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La fine del matrimonio delle persone fragili prive di capacità

Matrimonio
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Abstract

Secondo la giurisprudenza, sia il beneficiario di amministrazione di sostegno che il giudice tutelare abbia privato della capacità di agire, sia l’interdetto giudiziale possono separarsi e divorziare. Ciò avviene attraverso la sostituzione dell’incapace, da parte del suo rappresentante legale, amministratore di sostegno o tutore che sia. Ciò può avvenire, inoltre, non soltanto quando l’iniziativa per la separazione o per il divorzio sia presa dal coniuge della persona fragile, ma anche in conseguenza dell’iniziativa presa direttamente del rappresentante legale di questi.

 

Indice:

1. Separazione e divorzio del rappresentato, su iniziativa del rappresentante legale di questi

2. La volontà “conforme” al volere del rappresentato incapace

3. Un dubbio di legittimità costituzionale sull’orientamento della giurisprudenza

 

1. Separazione e divorzio del rappresentato, su iniziativa del rappresentante legale di questi

Secondo la giurisprudenza (non abbondantissima, ma ormai costante: C. 2018/14669; C. 2000/9582; T. Catania, 15.1.2015; T. Milano, 19.2.2014; T. Cagliari, 15.6.2010; T. Roma, 10.3.2009; T. Modena, 25.10.2007; T. Modena, 26.10.2007), gli atti personalissimi destinati alla gestione della crisi coniugale della persona legalmente incapace, sia essa interdetta, o beneficiaria di amministrazione di sostegno (e privata della capacità, con riferimento alla separazione e al divorzio), possono essere compiuti, in nome e per conto di tale soggetto, dal rappresentante legale.

Tanto l’azione per la separazione giudiziale, quanto l’azione per il divorzio, insomma, parrebbero poter essere intentate direttamente dal tutore, in nome e per conto dell’interdetto, o dall’amministratore di sostegno, in nome e per conto del beneficiario, qualora costui non abbia sul punto autonomia e capacità.

Con specifico riferimento al divorzio dell’interdetto, un argomento testuale viene ricavato dall’articolo 4, 5° comma, Legge 898/1970, che, in una prospettiva meramente difensiva, espressamente consente al rappresentante dell’infermo di mente di resistere in nome e per conto del rappresentato, alla domanda di divorzio proposta dall’altro coniuge (in verità, la previsione testuale della norma contempla la nomina di un curatore speciale, ma, ormai, la giurisprudenza ritiene che la legittimazione in parola possa stare anche direttamente in capo al rappresentante generale, salvo che nelle ipotesi in cui vi sia conflitto di interessi).

Se il rappresentante legale può resistere alla domanda di divorzio in nome e per conto del rappresentato, si afferma, allora egli deve poter anche agire a tale fine, e lo stesso deve poter fare per la separazione (C. 2018/14669; C. 2000/9582). Del resto, si aggiunge più in generale, negare una tale legittimazione al rappresentante legale dell’incapace significherebbe negare protezione a diritti fondamentali della persona, come sono considerati quelli a separarsi e a divorziare, in quanto espressione della libertà matrimoniale negativa, fondata, come la positiva, sugli articoli 2 e 29 Cost. (C. 2018/14669).

Solo ove vi sia un espresso  divieto normativo, come accade con l’articolo 85 Codice Civile per il matrimonio, si precisa in giurisprudenza (così, nuovamente, C. 2018/14669), si deve negare al rappresentante legale il potere di compiere l’atto in nome e per conto del rappresentato, mentre con riguardo a quegli atti per i quali un tale espresso divieto manchi, tale potere va riconosciuto, al fine di non limitare la concreta titolarità di diritti fondamentali in capo all’incapace.

 

2. La volontà “conforme” al volere del rappresentato incapace

Una parte della giurisprudenza di merito (T. Catania, 15.1.2015; T. Milano, 19.2.2014; T. Cagliari, 15.6.2010), poi, aggiunge che, all’atto di compiere codeste scelte di gestione della crisi coniugale in nome e per conto del rappresentato, il rappresentante dovrà esprimere una volontà conforme al volere del rappresentato, il che, in molti casi, varrà a dire, conforme alla volontà che questi avrebbe avuto, se ancora fosse stato in grado di formare in sé una volontà compiuta e consapevole.

A tale scopo, inoltre, occorrerebbe ricavare questa volontà ipotetica, mediante un procedimento di ricostruzione della vita della persona incapace; un procedimento, che, dipingendo il quadro degli orientamenti esistenziali, che il soggetto aveva coltivato quando ancora era in condizione di capacità, consenta di accertarne la presumibile permanente volontà, al momento del compimento dell’atto, da parte del legale rappresentante.

In questo modo, verrebbe da notare, la giurisprudenza di merito ha indicato, per atti “personalissimi” non concernenti la salute e i trattamenti sanitari, una soluzione assai simile a quella formalizzata nella legge, con riguardo alle decisioni sui trattamenti sanitari, laddove, con i commi 3° e 4° dell’articolo 4, Legge 219/2017, ha posto esplicitamente la legittimazione ad esprimere il consenso al trattamento in capo al rappresentante legale dell’incapace, e questo, per l’interdizione, sentendo “l’interdetto ove possibile”, e, per l’amministrazione di sostegno, “tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere”.

 

3. Un dubbio di legittimità costituzionale sull’orientamento della giurisprudenza

Resta da chiedersi come si giustifichino oggi, alla luce della unanime posizione della giurisprudenza, che si è appena richiamata, l’impedimento matrimoniale previsto all’articolo 85 Codice Civile per l’interdetto, nonché l’estensibilità di esso anche al beneficiario di amministrazione di sostegno, che in giurisprudenza viene reputata ammissibile, benché solo eccezionalmente, sulla base dell’articolo 411, 4° comma, Codice Civile.

Il risultato di non consentire all’incapace, attraverso l’intervento del rappresentante che ne ricostruisca la volontà, il matrimonio, e di consentirgli, viceversa, gli atti per l’attenuazione o lo scioglimento del matrimonio stesso, difatti, significa dare alla persona molta maggior tutela in punto di libertà matrimoniale negativa, che non in punto di libertà matrimoniale positiva.

Una tale differenza tra l’espansione della libertà matrimoniale positiva e l’espansione di quella negativa, allora, fa sorgere più di un dubbio di legittimità, dal momento che la libertà matrimoniale sembra essere garantita e tutelata dall’articolo 29 Costituzione, complessivamente ed uniformemente, senza che, al riguardo, possa darsi rilievo all’esistenza di divieti normativi, che sono, sì, espressi, ma soltanto da fonti di rango ordinario, come, appunto, quello recato dall’articolo 85 Codice Civile.

Letture consigliate:

L. Balestra, Gli atti personalissimi del beneficiario di amministrazione di sostegno, in Familia, 2005, I, pp. 665 ss.;

F. Anelli, La separazione e il divorzio dell’infermo di mente, in Fam. dir., 2008, p. 282 ss.;

G. Bonilini, Dell’amministrazione di sostegno, Articoli 404-413, in Commentario Schlesinger, Milano, 2018, II ed.; R. Masoni, Il giudice tutelare, Milano, 2018, pp. 575 ss.;

I. Prisco, Amministrazione di sostegno e atti personalissimi, Napoli, 2018, p. 67 ss.;

M. N. Bugetti, Atti personali e patrimoniali del beneficiario di amministrazione di sostegno, in Fam. dir., 2019, p. 807 ss.