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Approvazione della direttiva 2005/29 avente ad oggetto le pratiche commerciali sleali

Pratiche vietate e definizione di consumatore medio

Approvazione della direttiva 2005/29 avente ad oggetto le pratiche commerciali sleali

Divieto generale contenuto nella direttiva: la direttiva 2005/29 non incide sulle condizioni di formazione, validità o efficacia del contratto, come non apporta norme aventi ad oggetto la salute dei consumatori o la sicurezza dei prodotti.

Essa si occupa esclusivamente degli interessi economici dei consumatori, la cui tutela, però, non deve ostacolare la libera circolazione dei beni, dei servizi, e dei lavoratori all’interno dell’Unione Europea ( in particolare è previsto il divieto di imporre ai professionisti ulteriori obblighi rispetto a quelli previsti dalla direttiva, purché il professionista rispetti le norme dello Stato membro di stabilimento ).

Indubbiamente la parte principale della direttiva 2005/29 è costituita dall’art. 5 dove, dopo aver affermato il divieto generale di effettuare pratiche commerciali sleali, vengono definite tali, se contrarie alla diligenza professionale ( ovvero, secondo l’art. 2h, contrastanti " rispetto a pratiche di mercato oneste e/o al principio generale della buona fede nel settore di attività del professionista, con il normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori " ) e se falsano o sono idonee a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio.

L’art. 5 par. 4 afferma che sono da considerare sleali le pratiche commerciali ingannevoli di cui agli artt. 6 e 7 e quelle aggressive di cui agli artt. 8 e 9.

L’art. 6 definisce pratica ingannevole quella " che contiene informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta…e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso ".

L’art. 6 contiene anche un elenco di elementi la cui ingannevolezza fa diventare la pratica commerciale sleale.

Si tratta, per esempio, dell’esistenza, della natura, delle caratteristiche principali del prodotto; del prezzo o del modo in cui questo è calcolato o dell’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo; della necessità di manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione; dei diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso; ecc.

Per l’art. 7 si è davanti ad un’omissione ingannevole ( quelle appena citate possono essere classificate come azioni ingannevoli ), quando, " tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato ", un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti per il prodotto e, tale modalità, " induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso ".

Particolarmente interessante risulta notare come, per quanto riguarda le omissioni ingannevoli, il legislatore comunitario sia più " tollerante " di quello italiano.

Infatti quest’ultimo, nel definire un messaggio pubblicitario ingannevole, non tiene conto dei limiti del mezzo usato per la diffusione del messaggio.

Inoltre la stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha, nei suoi provvedimenti, confermato questa tendenza considerando come tardivo l’intervento del venditore che successivamente alla diffusione del messaggio ingannevole cerca di porvi rimedio ( magari fornendo al momento del contatto diretto con il consumatore quelle informazioni non fornite nel messaggio promozionale ).

La posizione del legislatore comunitario però, pur essendo apprezzabile ( perché è difficile sostenere che, per esempio, un messaggio pubblicitario televisivo riesca a dare tutte le informazioni che è in grado di fornire un messaggio promozionale pubblicato sulla carta stampata ), risulta potenzialmente contrastante con le finalità di armonizzazione della legislazione perseguite dalla direttiva.

Infatti, seguendo questa concezione, si rischia di affidarsi eccessivamente alle valutazioni discrezionali delle singole autorità competenti sui limiti del mezzo tecnico usato, e di creare, quindi, differenze di applicazione della direttiva tra i Paesi UE.

Altra novità apportata dalla 2005/29 è la definizione delle pratiche commerciali " aggressive ", infatti quest’espressione non è mai stata usata in ambito europeo.

Secondo l’art. 8 è considerata aggressiva una pratica commerciale che, " nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso ".

Secondo il legislatore comunitario quindi le modalità attraverso le quali le " pratiche aggressive " possono essere perpetrate sono fondamentalmente molestie, coercizione ( compreso il ricorso alla forza fisica ) ed indebito condizionamento.

Per quanto riguarda le prime due fattispecie esse potrebbero essere rispettivamente definite come atti attraverso i quali si arrecano turbative alla situazione giuridica soggettiva di un individuo e si costringe un soggetto a tenere un dato comportamento.

L’indebito condizionamento invece viene definito dall’art. 2j " lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole ".

