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TRUST: la giurisprudenza italiana fino ad oggi

Sommario:

1. Premesse

2. La sentenza del Tribunale di Bologna del 1 ottobre 2003

3. Le decisioni derivanti da rifiuti dei Conservatori dei Registri Immobiliari di procedere alla trascrizioni di atti di trusts recanti trasferimenti di beni immobili da disponente a trustee

4. La decisione derivante dal rifiuto espresso dal Conservatore del Registro delle Imprese di procedere alla trascrizione nel Registro di atti di trusts recanti un trasferimento di quote sociali da un disponente ad trustee

5. Riflessioni finali

 

 

1. Premesse

Le corti italiane avanti le quali sono stati portati ad oggi trusts interni hanno sempre dovuto pronunciarsi solo in ordine alla legittimità e compatibilità dell’istituto rispetto al nostro diritto positivo.

 

La realtà di tale situazione è stata pienamente colta dal Tribunale di Bologna che, nella motivazione della decisione più importante in tema, si legge infatti "..a più di dieci anni dall’entrata in vigore della convenzione dell’Aja può ritenersi ampiamente superata la tesi che prospetta la contrarietà all’ordinamento italiano del trust e la sua conseguente irriconoscibilità" (Tribunale di Bologna, 1 ottobre 2003, in Trusts ed attività di Fiduciarie, 2004, pg.67).

 

Un passaggio comune a tutta la giurisprudenza che per sommi capi ci accingiamo a riassumere trova la sua base in un dato normativo che pare dimenticato da tutta quella dottrina che si è dogmaticamente opposta alla riconoscibilità dei trusts interni (si rinvia al sito dell’Associazione il Trust in Italia, per la raccolta completa della dottrina contraria al trust interno) e cioè la rilevanza indiscutibile della legge nazionale n. 364 del 16 ottobre 1989 di ratifica della Convenzione sulla legge Applicabile ai Trusts e al loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992.

 

Il legislatore, la cui intenzione non pare prestare il fianco ad alcun legittimo dubbio laddove esprime: "piena ed integrale esecuzione è data …" ha quindi consacrato in una legge interna le caratteristiche e gli effetti che vengono a prodursi all’interno del nostro ordinamento con la istituzione di un trust .

 

Non riconoscere questo passaggio, significa privare di ogni rilievo la citata legge di ratifica e su ciò tutte le corti nazionali sono state unanimi.

 

Ciò che invece induce spesso in errore quanti sommariamente si avvicinano all’istituto è che la struttura di trust delineato dal testo convenzionale non assolve alla pienezza del fenomeno, dovendo invece lo stesso conformarsi non solo al testo convenzionale ma altresì alla legge applicabile e alle norme imperative dello stato nel quale ne viene richiesto il riconoscimento.

 

In altri termini "trust" non è quel rapporto giuridico che sorge dal testo convenzionale bensì quel rapporto giuridico che assolve ed è portatore dei requisti minimi del testo convenzionale di cui agli artt. 2 e 11, insieme alle norme specifiche dell’ordinamento la cui legge è stata prescelta quale applicabile a quello specifico rapporto in base all’art. 6 della Convezione, e non in contrasto con i principi di ordine pubblico internazionale e del singolo paese nel quale ne viene richiesto il riconoscimento, in base agli artt. 15, 16 e 18 della Convenzione.

 

Probabilmente questo stato delle cose ha intimorito quanti si sono dovuti, volenti o nolenti, avvicinare all’istituto facendo sì che venisse prescelta la strada della "apodittica contrarietà" dell’istituto al nostro ordinamento, argomentando sempre e solo su alcuni articoli del ns. codice civile (le norme in materia di proprietà, trascrizione e di responsabilità universale del debitore soggetta a riserva di legge) non addentrandosi invece nei meandri ben più complessi dello scenario delineato.

 

La giurisprudenza oggi ha, a parere di chi scrive, reso questo stratagemma non più praticabile, spalancando invece le porte a problematiche ben più complesse, di ordine non solo civilistico ma soprattutto processuale, che sono conseguenti al dato acquisito della non incompatibilità e non contrarietà del trust all’ordinamento giuridico italiano.

