x

x

Tipicità, atipicità e tipicità sociale

Il leasing pre e post legge n. 124 del 2017
Leasing
Leasing

Abstract

Il presente contributo si prefigge l’obiettivo di riportare alla mente alcune nozioni di teoria generale del contratto al fine di garantire un migliore inquadramento delle riflessioni emerse tanto in dottrina quanto in giurisprudenza nella ricostruzione della disciplina del cd. leasing finanziario.

 

Indice:

1. Il contratto tipico, il contratto atipico ed il contratto socialmente tipico: profili strutturali e causali

2. Il leasing finanziario prima della legge n. 124 del 2017

3. Il leasing finanziario dopo la legge n. 124 del 2017

4. Conclusioni sulla azione di risoluzione

 

1. Il contratto tipico, il contratto atipico ed il contratto socialmente tipico: profili strutturali e causali

La civilistica italiana conosce molteplici modalità di classificazione del contratto. Tra esse vi è la possibilità di inquadramento del negozio giuridico, volendo usare una terminologia più vicina alla dogmatica tedesca, in base alla sussistenza o meno nel codice civile o in leggi speciali extracodice di una apposita disciplina che contribuisca a delineare i tratti essenziali dello schema contrattuale.

La presenza della predetta regolamentazione generale legislativa garantisce l’individuazione di un tipo legale che, eventualmente, le parti possono arricchire mediante accidentalia negotii (l’autonomia negoziale consente, infatti, di apporre condizioni o termini e, in caso di contratti gratuiti, siano essi economicamente interessati o meno (si pensi al comodato cd. oneroso perché modale o, ancora, alla donazione modale), di oneri) o, ancora, nel rispetto dei limiti dell’autonomia negoziale di cui all’articolo 1322 comma primo Codice Civile (F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, 2015, p. 790 e ss.).

Il contratto che presenta le suddette caratteristiche si definisce “tipico”. Prescindendo in questa sede – in quanto inconferenti ai fini dell’espletamento dell’indagine – dall’analisi delle ipotesi di contratto con obbligazioni a carico del solo proponente di cui all’articolo 1333 Codice Civile, e, dunque, dall’analisi dei negozi giuridici unilaterali ma “a rilievo bilaterale” (si leggano, sul punto, V. Roppo, Il contratto, ed. II, Giuffrè; F. Gazzoni, op. cit., p. 840 e ss.), può essere utile ricordare come il contratto tipico possa essere tanto bilaterale quanto plurilaterale, a seconda che le parti contrattuali siano due o più di due.

I contratti bilaterali, ad esempio, possono essere sinallagmatici e, pertanto, garantire una reciprocità di prestazioni nascenti da obbligazioni gravanti su ambo le parti contrattuali, mentre i contratti plurilaterali (si guardi, ad esempio, alla disciplina legislativa del contratto di rete) sono più frequentemente contratti con comunione di scopo. In tali contratti tra le prestazioni non sussiste nessun nesso sinallagmatico, ciascuna prestazione non trova ragion d’essere nell’esistenza dell’altra. Le prestazioni, infatti, mirano tutte al raggiungimento di un unico obiettivo comune ma sono, tra loro, indipendenti. Che sia bilaterale o plurilaterale, che sia sinallagmatico o con comunione di scopo, il contratto tipico è frequentemente sorretto da una causa onerosa, e dunque, impone un sacrificio insito nello schema contrattuale al fine di ottenere un vantaggio suscettibile di valutazione economica.

L’analisi della struttura e della causa contrattuale – qui solo parzialmente operata – non è più sufficiente all’organo giudicante per l’inquadramento di un contratto tipico. Non è sufficiente un confronto tra lo schema attuato dalle parti e lo schema tipico sia in punto di struttura sia in punto di causa onerosa astratta, bensì occorre analizzare, anche nell’ambito dei contratti tipici, lo scopo pratico effettivamente perseguito dalle parti. Occorre, pertanto, in ossequio alle indicazioni giurisprudenziali emerse in particolare dal 2006 in poi (Corte di cassazione, Sent. n. 10490 del 2006), analizzare i motivi individuali oggettivati nella causa, al fine di valutarne la coerenza rispetto ai principi costituzionali dell’ordinamento.

Tale indagine rende, da questo punto di vista, più sottile la differenza rispetto ai contratti cd. atipici, ovvero privi di uno schema legale tipizzato.

