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Disapplicabilità della disciplina che limita il risarcimento dei danni: la tutela del consumatore e le "istruzioni per l’uso"

Nota a Giudice di Pace di Bari - Avv. Giuseppe Frugis, Sentenza 24 maggio 2006, n.3808

Da circa due anni l’ordinamento comunitario, parallelamente alle legislazioni interne, s’è incessantemente interessato di garantire al "consumatore" non solo un numero sempre maggiore di diritti, bensì anche uno specifico "status".

Rispetto alla tendenza di straordinaria tutela di questo soggetto (e del suo status), l’interprete ha il preciso compito di dare effettività ai precetti ed ai principi che si stanno affermando, essendo pacifico che la concreta tutela degli interessi necessariamente passa attraverso una logica, corretta e (soprattutto) coerente applicazione della legge.

La sentenza, che qui brevemente si commenta (Giudice di Pace di Bari - Avv. Giuseppe Frugis, Sentenza 24 maggio 2006, n.3808), si pone in tale prospettiva e costituisce un importante esempio della non trascurabile rilevanza che assume l’attività ermeneutica nell’ assicurare garanzie non soltanto formali.

Il caso riguarda quello di una passeggera che, dopo essere salita a bordo di un treno Eurostar, non solo è arrivata a destinazione con otto ore di ritardo, bensì ha dovuto subire enormi disagi "per la sofferenza del freddo intenso, aggravato dal cattivo funzionamento dell’impianto di climatizzazione", oltre alla "imprevista fermata di circa tre ore presso la stazione di Foggia, nella totale assenza di qualsivoglia informazione in merito alle cause di tale sosta". A fronte di tali fatti l’attrice ha chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali (e non) patiti in conseguenza dell’ (asserito) inadempimento di Trenitalia. Il Giudice, nella sentenza in commento, sul presupposto dell’inesatto adempimento dell’obbligazione dedotta in contratto, ha accolto la domanda della attrice, ridotto il costo del biglietto nella misura della metà e condannato la società di trasporto al risarcimento dei danni conseguenti alla lesione di diritti costituzionalmente garantiti.

In questa sede, senza alcuna pretesa di completezza, si vogliono svolgere talune riflessioni in merito al problema della disciplina applicabile: la ritenuta disapplicabilità della L. n. 911 del 1935 (di conversione del R.D.L. n. 1949 dell’11.10.1934) nella parte in cui essa fissa il risarcimento del danno in favore del viaggiatore nel limite tassativo ed inderogabile del rimborso del biglietto (artt. 10 e 11) ha un’importanza che non può essere sottaciuta.

Nel corso del giudizio la società Trenitalia aveva eccepito la irrisarcibilità del danno lamentato dall’attrice in quanto, per effetto del combinato disposto degli artt. 10 e 11 della L. 911/1935, in caso di ritardi ed interruzioni "il viaggiatore ha diritto al risarcimento del danno derivatogli dal ritardo, dalla soppressione del treno, da mancata coincidenza, da interruzioni, soltanto nei casi e nei limiti previsti dagli articoli 9 e 10, qualunque sia la causa dell’inconveniente che dà luogo alla domanda di indennizzo" (laddove l’articolo 10 fa riferimento soltanto al rimborso, totale o parziale, del biglietto).

Nella sentenza de qua si intuisce che le ragioni che hanno indotto il Giudice a ritenere inapplicabile la disciplina invocata da Trenitalia andrebbero ricercate nella circostanza che detta disciplina si pone in contrasto con le disposizioni volte alla tutela del consumatore.

Tale affermazione ha una portata di assoluto rilievo in quanto muove implicitamente dalla necessaria premessa della prevalenza della disciplina dettata a tutela del consumatore sulle altre disposizioni in contrasto con la stessa.

Ebbene, un simile approccio interpretativo è assolutamente innovativo e particolarmente significativo a distanza di appena otto mesi dall’entrata in vigore del Codice del Consumo (D.Lgs. 206 del 6.9.2005).