E’ stato lo stesso legislatore comunitario a formulare, nella proposta di direttiva avente ad oggetto le pratiche commerciali sleali, un caso di indebito condizionamento.

Quest’ultimo si verificherebbe, per esempio, anche quando un professionista offra ad un consumatore già indebitato nei suoi confronti, ed in ritardo con i pagamenti, la possibilità di rinegoziare il debito a condizione che questo acquisti un altro prodotto.

L’art. 9 della direttiva 2005/29 stabilisce che " nel determinare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi: i tempi, il luogo, la natura o la persistenza; il ricorso alla minaccia fisica o verbale; lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto; qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista; qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione non sia giuridicamente ammessa ".

Naturalmente i parametri appena citati risultano fondamentali al fine di valutare quando l’atteggiamento del professionista configuri una pratica commerciale aggressiva.

Dovrebbero essere proprio questi ad evitare, o più realisticamente a far diminuire,l’insorgere di contrasti in merito all’individuazione delle pratiche vietate dall’art. 8 della direttiva 2005/29, fra le autorità competenti dei diversi membri UE.

Altra importante novità, è quella contenuta dall’art. 5 par. 5 dove si afferma che sono da considerare in ogni caso sleali tutte quelle pratiche contenute nell’allegato I.

Quest’ultimo contiene 31 fattispecie, di cui 23 ingannevoli e la restante parte aggressive, che si applicano in ogni Stato membro e che possono essere modificate solo mediante revisione della direttiva.

Tale allegato costituisce sicuramente un’innovazione positiva, in quanto permette che sui casi in esso contenuti non vi sia bisogno di dar inizio ad alcun procedimento valutativo al fine di determinarne l’illiceità.

In tal modo non solo si evitano i rischi conseguenti all’esercizio della discrezionalità ( trasformazione di quest’ultima in arbitrio ) e si abbreviano i tempi di risoluzione delle controversie, ma si compie un notevole passo in avanti verso l’armonizzazione ( almeno per quanto riguarda le fattispecie contenute nell’allegato I ).

EÌ evidente infatti che predisponendo un elenco di fattispecie illecite diminuiscono notevolmente i rischi di valutazioni difformi.

Ciò naturalmente non vuol dire che non vi saranno più contrasti, dato che l’elenco riguarda solo un numero limitato di casi, e che comunque le controversie potranno avere ad oggetto i requisiti costitutivi dei casi elencati nell’allegato I.

Per esempio, per quanto riguarda le pratiche aggressive, quand’è che si crea l’impressione che il consumatore non possa lasciare il locale fino alla conclusione del contratto?

Il commerciante che continua a parlare della bontà del suo prodotto, nonostante il potenziale cliente abbia più volte espresso parere negativo all’acquisto, sta solo svolgendo il suo lavoro oppure pone in essere un comportamento illecito?

Per ciò che concerne, invece, le pratiche ingannevoli, il venditore di antifurti fino a che punto può citare statistiche, rappresentanti solo parzialmente la verità ( magari perché riferite a situazioni limite ), per dimostrare che il mancato acquisto di quest’ultimo aumenta i rischi per la sicurezza personale del consumatore o della sua famiglia?

Il consumatore medio: dalla direttiva 2005/29 si può facilmente notare come le pratiche commerciali sleali siano accomunate da due elementi: l’effetto, che è quello di indurre il consumatore ad effettuare decisioni commerciali ( che vengono definite dal legislatore comunitario all’art. 2k " decisioni prese da un consumatore relative a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene, o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto " ) che in assenza di comportamenti illeciti da parte del professionista ( " qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista" ) non avrebbe preso; il destinatario della pratica commerciale sleale, cioè il consumatore ( ovvero secondo l’art. 2 " qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale " ) medio ( secondo il considerando n. 18 si tratta del consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. La nozione di consumatore medio non è statistica, ma per determinarne il contenuto sarà necessario prendere come riferimento la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea ).

La specificazione degli elementi appena menzionati non può che essere considerata un’importante innovazione chiarificatrice.

Infatti la direttiva 1984/450, ed il conseguente d. lgs. 74/1992, avevano sollevato interpretazioni contrastanti.

Per quanto riguarda l’effetto dei comportamenti posti in essere da un professionista, il decreto appena menzionato si limita solamente ad affermare che per la repressione della pubblicità non è sufficiente la sua idoneità a trarre in errore i consumatori, ma è anche necessario che essa " a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento ovvero, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente ".

