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Il controllo a distanza dei lavoratori prima e dopo l’introduzione del Jobs Act - Parte II

confronto tra la disciplina originaria e quella attuale alla luce dell’emersione delle nuove tecnologie
controllo dei lavoratori
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Il controllo a distanza dei lavoratori prima e dopo l’introduzione del Jobs Act: parte II

 

Il controllo a distanza nell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori: prima del jobs act

Il primo tassello diretto a bilanciare la tutela della riservatezza del lavoratore con l’interesse del datore di lavoro a controllare l’attività lavorativa del suo dipendente con l’obiettivo di ottimizzare il ciclo produttivo, è dovuto alla legge n. 300 del 1970.

Nello Statuto dei Lavoratori, il lavoratore subordinato è il soggetto titolare di diritti fondamentali della persona, inserita in un contesto soggetto a regole di potere, ove è esposta alla compressione delle libertà e dignità personali[1]. Proprio al fine di tutelare queste esigenze fondamentali, lo statuto dei lavoratori limita l’utilizzo dei controlli c.d. umani sulla prestazione lavorativa e ricomprende nell’ambito della illegittimità la raccolta di informazioni non inerenti al rapporto di lavoro.

Il controllo sullo svolgimento delle mansioni lavorative, oltre che mediante soggetti a ciò specificatamente destinati ossia le guardie giurate e il personale di vigilanza previsti dagli articoli 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori, può essere effettuato mediante l’installazione di impianti audiovisivi (specificamente previsti dallo Statuto del Lavoratori) e di altri strumenti, creati con l’avanzare delle nuove tecnologie, e che si rivelano particolarmente invasivi della sfera privata del lavoratore. Riguardo questi ultimi ci si riferisce, in particolare, ai controlli effettuati con l’ausilio di piattaforme virtuali o alla geolocalizzazione dei veicoli aziendali.

L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è una norma essenziale dell’ordinamento perché – come afferma autorevole giurisprudenza - “fa parte di quella complessa normativa diretta a contenere in vario modo le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che, per le modalità di attuazione incidenti nella sfera interna della persona, si ritengono lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore”[2].

Nella relazione del Ministro Giacomo Brodolini al disegno di legge sullo Statuto dei lavoratori si legge che “il titolo primo della presente legge vuole assicurare ai lavoratori l’effettivo godimento di taluni diritti e libertà fondamentali che, pur trovando nella Costituzione una disciplina e una garanzia complete sul piano dei principi, si prestano tuttavia, in carenza di disposizioni precise di attuazione, ad essere compressi nel loro libero esercizio. Queste considerazioni giustificano e, al tempo stesso, impongono le disposizioni contenute nel Titolo I.”

Dalla relazione si evince come la funzione della norma fosse quella di impedire che il legittimo controllo del datore di lavoro sulla prestazione lavorativa sfociasse in un controllo di carattere personale sul lavoratore. L’obiettivo era, infatti, quello di scongiurare che il lavoratore esponga a controllo anche la propria persona, la propria riservatezza, la propria dignità[3].

L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è il caposaldo normativo della disciplina delle forme di controllo a distanza realizzabili attraverso apparecchiature elettroniche, ma è anche la normativa che ha ovviato alla mancanza nel nostro Paese di una regolamentazione generale sul trattamento dei dati personali -  introdotta solo nel 2003 con il d.lgs. 196 – poiché l’avvento delle nuove tecnologie ha dato vita alla problematica relativa alla possibilità, per il datore di lavoro, di acquisire e trattare dati personali per gli scopi più disparati[4].

La Cassazione con la sentenza del 3 aprile 2002, n. 4746[5] ha compiuto una tripartizione dei controlli del datore di lavoro. Questa impostazione permetteva di differenziare i controlli del datore in tre tipologie: 1) i controlli sull’attività lavorativa, che sono sempre vietati dal comma 1; 2) i controlli preterintenzionali che sono, invece, ammessi dal comma 2 in presenza di esigenze organizzative, produttive o dalla sicurezza del lavoro, e di un responso favorevole della procedura autorizzativa; 3) i controlli difensivi che mirano all’accertamento delle condotte illecite dei lavoratori e che non sono previsti dalla norma.
 