Il problema della applicabilità della legge del 1935 (con il relativo regime restrittivo della risarcibilità del danno) era invero già stato trattato da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Sezione Terza Civile, n. 16945 del 11 novembre 2003), nella quale la S. C. aveva superato la questione della applicabilità della disciplina del ’35 invocando la possibilità, riconosciuta al Giudice di Pace ex articolo 113 c.p.c., di giudicare la causa secondo equità, e dunque indipendentemente dalle specifiche regulae juris predisposte dall’ordinamento. Nella sentenza si legge che "nelle cause di valore non superiore a due milioni di lire il giudice di Pace ha il potere-dovere di pronunciare secondo equità (articolo 113, secondo comma, nel testo risultante dall’articolo 21 legge 21 dicembre 1991 n. 374)" e che, pertanto, "il giudice non ha l’obbligo né di individuare la norma giuridica sostanziale astrattamente applicabile, né di applicarla in concreto…".

In altri termini, secondo la Suprema Corte, la "disapplicabilità" della disciplina speciale prevista dal R.D.L. del 1934 deriverebbe (esclusivamente) dal potere–dovere del Giudice di giudicare secondo equità, così implicitamente riconoscendo che allorquando il giudizio non si svolga secondo equità, non vi sarebbe possibilità di sottrarsi all’applicabilità della disciplina positiva.

Appare in tutta evidenza la limitatezza di tale ricostruzione ermeneutica non appena si osservi che, così opinando, in tutte le cause (aventi ad oggetto una richiesta risarcitoria connessa a ritardi o soppressioni del servizio ferroviario) nelle quali il Giudice di Pace non possa giudicare secondo equità, sarebbe inevitabilmente applicabile la disciplina del 1935 e, con essa, il regime restrittivo della risarcibilità del danno.

Segnatamente, per effetto dell’articolo 113, comma 2, Codice di Procedura Civile, nelle cause di valore superiore ai millecento euro ed in quelle aventi ad oggetto contratti conclusi ex articolo 1342 Codice Civile, resterebbe ineludibilmente preclusa la possibilità di ottenere un risarcimento superiore al rimborso del biglietto.

E’ di tutta evidenza la manifesta disparità di trattamento che si realizzerebbe (tra coloro che, potendo giovarsi di un giudizio equitativo, potrebbero ottenere un risarcimento effettivamente correlato al danno subito, e coloro che invece, non rientrando nella previsione di cui all’articolo 113, comma 2, Codice di Procedura Civile, potrebbero invece ottenere un risarcimento limitato al rimborso del biglietto), senza peraltro che una simile disparità risponda ad un apprezzabile e ragionevole criterio discretivo.

A questo andrebbe poi aggiunto che, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 206 del 6.7.2004, poiché il giudizio secondo equità deve comunque ispirarsi ai principi regolatori della materia oggetto della causa, si potrebbe ulteriormente dubitare della piena risarcibilità del danno in favore del trasportato in quanto (potrebbe sostenersi) le fattispecie del trasporto pubblico regolate dalla legge del 1935, rientrando tra le ipotesi che l’articolo 1680 Codice Civile sottrae allo jus comune, sarebbero ontologicamente e necessariamente disciplinate dalla legge del 1935… che diventerebbe, dunque, in ogni caso, un parametro di riferimento cui attenersi, necessariamente, anche in un giudizio che si svolga secondo equità.

La portata della pronuncia del Giudice di Pace di Bari, allora, è tutta nell’aver svincolato la possibilità di disapplicare la legge 911/1935 dallo svolgimento del giudizio secondo equità, ponendo così un principio applicabile anche in quei giudizi che si svolgono secondo le regulae juris.

In particolare, come accennato, nella pronuncia in esame il Giudice dispone il risarcimento in misura superiore al limite previsto dalla disciplina speciale muovendo dalla prevalenza che la disciplina posta a tutela del consumatore deve avere rispetto alle altre norme.

