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Amministratore di società, conflitto di interessi e difetto di rappresentanza

Nota a Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 26 gennaio 2006, n. 15215
La prima sezione civile (sentenza n. 15215 del 26 gennaio 2006) è intervenuta su un argomento che periodicamente è oggetto di decisioni giurisprudenziali: l’efficacia, nei confronti della società rappresentata, degli atti posti in essere dagli amministratori o dal legale rappresentante nel caso in cui questi siano contrari all’oggetto sociale o compiuti in assenza della dovuta e prescritta delibera assembleare.

La tematica in esame impone l’analisi del rapporto intercorrente tra le norme di cui agli at 1394 e 1395 Codice Civile, costituenti l’espressione di principi generali, e gli articoli 2384 e 2391 Codice Civile, espressione, invece, dell’autonomia negoziale. In altre parole si deve coordinare il rapporto tra rappresentante e rappresentato nei confronti dei terzi con la disciplina solitaria che a differenza di altri rapporti negoziali, è caratterizzata per la presenza di meccanismi di pubblicità quali le iscrizioni nel registro delle imprese di ogni modifica riguardante la compagine sociale.

Sullo sfondo, poi, resta il principio dell’affidamento dei terzi che regola, da sempre, il traffico giuridico importane sopratutto in un settore come quello del diritto commerciale dove la celerità dei rapporti rappresenta un’esigenza ineludibile.

In fatto il caso in esame vedeva la richiesta di pagamento dei propri onorari da parte di due professionisti per opere di consulenza nei confronti della società A. Il capitale di detta società era costituito per il 50% a quote spettanti alla società B di cui il sig. X era titolare.

Tale incarico era stato conferito da quest’ultimo il quale aveva agito quale legale rappresentante poco prima che la quasi totalità delle quote della società B fosse ceduta ad altra società. Alla richiesta sopra citata si opponeva la società A sostenendo che l’incarico professionale era stata commissionato dal sig. X senza che il Consiglio di Amministrazione si fosse riunito e avesse deliberato in tal senso.

Sul piano di fatto, come evidenziato dalla sentenza della corte, era pacifico ed incontestato che il predetto incarico fosse il frutto di una libera e volontaria scelta personale dell’amministratore nonostante lo Statuto e l’Atto costitutivo prevedessero la competenza del Consiglio di Amministrazione per ogni atto i gestione sia straordinaria sia ordinaria dell’impresa. Differenti, però, sono le ricostruzioni in punto di diritto fornite dalle particoloi contrapposte e la corte confermando quanto espresso dalla Corte di Appello sposa le ragioni della società affermano il principio che mentre l’articolo 1394 Codice Civile rappresenta una norma i carattere generale sia l’articolo 2384 che 2391 sono l’espressione dell’autonomia negoziale.

Se nel conflitto di interessi di cui all’articolo 1394 Codice Civile, secondo la ricostruzione della giurisprudenza e della dottrina maggioritaria, il conflitto si caratterizza per un’attività posta in essere dal rappresentante che paia, per il raggiungimento di obbiettivi incompatibili con quelli per il quale è stato conferito il potere rappresentativo, dannosa per la sfera giuridica del rappresentante nell’articolo 2391 Codice Civile la società non può opporre ai terzi quelle limitazioni al potere di rappresentanza che derivino dall’atto costitutivo o da successive iscrizioni a meno che non si provi che gli stessi terzi abbiano agito intenzionalmente a danno della medesima.

Sul piano soggettivo mentre nell’articolo 1394 Codice Civile basta provare, anche sulla base di indici presuntivi, la conoscibilità della situazione di conflitto in capo al terzo nell’articolo 2384 Codice Civile occorre, invece, la dimostrazione dell’esistenza di un vero e proprio dolo da particoloe del terzo secondo quella che è la ricostruzione, ormai, consolidata in giurisprudenza. Sul piano oggettivo se nell’articolo 1394 la presenza di limitazioni al potere rappresentativo sono opponibili al terzo che, quindi non può far valere il principio dell’affidamento a suo favore, nell’articolo 2384 Codice Civile tali limitazioni sono opponibili solo e nella misura in cui si provi che oltre ad esserne a conoscenza questi a agito intenzionalmente per procurare un danno ala società.

La Corte, inoltre, opera un’interessante ricostruzione in merito alla ratio che sta ala base del meccanismo di cui agli articolo 2384 e 2391 Codice Civile, sottolineando come per una precisione scelta del legislatore questi ha deciso di porre a carico delle società il rischio delle violazioni commesse dagli amministratori mediante il compimento di atti estranei all’oggetto sociale o comunque eccedenti i poteri loro conferiti.