I controlli intenzionali

Lo Statuto del Lavoratori è la fonte primaria che bisogna richiamare in materia di controlli del datore di lavoro e l’art. 4 è la norma più importante sul tema, come si evince già dalla rubrica “impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo”, riguarda il controllo tecnologico. La norma è inserita nel Titolo I dedicato alla libertà e dignità del lavoratore: il bene protetto in via principale dall’art. 4 è infatti la dignità del lavoratore; dignità che va intesa come diritto del lavoratore ad eseguire la prestazione in un luogo sereno, libero dai condizionamenti derivanti da un controllo occulto e costante operato dal datore.

Nel 2015 la norma è stata oggetto di riforma ad opera del c.d. jobs act, ma nella sua versione originaria l’art. 4 al comma 1 prevedeva, per i controlli intenzionali, un divieto assoluto di utilizzare “impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”. Il controllo umano (ad opera di guardie di sicurezza e personale di vigilanza), invece, era ammesso pur nel rispetto di alcuni limiti imposti dagli articoli 2 e 3 dello Statuto.

La norma fissava un limite insuperabile avente ad oggetto i mezzi e le finalità: per “mezzi” si intendono gli impianti e tutte le altre apparecchiature idonee a consentire un controllo privo di ogni collegamento tra luogo e tempo; la finalità vietata era quella del controllo a distanza.

La sorveglianza del datore effettuata mediante strumenti tecnologici può provocare sul lavoratore un senso di oppressione che incide sull’atteggiamento del lavoratore anche nei rapporti con gli altri colleghi: per evitare di divenire oggetto di controllo il lavoratore può arrivare al punto di isolarsi dagli altri o di non discutere di determinati argomenti che potrebbero farlo divenire obiettivo del controllo.

Si afferma in dottrina che “mentre il controllo umano è contestuale e difficilmente può essere continuativo, il controllo a distanza si attua attraverso un monitoraggio pervasivo occulto e continuativo, che priva il lavoratore di qualsiasi margine di libertà. Si parla di sindrome da pesce rosso, per rappresentare lo stato del soggetto osservato, sottoposto alla spietata osservazione, dell’occhio meccanico, che non dà tregua e non consente alcun riparo[6]. Come si osserva in dottrina, “l’impresa non potrà mai essere democratica”: da questo assunto deriva la necessità di introdurre limiti legali al potere di controllo del datore di lavoro, al fine di scongiurare la possibilità che il lavoratore possa essere sottoposto a continui controllo sia all’interno che all’esterno dei luoghi lavorativi[7].

Per quanto concerne, invece, il significato del termine “distanza” ricompreso nella locuzione “controllo a distanza” cui fa menzione l’art. 4 si rileva che vietando espressamente il controllo a distanza, si legittima automaticamente il controllo in presenza. Il controllo umano compiuto in presenza del lavoratore è un controllo definito in termini di spazio-tempo: non è un controllo occulto, essendo effettuato da determinate figure professionali alla presenza stessa del lavoratore ed è limitato ai luoghi e agli orari di lavoro. Onde per cui è estremamente facile per il prestatore di lavoro accorgersi ed essere consapevole di essere soggetto a controllo.

Da questa premessa non si deve dare per scontato la legittimità del controllo. Il controllo in presenza, infatti, diventa illegittimo laddove è continuativo perché lesivo della dignità del lavoratore, e si trasforma in un ambiente lavorativo caratterizzato dai caratteri dell’oppressione e della sopraffazione del lavoratore.

Inoltre, il concetto di distanza può essere interpretato in due diverse accezioni: nella prima accezione si fa riferimento alla distanza in termini di spazio; nella seconda si fa riferimento alla distanza in termini di tempo. Queste accezioni in chiave temporale e spaziale deriva dalla constatazione che i controlli possono avvenire in “posizioni geograficamente diverse ed in periodi successivi rispetto al tempo ed al luogo in cui viene eseguita la prestazione lavorativa[8]. Rientravano nei controlli vietati dalla norma, tutti quei controlli effettuati mediante l’utilizzo di apparecchiature o strumenti in grado di registrare suoni e immagini (in grado, cioè, di poter identificare il lavoratore) e di conservarli (e, dunque, con la possibilità concreta di essere riutilizzati in un momento successivo dal datore anche al di fuori dei luoghi e degli orari di lavoro).