 

2. La sentenza del Tribunale di Bologna del 1 ottobre 2003

 

Cominceremo l’excursus giurisprudenziale che ci è stato richiesto partendo non da un ordine cronologico ma da quella che ad oggi è la decisione più importante in materia.

 

In primo luogo perché rappresenta la prima decisione consacrata in una sentenza a conclusione di un procedimento di ordinaria cognizione e quindi in pieno contraddittorio fra le parti.

 

In secondo luogo per la portata estremamente innovativa di alcuni passaggi in diritto della motivazione e per la lettura moderna e consapevole che fornisce sull’istituto.

 

Venendo ora ai suoi passaggi sostanziali, merita evidenziare come il giudice bolognese abbia ribadito che non legittimare il trust interno significa privare di ogni valenza la legge di ratifica.

 

Se tale assunto è incontestabile, allo stesso modo nella legge di ratifica trova giustificazione giuridica la deroga alla riserva di legge espressa dal legislatore in tema di responsabilità universale del debitore.

 

In altri termini l’effetto segregativo che viene a prodursi sui beni in trust, tale per cui gli stessi sono estranei a qualsiasi vicenda dovesse colpire le parti coinvolte nel rapporto giuridico, non costituisce un’arbitraria deroga all’art. 2740 cc, generata da uno scellerato uso dell’autonomia negoziale, ma invece è legittimata dalla legge nazionale 364 del 1989 che ha ratificato una Convenzione che esprime quale effetto minimo sostanziale dei trusts, l’effetto segregativo suddetto, arrt. 2 ed 11 della Convenzione.

 

Ulteriore passaggio degno della massima nota è l’assoluta libertà di scelta della legge regolatrice che il giudice riconosce in capo al disponente laddove all’istituzione del trust sottendano scopi meritevoli di tutela da parte del nostro ordinamento.

 

L’autonomia negoziale quindi, che può spingersi fino al ricorso a negozi atipici e come tali dalle molteplici caratteristiche ed effetti, esce estremamente rafforzata da questa decisione. Sul punto rileva in particolare segnalare come l’applicazione di una legge straniera ad un rapporto squisitamente italiano non possa essere motivo di alcuna doglianza e censura, ancora una volta, quando, l’interesse portato dall’atto istitutivo è meritevole di tutela per il nostro ordinamento.

 

Molto interessante sul piano teorico è poi la qualificazione dei trusts come negozi unilaterali atipici, conformemente a quanto la dottrina più autorevole ha sempre esplicitato in proposito (M. Lupoi) laddove ribadiva che è ostile la struttura contrattuale alla fattispecie, peraltro molteplice, dei trusts.

3. Le decisioni derivanti da rifiuti dei Conservatori dei Registri Immobiliari di procedere alla trascrizioni di atti di trusts recanti trasferimenti di beni immobili da disponente a trustee.

 

Ugualmente anche in questo ambito una delle decisioni più importanti proviene dal foro di Bologna, decreto 28 aprile 2000 (in trusts ed attività fiduciare, 2000, 372).

 

Degno di nota, in ordine a questa decisione (che aveva titolo dallo stesso atto di trust che ha portato alla sentenza citata del 1 ottobre 2003, e che per altro fu il primo trasferimento diretto che vide scontare in Italia l’imposta fissa di registro; oggi punto consolidato) è l’ampia riflessione del giudicante espressa nonostante la sede non fosse di cognizione ordinaria. Infatti il magistrato si è spinto fino a identificare il trust come "proprietà qualificata" rigettando ogni eccezione in ordine alla tipicità delle norme in materia di diritti reali e di proprietà, rammentando l’avvento nel panorama giuridico-economico italiano di fattispecie atipiche, quali la multiproprietà, ben prima del trust.