I predetti contratti hanno sempre trovato cittadinanza nel nostro ordinamento, ma il legislatore, a mezzo dell’articolo 1322 Codice Civile, ne ha da sempre subordinato l’ammissibilità ad un cd. giudizio di meritevolezza. Più precisamente, l’articolo 1322 comma secondo Codice Civile chiarisce testualmente che «le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico».

L’evoluzione che ha interessato la causa contrattuale, spostandone il baricentro da una funzione economico-sociale (ovvero dalla funzione che il legislatore attribuisce allo schema contrattuale a mezzo del processo di tipizzazione) alla funzione prettamente individuale, ancorata al reale interesse oggettivo delle parti, ha prodotto come conseguenza una sorta di applicazione del giudizio di meritevolezza, imposto expressis verbis solo per i contratti atipici, anche ai contratti tipici. Tale osmosi ha indotto alcuni commentatori a ritenere tacitamente abrogato il comma secondo poc’anzi citato.

Volendo, in questa sede, considerare comunque esistente la distinzione tra tipicità ed atipicità, può essere utile ricordare come il nostro ordinamento giuridico tenda ad attribuire rilievo agli schemi contrattuali diffusi nella prassi ma privi di disciplina legislativa. La tendenza ad attribuire rilievo alla prassi consente di parlare anche di “tipicità sociale”. Esempio emblematico di tale fenomeno – almeno fino a pochi anni fa – era l’operazione economica complessa che caratterizza il cd. leasing finanziario.

 

2. Il leasing finanziario prima della legge n. 124 del 2017

Si definisce leasing finanziario l’operazione trilaterale con cui un soggetto (utilizzatore) si rivolge ad una società (in questa sede, società di leasing) perché questa acquisti un bene dotato di particolari requisiti tecnici da un fornitore e glielo conceda in godimento, dietro pagamento di un canone periodico (F. Gazzoni, op. cit., ed. 2015, p. 1315).

L’operazione così descritta lascerebbe intuitivamente individuare una struttura contrattuale plurilaterale non tipica bensì socialmente tipica, con causa onerosa. Sebbene questa sia stata la ricostruzione proposta da parte della dottrina e della giurisprudenza, l’orientamento prevalente ha considerato trilaterale solo l’operazione (in quanto le “figure contrattuali” che la compongono sono tre: utilizzatore, società di leasing, fornitore),  scomponendola in due schemi contrattuali differenti: il contratto socialmente tipico di leasing tra l’utilizzatore e la società di leasing ed il contratto di compravendita tra la società di leasing ed il fornitore.

Il secondo contratto è, dunque, tipico, bilaterale ed a prestazioni corrispettive con causa tanto in astratto quanto in concreto onerosa. Il primo contratto, invece, è sempre bilaterale, atipico in quanto privo di disciplina ma socialmente tipico perché particolarmente diffuso nella prassi, con causa astratta/concreta certamente onerosa.

La acclarata tipicità solo sociale ha indotto la dottrina ad indagare a fondo sulla causa contrattuale del primo contratto: più precisamente, in assenza di apposita disciplina, si è cercato di comprendere a quali schemi contrattuali il contratto di leasing potesse somigliare, al fine di ricostruire anche in astratto tale elemento essenziale in modo più preciso.

Al riguardo vi è chi ha ritenuto esistenti tanto gli estremi del mandato quanto gli estremi della locazione o della vendita mista a locazione, ipotizzando così la ricostruzione di una causa contrattuale astratta mista (sulla causa mista: Vallati, Aspetti giuridici del leasing finanziario, in Riv. Not., 1973, I , p. 273. Parere Anac n. 252 del 10/12/2008. Nel parere si legge che <<Premesso quanto sopra, per quanto di interesse nel caso di specie, si evidenzia che, se diversa è la causa giuridica delle due richiamate fattispecie contrattuali, la prestazione oggetto di un contratto di fornitura in leasing, sia esso finanziario od operativo, è sempre e comunque mista: fornitura del bene, servizio finanziario collegato al pagamento di canoni periodici, servizio di assistenza e manutenzione>>).

La tesi, tuttavia, non convinceva. Ciò in quanto, nella prassi, si erano di fatto sviluppati due tipi di leasing finanziario: il leasing cd. di godimento ed il leasing cd. traslativo.