Tale rischio, dunque, è stato posto a carico delle società in modo da garantire la sicurezza dei terzi che queste avrebbero fato fronte agli atti compiuti dagli amministratori anche se posti in violazione dello statuto. Tutto ciò, secondo l’opinione della corte, lungi dal penalizzare le società consente una maggior valorizzazione delle stesse eliminando la potenziale remora alla instaurazione d rapporti con esse. Il meccanismo descritto all’articolo 2384 Codice Civile, del resto, è stato tenuto fermo anche dalla novella legislativa portata dal Decreto Legislativo 17 gennaio 2003 n. 06. Fino al 1969, invece, il meccanismo dell’opponibilità delle limitazioni al potere di rappresentanza era sostanzialmente inverso poiché a società poteva far valere tutte quelle limitazioni che fossero state iscritte nel registro delle imprese, o in mancanza di tale adempimento, una volta dimostrata la conoscenza dei terzi. Era assente, perciò, ogni riferimento ad elementi soggettivi come il dolo o l’intenzione d agire in danno della società.

Le influenze del diritto comunitario, però, hanno portato al descritta evoluzione. Con riferimento alla sentenza in commento i ricorrenti nei confronti della società sostenevano l’inapplicabilità della regola generale posta dall’articolo 1394 Codice Civile che doveva cedere il passo all’applicazione rispettivamente degli articolo 2384 e 2391 Codice Civile poiché l’incarico professionale era stato conferito in contrasto con quanto previsto dallo statuto circostanza, peraltro, pacifica.

La Corte, in verità, se da un lato denota come allo stato degli atti sia mancata la prova del dolo prevista dall’articolo 2391 Codice Civile quest’ultima norma, confermando il precedente orientamento, non possa essere applicata poiché in questo caso è assente una antecedente deliberazione.

Il caso di dissociazione tra il potere di gestione e quello di rappresentanza quando come in questa circostanza la contestazione avvenga in una fase prodromica quella eventualmente deliberativa deve essere regolato dall’ articolo 1394 Codice Civile norma generale sul conflitto di interessi ove necessariamente, data la natura del potere rappresentativo, il rappresentante deve perseguire l’interesse del rappresentante.

La sussistenza del conflitto di interessi, come detto in precedenza, può essere ricavata sulla base di elementi presuntivi e secondo l’indirizzo prevalente in giurisprudenza il danno basta che sia potenziale e non necessariamente effettivamente.

Tale giudizio, ovviamente, vertendo su elementi di fatto non è stato oggetto della pronuncia della Corte che ha rilevato come i ricorrenti sul punto, escluse generiche censure, non avessero sollevato elementi tali da dedurre un vizio di violazione o falsa applicazione della legge. La Corte di Appello, dunque, sulla base delle circostanze fattuali sopra esposte e, in particolar modo la circostanza che mancasse una deliberazione del Consiglio di Amministrazione come da Statuto, ha optato per l’applicazione dell’articolo 1394 Codice Civile ritenendo sussistente una situazione di conflitto di interessi tra amministratore e società.

Il decidere, nel caso concreto, tra l’applicazione di norma o dell’altra non risulta un mero problema accademico o interpretativo ma genera differenti conseguenze come ha indicato attenta dottrina. In primo luogo i diversi termini per far valere l’annullamento dell’atto concluso in una situazione di conflitto di interessi: l’azione generale di annullamento prevista dall’articolo 1394 Codice Civile si prescrive nel termine ordinario di 5 anni mentre l’articolo 2391 Codice Civile prevede il termine di decadenza di 3 mesi per far valere l’annullabilità della delibera. Il primo termine, poi, è previsto a pena di prescrizione il secondo, invece, a pena i decadenza con tutte le conseguenze del caso in orine al tempo per l’esercizio dell’azione ed all’interruzione dei termini.

Differente è anche la legittimazione all’esercizio dell’azione nelle due norme: nell’articolo 1394 Codice Civile tale potere è attribuito all’interessato (l’azione spetta allora all’organo sociale competente), nell’articolo 2391 Codice Civile agli amministratori assenti, dissenzienti ed ai sindaci. In conclusione diverso è anche l’oggetto su cui deve cadere la conoscenza del terzo: il conflitto stesso di interessi nell’articolo 1394 Codice Civile mentre nell’articolo 2391 Codice Civile risulta indirettamente dalla consapevolezza dell’invalidità della precedente deliberazione.

La notevole diversità sul piano delle conseguenze che scaturisce dall’optare per una norma o per l’altra si apprezza, poi, sul piano della prova che deve fornire il rappresentato visto che sicuramente l’onere previsto dall’articolo 2391 Codice Civile risulta ben più gravoso, facendo riferimento all’elemento del dolo del terzo, rispetto alla conoscibilità del conflitto di cui all’articolo 1394 Codice Civile che può essere ricavata anche sulla base di indici presuntivi senza trascurare il fatto che il danno derivante dalla situazione di contrasto di interessi può essere anche potenziale.

