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Codice della proprietà industriale

Il “Codice della proprietà industriale”, elaborato dalla Commissione presieduta dal Prof. Floridia e approvato con Decreto Legislativo 10 febbraio 2005 n. 30 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 marzo 2005, n. 52 - Supplemento Ordinario), costituisce un’operazione di riassetto organico della materia, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 15 della Legge n. 273 del 2002, recante Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza. Il Codice è entrato in vigore il 19 marzo 2005. Per quanto riguarda però le norme processuali, è previsto un periodo di sei mesi prima dell’entrata in vigore.

Ambito di applicazione

Il Codice è destinato a sostituire un cospicuo numero di provvedimenti che hanno rappresentato per lungo tempo (in alcuni casi per oltre sessanta anni) il punto di riferimento per imprese e professionisti. Tra gli oltre quaranta provvedimenti normativi che l’articolo 246 del Codice abroga espressamente ricordiamo in particolare il Regio Decreto 29 giugno 1939, n. 1127 in materia di brevetti ed invenzioni industriali; il Regio Decreto 21 giugno 1942, n. 929 in materia di marchi d’impresa ed il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 95 sui disegni e modelli; senza contare i provvedimenti di attuazione nelle stesse materie.

Per questa sola ragione, il Codice merita un approfondimento, tanto più attento se si considera che, in forza di quanto previsto dalla delega parlamentare, esso risponde ai seguenti principi e criteri direttivi: a) ripartizione della materia per settori omogenei e coordinamento, formale e sostanziale, delle disposizioni vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica; b) adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta; c) revisione e armonizzazione della protezione del diritto d’autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti; d) adeguamento della disciplina alle moderne tecnologie informatiche.

Per quanto l’iter di approvazione definitiva del Codice sia stato complesso e abbia comportato diverse bozze preliminari, esso è destinato a subire modifiche, anche a breve termine. È previsto, infatti, che entro un anno dalla data di entrata del Codice, il Governo potrà adottare, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, disposizioni correttive o integrative dello stesso (articolo 2 della Legge 27 dicembre 2004 n. 306). In particolare, il Codice potrebbe richiedere alcuni interventi di adeguamento alla cosiddetta Direttiva enforcement (2004/48/CE), sull’armonizzazione ed il rafforzamento delle misure per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

A dispetto degli auspici formulati da più parti, nel Codice non è stato possibile inserire anche la materia del diritto d’autore, ciò ne avrebbe fatto uno strumento ancora più completo. I motivi di questa “omissione”, peraltro in linea con quanto previsto dalla delega, sono tra l’altro dovuti alle diverse competenze ministeriali delle materie del diritto industriale (Ministero delle attività produttive) e del diritto d’autore (Ministero per i beni e le attività culturali), che evidentemente non è stato possibile “comporre” prima di iniziare i lavori di redazione delle bozze del Codice.

Nonostante quanto sopra in merito alle future modifiche del Codice ed all’occasione persa di riunire in un unico testo la tutela della proprietà intellettuale sotto forma dei diritti industriali e del diritto d’autore, il Codice resta uno dei principali testi normativi per importanza elaborati negli ultimi decenni.

I diritti protetti e la struttura del Codice

Una delle principali novità emerge in tutta evidenza dall’articolo 1 del Codice, che stabilisce: “Ai fini del presente codice, l’espressione proprietà industriale comprende marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali”.

Non si tratta di una disposizione di stampo “accademico” di impatto meramente teorico, ma di una clausola di “chiusura” o per meglio dire di una disposizione “contenitore” grazie alla quale potranno essere ricondotte allo stesso, appunto, “contenitore” tutte le norme disciplinanti i diritti specificamente regolati nelle singole sezioni del capo II del Codice. Per la prima volta nel nostro ordinamento, si potrà parlare a ragione di “diritti di proprietà industriale”, accomunati da una medesima disciplina generale e protetti da medesimi strumenti di tutela, anche in via cautelare. Ciò non significa che i singoli diritti, marchi, disegni, invenzioni, ecc., abbiano perso le proprie specificità, ma semplicemente, come detto, che essi sono tutti riconducibili ad un minimo comune denominatore legislativo, cui, in caso di problemi interpretativi ed eventuali lacune, sarà possibile fare costante riferimento.