 

Fanno inoltre parte di questa categoria le seguenti ulteriori decisioni:

- Tribunale di Chieti, 10 marzo 2000 in Trusts ed Attività fiduciarie, 2000, 372;

- Tribunale di Pisa, 22 dicembre 2001, in Trusts ed Attività fiduciarie, 2002, 241;

- Tribunale di Parma, 21 ottobre 2003, in Trusts ed Attività fiduciarie, 2004, 73;

- Tribunale di Milano 8-29 ottobre 2002 in Trusts ed Attività fiduciarie, 2003, 270;

- Tribunale di Verona 8 gennaio 2003 in Trusts ed Attività Fiduciarie, 2003

 

Questi provvedimenti, e segnatamente la prima bolognese citata, per ciò che concerne la problematica squisitamente attinente alla trascrivibilità, sono concordi nel ritenere che il potere di trascrivere discenda in capo al trustee in forza della legge di ratifica citata, che quindi deve direttamente ricondursi, all’art. 12 della Convenzione che riconosce il potere - diritto del trustee di comparire avanti autorità preposte per richiedere la trascrizione, laddove necessaria secondo le norme applicabili nel luogo in cui tale adempimento deve essere eseguito.

 

E’ infine ampiamente superata ogni eccezione sulla sedicente tipicità degli atti trascrivibili in quanto la prassi notarile in uso da tempo esegue con regolarità trascrizioni derivanti da fattispecie atipiche quali ad esempio le convenzioni di lottizazione.

 

In questo ambito meritano una doversosa riflessione due dei provvedimenti citati e cioè quelli di Verona e Pisa.

 

Il primo è un trust autodichiarato, che nasce dall’esigenza di proteggere un disabile, e al rifiuto opposto, sia dalla Conservatoria di Milano, sia da quella di Verona, i giudici ordinano al contrario la trascrizione.

 

I giudici veronesi poi, sulla falsariga di quanto già espresso dai colleghi pisani, rammentando che la riserva di legge dell’art.2740cc non è violata dall’istituzione di un trust in quanto legittimata dalla citata legge nazionale di ratifica, assimilano, ai fini della trascrizione, il trust al fondo patrimoniale, dimostrando in tal modo come la trascrizione sia ad ogni effetto compatibile con il nostro sistema normativa in tema.

4. La decisione derivante dal rifiuto espresso dal Conservatore del Registro delle Imprese di procedere alla trascrizione nel Registro di atti di trusts recanti un trasferimento di quote sociali da un disponente ad trustee.

 

In questo ambito rilevano due decisioni

 

La decisione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 17 luglio 1999, in Trusts ed attività fiduciarie 2000, 251 e la decisione del Tribunale di Bologna del 16 giugno 2003.

 

Relativamente alla prima è singolare rappresentare come dallo stesso atto di trust scaturivano due necessarie iscrizioni, l’una al registro di Napoli, l’altra a quello in questione. Il primo iscrive, il secondo nega in quanto il giudice ne dichiara l’incompatibilità con il nostro ordinamento.

 

La seconda ha invece un grande rilievo.

 

In primo luogo perché, a parere di chi scrive, proviene dal giudice del Registro che, nel foro bolognese, coincide con il Presidente della sezione fallimentare e quindi, in qualche modo c’è un visto di conformità di grande autorità e rilievo per l’istituto.

 

In secondo luogo perché, seppur in ambito latamente amministrativo, qual è il caso in esame, che infatti si è concluso con un decreto inaudita altera parte, la motivazione che ne è scaturita va ben oltre la mera iscrivibilità sul registro delle imprese di quote sociali a nome di un trustee.

 

Il giudice di specie infatti, si sofferma su una per una delle tesi contrarie al trust, sopra sommariamente riassunte e le destituisce di ogni fondamento giuridico sulla base di un semplice ragionamento: se così non fosse, infatti, non si vede perché lo Stato Italiano avrebbe dato integrale piena esecuzione alla Convenzione con la legge di ratifica.

 

E’ altro però il passaggio sostanziale riportato nella decisione in esame, e ripreso pedessiquamente dalla sentenza citata del Tribunale di Bologna del 1 ottobre 2003 e ci porta a confrontarlo con l’altra - ed unica - decisione ad oggi contraria in tema di trusts interni: il Tribunale di Belluno del 25 settembre 2002, in Trusts ed Attività Fiduciarie ,2003, 255.

 

Fra le tante, il Tribunale di Belluno sosteneva che non vi era incostituzionalità, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, laddove in applicazione della Convenzione dell’Aja, ad un cittadino, ad esempio inglese, fosse consentito fare trusts in Italia e lo stesso, invece, fosse vietato ad un cittadino italiano.