La prima sezione civile (sentenza n. 15215 del 26 gennaio 2006) è intervenuta su un argomento che periodicamente è oggetto di decisioni giurisprudenziali: l’efficacia, nei confronti della società rappresentata, degli atti posti in essere dagli amministratori o dal legale rappresentante nel caso in cui questi siano contrari all’oggetto sociale o compiuti in assenza della dovuta e prescritta delibera assembleare.

La tematica in esame impone l’analisi del rapporto intercorrente tra le norme di cui agli at 1394 e 1395 Codice Civile, costituenti l’espressione di principi generali, e gli articoli 2384 e 2391 Codice Civile, espressione, invece, dell’autonomia negoziale. In altre parole si deve coordinare il rapporto tra rappresentante e rappresentato nei confronti dei terzi con la disciplina solitaria che a differenza di altri rapporti negoziali, è caratterizzata per la presenza di meccanismi di pubblicità quali le iscrizioni nel registro delle imprese di ogni modifica riguardante la compagine sociale.

Sullo sfondo, poi, resta il principio dell’affidamento dei terzi che regola, da sempre, il traffico giuridico importane sopratutto in un settore come quello del diritto commerciale dove la celerità dei rapporti rappresenta un’esigenza ineludibile.

In fatto il caso in esame vedeva la richiesta di pagamento dei propri onorari da parte di due professionisti per opere di consulenza nei confronti della società A. Il capitale di detta società era costituito per il 50% a quote spettanti alla società B di cui il sig. X era titolare.

Tale incarico era stato conferito da quest’ultimo il quale aveva agito quale legale rappresentante poco prima che la quasi totalità delle quote della società B fosse ceduta ad altra società. Alla richiesta sopra citata si opponeva la società A sostenendo che l’incarico professionale era stata commissionato dal sig. X senza che il Consiglio di Amministrazione si fosse riunito e avesse deliberato in tal senso.

Sul piano di fatto, come evidenziato dalla sentenza della corte, era pacifico ed incontestato che il predetto incarico fosse il frutto di una libera e volontaria scelta personale dell’amministratore nonostante lo Statuto e l’Atto costitutivo prevedessero la competenza del Consiglio di Amministrazione per ogni atto i gestione sia straordinaria sia ordinaria dell’impresa. Differenti, però, sono le ricostruzioni in punto di diritto fornite dalle particoloi contrapposte e la corte confermando quanto espresso dalla Corte di Appello sposa le ragioni della società affermano il principio che mentre l’articolo 1394 Codice Civile rappresenta una norma i carattere generale sia l’articolo 2384 che 2391 sono l’espressione dell’autonomia negoziale.

Se nel conflitto di interessi di cui all’articolo 1394 Codice Civile, secondo la ricostruzione della giurisprudenza e della dottrina maggioritaria, il conflitto si caratterizza per un’attività posta in essere dal rappresentante che paia, per il raggiungimento di obbiettivi incompatibili con quelli per il quale è stato conferito il potere rappresentativo, dannosa per la sfera giuridica del rappresentante nell’articolo 2391 Codice Civile la società non può opporre ai terzi quelle limitazioni al potere di rappresentanza che derivino dall’atto costitutivo o da successive iscrizioni a meno che non si provi che gli stessi terzi abbiano agito intenzionalmente a danno della medesima.

Sul piano soggettivo mentre nell’articolo 1394 Codice Civile basta provare, anche sulla base di indici presuntivi, la conoscibilità della situazione di conflitto in capo al terzo nell’articolo 2384 Codice Civile occorre, invece, la dimostrazione dell’esistenza di un vero e proprio dolo da particoloe del terzo secondo quella che è la ricostruzione, ormai, consolidata in giurisprudenza. Sul piano oggettivo se nell’articolo 1394 la presenza di limitazioni al potere rappresentativo sono opponibili al terzo che, quindi non può far valere il principio dell’affidamento a suo favore, nell’articolo 2384 Codice Civile tali limitazioni sono opponibili solo e nella misura in cui si provi che oltre ad esserne a conoscenza questi a agito intenzionalmente per procurare un danno ala società.

La Corte, inoltre, opera un’interessante ricostruzione in merito alla ratio che sta ala base del meccanismo di cui agli articolo 2384 e 2391 Codice Civile, sottolineando come per una precisione scelta del legislatore questi ha deciso di porre a carico delle società il rischio delle violazioni commesse dagli amministratori mediante il compimento di atti estranei all’oggetto sociale o comunque eccedenti i poteri loro conferiti.

