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La riforma dei controlli: situazione italiana ed esperienze europee

Conferenza sul tema "PER LO SNELLIMENTO E LA REVISIONE DEL SISTEMA DEI CONTROLLI"

Firenze, 25 Febbraio, 1994 Palaffari - Piazza Adua.

"LA RIFORMA DEI CONTROLLI: SITUAZIONE ITALIANA ED ESPERIENZE EUROPEE"

-Il primo capitolo e metà del secondo dell’intervento che segue sono gli stessi presentati in Convegno su "Autonomie locali e federalismo - Nuovi controlli per nuovi poteri" 14,3,1997, Marina di Ravenna, (RA), Italia, intervento: "Per una riforma europea dei controlli sugli enti locali"

1) Disciplina comparata dei controlli

In Europa praticamente ogni regione dispone di un’istituzione di controllo finanziario estero. L’eccezione più importante è rappresentata dallo Stato spagnolo, dove solo quattro delle diciassette Comunità Autonome o Regioni esistenti ne sono dotate. In questo paese, come in Irlanda e Svizzera, coesistono diversi statuti e gli organi regionali di controllo esterno dispongono di poteri di tipo diversi, mentre altrove la regola maggioritaria sembra essere l’uniformità dei poteri esercitati dagli organi regionali all’interno di uno stesso Stato.

Per quanto riguarda l’istituzione, lo statuto e le regole di funzionamento, si distinguono due grandi gruppi: gli stati federali o decentralizzati, come Germania e Spagna, dove questi aspetti sono di competenza regionale, e gli altri Stati, tradizionalmente unitari, dove l’esistenza, lo statuto e le regole di funzionamento degli organi regionali di controllo finanziario sono determinati dallo stato centrale: di quest’ultimo gruppo fanno parte Francia, Inghilterra, Galles e Irlanda.

Il nostro sistema, limitatamente a questo aspetto, può essere inquadrato, in linea generale, nel primo gruppo.

In ordine all’estensione dell’attività di controllo si deve osservare che l’obiettivo principale degli organi regionali di controllo esterno è la verifica dei controlli degli enti locali e ugualmente degli organismi e delle imprese da esse dipendenti e finanziate.

La regola generale vuole che questi stessi organi regionali di controllo esterno siano abilitati a verificare i conti delle amministrazioni territoriali o degli enti di livello inferiore alla regione, come comuni, distretti, contee, province o dipartimenti.

L’obiettivo del controllo esterno esercitato dagli organi regionali di controllo è in quasi tutti i casi triplice:

- controllo della regolarità di bilancio;

- controllo della legittimità;

- controllo dell’efficacia e dell’economia.

I primi due obiettivi sono realizzati praticamente ovunque, mentre sul terzo, di sviluppo teorico e pratico più recente, non esiste l’unanimità assoluta: esso non è effettuato dagli organi regionali di controllo d’Irlanda né in tutti i cantoni Svizzeri, oltre che, come è noto, nel nostro paese.

Circa i legami degli organismi regionali di controllo con altre istituzioni di controllo dei vari livelli territoriali, esiste una grande uniformità nei vari paesi europei. Solo nel caso degli organi regionali di controllo esterno francesi si osservano relazioni di potere e di procedura con l’organo di controllo esterno dello Stato centrale: essi sono istituzionalizzati tanto che gli organi regionali sono membri del Consiglio Superiore delle Camere Regionali dei Conti.

Relativamente alle procedure di controllo si rileva che, contrariamente a quanto previsto nel nostro sistema:

- la verifica dei conti non avviene esclusivamente su documenti, ma sono presi in considerazione anche altri elementi ed anche accertamenti effettuati in loco;

- i documenti analizzati sono sia quelli detenuti dall’organismo di controllo che quelli appartenenti ad altri organismi pubblici. Nella maggior parte dei paesi possono essere consultati documenti di organismi privati, specialmente se vi sia ragione di credere che si siano avuti degli spostamenti di capitali verso di essi;

- Quanto ai poteri giurisdizionali dell’organo di controllo, essi esistono solo in Irlanda, unico paese dove all’organo regionale di controllo si riconosca la facoltà di avviare azioni giudiziarie, il che tuttavia è ammesso in ipotesi specifiche anche nel cantone svizzero del Jura.

Gli organi regionali di controllo esterno osservano in tutti i casi una procedura in contraddittorio, che per certi aspetti e principi somiglia a quella giurisdizionale, benché non sia riconosciuta la facoltà d’imporre sanzioni. Tale possibilità è riconosciuta solo agli organi regionali di controllo di Francia e Svizzera, e, in misura minore, nel nostro paese, dove gli organi regionali possono annullare l’atto amministrativo una volta sottoposto a verifica.

Il finanziamento degli organi regionali di controllo esterno proviene generalmente dal bilancio della regione, nella totalità per quanto riguarda Spagna, Germania, Svizzera e Svezia, solo in parte negli altri Stati. In Inghilterra e Galles il finanziamento avviene secondo un sistema di quote di partecipazione stabilito, mentre in Francia esso è garantito dal bilancio dello Stato centrale.