 

Una premessa in dottrina potrà aiutare:

 

Sosteneva tutta la dottrina favorevole ai trusts interni che non ammetterne la riconoscibilità nel nostro ordinamento avrebbe comportato una violazione dell’art. 3 della Costituzione in quanto si sarebbe vietato agli italiani di fare ciò che invece veniva consentito, ad uno straniero

 

L’esempio che veniva fatto in proposito è lampante: in base alla Convenzione un inglese, con beni in Italia, trustee italiano, e beneficiari italiani, può fare un trust che spiega i suoi effetti in Italia, applicando ad esso la legge di jersey.

 

Tale situazione identica in ogni suo passaggio, ad eccezione del fatto che il cittadino -disponente anzicchè essere inglese è italiano, veniva invece vietata da detta dottrina argomentando in base al criterio discriminante rappresentato dalla nazionalità del disponente.

 

Nel primo caso c’è un elemento di estraneità, il disponente è inglese, e quindi è possibile applicare ad un rapporto che presenta elementi di estraneità una legge diversa, nel secondo caso il disponente è italiano e quindi la suddetta applicabilità di legge straniera non appare possibile stante la mancanza di alcun elemento di estraneità.

Proprio ragionando da questo esempio, al contrario, il giudice del Registro bolognese ha invece giustamente ritenuto che ritenere la mera nazionalità un elemento di discriminazione, di fatto produrrebbe situazioni di forte disparità con ovvie ripercussioni anche sulla legittimità di tale Convenzione rispetto al citato art. 3 della nostra Costituzione. Ma ciò non è tutto perché il giudice afferma inoltre che se si adottasse tale strada si produrrebbe il perverso effetto di rendere tam quam non esset la legge di ratifica, il che certo non è possibile.

A corollario di questo ultimo passaggio del citato decreto bolognese, si aggiunge invece una riflessione di grande rilievo socio-economico, prima che giuridico, della sentenza di Bologna del 1 ottobre 2003. Il giudice afferma senza pudori che lo scopo che si è prefissato il legislatore con la ratifica di detta Convenzione è stato soprattutto quello di attrarre la gestione di patrimoni nel nostro paese, non di respingergli, di renderne la gestione alla luce del sole con ovvio beneficio anche per la circolazione interna della nostra ricchezza.

5. Riflessioni finali

La riflessione finale di cui si vuole rendervi partecipi non concerne quindi l’ammissibilità dei trusts interni sulla quale, oseremmo dire, ora, nulla quaestio.

 

Il problema è diverso, e poco studiato ad oggi.

Ci stiamo riferendo agli aspetti processuali ed esecutivi dei trusts, alla loro singola difendibilità o aggressività avanti le corti, non come istituto per massimi sistemi, ma come singolo atto che ad esempio sia in violazione di norme di applicazione necessaria appartenenti all’ordinamento la cui legge applicabile è stata invocata per disciplinare quel singolo rapporto.

 

Ci stiamo riferendo inoltre alle problematiche processuali in ordine alle azioni esecutive che possono essere intraprese da un trustee o dai beneficiari nei confronti del trustee, o da creditori dei beneficiari sempre verso il trustee.

 

Ed ancora, alla capacità del trust istituito di costituire uno strumento capace di riconoscere debiti e crediti che possano assurgere al ruolo di titolo esecutivo necessario per dare impulso a qualsiasi azione esecutiva.

 

Ed infine all’azione revocatoria ordinaria e fallimentare sul singolo trust con riferimento a tutte le problematiche delle quale tali istituti sono portatori, prime fra le quali la scientia fraudis.

 

Il problema è stato affrontato da chi scrive in un intervento tenutosi nell’ambito dei corsi di aggiornamento organizzati dal Consiglio Superiore della Magistratura, nel luglio 2003, e la relativa relazione è rinvenibile sul sito.

 

Non a caso proprio la magistratura si è posta questo problema, quella stessa magistratura che oggi pare dire, quanto meno leggendo la decisione bolognese citata, "basta parlare della contrarietà dei trusts al nostro ordinamento" e parliamo invece delle problematiche operative che vengono a presentarsi.