E’ controverso se il pregiudizio, per essere definito tale, debba poter arrecare danno patrimoniale ai consumatori, oppure sussista in ogni caso in cui vengano influenzate le decisioni d’acquisto di questi ultimi.

Ma condizionando l’esistenza del pregiudizio alla presenza di un danno patrimoniale, si diminuirebbe in modo sostanziale sia la tutela dei consumatori, perché è interesse dei consumatori anche determinare autonomamente le proprie scelte, sia quella dei concorrenti che vengono danneggiati per il solo fatto che la pubblicità ingannevole induca i consumatori a rivolgere la loro attenzione verso i prodotti o servizi pubblicizzati.ecc.

Queste considerazioni portano dunque ad interpretare l’espressione " pregiudicare il comportamento dei consumatori " nel senso di influenzare ( negativamente ) il comportamento dei consumatori, inducendoli ad effettuare scelte diverse da quelle che essi avrebbero fatto in assenza dell’inganno.

Quest’interpretazione trova conferma nei testi della direttiva nelle altre lingue ufficiali della Comunità che usano espressioni corrispondenti al verbo influenzare, come " to affect ", " affecter",

Invece, per quanto riguarda l’individuazione dei destinatari della pubblicità ingannevole, secondo Auteri quest’ultima deve essere condotta alla luce della direttiva n. 84/450, ed il compito di interpretare quest’ultima spetta alla Corte di Giustizia CE.

Il problema è che la stessa direttiva all’art. 2 n. 2 stabilisce che occorre far riferimento alle " persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge " senza specificare se all’interno di tale cerchia si debba prendere in considerazione il consumatore di media diligenza e capacità di comprensione, oppure il consumatore più sprovveduto e se la repressione debba intervenire anche quando la pubblicità risulti ingannevole per una piccola percentuale dei consumatori.

Si è così superato l’orientamento prevalente che presupponeva nel consumatore un livello intellettuale particolarmente elevato. tra i quali spicca Vanzetti, secondo la quale il parametro di riferimento deve essere costituito dal consumatore più sprovveduto in quanto maggiormente bisognoso di tutela a fronte dell’inganno pubblicitario.

Per quanto riguarda i messaggi rivolti ad operatori professionali, la giurisprudenza li ha abitualmente valutati con minor rigore, presupponendosi nei destinatari un più elevato grado di accortezza.

E’ interessante notare quelli che sono gli orientamenti dell’AGCM in merito.

Per rilevare l’eventuale ingannevolezza del messaggio l’Autorità non incentra la propria attenzione sul numero dei destinatari, ma opera una distinzione fra il pubblico in base alla tipologia del prodotto e del servizio offerto, soprattutto con l’intento di salvaguardare la fascia più debole del relativo target.

Per individuare il destinatario del messaggio più debole sono state individuate precise linee di tendenza.

Per esempio: in relazione al pubblico dei giovani, l’AGCM ha ritenuto che l’ingannevolezza di un messaggio che reclamizza ( sotto false apparenze di una selezione per un posto di lavoro ) corsi di formazione è comunque favorita dalla totale mancanza di esperienza, rispetto alla ricerca del lavoro ed ai percorsi formativi, che caratterizza i destinatari, cioè giovani appena diplomati, i quali hanno trascorso gli anni precedenti dedicandosi esclusivamente o prevalentemente al conseguimento di un diploma; in relazione ai destinatari di messaggi esoterici, l’Autorità ha riconfermato il proprio orientamento secondo cui i destinatari di tali messaggi non si identificano con la generalità dei consumatori, ma con quei soggetti che per ragioni di carattere fideistico sono portati a credere all’esistenza di fenomeni caratterizzati da un’intrinseca indimostrabilità e, quindi, particolarmente influenzabili.

L’AGCM inoltre ritiene che portato alle estreme conseguenze, l’approccio comunicazionale di Internet potrà condurre, in un futuro non lontano, a un messaggio differente per ciascun destinatario.

Le nuove opportunità di comunicazione e le continue innovazioni tecnologiche non possono evidentemente essere trascurate dall’Autorità: essa dovrà sempre più confrontarsi con messaggi articolati, non più indirizzati al "consumatore medio" ma a particolari segmenti, ridotti e ben identificati, della popolazione.