2) Tentativi centralizzati di riforma dei controlli e proposte di adeguamento della nostra normativa ai livelli europei

Da questa "fotografia" dei vari sistemi ne deriva un quadro particolarmente stimolante e avvincente che ha purtroppo evidenziato, come peraltro era stato rilevato dal coordinamento nazionale degli organi regionali di controllo già nel convegno di Roma del 3/4/1990, una "diversità" del sistema italiano, che può essere letta come ritardo culturale e come approccio inadeguato ad una moderna concezione della finanza pubblica.

I nostri organi di controllo infatti anche dopo la legge 142 del 1990 continuano ad utilizzare principi e strumenti elaborati dalla tradizione giuridica ottocentesca e risalenti in massima parte alla legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo del 1865, tutto ciò in un sistema che ormai si approssima al secondo millennio.

Del resto anche i recenti episodi di appalti e tangenti che hanno sconvolto il mondo della politica hanno dimostrato, se ancora ve ne fosse bisogno, l’inutilità di un controllo di sola "legittimità" atteso che le delibere incriminate apparivano formalmente inattaccabili.

Il potere centrale ha cercato in qualche modo di porre rimedio alle inadeguatezze del sistema, ma lo ha fatto operando con tentativi scoordinati tutti tesi ad accentrare il controllo degli enti locali nella Corte dei Conti vista come organo garante della legittimità e del buon adempimento della cosa pubblica.

La stessa istituzione della Sezione enti locali della Corte dei Conti (avvenuta con l’art. 13 del DL 22/12/81 N. 786, convertito in legge 26/2/82 N. 5) non ha consentito di superare i limiti dei tradizionali controlli di legittimità. L’avvio di un embrionale riesame della gestione finanziaria degli enti locali non solo ha posto un freno al fenomeno di deresponsabilizzazione degli amministratori tanto più che il riesame della finanza locale viene effettuato in termini globali. Le risultanze dell’attività di controllo della Sezione risultano perciò prive di conseguenze immediate sui singoli assoggettati a verifica - rimanendo sempre privilegiata la funzione referente della Corte - sicché i disservizi di un singolo ente, pur carichi di riflessi negativi sull’intera finanza statale, sfuggono alla adozione immediata di correttivi in grado di ripristinare l’alterato buon andamento della pubblica amministrazione.

I più volte individuati limiti delle norme in tema di controlli si legano, insomma, a una conclamata responsabilità della Corte dei Conti in subiecta materia: il quadro che ne emerge è comunque quello di una normativa scoordinata e disorganica e di un’attività di revisione contabile modesta quanto a risultati.

Non paiono destinati a miglior sorte i più recenti provvedimenti assunti dai due ultimi governi in carica in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti.

E’ stato utilizzato l’istituto del decreto-legge, riproponendo il provvedimento non appena questo veniva in scadenza. Possiamo così contare ben cinque decreti leggi (DL 8/3/93 n. 54; DL 15/5/93 n. 143; DL 17/7/93 n. 235; DL 14/2/93 n. 359 e finalmente DL 15/11/93 n. 453), salvo poi vedere stralciate le norme sull’azione di responsabilità e sui controlli che sono state inserite in un ordinario disegno di legge (n. 1656) secondo le indicazioni suggerite dalla competente commissione del Senato.

Abbiamo quindi avuto una sorta di procedimento binario tra disegno di legge ordinario e decreto legge da convertire che ha portato all’eliminazione della L. 14/1/94 n. 19 di conversione del DL 453/93 concernente le norme relative al decentramento delle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti e al procedimento dei giudizi di responabilità e di quelli in materia pensionistica, e della L. 14/1/94 n. 20 che tratta più espressamente il procedimento di controllo della Corte dei Conti (riproponendo peraltro le medesime norme previste nel DL 453/93).

L’intento dei provvedimenti legislativi, in tutte le loro versioni, è anzitutto quello di ridisegnare la struttura della Corte dei Conti su base regionale, rendendo più rapidi e veloci i meccanismi di individuazione e di recupero del denaro illegittimamente sottratto alle casse pubbliche. Non a caso il testo iniziale faceva parte di quel provvedimento presentato dal ministro della Giustizia del Governo Amato, Giovanni Conso, ma non firmato dal Presidente della Repubblica, che introduceva rilevanti modifiche nel trattamento riservato ai reati tipici di tangentopoli.

Nella prospettiva della riforma dei controlli paiono perticolarmente significativi i seguenti punti:

anzitutto con la legge n. 20/94 scompare improvvisamente la norma istitutiva dei servizi di controllo interno nelle pubbliche amministrazioni (art. 8 DL 143/93; art. 9 DL n. 232/93; art. 9 DL n. 359/93, uno dei punti centrali della riforma dei controlli secondo il prof. Cassese, cfr. I moscerini e gli avvoltoi - Sistema dei controlli e riforma della Costituzione, in Il Corriere Giuridico n. 2/93, p. 228).

Non può però sostenersi un ripensamento in proposito da parte del Governo, ma semplicemente l’intenzione di collocare la norma in un contesto di riforma dell’organizzazione della P.A. (decreto di correzione del DL 3/2/93 n. 29), confinando nel presente DL solo la normativa quadro relativa alla Corte dei Conti.

Il problema dei controlli viene espressamente trattato nell’art. 3 della L. 20/94.