 

In attesa infatti che sul punto vengano raggiunti punti fermi, molte sono le problematiche processuali, civile e di comparazione che il professionista deve affrontare e dimenticarle sarebbe un grave errore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sommario:

1. Premesse

2. La sentenza del Tribunale di Bologna del 1 ottobre 2003

3. Le decisioni derivanti da rifiuti dei Conservatori dei Registri Immobiliari di procedere alla trascrizioni di atti di trusts recanti trasferimenti di beni immobili da disponente a trustee

4. La decisione derivante dal rifiuto espresso dal Conservatore del Registro delle Imprese di procedere alla trascrizione nel Registro di atti di trusts recanti un trasferimento di quote sociali da un disponente ad trustee

5. Riflessioni finali

 

 

1. Premesse

Le corti italiane avanti le quali sono stati portati ad oggi trusts interni hanno sempre dovuto pronunciarsi solo in ordine alla legittimità e compatibilità dell’istituto rispetto al nostro diritto positivo.

 

La realtà di tale situazione è stata pienamente colta dal Tribunale di Bologna che, nella motivazione della decisione più importante in tema, si legge infatti "..a più di dieci anni dall’entrata in vigore della convenzione dell’Aja può ritenersi ampiamente superata la tesi che prospetta la contrarietà all’ordinamento italiano del trust e la sua conseguente irriconoscibilità" (Tribunale di Bologna, 1 ottobre 2003, in Trusts ed attività di Fiduciarie, 2004, pg.67).

 

Un passaggio comune a tutta la giurisprudenza che per sommi capi ci accingiamo a riassumere trova la sua base in un dato normativo che pare dimenticato da tutta quella dottrina che si è dogmaticamente opposta alla riconoscibilità dei trusts interni (si rinvia al sito dell’Associazione il Trust in Italia, per la raccolta completa della dottrina contraria al trust interno) e cioè la rilevanza indiscutibile della legge nazionale n. 364 del 16 ottobre 1989 di ratifica della Convenzione sulla legge Applicabile ai Trusts e al loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992.

 

Il legislatore, la cui intenzione non pare prestare il fianco ad alcun legittimo dubbio laddove esprime: "piena ed integrale esecuzione è data …" ha quindi consacrato in una legge interna le caratteristiche e gli effetti che vengono a prodursi all’interno del nostro ordinamento con la istituzione di un trust .

 

Non riconoscere questo passaggio, significa privare di ogni rilievo la citata legge di ratifica e su ciò tutte le corti nazionali sono state unanimi.

 

Ciò che invece induce spesso in errore quanti sommariamente si avvicinano all’istituto è che la struttura di trust delineato dal testo convenzionale non assolve alla pienezza del fenomeno, dovendo invece lo stesso conformarsi non solo al testo convenzionale ma altresì alla legge applicabile e alle norme imperative dello stato nel quale ne viene richiesto il riconoscimento.

 

In altri termini "trust" non è quel rapporto giuridico che sorge dal testo convenzionale bensì quel rapporto giuridico che assolve ed è portatore dei requisti minimi del testo convenzionale di cui agli artt. 2 e 11, insieme alle norme specifiche dell’ordinamento la cui legge è stata prescelta quale applicabile a quello specifico rapporto in base all’art. 6 della Convezione, e non in contrasto con i principi di ordine pubblico internazionale e del singolo paese nel quale ne viene richiesto il riconoscimento, in base agli artt. 15, 16 e 18 della Convenzione.

 

Probabilmente questo stato delle cose ha intimorito quanti si sono dovuti, volenti o nolenti, avvicinare all’istituto facendo sì che venisse prescelta la strada della "apodittica contrarietà" dell’istituto al nostro ordinamento, argomentando sempre e solo su alcuni articoli del ns. codice civile (le norme in materia di proprietà, trascrizione e di responsabilità universale del debitore soggetta a riserva di legge) non addentrandosi invece nei meandri ben più complessi dello scenario delineato.

 

La giurisprudenza oggi ha, a parere di chi scrive, reso questo stratagemma non più praticabile, spalancando invece le porte a problematiche ben più complesse, di ordine non solo civilistico ma soprattutto processuale, che sono conseguenti al dato acquisito della non incompatibilità e non contrarietà del trust all’ordinamento giuridico italiano.