Il controllo occulto consente al datore di lavoro di sorvegliare il dipendente da un luogo diverso da quello in cui quest’ultimo si trova, creando una parvenza di libertà: il lavoratore non ha la possibilità di vedere il suo controllore, non sapendo neanche – in alcuni casi- che si stia svolgendo un controllo.

L’oggetto del controllo datoriale, secondo l’opinione condivisa in dottrina e giurisprudenza, sarebbe costituito dell’“attività dei lavoratori”, che ricomprenderebbe l’attività di adempimento della prestazione, quella diretta all’espletamento delle mansioni, la condotta complessivamente tenuta dal lavoratore, e qualunque altra attività che, pur essendo annessa cronologicamente all’adempimento della prestazione, lo oltrepassa, attenendo a un momento da esso svincolato; ovverossia quella attività esorbitante dal momento tecnico-funzionale della subordinazione, denominata in dottrina “licenza comportamentale”, come la condotta posta in essere dal lavoratore in pausa[9]: come nel caso delle telecamere posizionate in sala mensa o davanti alla sede delle rappresentanze sindacali.

Dall’utilizzo dell’espressione “attività dei lavoratori” deriva che l’art. 4 dello Statuto si riferisce ad un concetto più esteso di quello che viene enunciato negli artt. 2 e 3 dello Statuto, che si riferiscono “all’attività lavorativa”[10].

L’art. 2, comma 3, dello Statuto afferma che: “È fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma”.

L’art. 3 dello Statuto invece: “I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”.

Il divieto di cui all’art. 4 St. lav., ricomprendendo anche quelle attività che rientrano nelle mansioni personali del dipendente, ha un contenuto suscettibile di trovare maggiori applicazioni[11].

È palese, dunque, che il “legislatore ha voluto tutelare maggiormente i lavoratori laddove i controlli sono effettuati da persone non in via diretta ma in via indiretta (“a distanza”), mediante l’impiego di impianti audiovisivi[12].

L’art. 4 era stato originariamente creato prendendo a modello il controllo effettuato mediante le telecamere a circuito chiuso, ma l’inclusione di monitoraggi attuabili per mezzo di strumenti votati al controllo ricompresi nel campo di applicazione del divieto assoluto di controllo intenzionale, ha consentito al legislatore di intervenire sull’impiego di dispositivi non rientranti nella prestazione lavorativa, pregiudiziali per il prestatore di lavoro.

L’apparecchiatura mediante la quale si procede al controllo, permette di effettuare una sorveglianza pressoché senza limiti, in maniera occulta e costante è in grado di assicurare un monitoraggio incessante e occulto. Tuttavia fin dalla sua entrata in vigore l’art. 4 dello Statuto era stato interpretato in modo da estendere la sua portata applicativa e ciò discendeva dalla presa di coscienza che il controllo a distanza può rivelarsi vessatorio, eventualmente continuativo perché il datore può decidere di effettuarlo per l’intera durata lavorativa: dunque particolarmente insidioso soprattutto se leghiamo queste caratteristiche al dato che questo tipo di controllo può memorizzare normali attimi di disattenzione e deconcentrazione dall’attività lavorativa.

Secondo questa lettura estensiva della norma “il divieto di controllo a distanza investe ogni forma di controllo continuo o, comunque, di controllo attuabile in qualsiasi momento dalla direzione aziendale sulla prestazione lavorativa[13].

Da questa interpretazione della norma discende, come conseguenza diretta, l’inclusione nel divieto “di qualsiasi forma di controllo a distanza che sottragga al lavoratore, nello svolgimento delle sue mansioni, ogni margine di spazio o di tempo nel quale egli possa essere ragionevolmente certo di non essere osservato, ascoltato o comunque seguito nei suoi movimenti[14].


I controlli preterintenzionali o indiretti

L’art. 4, comma 2 dello Statuto fissava, invece, la legittimità dei controlli c.d. preterintenzionali o indiretti, stabilendo che “gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti”.