Lo schema di fondo della norma è quello che discende direttamente dalla 142/90 (limitazione del controllo preventivo agli anni particolarmente significativi, esecutività del provvedimento qualora l’organo di controllo non si sia pronunciato entro un breve tempo determinato dal ricevimento dell’atto, N.B. 30 gg), ma in questo quadro sicuramente ragionevole e condivisibile, vengono inserite disposizioni piuttosto discutibili.

Anzitutto viene espressamente introdotto il controllo sulla gestione nei confronti delle amministrazioni regionali (n. 5), controllo non previsto nel primo DL n. 143/93.

La previsione normativa contenuta nella stesura del predetto decreto n. 142/93 era sicuramente preferibile, nella sua linearità e speditezza, rispetto a quella definitiva della norma di legge, molto farraginosa e sicura fonte di conflittualità istituzionale.

Ci si domanda infatti a questo punto quale sia il ruolo della Commissione di controllo sull’Amministrazione Regionale, prevista dall’art. 125 della Costituzione e non ancora abrogata, e come questo controllo vada a raccordarsi con il controllo esercitato dal predetto organo.

E’ infatti abbastanza pacifico che l’art. 125 della Costituzione nel prevedere un solo controllo sugli atti regionali, demandandone l’esercizio ad un "organo dello stato" ha voluto escludere qualsiasi diverso tipo di controllo sugli atti regionali.

D’altronde atteso che secondo l’art. 3 n. 5 il nuovo controllo "concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma", sembra obiettivamente arduo svincolare il regime degli atti direttamente riferibili alla legislazione di principio e quelli invece attuativi della normativa regionale.

Pare a chi scrive che questa norma si colloche esattamente in un deprecabile fenomeno di sovvertimento delle regole costituzionali attraverso un metodo strisciante che si avvale della adozione di leggi ordinarie.

Per quanto riguarda poi gli enti locali viene mantenuta ferma la competenza della Sezione enti locali della Corte (n. 7) sulla cui efficacia e produttività ci siamo già soffermati sopra.

Ad un primo esame potrebbe sembrare che il legislatore, con questa norma, abbia voluto escludere l’applicabilità ai Comuni ed alle Province del nuovo controllo successivo di gestione di cui al n. 4 della norma in esame, al fine di evitare che gli enti locali siano sottoposti due volte al controllo della Corte dei Conti.

Peraltro ad un esame più approfondito potrebbe facilemente sostenersi che i due controlli si differenzino sia sotto un profilo soggettivo che oggettivo e che quindi possano essere "compatibili". Infatti il controllo attribuito alla sezione Enti locali della Corte dei conti riguarda solo le province e i comuni con più di ottomila abitanti, mentre il controllo "successivo" di nuova istituzione riferendosi genericamente alle "Amministrazioni Pubbliche" interessa qualsiasi ente locale, indipendentemente dalla sia dimensione, inoltre, diversamente dal primo, che comporta valutazioni di ordine complessivo, ha come oggetto l’attività delle singole amministrazioni sottoposte separatamente ed "autonomamente" ai "severi" giudizi dell’organo di controllo.

Ne consegue anche in linea con lo spirito centralista che anima la presente normativa, che, secondo quest’ultima, gli enti locali saranno sottoposti ad un doppio controllo da parte della Corte dei Conti, con buona pace del sistema delle autonomie.

Il che peraltro conferma l’esistenza, nel nostro paese, di un fenomeno paradossale: l’accentramento dei controlli è direttamente proporzionale all’espansione del processo di regionalizzazione e all’affermazione del sistema delle autonomie locali.

D’altronde il nuovo sistema può poi essere fonte di conflittualità istituzionale in quanto il contollo successivo della Corte dei Conti si sovrappone anche al controllo del Coreco previsto dall’art. 46 n. 11 L. 142/90.

Il risultato è che i bilanci e i conti consuntivi degli enti locali potranno essere soggetti ad un quadruplice controllo: quello del Coreco ex art. 46 L. 142/90; quello del Collegio dei Revisori ex art. 57 L. 142/90; quello della Corte dei Conti ai sensi del DL 768/91 ed infine al nuovo controllo successivo della Corte dei Conti, con buona pace del prof. Cassese che aveva individuato come limite quello dell’eccessiva proliferazione dei controlli (cfr. op. cit. p. 228), ma soprattutto delle autonomie che si troverano addirittura "ingabbiate" nel nuovo sistema dei controlli.

In sostanza trattasi, come si può vedere, di disposizioni che solo in parte possono anche essere condivise sul piano dell’efficienza dei controlli (specificatamente per quanto riguarda gli atti delle amministrazioni statali), ma dall’altra parte esse portano a compimento quel processo di accentramento del controllo negli organi statali centrali, cui accennavamo sopra, con conseguente inevitabile compressione delle autonomie locali.

Detto processo iniziato con le richieste di informazioni ai Co.Re.Co da parte della Corte dei Conti, transitato attraverso la sentenza n. 422 del 24/3/88 della Corte Costituzionale che ha riconosciuto la legittimità di tali richieste, arriva al suo culmine con il riconoscimento della Corte dei Conti non puù e non solo al Parlamento, ma anche ai Consigli regionali.