Da quanto sopra, si comprende anche la struttura del Codice, con l’inserimento nel Capo I delle disposizioni generali e nelle diverse sezioni del Capo II delle norme relative all’esistenza, all’ambito e all’esercizio dei singoli diritti di proprietà industriale. Nel Capo III sono inserite le disposizioni in merito alla Tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale, che come si diceva costituiscono un ombrello protettivo di tutti i diritti, mentre, per quel che qui interessa, il Capo IV è dedicato all’Acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e relative procedure.

Dopo avere esaminato alcuni aspetti principali del Codice, vediamo di entrare nel vivo dell’analisi, partendo da un settore spesso a torto trascurato, seppure di importanza strategica per le imprese. Quando si parla di ricerca e di innovazione si focalizza l’attenzione sui profili economici, sui costi e sulle possibilità solo eventuali di ottenere benefici in termini di profitti e comunque a lungo termine. D’altro canto, quando si affrontano questioni legali lo si fa con riferimento al fenomeno delle contraffazioni, che interessa ormai diffusamente la proprietà industriale (marchi e brevetti) ed intellettuale (diritto d’autore) delle nostre aziende.

Il problema andrebbe però affrontato anche, per così dire, “a monte”, valutando quali possono essere gli effetti giuridici dell’attività di ricerca compiuta all’interno delle aziende oppure in collaborazione tra queste e istituzioni pubbliche o universitarie. Le implicazioni di tale attività hanno tra l’altro risvolti economici di non poco rilievo, considerando la possibilità di risparmio dei costi grazie a forme collaborative.

La delicatezza della materia impone la massima precisione nella stesura degli accordi nei quali dovrà prevedersi in particolare la titolarità dei diritti su invenzioni, modelli di utilità, modelli e disegni industriali (per citare i diritti di cui ci occuperemo in questa sede) nel caso in cui questi siano oggetto ad esempio di partnership tra imprese. Tuttavia, l’individuazione dei legittimi titolari dei diritti non è di immediata percezione anche allorquando, come normalmente avviene, l’invenzione o il disegno industriale siano stati il prodotto dell’attività di dipendenti.

In via preliminare precisiamo che in materia di invenzioni e di disegni, il Codice regola l’attribuzione di due categorie: diritti di sfruttamento economico e di paternità. I primi sono essenzialmente di ordine patrimoniale mentre il secondo è tipicamente definito come “morale” e compete in linea di massima alla/e persona/e fisica che ha operato l’invenzione o elaborato il disegno.

Secondo l’articolo 32 del Codice, possono costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli: l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale.

Salvo patto contrario, la registrazione per disegni e modelli, che siano opera di dipendenti, in quanto tale opera rientri tra le loro mansioni, spetta al datore di lavoro, fermo restando il diritto del dipendente di essere riconosciuto come autore del disegno o modello e di fare inserire il suo nome nell’attestato di registrazione (articolo 38 del Codice).

Più articolata, per quanto parzialmente analoga alla precedente, è la disciplina in materia di invenzioni, applicabile anche nel caso di modelli di utilità.

Innanzitutto chiariamo che possono essere oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale.

Secondo quanto previsto dall’articolo 64 del Codice, quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego, in cui l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall’invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.

Se non è prevista e stabilita una retribuzione in compenso dell’attività inventiva e l’invenzione è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all’inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro ottenga il brevetto, un equo premio, per la determinazione del quale si terrà conto:

- dell’importanza della protezione conferita all’invenzione dal brevetto

- delle mansioni svolte

- della retribuzione percepita dall’inventore

- del contributo che questi ha ricevuto dall’organizzazione aziendale.

Tuttavia al datore di lavoro è riconosciuto un diritto di opzione. Qualora si versi nelle ipotesi sopra menzionate, e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività dell’impresa a cui è addetto l’inventore, il datore di lavoro ha il diritto di opzione per l’uso esclusivo, o non esclusivo, dell’invenzione, o per l’acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere, od acquistare, per la medesima invenzione, brevetti all’estero, verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l’inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all’invenzione.

Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro tre mesi dalla ricevuta comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di brevetto. I rapporti costituiti con l’esercizio dell’opzione si risolvono di diritto qualora non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto. Il Codice si preoccupa altresì di prevedere una procedura governata da un collegio di arbitratori per la determinazione dell’ammontare del premio, del canone e del prezzo di cui sopra. Quest’ultima costituisce una novità di rilievo introdotta dal Codice nel nostro ordinamento.

Diverse ancora sono le ipotesi di invenzioni attuate da ricercatori universitari. Escludendo i casi di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati, ovvero realizzate nell’ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall’università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore, la disciplina a cui fare riferimento è quella di cui all’articolo 65 del Codice.

Quando il rapporto di lavoro intercorre con un’università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore. In caso di più autori, dipendenti delle università, delle pubbliche amministrazioni predette ovvero di altre pubbliche amministrazioni, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono a tutti in parti uguali, salvo diversa pattuizione. È previsto che l’inventore presenti la domanda di brevetto e ne dia comunicazione all’amministrazione.

Le Università e le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della loro autonomia, stabiliscono l’importo massimo del canone, relativo a licenze a terzi per l’uso dell’invenzione, spettante alla stessa università o alla pubblica amministrazione, ovvero a privati finanziatori della ricerca, nonché ogni ulteriore aspetto dei rapporti reciproci. In ogni caso, l’inventore ha diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione. Nel caso in cui le università o le amministrazioni pubbliche non provvedano alle determinazioni di cui sopra, il Codice prevede che alle stesse spetti il trenta per cento dei proventi o canoni.

A tutela dell’interesse pubblico all’utilizzazione dell’invenzione, è stabilito che trascorsi cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, qualora l’inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale, a meno che ciò non derivi da cause indipendenti dalla loro volontà, la pubblica amministrazione di cui l’inventore era dipendente al momento dell’invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l’invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi, o di farli sfruttare da terzi, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.

Il “Codice della proprietà industriale”, elaborato dalla Commissione presieduta dal Prof. Floridia e approvato con Decreto Legislativo 10 febbraio 2005 n. 30 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 marzo 2005, n. 52 - Supplemento Ordinario), costituisce un’operazione di riassetto organico della materia, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 15 della Legge n. 273 del 2002, recante Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza. Il Codice è entrato in vigore il 19 marzo 2005. Per quanto riguarda però le norme processuali, è previsto un periodo di sei mesi prima dell’entrata in vigore.

Ambito di applicazione

Il Codice è destinato a sostituire un cospicuo numero di provvedimenti che hanno rappresentato per lungo tempo (in alcuni casi per oltre sessanta anni) il punto di riferimento per imprese e professionisti. Tra gli oltre quaranta provvedimenti normativi che l’articolo 246 del Codice abroga espressamente ricordiamo in particolare il Regio Decreto 29 giugno 1939, n. 1127 in materia di brevetti ed invenzioni industriali; il Regio Decreto 21 giugno 1942, n. 929 in materia di marchi d’impresa ed il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 95 sui disegni e modelli; senza contare i provvedimenti di attuazione nelle stesse materie.

Per questa sola ragione, il Codice merita un approfondimento, tanto più attento se si considera che, in forza di quanto previsto dalla delega parlamentare, esso risponde ai seguenti principi e criteri direttivi: a) ripartizione della materia per settori omogenei e coordinamento, formale e sostanziale, delle disposizioni vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica; b) adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta; c) revisione e armonizzazione della protezione del diritto d’autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti; d) adeguamento della disciplina alle moderne tecnologie informatiche.