Appare difficile non condividere tale assunto se si considera che l’Unione Europea è univocamente orientata nel senso della piena tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori, per cui, salvo disattendere tale orientamento in sede di interpretazione (e applicazione) del diritto interno, la circostanza deve assumere necessariamente rilevanza. Se infatti è vero che i principi contenuti nei Trattati istitutivi delle comunità europee, nel trattato sull’Unione europea e nella normativa comunitaria derivata si muovono tutti verso una sempre maggiore tutela del soggetto (contrattualmente e socialmente) debole, è parimenti vero che, secondo un insegnamento ormai consolidato della Corte di Giustizia comunitaria, siffatti orientamenti rilevano in sede di interpretazione delle norme interne e devono condurre anche, dove necessario, alla disapplicazione di quelle disposizioni che siano in contrasto con la normativa comunitaria.

Non va infine sottaciuto che, anche dal punto di vista della legislazione interna, vi sono significativi indizi di un pieno recepimento di tutta la normativa comunitaria (alla quale il legislatore italiano rimanda – forse – con un vero e proprio "rinvio non recettizio"): l’articolo 101 del Codice del Consumo, dettato proprio in materia di erogazione di servizi pubblici, prevede che "lo Stato e le regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, garantiscono i diritti degli utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia". Trattasi di una "norma di rinvio" (così rubricata) che evidentemente tende a tutelare e riconoscere i diritti del consumatore anche – e, diremmo, soprattutto – allorquando si tratti di un pubblico servizio.

Alla luce di tali considerazioni appare chiaro che una piena tutela non può che muovere dall’applicazione in via diretta ed immediata della normativa comunitaria, senza che essa possa essere subordinata all’applicazione di un giudizio equitativo: pena, non solo una (contraddittoria) limitazione delle garanzie offerte al consumatore, bensì anche una inammissibile restrizione dell’efficacia della normativa comunitaria.

D’altronde, in un momento storico nel quale l’intero ordinamento comunitario si muove verso la positivizzazione dei diritti del consumatore, affermare che un diritto (quale quello al risarcimento del danno) può essere riconosciuto solo in un giudizio "svincolato" dalle norme di diritto positivo (quale è quello equitativo), appare quantomeno contraddittorio.

Da circa due anni l’ordinamento comunitario, parallelamente alle legislazioni interne, s’è incessantemente interessato di garantire al "consumatore" non solo un numero sempre maggiore di diritti, bensì anche uno specifico "status".

Rispetto alla tendenza di straordinaria tutela di questo soggetto (e del suo status), l’interprete ha il preciso compito di dare effettività ai precetti ed ai principi che si stanno affermando, essendo pacifico che la concreta tutela degli interessi necessariamente passa attraverso una logica, corretta e (soprattutto) coerente applicazione della legge.

La sentenza, che qui brevemente si commenta (Giudice di Pace di Bari - Avv. Giuseppe Frugis, Sentenza 24 maggio 2006, n.3808), si pone in tale prospettiva e costituisce un importante esempio della non trascurabile rilevanza che assume l’attività ermeneutica nell’ assicurare garanzie non soltanto formali.

Il caso riguarda quello di una passeggera che, dopo essere salita a bordo di un treno Eurostar, non solo è arrivata a destinazione con otto ore di ritardo, bensì ha dovuto subire enormi disagi "per la sofferenza del freddo intenso, aggravato dal cattivo funzionamento dell’impianto di climatizzazione", oltre alla "imprevista fermata di circa tre ore presso la stazione di Foggia, nella totale assenza di qualsivoglia informazione in merito alle cause di tale sosta". A fronte di tali fatti l’attrice ha chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali (e non) patiti in conseguenza dell’ (asserito) inadempimento di Trenitalia. Il Giudice, nella sentenza in commento, sul presupposto dell’inesatto adempimento dell’obbligazione dedotta in contratto, ha accolto la domanda della attrice, ridotto il costo del biglietto nella misura della metà e condannato la società di trasporto al risarcimento dei danni conseguenti alla lesione di diritti costituzionalmente garantiti.