In sostanza la Corte dei Conti, con il provvedimento in esame è oggi diventata un organo centrale, sia pur decentrato, abilitato al controllo successivo di efficacia e di efficienza per contro dei consigli regionali, espropriando di tali funzioni il Co.Re.Co rinnovato secondo le disposizioni di cui alla L. 142/90. Qui il contrasto con l’art. 130 della Costituzione è palese e solo l’isipienza e la scarsa attenzione al problema da parte delle Regioni può consentire una tale espropriazione dell’autonomia locale. A questo proposito spiace peraltro constatare come la capacità di comprensione di tale problema sia del tutto assente presso i nostri deputati, forse pressati da altre esigenze, se è vero che la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali ha proposto, con notevole lungimiranza, la seguente modifica dell’art. 130 della Costituzione: "Sezioni decentrate della Corte dei conti esercitano, nei limiti e con le modalità stabilite da leggi dello Stato, il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali".

Non possiamo peraltro negare di aver sobbalzato quanto abbiamo letto nell’invito a questo convegno e nell’allegato ordine al giorno 29/12/93 che la questione dei controlli "potrà essere risolta in modo organico e definitivo solo con la modifica dell’art. 130 della Costituzione, così come autorevolmente proposto anche in sede di Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, per orientare il controllo preventivo a successivo e sui risultati, e con la soppressione dell’attuale sistema...".

Osserviamo che la proposta di modifica della commissione prlamentare, non "orienta" alcunchè, si limita a prevedere "la competenza" in materia di controllo di legittimità della Corte dei Conti.

Non si parla cioè di controllo di gestione, ma di controllo di legittimità: in buona sostanza si usa la stessa dizione utilizzata dal legislatore costituzionale limitandosi a sostituire il soggetto agente che non è più "un organo della Regione" (come voleva il legislatore costituzionale) ma "sezioni decentrate della Corte dei Conti...." (come vorrebbero i tristi epigoni dei tempi nostri).

Indubbiamente un "autorevole" risultato che va sicuramente nel senso voluto dalle "autonomie" e che conferma come ad un ampliamento del processo di regionalizzazione del nostro paese che ci avvicina all’Europa corrisponda un processo di accentramento del sistema dei controlli che ce ne allontana.

E’ ormai da qualche anno che stiamo assistendo ad un vero e proprio sistematico attacco che viene sferrato da diverse parti, anche tra loro molto distanti, agli organi regionali di controllo.

La situazione può essere raffigurata come quella di una diligenza attaccata da due lati: da una parte gli indiani "metropolitani" dell’autonomia spinta, dall’altro le truppe governative formate da c.d. professori e dagli alti burocrati dei ministeri; per quel fenomeno paradossale cui accennavemo sopra stranamente le loro pretese coincidono.

Cominciò l’allora ministero della Sanità De Lorenzo il quale nel suo primo disegno di legge concernente le misure di riordino delle USL, pretendeva che il controllo sulla gestione di queste ultime fosse effettuato dalle Regioni utilizzando "società specializzate".

Sull’efficacia di tale controllo basti pensare al gruppo Ferruzzi ed alla Società specielizzata che ne rivedeva e certificava i bilanci.

Di gran moda poi, in questo momento, come si è visto, la tesi di chi invoca l’affidamento dei controlli alla Corte dei conti, trasformata in sezione generale (in questo senso M.S. Giannini. Riforma della autonomie, il Progetto Giannini in Regione e Governo locale, 1989, n. 4 p. 41 e seg.).

Il paladino di tale tesi è soprattutto il prof. Cassese (op. cit.), che peraltro ha avuto recentemente l’autorevole conforto dell’On.le Alessandra Mussolini (che in un’intervista televisiva si è espressamente pronunziata per la soppressione di Regioni, Province e Comitati di controllo) e del Ministro dell’Interno Nicola Mancino (Il Sole 24 Ore, 31/5/1993, Mancino vuole super-controlli sugli Enti locali).

Ad avviso di chi scrive non pare che questo organo formato da magistrati di carriera cioè inamovibili e di norma governativa, potrebbe risolvere il problema in esame: sicuramente non sarebbe risolto il problema della svincolo dei controlli dalla politca, come dimostrano le recente polemiche interne alla Corte dei conti seguite dalla stampa nazionale.

Del resto anche sotto il profilo dell’efficienza vi sarebbe molto da ridire in proposito. Senza andare al problema delle pensioni di guerra e dei relativi danni che ancora aspettano di esser eliquidati, e che il governo, con una norma degna della Repubblica di Vichy, risolve con una generale declaratora di estinzione del del giudizio (art. 6 n. 2 del DL 453/93) in mancanza di istanza per la prosecuzione del medesimo da depositarsi entro sei mesi dall’avviso di ricezione del fascicolo da parte della sezione competente, basti qui osservare alla fine di luglio dell’anno scorso risultavano ancora inevasi da esaminare 192 mila rendiconti e 792 mila titoli di pagamento (Roberto Turno, Il Sole 24 Ore, Su procura e pensioni pesano 250 mila pensioni diguerra, Il Sole 24 Ore, 24/10/93).