Nel secondo comma si introduce nel sistema un divieto c.d. flessibile. La norma risponde, infatti, all’esigenza che si era riscontrata negli anni precedenti la promulgazione dello Statuto dei lavoratori, di frenare la tendenza del datore di lavoro di impiegare strumenti tecnologici - impossibili da classificare come strumenti di lavoro poiché inadatti allo svolgimento delle mansioni - dai quali poteva discendere la mera possibilità di un controllo dell’attività lavorativa.

Strumenti che comunque possiamo definire essenziali e funzionali allo svolgimento dell’attività di impresa, perché permettevano di far fronte a determinate esigenze che potevano sorgere nell’adempimento della prestazione lavorativa: si fa riferimento – ad esempio - allo strumento che allo stesso tempo controllava il buon funzionamento di un macchinario e permetteva di assumere informazioni relative alla quantità e alla continuità dell’attività lavorativa che veniva svolta.

L’aggettivo “preterintenzionale” individua l’elemento psicologico del controllo, cioè la finalità del controllo stesso[15].

Una parte della dottrina[16] qualificava il controllo preterintenzionale come una deroga al divieto sancito al comma 1 dell’art. 4, ossia del divieto di controllo a distanza. Da questa configurazione derivava da un lato la subordinazione dei diritti di riservatezza e dignità dei lavoratori alle necessità dell’impresa (necessità organizzative, produttive e di sicurezza); dall’altro portava a considerare che la norma fosse incostituzionale per contrasto con l’art. 41, comma 2 della Costituzione che enuncia il principio per cui l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Il comma 2, infatti, ammetteva - in maniera implicita - che la dignità e la riservatezza del lavoratore fossero, nella scala dei valori della Costituzione, gerarchicamente subordinato rispetto alla produzione e all’organizzazione dell’impresa.

Per scongiurare l’incostituzionalità della norma, si affermò che la stessa andava interpretata come diretta rafforzare il principio per cui in nessun caso la condotta del lavoratore può essere oggetto di un controllo diretto a distanza compiuto dal datore.

I controlli preterintenzionali, tuttavia, erano considerati legittimi se non oltrepassavano due limiti.

Il primo limite attiene alla caratteristica dello strumento che doveva essere diretto al raggiungimento di necessità indicate in maniera tassativa dalla norma.

Il secondo limite, invece, (nel caso in cui sia rispettato il primo limite) attiene alla necessità di raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali e, in caso di mancato accordo, alla presentazione di un’istanza all’Ispettorato del lavoro al fine di ottenere l’autorizzazione amministrativa per l’installazione degli impianti[17].

Bisognava, infatti, bilanciare “l'esigenza di tutela del diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore di lavoro o, se si vuole, della stessa collettività, relativamente alla organizzazione, produzione e sicurezza del lavoro, individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti ad essa partecipi[18].

La Suprema Corte nel 1985, in una delle prime sentenze sulla liceità dei controlli preterintenzionali, affermò che “le norme di cui agli artt. 2,3,4, l. 20 maggio 1970 n. 300 tendono a eliminare i sistemi di vigilanza e di controllo che, pur tenendo conto delle esigenze produttive, non sono compatibili con i principi costituzionali così come enunciati in specie dall’art. 41 Cost.; ne consegue che la sorveglianza sui lavoratori non deve avere carattere poliziesco e non può essere realizzata in forme di controllo occulto o a distanza nei confronti dei lavoratori; tuttavia devono considerarsi pienamente legittimi i controlli effettuati sull’attività lavorativa del lavoratore dipendente, il quale nel lavoro da compiere è tenuto all’adempimento di quanto disposto dall’art. 2104 c.c. nell’ambito della collaborazione caratterizzante il rapporto di lavoro subordinato(…)”[19].

La previsione dei controlli intenzionali e preterintenzionali avrebbero dovuto garantire il bilanciamento tra l’esercizio del potere di controllo del datore sull’adempimento dell’attività lavorativa e la garanzia della libertà e dignità dei lavoratori, garantendo – come afferma la Cassazione - “una vigilanza sul lavoro ancorché necessaria nell’organizzazione produttiva, in una dimensione umana, e cioè non esasperata dall’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro[20].