In questa sede, senza alcuna pretesa di completezza, si vogliono svolgere talune riflessioni in merito al problema della disciplina applicabile: la ritenuta disapplicabilità della L. n. 911 del 1935 (di conversione del R.D.L. n. 1949 dell’11.10.1934) nella parte in cui essa fissa il risarcimento del danno in favore del viaggiatore nel limite tassativo ed inderogabile del rimborso del biglietto (artt. 10 e 11) ha un’importanza che non può essere sottaciuta.

Nel corso del giudizio la società Trenitalia aveva eccepito la irrisarcibilità del danno lamentato dall’attrice in quanto, per effetto del combinato disposto degli artt. 10 e 11 della L. 911/1935, in caso di ritardi ed interruzioni "il viaggiatore ha diritto al risarcimento del danno derivatogli dal ritardo, dalla soppressione del treno, da mancata coincidenza, da interruzioni, soltanto nei casi e nei limiti previsti dagli articoli 9 e 10, qualunque sia la causa dell’inconveniente che dà luogo alla domanda di indennizzo" (laddove l’articolo 10 fa riferimento soltanto al rimborso, totale o parziale, del biglietto).

Nella sentenza de qua si intuisce che le ragioni che hanno indotto il Giudice a ritenere inapplicabile la disciplina invocata da Trenitalia andrebbero ricercate nella circostanza che detta disciplina si pone in contrasto con le disposizioni volte alla tutela del consumatore.

Tale affermazione ha una portata di assoluto rilievo in quanto muove implicitamente dalla necessaria premessa della prevalenza della disciplina dettata a tutela del consumatore sulle altre disposizioni in contrasto con la stessa.

Ebbene, un simile approccio interpretativo è assolutamente innovativo e particolarmente significativo a distanza di appena otto mesi dall’entrata in vigore del Codice del Consumo (D.Lgs. 206 del 6.9.2005).

Il problema della applicabilità della legge del 1935 (con il relativo regime restrittivo della risarcibilità del danno) era invero già stato trattato da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Sezione Terza Civile, n. 16945 del 11 novembre 2003), nella quale la S. C. aveva superato la questione della applicabilità della disciplina del ’35 invocando la possibilità, riconosciuta al Giudice di Pace ex articolo 113 c.p.c., di giudicare la causa secondo equità, e dunque indipendentemente dalle specifiche regulae juris predisposte dall’ordinamento. Nella sentenza si legge che "nelle cause di valore non superiore a due milioni di lire il giudice di Pace ha il potere-dovere di pronunciare secondo equità (articolo 113, secondo comma, nel testo risultante dall’articolo 21 legge 21 dicembre 1991 n. 374)" e che, pertanto, "il giudice non ha l’obbligo né di individuare la norma giuridica sostanziale astrattamente applicabile, né di applicarla in concreto…".

In altri termini, secondo la Suprema Corte, la "disapplicabilità" della disciplina speciale prevista dal R.D.L. del 1934 deriverebbe (esclusivamente) dal potere–dovere del Giudice di giudicare secondo equità, così implicitamente riconoscendo che allorquando il giudizio non si svolga secondo equità, non vi sarebbe possibilità di sottrarsi all’applicabilità della disciplina positiva.

Appare in tutta evidenza la limitatezza di tale ricostruzione ermeneutica non appena si osservi che, così opinando, in tutte le cause (aventi ad oggetto una richiesta risarcitoria connessa a ritardi o soppressioni del servizio ferroviario) nelle quali il Giudice di Pace non possa giudicare secondo equità, sarebbe inevitabilmente applicabile la disciplina del 1935 e, con essa, il regime restrittivo della risarcibilità del danno.

Segnatamente, per effetto dell’articolo 113, comma 2, Codice di Procedura Civile, nelle cause di valore superiore ai millecento euro ed in quelle aventi ad oggetto contratti conclusi ex articolo 1342 Codice Civile, resterebbe ineludibilmente preclusa la possibilità di ottenere un risarcimento superiore al rimborso del biglietto.