Sembra a chi scrive che è più che sufficiente per la Corte dei conti il controllo sulle amministrazioni dello Stato che peraltro, almeno dalle note vicende giudiziarie che sono sui giornali, non pare particolamrnte efficace (vedasi, ad es. appalti ANAS e quant’altro). Del resto per quanto riguarda il controllo degli Enti locali viene affidato a funzionari o magistrati di carriera e ciò si spiega ampliamente con le tradizioni centraliste di questi stati.

Nessuna voce al momento si è levata per richiedere il ripristino della "tutela prefettizia", ma data la confuzione esistente sul problema dei controlli, non ci meraviglieremmo assolutamente se qualcuno proponesse tale soluzione.

In realtà la soluzione del problema c’è già, e non richiede nessuna modifica della Carta Costituzionale. Basta introdurre il controllo successivo sull’attività dell’ente locale non previsto, ma neppure eslcuso, dal legislatore costituzionale.

Con riguardo a questa forma di sindacato, si parla appunto di controllo di gestione, per indicare che il suo oggetto non è più l’atto ammininistrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche da quelli omessi, e soprattutto, dai risultati raggiunti. Dell’attività amministrativa si tratta di valutare l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti.

Tale sistema potrebbe ben essere affiancato ai tradizionali controlli di legittimità, che in forma maggiormente ridotta e razionalizzata anche rispetto a quella prevista dalla legge 142/90 (si pensi al sistema di controllo eventuale o su elenchi già previsto in alcune legislazioni regionali prima della legge 142/90; legge 12/12/85 n. 28 dell’Emilia Romagna, e legge 8/2/82 n. 2 della Lombardia) possano ancora svolgere un’utile funzione.

Entrambi ovviamente devono essere affidati al Co.Re.Co. quale organo costituzionalmente previsto ed a ciò deputato dall’art. 130 della Costituzione.

Del resto un’embrionale forma di controllo di gestione è già affidata al Co.Re.Co. dall’art. 46 n. 11 della L. 142/90 (che peraltro all’art. 57 affida al collegio dei revisori la revisione economico-finanziaria dell’ente, che può essere un utile supprto al futuro controllo di efficacia e di efficienza affidato al Co.Re.Co.).

Ovviamente però per svolgere tali compiti ex art. 44 n. 4 L. 142/90 il Co.Re.Co. deve essere dotato di adeguate strutture serventi, essendo allo stato impensabile di poter effettuare un serio controllo di gestione con le strutture attualmente esistenti.

Si potrebbe pensare anche ad un controllo di gestione impostato dapprima su tematiche (ad es. personale, contratti, servizi...) preventivamente scelte dall’organo di controllo per poter svolgere un esame approfondito sulla gestione in materia dell’Ente locale.

Tale attività sarebbe di gran rilievo pratico e politico in quanto consentirebbe ai cittadini di avere un immediato rapporto sull’istituzione dell’Ente locali (i Co.Re.Co. nel nostro sistema istituzionale sono ormai i soli organi che si pronunciano in tempi brevissimi) e verrebbe a configurare il Co.Re.Co. come una vera e propria banca dati delle autonomie, con evidenti benefici per le’fficacia e l’efficienza dell’attività di queste ultime e della stessa Regione.

La soluzione da noi proposta potrebbe anche essere letta come un indispensabile adeguamento a livelli "europei" della nostra normativa in materia di controlli.

Si noti che oltre ad avvicinarci all’Europa, essa consentirebbe una notevole moralizzazione della nostra vita politica ed un vero controllo più imparziale e più efficace dell’azione amministrativa, nel totale rispetto peraltro dell autonomie locali e della carta costituzionale.

Non nutriamo soverchie illusioni sull’accoglimento nelle sedi comeptenti della nostra linea "europea". pare infatti sempre attuale quanto affermato dal De Sanctis nella sua "Storia della letteratura italiana": "In Italia prevalse la Rettorica, la cui prima regola è l’orrore del particolare e la vaga generalità".

Conferenza sul tema "PER LO SNELLIMENTO E LA REVISIONE DEL SISTEMA DEI CONTROLLI"

Firenze, 25 Febbraio, 1994 Palaffari - Piazza Adua.

"LA RIFORMA DEI CONTROLLI: SITUAZIONE ITALIANA ED ESPERIENZE EUROPEE"

-Il primo capitolo e metà del secondo dell’intervento che segue sono gli stessi presentati in Convegno su "Autonomie locali e federalismo - Nuovi controlli per nuovi poteri" 14,3,1997, Marina di Ravenna, (RA), Italia, intervento: "Per una riforma europea dei controlli sugli enti locali"

1) Disciplina comparata dei controlli

In Europa praticamente ogni regione dispone di un’istituzione di controllo finanziario estero. L’eccezione più importante è rappresentata dallo Stato spagnolo, dove solo quattro delle diciassette Comunità Autonome o Regioni esistenti ne sono dotate. In questo paese, come in Irlanda e Svizzera, coesistono diversi statuti e gli organi regionali di controllo esterno dispongono di poteri di tipo diversi, mentre altrove la regola maggioritaria sembra essere l’uniformità dei poteri esercitati dagli organi regionali all’interno di uno stesso Stato.

Per quanto riguarda l’istituzione, lo statuto e le regole di funzionamento, si distinguono due grandi gruppi: gli stati federali o decentralizzati, come Germania e Spagna, dove questi aspetti sono di competenza regionale, e gli altri Stati, tradizionalmente unitari, dove l’esistenza, lo statuto e le regole di funzionamento degli organi regionali di controllo finanziario sono determinati dallo stato centrale: di quest’ultimo gruppo fanno parte Francia, Inghilterra, Galles e Irlanda.

