubblicato sulla rivista telematica Pausania-Diritto Urbanistico, dal titolo: “Il Consiglio di Stato torna sulla manutenzione straordinaria e sul cambio di destinazione d’uso”. Il punto sulla CILA” - https://www.pausania.it/il-consiglio-di-stato-torna-sulla-manutenzione-straordinaria-e-sul-cambio-di-destinazione-duso-di-fabio-cusano/