Per quanto l’iter di approvazione definitiva del Codice sia stato complesso e abbia comportato diverse bozze preliminari, esso è destinato a subire modifiche, anche a breve termine. È previsto, infatti, che entro un anno dalla data di entrata del Codice, il Governo potrà adottare, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, disposizioni correttive o integrative dello stesso (articolo 2 della Legge 27 dicembre 2004 n. 306). In particolare, il Codice potrebbe richiedere alcuni interventi di adeguamento alla cosiddetta Direttiva enforcement (2004/48/CE), sull’armonizzazione ed il rafforzamento delle misure per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

A dispetto degli auspici formulati da più parti, nel Codice non è stato possibile inserire anche la materia del diritto d’autore, ciò ne avrebbe fatto uno strumento ancora più completo. I motivi di questa “omissione”, peraltro in linea con quanto previsto dalla delega, sono tra l’altro dovuti alle diverse competenze ministeriali delle materie del diritto industriale (Ministero delle attività produttive) e del diritto d’autore (Ministero per i beni e le attività culturali), che evidentemente non è stato possibile “comporre” prima di iniziare i lavori di redazione delle bozze del Codice.

Nonostante quanto sopra in merito alle future modifiche del Codice ed all’occasione persa di riunire in un unico testo la tutela della proprietà intellettuale sotto forma dei diritti industriali e del diritto d’autore, il Codice resta uno dei principali testi normativi per importanza elaborati negli ultimi decenni.

I diritti protetti e la struttura del Codice

Una delle principali novità emerge in tutta evidenza dall’articolo 1 del Codice, che stabilisce: “Ai fini del presente codice, l’espressione proprietà industriale comprende marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali”.

Non si tratta di una disposizione di stampo “accademico” di impatto meramente teorico, ma di una clausola di “chiusura” o per meglio dire di una disposizione “contenitore” grazie alla quale potranno essere ricondotte allo stesso, appunto, “contenitore” tutte le norme disciplinanti i diritti specificamente regolati nelle singole sezioni del capo II del Codice. Per la prima volta nel nostro ordinamento, si potrà parlare a ragione di “diritti di proprietà industriale”, accomunati da una medesima disciplina generale e protetti da medesimi strumenti di tutela, anche in via cautelare. Ciò non significa che i singoli diritti, marchi, disegni, invenzioni, ecc., abbiano perso le proprie specificità, ma semplicemente, come detto, che essi sono tutti riconducibili ad un minimo comune denominatore legislativo, cui, in caso di problemi interpretativi ed eventuali lacune, sarà possibile fare costante riferimento.

Da quanto sopra, si comprende anche la struttura del Codice, con l’inserimento nel Capo I delle disposizioni generali e nelle diverse sezioni del Capo II delle norme relative all’esistenza, all’ambito e all’esercizio dei singoli diritti di proprietà industriale. Nel Capo III sono inserite le disposizioni in merito alla Tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale, che come si diceva costituiscono un ombrello protettivo di tutti i diritti, mentre, per quel che qui interessa, il Capo IV è dedicato all’Acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e relative procedure.

Dopo avere esaminato alcuni aspetti principali del Codice, vediamo di entrare nel vivo dell’analisi, partendo da un settore spesso a torto trascurato, seppure di importanza strategica per le imprese. Quando si parla di ricerca e di innovazione si focalizza l’attenzione sui profili economici, sui costi e sulle possibilità solo eventuali di ottenere benefici in termini di profitti e comunque a lungo termine. D’altro canto, quando si affrontano questioni legali lo si fa con riferimento al fenomeno delle contraffazioni, che interessa ormai diffusamente la proprietà industriale (marchi e brevetti) ed intellettuale (diritto d’autore) delle nostre aziende.

Il problema andrebbe però affrontato anche, per così dire, “a monte”, valutando quali possono essere gli effetti giuridici dell’attività di ricerca compiuta all’interno delle aziende oppure in collaborazione tra queste e istituzioni pubbliche o universitarie. Le implicazioni di tale attività hanno tra l’altro risvolti economici di non poco rilievo, considerando la possibilità di risparmio dei costi grazie a forme collaborative.

La delicatezza della materia impone la massima precisione nella stesura degli accordi nei quali dovrà prevedersi in particolare la titolarità dei diritti su invenzioni, modelli di utilità, modelli e disegni industriali (per citare i diritti di cui ci occuperemo in questa sede) nel caso in cui questi siano oggetto ad esempio di partnership tra imprese. Tuttavia, l’individuazione dei legittimi titolari dei diritti non è di immediata percezione anche allorquando, come normalmente avviene, l’invenzione o il disegno industriale siano stati il prodotto dell’attività di dipendenti.