Il nostro sistema, limitatamente a questo aspetto, può essere inquadrato, in linea generale, nel primo gruppo.

In ordine all’estensione dell’attività di controllo si deve osservare che l’obiettivo principale degli organi regionali di controllo esterno è la verifica dei controlli degli enti locali e ugualmente degli organismi e delle imprese da esse dipendenti e finanziate.

La regola generale vuole che questi stessi organi regionali di controllo esterno siano abilitati a verificare i conti delle amministrazioni territoriali o degli enti di livello inferiore alla regione, come comuni, distretti, contee, province o dipartimenti.

L’obiettivo del controllo esterno esercitato dagli organi regionali di controllo è in quasi tutti i casi triplice:

- controllo della regolarità di bilancio;

- controllo della legittimità;

- controllo dell’efficacia e dell’economia.

I primi due obiettivi sono realizzati praticamente ovunque, mentre sul terzo, di sviluppo teorico e pratico più recente, non esiste l’unanimità assoluta: esso non è effettuato dagli organi regionali di controllo d’Irlanda né in tutti i cantoni Svizzeri, oltre che, come è noto, nel nostro paese.

Circa i legami degli organismi regionali di controllo con altre istituzioni di controllo dei vari livelli territoriali, esiste una grande uniformità nei vari paesi europei. Solo nel caso degli organi regionali di controllo esterno francesi si osservano relazioni di potere e di procedura con l’organo di controllo esterno dello Stato centrale: essi sono istituzionalizzati tanto che gli organi regionali sono membri del Consiglio Superiore delle Camere Regionali dei Conti.

Relativamente alle procedure di controllo si rileva che, contrariamente a quanto previsto nel nostro sistema:

- la verifica dei conti non avviene esclusivamente su documenti, ma sono presi in considerazione anche altri elementi ed anche accertamenti effettuati in loco;

- i documenti analizzati sono sia quelli detenuti dall’organismo di controllo che quelli appartenenti ad altri organismi pubblici. Nella maggior parte dei paesi possono essere consultati documenti di organismi privati, specialmente se vi sia ragione di credere che si siano avuti degli spostamenti di capitali verso di essi;

- Quanto ai poteri giurisdizionali dell’organo di controllo, essi esistono solo in Irlanda, unico paese dove all’organo regionale di controllo si riconosca la facoltà di avviare azioni giudiziarie, il che tuttavia è ammesso in ipotesi specifiche anche nel cantone svizzero del Jura.

Gli organi regionali di controllo esterno osservano in tutti i casi una procedura in contraddittorio, che per certi aspetti e principi somiglia a quella giurisdizionale, benché non sia riconosciuta la facoltà d’imporre sanzioni. Tale possibilità è riconosciuta solo agli organi regionali di controllo di Francia e Svizzera, e, in misura minore, nel nostro paese, dove gli organi regionali possono annullare l’atto amministrativo una volta sottoposto a verifica.

Il finanziamento degli organi regionali di controllo esterno proviene generalmente dal bilancio della regione, nella totalità per quanto riguarda Spagna, Germania, Svizzera e Svezia, solo in parte negli altri Stati. In Inghilterra e Galles il finanziamento avviene secondo un sistema di quote di partecipazione stabilito, mentre in Francia esso è garantito dal bilancio dello Stato centrale.

2) Tentativi centralizzati di riforma dei controlli e proposte di adeguamento della nostra normativa ai livelli europei

Da questa "fotografia" dei vari sistemi ne deriva un quadro particolarmente stimolante e avvincente che ha purtroppo evidenziato, come peraltro era stato rilevato dal coordinamento nazionale degli organi regionali di controllo già nel convegno di Roma del 3/4/1990, una "diversità" del sistema italiano, che può essere letta come ritardo culturale e come approccio inadeguato ad una moderna concezione della finanza pubblica.

I nostri organi di controllo infatti anche dopo la legge 142 del 1990 continuano ad utilizzare principi e strumenti elaborati dalla tradizione giuridica ottocentesca e risalenti in massima parte alla legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo del 1865, tutto ciò in un sistema che ormai si approssima al secondo millennio.

Del resto anche i recenti episodi di appalti e tangenti che hanno sconvolto il mondo della politica hanno dimostrato, se ancora ve ne fosse bisogno, l’inutilità di un controllo di sola "legittimità" atteso che le delibere incriminate apparivano formalmente inattaccabili.

Il potere centrale ha cercato in qualche modo di porre rimedio alle inadeguatezze del sistema, ma lo ha fatto operando con tentativi scoordinati tutti tesi ad accentrare il controllo degli enti locali nella Corte dei Conti vista come organo garante della legittimità e del buon adempimento della cosa pubblica.