Tuttavia la disposizione presentava delle lacune: la prima derivava dalla sola previsione delle condizioni per l’installazione delle apparecchiature elettroniche, senza la previsione di un confine entro il quale il datore avrebbe dovuto esaminare i dati memorizzati dagli strumenti senza cadere nell’illegittimità. Con l’ampliamente degli strumenti tecnologici causato dall’evoluzione delle nuove tecnologie questa previsione di un confine entro cui poter valutare i dati è diventata con il tempo imprescindibile: computer, posta elettronica, rete internet, indispensabili per lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma rappresentano anche svariati modi attraverso cui il datore di lavoro può controllare il lavoratore.

La seconda lacuna attiene, invece, al fatto che l’art. 4 non distingueva in maniera chiara e precisa tra gli strumenti di controllo e gli strumenti di lavoro.

Per cui, nell’assenza di una disciplina normativa completa, la dottrina aveva sopperito affermando la necessità di non prevedere anche per gli strumenti di lavoro l’autorizzazione per l’installazione[21].

La giurisprudenza, invece, aveva mostrato la tendenza a ricomprendere tutte le nuove tecnologie nell’art. 4, comma 2 dello Statuto, a causa della probabile capacità a svolgere le funzioni allo stesso tempo di strumenti di lavoro che di controllo, per cui si utilizza in dottrina l’espressione “plurifunzionalità[22]. Ciò comportava – trattandosi di strumenti la cui assenza avrebbe determinato un concreto rischio per l’attività produttiva dell’impresa – la necessaria e preventiva richiesta di installazione dello strumento, dal cui ritardo si sarebbero determinate perdite economiche in capo all’imprenditore.

Deve essere notato che per quanto riguarda l’autorizzazione o l’accordo al fine di poter installare gli strumenti, si è avuta una pressoché totale inattività sia da parte degli imprenditori che dei sindacati che restavano silenti davanti all’inattività delle imprese.

Si finiva sostanzialmente con l’adoperare gli strumenti senza la previa procedura sopra citata, con conseguente danno in capo ai lavoratori che non venivano, in questo modo, tutelati. Per il lavoratore che, invece, aveva commesso una violazione nel compimento dell’attività lavorativa che poteva essere provata dal datore mediante l’utilizzo di quei strumenti di cui si era avvalso nell’attività di impresa senza prima averne avuto l’autorizzazione ne derivava – secondo la giurisprudenza - l’inutilizzabilità delle informazioni raccolte e, quindi, l’impossibilità di sanzionare il lavoratore inadempiente. Come ben afferma A. Maresca, l’art. 4 era sfruttato dai lavoratori “come scudo individuale per contrastare le iniziative disciplinari del datore di lavoro[23].


I controlli difensivi

La categoria dei “controlli difensivi” è stata elaborata dalla giurisprudenza con lo scopo di equilibrare la sorveglianza del lavoratore nell’utilizzo degli strumenti aziendali con la protezione della dignità e della riservatezza dello stesso.

Si tratta di controlli in cui “l'accento non è posto sulla conformazione dell'attività di lavoro agli standard di diligenza richiesti dalla sua esecuzione, bensì su comportamenti illeciti, estranei al normale svolgimento della prestazione anche se da essa occasionati, diretti a ledere il patrimonio aziendale[24].

Nella sostanza, il datore di lavoro che si avvale dei controlli difensivi

ha interesse alla tutela e alla protezione dei beni dell’impresa, a cui possono derivare danni dalle condotte illecite compiute dai lavoratori.

Il controllo difensivo trova il suo fondamento nella tutela del diritto di proprietà, tutelato anche dalla Carta Costituzionale all’art. 41: il titolare del diritto di proprietà può – mediante le tutele apprestate - liberamente godere dei suoi beni e tutelare tali beni in modo tale da evitarne il danneggiamento o, peggio ancora, la distruzione.

Il controllo difensivo presuppone un pericolo concreto o presunto per il patrimonio aziendale, che legittima il datore di lavoro a questo controllo necessario e, allo stesso tempo, straordinario. “Straordinario” perché non mirando a controllare in via diretta il lavoratore, si differenzia da quel controllo operato mediante l’utilizzo di soggetti – quali le guardie giurate e il personale di vigilanza -  a tale scopo preposti.