Attualmente però quest’ultimo scenario è futuribile, in quanto la diffusione delle nuove tecnologie è ben lontana dal raggiungere i livelli auspicati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Approvazione della direttiva 2005/29 avente ad oggetto le pratiche commerciali sleali

Divieto generale contenuto nella direttiva: la direttiva 2005/29 non incide sulle condizioni di formazione, validità o efficacia del contratto, come non apporta norme aventi ad oggetto la salute dei consumatori o la sicurezza dei prodotti.

Essa si occupa esclusivamente degli interessi economici dei consumatori, la cui tutela, però, non deve ostacolare la libera circolazione dei beni, dei servizi, e dei lavoratori all’interno dell’Unione Europea ( in particolare è previsto il divieto di imporre ai professionisti ulteriori obblighi rispetto a quelli previsti dalla direttiva, purché il professionista rispetti le norme dello Stato membro di stabilimento ).

Indubbiamente la parte principale della direttiva 2005/29 è costituita dall’art. 5 dove, dopo aver affermato il divieto generale di effettuare pratiche commerciali sleali, vengono definite tali, se contrarie alla diligenza professionale ( ovvero, secondo l’art. 2h, contrastanti " rispetto a pratiche di mercato oneste e/o al principio generale della buona fede nel settore di attività del professionista, con il normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori " ) e se falsano o sono idonee a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio.

L’art. 5 par. 4 afferma che sono da considerare sleali le pratiche commerciali ingannevoli di cui agli artt. 6 e 7 e quelle aggressive di cui agli artt. 8 e 9.

L’art. 6 definisce pratica ingannevole quella " che contiene informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta…e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso ".

L’art. 6 contiene anche un elenco di elementi la cui ingannevolezza fa diventare la pratica commerciale sleale.

Si tratta, per esempio, dell’esistenza, della natura, delle caratteristiche principali del prodotto; del prezzo o del modo in cui questo è calcolato o dell’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo; della necessità di manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione; dei diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso; ecc.

Per l’art. 7 si è davanti ad un’omissione ingannevole ( quelle appena citate possono essere classificate come azioni ingannevoli ), quando, " tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato ", un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti per il prodotto e, tale modalità, " induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso ".

Particolarmente interessante risulta notare come, per quanto riguarda le omissioni ingannevoli, il legislatore comunitario sia più " tollerante " di quello italiano.

Infatti quest’ultimo, nel definire un messaggio pubblicitario ingannevole, non tiene conto dei limiti del mezzo usato per la diffusione del messaggio.

Inoltre la stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha, nei suoi provvedimenti, confermato questa tendenza considerando come tardivo l’intervento del venditore che successivamente alla diffusione del messaggio ingannevole cerca di porvi rimedio ( magari fornendo al momento del contatto diretto con il consumatore quelle informazioni non fornite nel messaggio promozionale ).

La posizione del legislatore comunitario però, pur essendo apprezzabile ( perché è difficile sostenere che, per esempio, un messaggio pubblicitario televisivo riesca a dare tutte le informazioni che è in grado di fornire un messaggio promozionale pubblicato sulla carta stampata ), risulta potenzialmente contrastante con le finalità di armonizzazione della legislazione perseguite dalla direttiva.

Infatti, seguendo questa concezione, si rischia di affidarsi eccessivamente alle valutazioni discrezionali delle singole autorità competenti sui limiti del mezzo tecnico usato, e di creare, quindi, differenze di applicazione della direttiva tra i Paesi UE.

Altra novità apportata dalla 2005/29 è la definizione delle pratiche commerciali " aggressive ", infatti quest’espressione non è mai stata usata in ambito europeo.

Secondo l’art. 8 è considerata aggressiva una pratica commerciale che, " nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso ".

Secondo il legislatore comunitario quindi le modalità attraverso le quali le " pratiche aggressive " possono essere perpetrate sono fondamentalmente molestie, coercizione ( compreso il ricorso alla forza fisica ) ed indebito condizionamento.

Per quanto riguarda le prime due fattispecie esse potrebbero essere rispettivamente definite come atti attraverso i quali si arrecano turbative alla situazione giuridica soggettiva di un individuo e si costringe un soggetto a tenere un dato comportamento.

L’indebito condizionamento invece viene definito dall’art. 2j " lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole ".

E’ stato lo stesso legislatore comunitario a formulare, nella proposta di direttiva avente ad oggetto le pratiche commerciali sleali, un caso di indebito condizionamento.