 

2. La sentenza del Tribunale di Bologna del 1 ottobre 2003

 

Cominceremo l’excursus giurisprudenziale che ci è stato richiesto partendo non da un ordine cronologico ma da quella che ad oggi è la decisione più importante in materia.

 

In primo luogo perché rappresenta la prima decisione consacrata in una sentenza a conclusione di un procedimento di ordinaria cognizione e quindi in pieno contraddittorio fra le parti.

 

In secondo luogo per la portata estremamente innovativa di alcuni passaggi in diritto della motivazione e per la lettura moderna e consapevole che fornisce sull’istituto.

 

Venendo ora ai suoi passaggi sostanziali, merita evidenziare come il giudice bolognese abbia ribadito che non legittimare il trust interno significa privare di ogni valenza la legge di ratifica.

 

Se tale assunto è incontestabile, allo stesso modo nella legge di ratifica trova giustificazione giuridica la deroga alla riserva di legge espressa dal legislatore in tema di responsabilità universale del debitore.

 

In altri termini l’effetto segregativo che viene a prodursi sui beni in trust, tale per cui gli stessi sono estranei a qualsiasi vicenda dovesse colpire le parti coinvolte nel rapporto giuridico, non costituisce un’arbitraria deroga all’art. 2740 cc, generata da uno scellerato uso dell’autonomia negoziale, ma invece è legittimata dalla legge nazionale 364 del 1989 che ha ratificato una Convenzione che esprime quale effetto minimo sostanziale dei trusts, l’effetto segregativo suddetto, arrt. 2 ed 11 della Convenzione.

 

Ulteriore passaggio degno della massima nota è l’assoluta libertà di scelta della legge regolatrice che il giudice riconosce in capo al disponente laddove all’istituzione del trust sottendano scopi meritevoli di tutela da parte del nostro ordinamento.

 

L’autonomia negoziale quindi, che può spingersi fino al ricorso a negozi atipici e come tali dalle molteplici caratteristiche ed effetti, esce estremamente rafforzata da questa decisione. Sul punto rileva in particolare segnalare come l’applicazione di una legge straniera ad un rapporto squisitamente italiano non possa essere motivo di alcuna doglianza e censura, ancora una volta, quando, l’interesse portato dall’atto istitutivo è meritevole di tutela per il nostro ordinamento.

 

Molto interessante sul piano teorico è poi la qualificazione dei trusts come negozi unilaterali atipici, conformemente a quanto la dottrina più autorevole ha sempre esplicitato in proposito (M. Lupoi) laddove ribadiva che è ostile la struttura contrattuale alla fattispecie, peraltro molteplice, dei trusts.

3. Le decisioni derivanti da rifiuti dei Conservatori dei Registri Immobiliari di procedere alla trascrizioni di atti di trusts recanti trasferimenti di beni immobili da disponente a trustee.

 

Ugualmente anche in questo ambito una delle decisioni più importanti proviene dal foro di Bologna, decreto 28 aprile 2000 (in trusts ed attività fiduciare, 2000, 372).

 

Degno di nota, in ordine a questa decisione (che aveva titolo dallo stesso atto di trust che ha portato alla sentenza citata del 1 ottobre 2003, e che per altro fu il primo trasferimento diretto che vide scontare in Italia l’imposta fissa di registro; oggi punto consolidato) è l’ampia riflessione del giudicante espressa nonostante la sede non fosse di cognizione ordinaria. Infatti il magistrato si è spinto fino a identificare il trust come "proprietà qualificata" rigettando ogni eccezione in ordine alla tipicità delle norme in materia di diritti reali e di proprietà, rammentando l’avvento nel panorama giuridico-economico italiano di fattispecie atipiche, quali la multiproprietà, ben prima del trust.