La stessa istituzione della Sezione enti locali della Corte dei Conti (avvenuta con l’art. 13 del DL 22/12/81 N. 786, convertito in legge 26/2/82 N. 5) non ha consentito di superare i limiti dei tradizionali controlli di legittimità. L’avvio di un embrionale riesame della gestione finanziaria degli enti locali non solo ha posto un freno al fenomeno di deresponsabilizzazione degli amministratori tanto più che il riesame della finanza locale viene effettuato in termini globali. Le risultanze dell’attività di controllo della Sezione risultano perciò prive di conseguenze immediate sui singoli assoggettati a verifica - rimanendo sempre privilegiata la funzione referente della Corte - sicché i disservizi di un singolo ente, pur carichi di riflessi negativi sull’intera finanza statale, sfuggono alla adozione immediata di correttivi in grado di ripristinare l’alterato buon andamento della pubblica amministrazione.

I più volte individuati limiti delle norme in tema di controlli si legano, insomma, a una conclamata responsabilità della Corte dei Conti in subiecta materia: il quadro che ne emerge è comunque quello di una normativa scoordinata e disorganica e di un’attività di revisione contabile modesta quanto a risultati.

Non paiono destinati a miglior sorte i più recenti provvedimenti assunti dai due ultimi governi in carica in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti.

E’ stato utilizzato l’istituto del decreto-legge, riproponendo il provvedimento non appena questo veniva in scadenza. Possiamo così contare ben cinque decreti leggi (DL 8/3/93 n. 54; DL 15/5/93 n. 143; DL 17/7/93 n. 235; DL 14/2/93 n. 359 e finalmente DL 15/11/93 n. 453), salvo poi vedere stralciate le norme sull’azione di responsabilità e sui controlli che sono state inserite in un ordinario disegno di legge (n. 1656) secondo le indicazioni suggerite dalla competente commissione del Senato.

Abbiamo quindi avuto una sorta di procedimento binario tra disegno di legge ordinario e decreto legge da convertire che ha portato all’eliminazione della L. 14/1/94 n. 19 di conversione del DL 453/93 concernente le norme relative al decentramento delle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti e al procedimento dei giudizi di responabilità e di quelli in materia pensionistica, e della L. 14/1/94 n. 20 che tratta più espressamente il procedimento di controllo della Corte dei Conti (riproponendo peraltro le medesime norme previste nel DL 453/93).

L’intento dei provvedimenti legislativi, in tutte le loro versioni, è anzitutto quello di ridisegnare la struttura della Corte dei Conti su base regionale, rendendo più rapidi e veloci i meccanismi di individuazione e di recupero del denaro illegittimamente sottratto alle casse pubbliche. Non a caso il testo iniziale faceva parte di quel provvedimento presentato dal ministro della Giustizia del Governo Amato, Giovanni Conso, ma non firmato dal Presidente della Repubblica, che introduceva rilevanti modifiche nel trattamento riservato ai reati tipici di tangentopoli.

Nella prospettiva della riforma dei controlli paiono perticolarmente significativi i seguenti punti:

anzitutto con la legge n. 20/94 scompare improvvisamente la norma istitutiva dei servizi di controllo interno nelle pubbliche amministrazioni (art. 8 DL 143/93; art. 9 DL n. 232/93; art. 9 DL n. 359/93, uno dei punti centrali della riforma dei controlli secondo il prof. Cassese, cfr. I moscerini e gli avvoltoi - Sistema dei controlli e riforma della Costituzione, in Il Corriere Giuridico n. 2/93, p. 228).

Non può però sostenersi un ripensamento in proposito da parte del Governo, ma semplicemente l’intenzione di collocare la norma in un contesto di riforma dell’organizzazione della P.A. (decreto di correzione del DL 3/2/93 n. 29), confinando nel presente DL solo la normativa quadro relativa alla Corte dei Conti.

Il problema dei controlli viene espressamente trattato nell’art. 3 della L. 20/94.

Lo schema di fondo della norma è quello che discende direttamente dalla 142/90 (limitazione del controllo preventivo agli anni particolarmente significativi, esecutività del provvedimento qualora l’organo di controllo non si sia pronunciato entro un breve tempo determinato dal ricevimento dell’atto, N.B. 30 gg), ma in questo quadro sicuramente ragionevole e condivisibile, vengono inserite disposizioni piuttosto discutibili.

Anzitutto viene espressamente introdotto il controllo sulla gestione nei confronti delle amministrazioni regionali (n. 5), controllo non previsto nel primo DL n. 143/93.

La previsione normativa contenuta nella stesura del predetto decreto n. 142/93 era sicuramente preferibile, nella sua linearità e speditezza, rispetto a quella definitiva della norma di legge, molto farraginosa e sicura fonte di conflittualità istituzionale.

Ci si domanda infatti a questo punto quale sia il ruolo della Commissione di controllo sull’Amministrazione Regionale, prevista dall’art. 125 della Costituzione e non ancora abrogata, e come questo controllo vada a raccordarsi con il controllo esercitato dal predetto organo.

E’ infatti abbastanza pacifico che l’art. 125 della Costituzione nel prevedere un solo controllo sugli atti regionali, demandandone l’esercizio ad un "organo dello stato" ha voluto escludere qualsiasi diverso tipo di controllo sugli atti regionali.

D’altronde atteso che secondo l’art. 3 n. 5 il nuovo controllo "concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma", sembra obiettivamente arduo svincolare il regime degli atti direttamente riferibili alla legislazione di principio e quelli invece attuativi della normativa regionale.