Quest’ultimo si verificherebbe, per esempio, anche quando un professionista offra ad un consumatore già indebitato nei suoi confronti, ed in ritardo con i pagamenti, la possibilità di rinegoziare il debito a condizione che questo acquisti un altro prodotto.

L’art. 9 della direttiva 2005/29 stabilisce che " nel determinare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi: i tempi, il luogo, la natura o la persistenza; il ricorso alla minaccia fisica o verbale; lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto; qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista; qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione non sia giuridicamente ammessa ".

Naturalmente i parametri appena citati risultano fondamentali al fine di valutare quando l’atteggiamento del professionista configuri una pratica commerciale aggressiva.

Dovrebbero essere proprio questi ad evitare, o più realisticamente a far diminuire,l’insorgere di contrasti in merito all’individuazione delle pratiche vietate dall’art. 8 della direttiva 2005/29, fra le autorità competenti dei diversi membri UE.

Altra importante novità, è quella contenuta dall’art. 5 par. 5 dove si afferma che sono da considerare in ogni caso sleali tutte quelle pratiche contenute nell’allegato I.

Quest’ultimo contiene 31 fattispecie, di cui 23 ingannevoli e la restante parte aggressive, che si applicano in ogni Stato membro e che possono essere modificate solo mediante revisione della direttiva.

Tale allegato costituisce sicuramente un’innovazione positiva, in quanto permette che sui casi in esso contenuti non vi sia bisogno di dar inizio ad alcun procedimento valutativo al fine di determinarne l’illiceità.

In tal modo non solo si evitano i rischi conseguenti all’esercizio della discrezionalità ( trasformazione di quest’ultima in arbitrio ) e si abbreviano i tempi di risoluzione delle controversie, ma si compie un notevole passo in avanti verso l’armonizzazione ( almeno per quanto riguarda le fattispecie contenute nell’allegato I ).

EÌ evidente infatti che predisponendo un elenco di fattispecie illecite diminuiscono notevolmente i rischi di valutazioni difformi.

Ciò naturalmente non vuol dire che non vi saranno più contrasti, dato che l’elenco riguarda solo un numero limitato di casi, e che comunque le controversie potranno avere ad oggetto i requisiti costitutivi dei casi elencati nell’allegato I.

Per esempio, per quanto riguarda le pratiche aggressive, quand’è che si crea l’impressione che il consumatore non possa lasciare il locale fino alla conclusione del contratto?

Il commerciante che continua a parlare della bontà del suo prodotto, nonostante il potenziale cliente abbia più volte espresso parere negativo all’acquisto, sta solo svolgendo il suo lavoro oppure pone in essere un comportamento illecito?

Per ciò che concerne, invece, le pratiche ingannevoli, il venditore di antifurti fino a che punto può citare statistiche, rappresentanti solo parzialmente la verità ( magari perché riferite a situazioni limite ), per dimostrare che il mancato acquisto di quest’ultimo aumenta i rischi per la sicurezza personale del consumatore o della sua famiglia?

Il consumatore medio: dalla direttiva 2005/29 si può facilmente notare come le pratiche commerciali sleali siano accomunate da due elementi: l’effetto, che è quello di indurre il consumatore ad effettuare decisioni commerciali ( che vengono definite dal legislatore comunitario all’art. 2k " decisioni prese da un consumatore relative a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene, o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto " ) che in assenza di comportamenti illeciti da parte del professionista ( " qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista" ) non avrebbe preso; il destinatario della pratica commerciale sleale, cioè il consumatore ( ovvero secondo l’art. 2 " qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale " ) medio ( secondo il considerando n. 18 si tratta del consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. La nozione di consumatore medio non è statistica, ma per determinarne il contenuto sarà necessario prendere come riferimento la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea ).

La specificazione degli elementi appena menzionati non può che essere considerata un’importante innovazione chiarificatrice.

Infatti la direttiva 1984/450, ed il conseguente d. lgs. 74/1992, avevano sollevato interpretazioni contrastanti.

Per quanto riguarda l’effetto dei comportamenti posti in essere da un professionista, il decreto appena menzionato si limita solamente ad affermare che per la repressione della pubblicità non è sufficiente la sua idoneità a trarre in errore i consumatori, ma è anche necessario che essa " a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento ovvero, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente ".