Secondo una parte della dottrina il controllo difensivo non violerebbe il disposto dell’art. 3 della Costituzione se è diretto ad appurare l’esistenza di condotte illecite del lavoratore: ciò deriva dalla constatazione che i controlli disciplinati dall’art. 3 dello Statuto attengono unicamente ai controlli diretti a verificare l’esattezza dell’adempimento del prestatore di lavoro alle regole enucleate nell’art. 2104 c.c. nell’esecuzione dell’attività lavorativa.

La Suprema Corte a riguardo ha affermato che “proprio sulla base di queste argomentazioni, parte della giurisprudenza di merito[25] aveva ritenuto inapplicabile l’art. 4 c.2 St. lav. ai controlli a distanza difensivi affermando che la norma riguarderebbe unicamente i sistemi di controllo finalizzati, in maniera diretta o indiretta, a valutare l’attività lavorativa del dipendente, mentre sarebbero estranei al suo ambito di applicazione i controlli volti ad accertare eventuali condotte illecite poste in essere dal lavoratore[26].

Ma la giurisprudenza successiva[27] ha riformato il precedente orientamento precisando che “l’esigenza di evitare condotte illecite da parte del lavoratore non può mai giustificare l’annullamento di quelle forme di tutela della dignità e riservatezza apprestate a favore del lavoratore dell’art. 4 c. 2 St. lav. e, più in generale dal nostro ordinamento, tutte le volte in cui il comportamento illecito del lavoratore riguardi l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso[28].

La problematica dell’ammissibilità o meno di operare un controllo, attraverso dispositivi che controllano a distanza, sulle condotte illecite che ledono il patrimonio aziendale, attuando un controllo difensivo diviene determinante nel momento in cui vengono in rilievo tutta una serie di illeciti, anche penali (come ad esempio il furto, l’appropriazione indebita o il danneggiamento), che possono essere accertati, e successivamente sanzionati, soltanto mediante il ricorso a strumenti di controllo a distanza a scopo difensivo. Senza l’ausilio di dispositivi simili sarebbe molto complesso prevenire la commissione di determinati reati che avvengono nell’impresa.

Inoltre l'ordinamento ponendo il divieto dell'impiego dei dispositivi di controllo a distanza, finisce per legittimare queste prassi all’interno dei luoghi di lavoro che non verrebbero scoperte in nessun altro modo se non proprio attraverso l’uso di simili strumenti. Dunque, nei confronti del lavoratore in questi casi non si potrebbe contestare nulla, proprio a causa dell’assenza di una prova valida per la legge.

Ma non bisogna dimenticare che il datore di lavoro, laddove installi sistemi di monitoraggio vietati dalla legge, potrebbe incorrere nelle sanzioni penali previste dall’art. 38 dello Statuto.

Una parte della dottrina ha avanzato la tesi in base alla quale sarebbe necessario, nel caso di furto da parte del prestatore di lavoro, il preventivo accordo sindacale sull'utilizzo delle telecamere "a meno di non voler trasformare lo Statuto dei lavoratori in una bizzarra Carta del lavoratore ladro, diverso e avvantaggiato rispetto al ladro comune che può essere liberamente e impunemente video ripreso, oltre che discriminato, per fini di giustizia"[29].

Per quanto riguarda la definizione di patrimonio aziendale, bisogna evidenziare come vengono ricompresi nella nozione i mezzi di produzioni, i macchinari e, in generale, tutto ciò che è presente fisicamente all'interno dell'azienda, ma all’interno del patrimonio aziendale viene ricompreso anche l’immagine dell’imprenditore. Si ritiene, dunque, che il datore di lavoro - attraverso i controlli difensivi - è legittimato a tutelare questo bene immateriale costituito dalla propria immagine esterna.

A queste conclusioni è approdata la Suprema Corte[30], che era stata chiamata a decidere il caso di un dipendente, di un istituto di credito, che era stato licenziato per giusta causa in quanto accusato di aver divulgato, a mezzo e-mail, notizie riservate concernenti un cliente dello stesso istituto. Inoltre l’imputato con l’ausilio delle informazioni in questione, aveva posto in essere operazioni finanziarie ricavandone un vantaggio personale.

Sul tema dei controlli difensivi gli orientamenti della giurisprudenza sono vari: si afferma che i controlli difensivi sono sicuramente legittimi quando non sono indirizzati al controllo della prestazione lavorativa e si approntano solo successivamente alla commissione dell'illecito.