La prima tipologia sociale contrattuale aveva ad oggetto beni consumabili, deteriorabili pertanto al termine del periodo di godimento l’utilizzatore aveva tutto l’interesse a non proseguire in alcun modo il rapporto contrattuale. La seconda tipologia, per contro, aveva ad oggetto beni durevoli (es. immobili), non suscettibili di rapida obsolescenza, pertanto era ben possibile che al contratto bilaterale si aggiungesse un cd. patto di opzione, a mezzo del quale l’utilizzatore, titolare di un diritto potestativo, poteva acquistare la proprietà del bene al termine del periodo di “locazione” mediante pagamento di un prezzo residuo.

Con tali diversità di funzione, l’una di puro godimento, l’altra di godimento con effetto traslativo, l’individuazione di una causa astratta mista, per come poc’anzi descritta, appariva ricca di ostacoli. Su tali basi, è apparso opportuno porre meglio l’accento di nuovo sul piano strutturale e, precisamente, sul collegamento esistente tra i due contratti.

I due schemi, infatti, non sono tra loro totalmente separati, bensì possiedono un seppur attenuato collegamento. La compravendita posta in essere tra la società di leasing ed il fornitore ha ragion d’essere solo se esiste anche il contratto socialmente tipico, pertanto la giurisprudenza ha ritenuto di dover ricostruire il rapporto tra i due schemi in termini di collegamento negoziale in senso atecnico.

Più precisamente, il collegamento negoziale sussiste ogni qualvolta tra due contratti (volendo far riferimento al caso del leasing) sia ravvisabile, sul piano oggettivo, un collegamento funzionale, dal momento che i diversi schemi negoziali sono propedeutici al raggiungimento di un risultato unitario. Sul piano soggettivo si richiede altresì che tutte le parti dei diversi contratti abbiano di mira esattamente il risultato unitario che si delinea sul piano oggettivo.

Nel rapporto tra compravendita e leasing in senso stretto è evidente l’esistenza del collegamento oggettivo. Pur tuttavia, manca una connessione soggettiva. Ciò in quanto, certamente l’utilizzatore e la società di leasing hanno interesse alla realizzazione di ambo i contratti al fine di concludere l’operazione trilatera complessa, ma di certo il fornitore ha interesse solo a che si concluda la compravendita.

Appare difficile, anche volendo ipotizzare l’implicita esistenza di finanziamenti esterni, ricostruire anche un interesse ulteriore che vada al di là della conclusione proficua della causa di scambio. Pertanto si è ritenuto di dover individuare un collegamento negoziale solo su un piano oggettivo. Ne discendeva, su tali basi, l’individuazione, anche su un piano causale, di una causa astratta di scambio (compravendita) collegata ad una causa di locazione (leasing, cui, al più, si aggiungeva un patto di opzione), al fine di dare vita all’unitaria operazione di finanziamento.    

Tale ragionamento, tuttavia, si scontrava e si scontra con la realtà dei fatti.

Come evidenziato in passato dai supremi giudici, «sotto il profilo della causa contrattuale, viene evidenziato che il conseguimento del bene nella disponibilità dell’utilizzatore è reso possibile dall’intervento del concedente; il quale, peraltro, esaurisce il proprio ruolo nel fornire il supporto finanziario necessario all’acquisto, restando sostanzialmente indifferente allo svolgimento della relazione materiale con il bene, sebbene ne sia divenuto formalmente proprietario. Ed, infatti, il concedente: non intrattiene rapporti con il fornitore diversi da quelli necessari a formalizzare l’acquisto, nemmeno nella fase della trattativa (occupandosi direttamente l’utilizzatore della scelta del bene da acquistare); non assume i rischi riconducibili a vario titolo al rapporto con la cosa (deterioramento, sottrazione, perimento, vizi, difetti funzionali, inidoneità all’uso previsto, mancata o incompleta consegna). Insomma, il concedente sostiene finanziariamente una operazione che è stata definita da soggetti diversi nei suoi aspetti essenziali» (ordinanza interlocutoria del 4 Agosto 2014, n. 17597, al link).

Tali rilievi pratici hanno di certo attirato l’attenzione del legislatore. Pertanto occorre valutare se le ricostruzioni strutturali e causali sin qui fornite possano essere mantenute ancora oggi, nonostante i recenti interventi legislativi.

 

3. Il leasing finanziario dopo la legge n. 124 del 2017

Con legge n. 124 del 04.08.2017, e, precisamente, ai commi nn. 136 – 137 – 138 – 139 – 140, il legislatore ha inteso fornire una disciplina all’operazione di leasing finanziario, chiarendo in particolare al comma 136 che «per locazione finanziaria si intende il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto all’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993 n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo».