E’ controverso se il pregiudizio, per essere definito tale, debba poter arrecare danno patrimoniale ai consumatori, oppure sussista in ogni caso in cui vengano influenzate le decisioni d’acquisto di questi ultimi.

Ma condizionando l’esistenza del pregiudizio alla presenza di un danno patrimoniale, si diminuirebbe in modo sostanziale sia la tutela dei consumatori, perché è interesse dei consumatori anche determinare autonomamente le proprie scelte, sia quella dei concorrenti che vengono danneggiati per il solo fatto che la pubblicità ingannevole induca i consumatori a rivolgere la loro attenzione verso i prodotti o servizi pubblicizzati.ecc.

Queste considerazioni portano dunque ad interpretare l’espressione " pregiudicare il comportamento dei consumatori " nel senso di influenzare ( negativamente ) il comportamento dei consumatori, inducendoli ad effettuare scelte diverse da quelle che essi avrebbero fatto in assenza dell’inganno.

Quest’interpretazione trova conferma nei testi della direttiva nelle altre lingue ufficiali della Comunità che usano espressioni corrispondenti al verbo influenzare, come " to affect ", " affecter",

Invece, per quanto riguarda l’individuazione dei destinatari della pubblicità ingannevole, secondo Auteri quest’ultima deve essere condotta alla luce della direttiva n. 84/450, ed il compito di interpretare quest’ultima spetta alla Corte di Giustizia CE.

Il problema è che la stessa direttiva all’art. 2 n. 2 stabilisce che occorre far riferimento alle " persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge " senza specificare se all’interno di tale cerchia si debba prendere in considerazione il consumatore di media diligenza e capacità di comprensione, oppure il consumatore più sprovveduto e se la repressione debba intervenire anche quando la pubblicità risulti ingannevole per una piccola percentuale dei consumatori.

Si è così superato l’orientamento prevalente che presupponeva nel consumatore un livello intellettuale particolarmente elevato. tra i quali spicca Vanzetti, secondo la quale il parametro di riferimento deve essere costituito dal consumatore più sprovveduto in quanto maggiormente bisognoso di tutela a fronte dell’inganno pubblicitario.

Per quanto riguarda i messaggi rivolti ad operatori professionali, la giurisprudenza li ha abitualmente valutati con minor rigore, presupponendosi nei destinatari un più elevato grado di accortezza.

E’ interessante notare quelli che sono gli orientamenti dell’AGCM in merito.

Per rilevare l’eventuale ingannevolezza del messaggio l’Autorità non incentra la propria attenzione sul numero dei destinatari, ma opera una distinzione fra il pubblico in base alla tipologia del prodotto e del servizio offerto, soprattutto con l’intento di salvaguardare la fascia più debole del relativo target.

Per individuare il destinatario del messaggio più debole sono state individuate precise linee di tendenza.

Per esempio: in relazione al pubblico dei giovani, l’AGCM ha ritenuto che l’ingannevolezza di un messaggio che reclamizza ( sotto false apparenze di una selezione per un posto di lavoro ) corsi di formazione è comunque favorita dalla totale mancanza di esperienza, rispetto alla ricerca del lavoro ed ai percorsi formativi, che caratterizza i destinatari, cioè giovani appena diplomati, i quali hanno trascorso gli anni precedenti dedicandosi esclusivamente o prevalentemente al conseguimento di un diploma; in relazione ai destinatari di messaggi esoterici, l’Autorità ha riconfermato il proprio orientamento secondo cui i destinatari di tali messaggi non si identificano con la generalità dei consumatori, ma con quei soggetti che per ragioni di carattere fideistico sono portati a credere all’esistenza di fenomeni caratterizzati da un’intrinseca indimostrabilità e, quindi, particolarmente influenzabili.

L’AGCM inoltre ritiene che portato alle estreme conseguenze, l’approccio comunicazionale di Internet potrà condurre, in un futuro non lontano, a un messaggio differente per ciascun destinatario.

Le nuove opportunità di comunicazione e le continue innovazioni tecnologiche non possono evidentemente essere trascurate dall’Autorità: essa dovrà sempre più confrontarsi con messaggi articolati, non più indirizzati al "consumatore medio" ma a particolari segmenti, ridotti e ben identificati, della popolazione.

Attualmente però quest’ultimo scenario è futuribile, in quanto la diffusione delle nuove tecnologie è ben lontana dal raggiungere i livelli auspicati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.