Invece, la Cassazione dell’ottobre 2012 n. 16622 conferma che nel caso di controlli difensivi che possono riguardare anche la prestazione lavorativa, si tratta di controlli preterintenzionali, che sono in via diretta finalizzati a scoprire un illecito, ma in via indiretta controllano anche lo svolgimento della normale attività lavorativa. In questo modo, la Corte ha valutato - anche in questo caso – come necessario l’accordo preventivo con le organizzazioni sindacali, al fine di installare i sistemi di videosorveglianza. Sembra, dunque, predominante la tutela della riservatezza del lavoratore sull’interesse dell’imprenditore alla salvaguardia del patrimonio aziendale.

In conclusione, queste categorie elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza vanno sempre interpretate partendo dalle disposizioni dello Statuto dei Lavoratori e dalle norme successive, e ciò perchè solo le norme vincolano il soggetto.

 

[1] M.V. BALLESTRERO – G. DE SIMONE, Diritto del lavoro, Torino, 2017.

[2] Cass., 17 giugno 2000, n.8250, su https://www.unioncamere.gov.it/; Cass., 17 luglio 2007, n. 15892, in Riv. It. Dir. Lav., 2008, n. 3, II, pp. 714 ss., con nota di M.L VALLAURI.

[3] R. DE LUCA TAMAJO, Presentazione della ricerca, in R. DE LUCA TAMAJO - R. IMPERIALI - R. D’AFFLITTO - C. PISANI - R. ROMEI (a cura di), Nuove tecnologie e tutela della riservatezza del lavoratore, Milano, 1988.

[4] D.M.  TESTA – M. PICCARI (con la collaborazione di), “Grande fratello” in azienda con la legge 183/2014 (c.d. Jobs act): profili di riflessione, su www.iurisprudentes.it.

[5] Cass., 3 aprile 2002, n. 4746, su https://www.altalex.com/. La Suprema Corte ha affermato che, tenuto conto del lavoro svolto dal ricorrente (che era una guardia giurata), il datore di lavoro può controllare il telefono aziendale. Il comportamento del datore di lavoro – afferma la Corte - doveva essere volto a controllare non l’attività svolta dal lavoratore, bensì la condotta illecita del dipendente, che non avrebbe avuto bisogno del telefono.

[6] R. IMPERIALI – R. IMPERIALI, Controlli sul lavoratore e tecnologie, Milano, 2012, p. 30.

[7] U. ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, il Mulino, 1995, p. 156.

[8] M. CAPOBIANCO, Privacy e controlli a distanza: ultimi approdi normativi e giurisprudenziali, su www.salvisjuribus.it.

[9] Cfr. F. LISO, Computer e controllo dei lavoratori, Giorn. dir. lav. e rel. ind., 1986, pp. 366 ss.; F. CROTONDI (a cura di), Diritto del lavoro e delle relazioni industriali, Milanofiori Assago (MI), 2017; M.T. CARINCI, Il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori dopo il “Jobs Act” (art. 23 D.Lgs. 151/2015): spunti per un dibattito, in Labour & Law Issues, vol. 2, no. 1, 2016; M.T. CARINCI, Il controllo a distanza sull’adempimento della prestazione di lavoro, in P. TULLINI (a cura di), Controlli a distanza e tutela dei dati personali del lavoratore, Torino, 2017; G. GHEZZI, Computer e controllo dei lavoratori, in Giorn. Dir. lav. rel. ind., 1986, pagg. 358 ss.

[10] M. DELL’OLIO, Art. 4 St. Lav. ed elaboratori elettronici, in Dir. Lav., 1986, I; e ancora prima di lui, U. ROMAGNOLI, Art. 4, in A. SCIALOJA - G. BRANCA (a cura di) Statuto dei diritti dei Lavoratori, Roma – Bologna, 1979.

[11] P. BERNARDO, Vigilanza e controllo sull’attività lavorativa, in F. CARINCI, Diritto del lavoro, Commentario, Torino, 2007.

[12] M. T. GOFFREDO – V. MELECA, Jobs Act e nuovi controlli a distanza, in Diritto & Pratica del Lavoro n. 31/2016.