 

Fanno inoltre parte di questa categoria le seguenti ulteriori decisioni:

- Tribunale di Chieti, 10 marzo 2000 in Trusts ed Attività fiduciarie, 2000, 372;

- Tribunale di Pisa, 22 dicembre 2001, in Trusts ed Attività fiduciarie, 2002, 241;

- Tribunale di Parma, 21 ottobre 2003, in Trusts ed Attività fiduciarie, 2004, 73;

- Tribunale di Milano 8-29 ottobre 2002 in Trusts ed Attività fiduciarie, 2003, 270;

- Tribunale di Verona 8 gennaio 2003 in Trusts ed Attività Fiduciarie, 2003

 

Questi provvedimenti, e segnatamente la prima bolognese citata, per ciò che concerne la problematica squisitamente attinente alla trascrivibilità, sono concordi nel ritenere che il potere di trascrivere discenda in capo al trustee in forza della legge di ratifica citata, che quindi deve direttamente ricondursi, all’art. 12 della Convenzione che riconosce il potere - diritto del trustee di comparire avanti autorità preposte per richiedere la trascrizione, laddove necessaria secondo le norme applicabili nel luogo in cui tale adempimento deve essere eseguito.

 

E’ infine ampiamente superata ogni eccezione sulla sedicente tipicità degli atti trascrivibili in quanto la prassi notarile in uso da tempo esegue con regolarità trascrizioni derivanti da fattispecie atipiche quali ad esempio le convenzioni di lottizazione.

 

In questo ambito meritano una doversosa riflessione due dei provvedimenti citati e cioè quelli di Verona e Pisa.

 

Il primo è un trust autodichiarato, che nasce dall’esigenza di proteggere un disabile, e al rifiuto opposto, sia dalla Conservatoria di Milano, sia da quella di Verona, i giudici ordinano al contrario la trascrizione.

 

I giudici veronesi poi, sulla falsariga di quanto già espresso dai colleghi pisani, rammentando che la riserva di legge dell’art.2740cc non è violata dall’istituzione di un trust in quanto legittimata dalla citata legge nazionale di ratifica, assimilano, ai fini della trascrizione, il trust al fondo patrimoniale, dimostrando in tal modo come la trascrizione sia ad ogni effetto compatibile con il nostro sistema normativa in tema.

4. La decisione derivante dal rifiuto espresso dal Conservatore del Registro delle Imprese di procedere alla trascrizione nel Registro di atti di trusts recanti un trasferimento di quote sociali da un disponente ad trustee.

 

In questo ambito rilevano due decisioni

 

La decisione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 17 luglio 1999, in Trusts ed attività fiduciarie 2000, 251 e la decisione del Tribunale di Bologna del 16 giugno 2003.

 

Relativamente alla prima è singolare rappresentare come dallo stesso atto di trust scaturivano due necessarie iscrizioni, l’una al registro di Napoli, l’altra a quello in questione. Il primo iscrive, il secondo nega in quanto il giudice ne dichiara l’incompatibilità con il nostro ordinamento.

 

La seconda ha invece un grande rilievo.

 

In primo luogo perché, a parere di chi scrive, proviene dal giudice del Registro che, nel foro bolognese, coincide con il Presidente della sezione fallimentare e quindi, in qualche modo c’è un visto di conformità di grande autorità e rilievo per l’istituto.

 

In secondo luogo perché, seppur in ambito latamente amministrativo, qual è il caso in esame, che infatti si è concluso con un decreto inaudita altera parte, la motivazione che ne è scaturita va ben oltre la mera iscrivibilità sul registro delle imprese di quote sociali a nome di un trustee.

 

Il giudice di specie infatti, si sofferma su una per una delle tesi contrarie al trust, sopra sommariamente riassunte e le destituisce di ogni fondamento giuridico sulla base di un semplice ragionamento: se così non fosse, infatti, non si vede perché lo Stato Italiano avrebbe dato integrale piena esecuzione alla Convenzione con la legge di ratifica.

 

E’ altro però il passaggio sostanziale riportato nella decisione in esame, e ripreso pedessiquamente dalla sentenza citata del Tribunale di Bologna del 1 ottobre 2003 e ci porta a confrontarlo con l’altra - ed unica - decisione ad oggi contraria in tema di trusts interni: il Tribunale di Belluno del 25 settembre 2002, in Trusts ed Attività Fiduciarie ,2003, 255.

 

Fra le tante, il Tribunale di Belluno sosteneva che non vi era incostituzionalità, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, laddove in applicazione della Convenzione dell’Aja, ad un cittadino, ad esempio inglese, fosse consentito fare trusts in Italia e lo stesso, invece, fosse vietato ad un cittadino italiano.