In via preliminare precisiamo che in materia di invenzioni e di disegni, il Codice regola l’attribuzione di due categorie: diritti di sfruttamento economico e di paternità. I primi sono essenzialmente di ordine patrimoniale mentre il secondo è tipicamente definito come “morale” e compete in linea di massima alla/e persona/e fisica che ha operato l’invenzione o elaborato il disegno.

Secondo l’articolo 32 del Codice, possono costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli: l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale.

Salvo patto contrario, la registrazione per disegni e modelli, che siano opera di dipendenti, in quanto tale opera rientri tra le loro mansioni, spetta al datore di lavoro, fermo restando il diritto del dipendente di essere riconosciuto come autore del disegno o modello e di fare inserire il suo nome nell’attestato di registrazione (articolo 38 del Codice).

Più articolata, per quanto parzialmente analoga alla precedente, è la disciplina in materia di invenzioni, applicabile anche nel caso di modelli di utilità.

Innanzitutto chiariamo che possono essere oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale.

Secondo quanto previsto dall’articolo 64 del Codice, quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego, in cui l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall’invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.

Se non è prevista e stabilita una retribuzione in compenso dell’attività inventiva e l’invenzione è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all’inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro ottenga il brevetto, un equo premio, per la determinazione del quale si terrà conto:

- dell’importanza della protezione conferita all’invenzione dal brevetto

- delle mansioni svolte

- della retribuzione percepita dall’inventore

- del contributo che questi ha ricevuto dall’organizzazione aziendale.

Tuttavia al datore di lavoro è riconosciuto un diritto di opzione. Qualora si versi nelle ipotesi sopra menzionate, e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività dell’impresa a cui è addetto l’inventore, il datore di lavoro ha il diritto di opzione per l’uso esclusivo, o non esclusivo, dell’invenzione, o per l’acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere, od acquistare, per la medesima invenzione, brevetti all’estero, verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l’inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all’invenzione.

Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro tre mesi dalla ricevuta comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di brevetto. I rapporti costituiti con l’esercizio dell’opzione si risolvono di diritto qualora non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto. Il Codice si preoccupa altresì di prevedere una procedura governata da un collegio di arbitratori per la determinazione dell’ammontare del premio, del canone e del prezzo di cui sopra. Quest’ultima costituisce una novità di rilievo introdotta dal Codice nel nostro ordinamento.

Diverse ancora sono le ipotesi di invenzioni attuate da ricercatori universitari. Escludendo i casi di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati, ovvero realizzate nell’ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall’università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore, la disciplina a cui fare riferimento è quella di cui all’articolo 65 del Codice.

Quando il rapporto di lavoro intercorre con un’università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore. In caso di più autori, dipendenti delle università, delle pubbliche amministrazioni predette ovvero di altre pubbliche amministrazioni, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono a tutti in parti uguali, salvo diversa pattuizione. È previsto che l’inventore presenti la domanda di brevetto e ne dia comunicazione all’amministrazione.

Le Università e le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della loro autonomia, stabiliscono l’importo massimo del canone, relativo a licenze a terzi per l’uso dell’invenzione, spettante alla stessa università o alla pubblica amministrazione, ovvero a privati finanziatori della ricerca, nonché ogni ulteriore aspetto dei rapporti reciproci. In ogni caso, l’inventore ha diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione. Nel caso in cui le università o le amministrazioni pubbliche non provvedano alle determinazioni di cui sopra, il Codice prevede che alle stesse spetti il trenta per cento dei proventi o canoni.

A tutela dell’interesse pubblico all’utilizzazione dell’invenzione, è stabilito che trascorsi cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, qualora l’inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale, a meno che ciò non derivi da cause indipendenti dalla loro volontà, la pubblica amministrazione di cui l’inventore era dipendente al momento dell’invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l’invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi, o di farli sfruttare da terzi, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.