Tale rischio, dunque, è stato posto a carico delle società in modo da garantire la sicurezza dei terzi che queste avrebbero fato fronte agli atti compiuti dagli amministratori anche se posti in violazione dello statuto. Tutto ciò, secondo l’opinione della corte, lungi dal penalizzare le società consente una maggior valorizzazione delle stesse eliminando la potenziale remora alla instaurazione d rapporti con esse. Il meccanismo descritto all’articolo 2384 Codice Civile, del resto, è stato tenuto fermo anche dalla novella legislativa portata dal Decreto Legislativo 17 gennaio 2003 n. 06. Fino al 1969, invece, il meccanismo dell’opponibilità delle limitazioni al potere di rappresentanza era sostanzialmente inverso poiché a società poteva far valere tutte quelle limitazioni che fossero state iscritte nel registro delle imprese, o in mancanza di tale adempimento, una volta dimostrata la conoscenza dei terzi. Era assente, perciò, ogni riferimento ad elementi soggettivi come il dolo o l’intenzione d agire in danno della società.

Le influenze del diritto comunitario, però, hanno portato al descritta evoluzione. Con riferimento alla sentenza in commento i ricorrenti nei confronti della società sostenevano l’inapplicabilità della regola generale posta dall’articolo 1394 Codice Civile che doveva cedere il passo all’applicazione rispettivamente degli articolo 2384 e 2391 Codice Civile poiché l’incarico professionale era stato conferito in contrasto con quanto previsto dallo statuto circostanza, peraltro, pacifica.

La Corte, in verità, se da un lato denota come allo stato degli atti sia mancata la prova del dolo prevista dall’articolo 2391 Codice Civile quest’ultima norma, confermando il precedente orientamento, non possa essere applicata poiché in questo caso è assente una antecedente deliberazione.

Il caso di dissociazione tra il potere di gestione e quello di rappresentanza quando come in questa circostanza la contestazione avvenga in una fase prodromica quella eventualmente deliberativa deve essere regolato dall’ articolo 1394 Codice Civile norma generale sul conflitto di interessi ove necessariamente, data la natura del potere rappresentativo, il rappresentante deve perseguire l’interesse del rappresentante.

La sussistenza del conflitto di interessi, come detto in precedenza, può essere ricavata sulla base di elementi presuntivi e secondo l’indirizzo prevalente in giurisprudenza il danno basta che sia potenziale e non necessariamente effettivamente.

Tale giudizio, ovviamente, vertendo su elementi di fatto non è stato oggetto della pronuncia della Corte che ha rilevato come i ricorrenti sul punto, escluse generiche censure, non avessero sollevato elementi tali da dedurre un vizio di violazione o falsa applicazione della legge. La Corte di Appello, dunque, sulla base delle circostanze fattuali sopra esposte e, in particolar modo la circostanza che mancasse una deliberazione del Consiglio di Amministrazione come da Statuto, ha optato per l’applicazione dell’articolo 1394 Codice Civile ritenendo sussistente una situazione di conflitto di interessi tra amministratore e società.

Il decidere, nel caso concreto, tra l’applicazione di norma o dell’altra non risulta un mero problema accademico o interpretativo ma genera differenti conseguenze come ha indicato attenta dottrina. In primo luogo i diversi termini per far valere l’annullamento dell’atto concluso in una situazione di conflitto di interessi: l’azione generale di annullamento prevista dall’articolo 1394 Codice Civile si prescrive nel termine ordinario di 5 anni mentre l’articolo 2391 Codice Civile prevede il termine di decadenza di 3 mesi per far valere l’annullabilità della delibera. Il primo termine, poi, è previsto a pena di prescrizione il secondo, invece, a pena i decadenza con tutte le conseguenze del caso in orine al tempo per l’esercizio dell’azione ed all’interruzione dei termini.

Differente è anche la legittimazione all’esercizio dell’azione nelle due norme: nell’articolo 1394 Codice Civile tale potere è attribuito all’interessato (l’azione spetta allora all’organo sociale competente), nell’articolo 2391 Codice Civile agli amministratori assenti, dissenzienti ed ai sindaci. In conclusione diverso è anche l’oggetto su cui deve cadere la conoscenza del terzo: il conflitto stesso di interessi nell’articolo 1394 Codice Civile mentre nell’articolo 2391 Codice Civile risulta indirettamente dalla consapevolezza dell’invalidità della precedente deliberazione.

La notevole diversità sul piano delle conseguenze che scaturisce dall’optare per una norma o per l’altra si apprezza, poi, sul piano della prova che deve fornire il rappresentato visto che sicuramente l’onere previsto dall’articolo 2391 Codice Civile risulta ben più gravoso, facendo riferimento all’elemento del dolo del terzo, rispetto alla conoscibilità del conflitto di cui all’articolo 1394 Codice Civile che può essere ricavata anche sulla base di indici presuntivi senza trascurare il fatto che il danno derivante dalla situazione di contrasto di interessi può essere anche potenziale.