 

Una premessa in dottrina potrà aiutare:

 

Sosteneva tutta la dottrina favorevole ai trusts interni che non ammetterne la riconoscibilità nel nostro ordinamento avrebbe comportato una violazione dell’art. 3 della Costituzione in quanto si sarebbe vietato agli italiani di fare ciò che invece veniva consentito, ad uno straniero

 

L’esempio che veniva fatto in proposito è lampante: in base alla Convenzione un inglese, con beni in Italia, trustee italiano, e beneficiari italiani, può fare un trust che spiega i suoi effetti in Italia, applicando ad esso la legge di jersey.

 

Tale situazione identica in ogni suo passaggio, ad eccezione del fatto che il cittadino -disponente anzicchè essere inglese è italiano, veniva invece vietata da detta dottrina argomentando in base al criterio discriminante rappresentato dalla nazionalità del disponente.

 

Nel primo caso c’è un elemento di estraneità, il disponente è inglese, e quindi è possibile applicare ad un rapporto che presenta elementi di estraneità una legge diversa, nel secondo caso il disponente è italiano e quindi la suddetta applicabilità di legge straniera non appare possibile stante la mancanza di alcun elemento di estraneità.

Proprio ragionando da questo esempio, al contrario, il giudice del Registro bolognese ha invece giustamente ritenuto che ritenere la mera nazionalità un elemento di discriminazione, di fatto produrrebbe situazioni di forte disparità con ovvie ripercussioni anche sulla legittimità di tale Convenzione rispetto al citato art. 3 della nostra Costituzione. Ma ciò non è tutto perché il giudice afferma inoltre che se si adottasse tale strada si produrrebbe il perverso effetto di rendere tam quam non esset la legge di ratifica, il che certo non è possibile.

A corollario di questo ultimo passaggio del citato decreto bolognese, si aggiunge invece una riflessione di grande rilievo socio-economico, prima che giuridico, della sentenza di Bologna del 1 ottobre 2003. Il giudice afferma senza pudori che lo scopo che si è prefissato il legislatore con la ratifica di detta Convenzione è stato soprattutto quello di attrarre la gestione di patrimoni nel nostro paese, non di respingergli, di renderne la gestione alla luce del sole con ovvio beneficio anche per la circolazione interna della nostra ricchezza.

5. Riflessioni finali

La riflessione finale di cui si vuole rendervi partecipi non concerne quindi l’ammissibilità dei trusts interni sulla quale, oseremmo dire, ora, nulla quaestio.

 

Il problema è diverso, e poco studiato ad oggi.

Ci stiamo riferendo agli aspetti processuali ed esecutivi dei trusts, alla loro singola difendibilità o aggressività avanti le corti, non come istituto per massimi sistemi, ma come singolo atto che ad esempio sia in violazione di norme di applicazione necessaria appartenenti all’ordinamento la cui legge applicabile è stata invocata per disciplinare quel singolo rapporto.

 

Ci stiamo riferendo inoltre alle problematiche processuali in ordine alle azioni esecutive che possono essere intraprese da un trustee o dai beneficiari nei confronti del trustee, o da creditori dei beneficiari sempre verso il trustee.

 

Ed ancora, alla capacità del trust istituito di costituire uno strumento capace di riconoscere debiti e crediti che possano assurgere al ruolo di titolo esecutivo necessario per dare impulso a qualsiasi azione esecutiva.

 

Ed infine all’azione revocatoria ordinaria e fallimentare sul singolo trust con riferimento a tutte le problematiche delle quale tali istituti sono portatori, prime fra le quali la scientia fraudis.

 

Il problema è stato affrontato da chi scrive in un intervento tenutosi nell’ambito dei corsi di aggiornamento organizzati dal Consiglio Superiore della Magistratura, nel luglio 2003, e la relativa relazione è rinvenibile sul sito.

 

Non a caso proprio la magistratura si è posta questo problema, quella stessa magistratura che oggi pare dire, quanto meno leggendo la decisione bolognese citata, "basta parlare della contrarietà dei trusts al nostro ordinamento" e parliamo invece delle problematiche operative che vengono a presentarsi.

 

In attesa infatti che sul punto vengano raggiunti punti fermi, molte sono le problematiche processuali, civile e di comparazione che il professionista deve affrontare e dimenticarle sarebbe un grave errore.