E’ di tutta evidenza la manifesta disparità di trattamento che si realizzerebbe (tra coloro che, potendo giovarsi di un giudizio equitativo, potrebbero ottenere un risarcimento effettivamente correlato al danno subito, e coloro che invece, non rientrando nella previsione di cui all’articolo 113, comma 2, Codice di Procedura Civile, potrebbero invece ottenere un risarcimento limitato al rimborso del biglietto), senza peraltro che una simile disparità risponda ad un apprezzabile e ragionevole criterio discretivo.

A questo andrebbe poi aggiunto che, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 206 del 6.7.2004, poiché il giudizio secondo equità deve comunque ispirarsi ai principi regolatori della materia oggetto della causa, si potrebbe ulteriormente dubitare della piena risarcibilità del danno in favore del trasportato in quanto (potrebbe sostenersi) le fattispecie del trasporto pubblico regolate dalla legge del 1935, rientrando tra le ipotesi che l’articolo 1680 Codice Civile sottrae allo jus comune, sarebbero ontologicamente e necessariamente disciplinate dalla legge del 1935… che diventerebbe, dunque, in ogni caso, un parametro di riferimento cui attenersi, necessariamente, anche in un giudizio che si svolga secondo equità.

La portata della pronuncia del Giudice di Pace di Bari, allora, è tutta nell’aver svincolato la possibilità di disapplicare la legge 911/1935 dallo svolgimento del giudizio secondo equità, ponendo così un principio applicabile anche in quei giudizi che si svolgono secondo le regulae juris.

In particolare, come accennato, nella pronuncia in esame il Giudice dispone il risarcimento in misura superiore al limite previsto dalla disciplina speciale muovendo dalla prevalenza che la disciplina posta a tutela del consumatore deve avere rispetto alle altre norme.

Appare difficile non condividere tale assunto se si considera che l’Unione Europea è univocamente orientata nel senso della piena tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori, per cui, salvo disattendere tale orientamento in sede di interpretazione (e applicazione) del diritto interno, la circostanza deve assumere necessariamente rilevanza. Se infatti è vero che i principi contenuti nei Trattati istitutivi delle comunità europee, nel trattato sull’Unione europea e nella normativa comunitaria derivata si muovono tutti verso una sempre maggiore tutela del soggetto (contrattualmente e socialmente) debole, è parimenti vero che, secondo un insegnamento ormai consolidato della Corte di Giustizia comunitaria, siffatti orientamenti rilevano in sede di interpretazione delle norme interne e devono condurre anche, dove necessario, alla disapplicazione di quelle disposizioni che siano in contrasto con la normativa comunitaria.

Non va infine sottaciuto che, anche dal punto di vista della legislazione interna, vi sono significativi indizi di un pieno recepimento di tutta la normativa comunitaria (alla quale il legislatore italiano rimanda – forse – con un vero e proprio "rinvio non recettizio"): l’articolo 101 del Codice del Consumo, dettato proprio in materia di erogazione di servizi pubblici, prevede che "lo Stato e le regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, garantiscono i diritti degli utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia". Trattasi di una "norma di rinvio" (così rubricata) che evidentemente tende a tutelare e riconoscere i diritti del consumatore anche – e, diremmo, soprattutto – allorquando si tratti di un pubblico servizio.

Alla luce di tali considerazioni appare chiaro che una piena tutela non può che muovere dall’applicazione in via diretta ed immediata della normativa comunitaria, senza che essa possa essere subordinata all’applicazione di un giudizio equitativo: pena, non solo una (contraddittoria) limitazione delle garanzie offerte al consumatore, bensì anche una inammissibile restrizione dell’efficacia della normativa comunitaria.

D’altronde, in un momento storico nel quale l’intero ordinamento comunitario si muove verso la positivizzazione dei diritti del consumatore, affermare che un diritto (quale quello al risarcimento del danno) può essere riconosciuto solo in un giudizio "svincolato" dalle norme di diritto positivo (quale è quello equitativo), appare quantomeno contraddittorio.