L’analisi della norma, con particolare riferimento alla parte in cui si afferma che la banca (o l’intermediario finanziario) si obbliga a far mettere a disposizione dell’utilizzatore un dato bene, ha indotto parte della dottrina (in questi termini, tra tanti,  Saverio Foti, Leasing finanziario e tutela dell’utilizzatore: profili evolutivi nella transizione dalla prassi al tipo, in Contratti, 2018,3,345, commento alla normativa) a presupporre l’esistenza di una struttura contrattuale trilaterale.

Si è, dunque, passati da due contratti bilaterali parzialmente collegati ad un contratto plurilaterale idoneo a ricomprendere tanto le ipotesi di leasing di godimento quanto le ipotesi di leasing traslativo.

Il passaggio strutturale dal collegamento alla plurilateralità incide sulla causa e fortifica l’idea di una causa astratta del leasing non mista (e neppure più doppia, scambio del primo contratto e locazione del secondo contratto), bensì unitaria (e riferita ad un solo contratto), qualificabile come causa di finanziamento, dal momento che l’intera operazione nasce dall’esigenza, avvertita dall’utilizzatore, di disporre di un bene per l’acquisto del quale non sia hanno nell’immediato le risorse finanziarie sufficienti.

 

4. Conclusioni sulla azione di risoluzione

L’assenza di tipicità ha dato vita all’insorgenza di dubbi in ordine alle tutele dell’utilizzatore, in ipotesi di inadempimento del fornitore, che possono oggi essere facilmente risolte qualificando il leasing come contratto plurilaterale.

Più precisamente, l’orientamento prevalente pre-modifiche legislative, volto a ricostruire l’operazione di leasing come operazione trilatera affidata a due contratti parzialmente collegati, impediva all’utilizzatore di avere tutela diretta nei confronti del fornitore. Ciò in quanto i rimedi contrattuali sono riservati alle parti stipulanti il contratto e non ammettono l’ingerenza di terzi, in ragione del principio di relatività contrattuale di cui all’articolo 1372 Codice Civile. Se il contratto ha forza di legge solo tra le parti e non può produrre effetti (che non siano favorevoli) nei riguardi dei terzi, allora questi ultimi non hanno normalmente potere di azione nei confronti delle parti sostanziali del contratto.

Pertanto l’utilizzatore – pur potendo agire direttamente nei confronti del fornitore per esigere l’azione di adempimento, facendo applicazione della disciplina di cui al comma secondo dell’articolo 1705 Codice Civile che attribuisce al mandante (utilizzatore) la possibilità di sostituirsi al mandatario (società di leasing) nell’esercizio dei diritti di credito – non aveva nessun potere di determinare la risoluzione del contratto di compravendita, qualora il bene fornito, prima della consegna, fosse affetto da vizi tali da renderlo assolutamente inidoneo all’uso, in assenza di apposite clausole inserite ad hoc nel contratto attributive di questo specifico potere. Tale carenza difensiva si traduceva nel mantenimento in vita di due contratti inutili. Ciò in quanto il contratto di leasing stipulato tra società di leasing ed utilizzatore si traduceva in uno svantaggio economico per l’utilizzatore di portata notevole. Ma anche la compravendita tra società di leasing e fornitore appariva scarsamente produttiva, specie se letta in un’ottica di futuro acquisto della proprietà mediante esercizio del patto di opzione che, di certo, l’utilizzatore non avrebbe più avuto interesse a far valere.

Su tali basi è apparso opportuno esaminare la posizione della società di leasing, imponendole, mediante il richiamo alla buona fede integrativa del contratto di cui agli articoli 1374 e 1375 Codice Civile, di richiedere la risoluzione del contratto stipulato con il fornitore, a tutela dell’utilizzatore, il quale non sarà quindi tenuto al pagamento dei canoni periodici alla società di leasing stessa.     

Tale farraginoso (e qui solo in massima sintesi riportato) meccanismo non si rende più necessario in ragione del processo di tipizzazione avvenuto a mezzo della legge n. 124 del 2017.

Ai sensi dei commi nn. 137 e 138, il legislatore si è premurato di disciplinare solamente il regime delle tutele in ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore ma non ha disciplinato espressamente l’ipotesi, in passato molto controversa, di inadempimento del fornitore. Tuttavia, la struttura trilaterale consente agevolmente di attribuire il potere di esercizio dell’azione di risoluzione anche all’utilizzatore, dal momento che il principio di relatività non funge più da ostacolo alla tutela diretta.