[13] A. FRENI – G. GIUGNI, Lo Statuto dei lavoratori, Milano, 1971, p. 10.

[14] P. ICHINO, Il contratto di lavoro, Milano, 2003, p. 230.

[15] U. ROMAGNOLI, Sub art. 4 in G. GHEZZI – G.F. MANCINI – L. MONTUSCHI – U. ROMAGNOLI, Statuto dei diritti dei lavoratori, Bologna, 1972; E. RUSSO, Statuto dei lavoratori: nozioni, limiti e possibilità di deroghe, in QFMB Saggi, 2013 n° 2.

[16] A. CATAUDELLA, Art. 4, in U. PROSPERETTI, Commentario dello Statuto dei lavoratori, Milano, 1975; E. STENICO, La tutela della riservatezza del lavoratore nell’esercizio della prestazione, in Quad. dir. lav. e rel. ind., 2000, n. 24, p. 169.

[17] Cfr. M.T. SALIMBENI, Sub art. 4, in DE TAMAJO - O. MAZZOTTA, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2013; T. PADOVANI, Il controllo a distanza dell’attività lavorativa svolta mediante elaboratori elettronici, in Riv. It. Dir. Lav., 1985, II, p.252.

[18] Cass., 17 luglio 2007, n. 15982, in Riv. It. Dir. Lav., 2008, n. 3, II, 714 ss., con nota di M.L. VALLAURI.

[19] Cass., 8 ottobre 1985, n.8687 (ud. 28 maggio 1985), in Mass. Giur. Lav., 1986, p.404, con nota di M. PAPALEONI.

[20] Cass., 17 giugno 2000, n. 8250, in Riv. It. Dir. Lav., 2008, n. 3, II, pp. 714 ss., con nota di M.L. VALLAURI; A. AMBROSINO – F. CASTIGIONE, Nuove forme di controllo a distanza dell’attività lavorativa: aspetti sostanziali e processuale della disciplina statutaria, in Lavoro e Previdenza oggi, 2011.

[21] Cfr. I. ALVINO, op. cit.; P. ICHINO, Il contratto di lavoro, Milano, 2003; C. PISANI, Il computer e l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, in FRANCO ANGELI, Nuove tecnologie e tutela della riservatezza dei lavoratori, 1998, p. 43; E. GRAGNOLI, L’uso della posta elettronica sui luoghi di lavoro e la strategia di protezione elaborata dall’Autorità Garante, in P. TULLINI (a cura di), Tecnologie della comunicazione e riservatezza nel rapporto di lavoro. Uso dei mezzi elettronici, potere di controllo e trattamento dei dati personali, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, diretto da F. GALGANO, Padova, 2010.

[22] C. PISANI, I controlli a distanza sui lavoratori, DLRI, 1987, pp. 121 ss.

[23] A. MARESCA, Controlli tecnologici e tutele del lavoratore nel nuovo art. 4 St. lav., in P. TULLINI, (a cura di), Controlli a distanza e tutela dei dati personali del lavoratore, Torino, 2017, p. 2.

[24] Cass. 14 Luglio 2001 n. 9576, in NGL, 2002, p. 34; Cass. 9 Luglio 2008 n. 18821, in MGC, 2008, p. 1113.

[25] Tribunale di Milano 5/07/06, in Il Lav. nella giur. 2007, 419; Tribunale di Milano 31/03/04.

[26] Cass. Sez. lav. 3/04/02 n. 4746, in Not. Giur. Lav. 2002, 642.

[27] Tribunale di Milano 9/01/04, pubblicata su DL Rivista critica di diritto del lavoro privato e pubblico, 2004, 304 con nota di Bortone.

[28] R. SCORCELLI, Ancora in tema di controlli a distanza ai sensi dell’art. 4 SL sui limiti di liceità dei cd controlli difensivi, in DL Rivista di diritto del lavoro privato e pubblico, 2007 fasc. 4, pp. 1205 ss.

[29] G. CINQUE, Sull'ammissibilità ed i limiti dei cd. controlli difensivi del patrimonio aziendale, in Orientamenti della giurisprudenza del lavoro, 2010 fasc. 3 pp. 616 ss.

[30] Cass. 27 Febbraio 2012 n. 2722, in Guida lav., 2012, n.11, 3.