Pare a chi scrive che questa norma si colloche esattamente in un deprecabile fenomeno di sovvertimento delle regole costituzionali attraverso un metodo strisciante che si avvale della adozione di leggi ordinarie.

Per quanto riguarda poi gli enti locali viene mantenuta ferma la competenza della Sezione enti locali della Corte (n. 7) sulla cui efficacia e produttività ci siamo già soffermati sopra.

Ad un primo esame potrebbe sembrare che il legislatore, con questa norma, abbia voluto escludere l’applicabilità ai Comuni ed alle Province del nuovo controllo successivo di gestione di cui al n. 4 della norma in esame, al fine di evitare che gli enti locali siano sottoposti due volte al controllo della Corte dei Conti.

Peraltro ad un esame più approfondito potrebbe facilemente sostenersi che i due controlli si differenzino sia sotto un profilo soggettivo che oggettivo e che quindi possano essere "compatibili". Infatti il controllo attribuito alla sezione Enti locali della Corte dei conti riguarda solo le province e i comuni con più di ottomila abitanti, mentre il controllo "successivo" di nuova istituzione riferendosi genericamente alle "Amministrazioni Pubbliche" interessa qualsiasi ente locale, indipendentemente dalla sia dimensione, inoltre, diversamente dal primo, che comporta valutazioni di ordine complessivo, ha come oggetto l’attività delle singole amministrazioni sottoposte separatamente ed "autonomamente" ai "severi" giudizi dell’organo di controllo.

Ne consegue anche in linea con lo spirito centralista che anima la presente normativa, che, secondo quest’ultima, gli enti locali saranno sottoposti ad un doppio controllo da parte della Corte dei Conti, con buona pace del sistema delle autonomie.

Il che peraltro conferma l’esistenza, nel nostro paese, di un fenomeno paradossale: l’accentramento dei controlli è direttamente proporzionale all’espansione del processo di regionalizzazione e all’affermazione del sistema delle autonomie locali.

D’altronde il nuovo sistema può poi essere fonte di conflittualità istituzionale in quanto il contollo successivo della Corte dei Conti si sovrappone anche al controllo del Coreco previsto dall’art. 46 n. 11 L. 142/90.

Il risultato è che i bilanci e i conti consuntivi degli enti locali potranno essere soggetti ad un quadruplice controllo: quello del Coreco ex art. 46 L. 142/90; quello del Collegio dei Revisori ex art. 57 L. 142/90; quello della Corte dei Conti ai sensi del DL 768/91 ed infine al nuovo controllo successivo della Corte dei Conti, con buona pace del prof. Cassese che aveva individuato come limite quello dell’eccessiva proliferazione dei controlli (cfr. op. cit. p. 228), ma soprattutto delle autonomie che si troverano addirittura "ingabbiate" nel nuovo sistema dei controlli.

In sostanza trattasi, come si può vedere, di disposizioni che solo in parte possono anche essere condivise sul piano dell’efficienza dei controlli (specificatamente per quanto riguarda gli atti delle amministrazioni statali), ma dall’altra parte esse portano a compimento quel processo di accentramento del controllo negli organi statali centrali, cui accennavamo sopra, con conseguente inevitabile compressione delle autonomie locali.

Detto processo iniziato con le richieste di informazioni ai Co.Re.Co da parte della Corte dei Conti, transitato attraverso la sentenza n. 422 del 24/3/88 della Corte Costituzionale che ha riconosciuto la legittimità di tali richieste, arriva al suo culmine con il riconoscimento della Corte dei Conti non puù e non solo al Parlamento, ma anche ai Consigli regionali.

In sostanza la Corte dei Conti, con il provvedimento in esame è oggi diventata un organo centrale, sia pur decentrato, abilitato al controllo successivo di efficacia e di efficienza per contro dei consigli regionali, espropriando di tali funzioni il Co.Re.Co rinnovato secondo le disposizioni di cui alla L. 142/90. Qui il contrasto con l’art. 130 della Costituzione è palese e solo l’isipienza e la scarsa attenzione al problema da parte delle Regioni può consentire una tale espropriazione dell’autonomia locale. A questo proposito spiace peraltro constatare come la capacità di comprensione di tale problema sia del tutto assente presso i nostri deputati, forse pressati da altre esigenze, se è vero che la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali ha proposto, con notevole lungimiranza, la seguente modifica dell’art. 130 della Costituzione: "Sezioni decentrate della Corte dei conti esercitano, nei limiti e con le modalità stabilite da leggi dello Stato, il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali".

Non possiamo peraltro negare di aver sobbalzato quanto abbiamo letto nell’invito a questo convegno e nell’allegato ordine al giorno 29/12/93 che la questione dei controlli "potrà essere risolta in modo organico e definitivo solo con la modifica dell’art. 130 della Costituzione, così come autorevolmente proposto anche in sede di Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, per orientare il controllo preventivo a successivo e sui risultati, e con la soppressione dell’attuale sistema...".

Osserviamo che la proposta di modifica della commissione prlamentare, non "orienta" alcunchè, si limita a prevedere "la competenza" in materia di controllo di legittimità della Corte dei Conti.

Non si parla cioè di controllo di gestione, ma di controllo di legittimità: in buona sostanza si usa la stessa dizione utilizzata dal legislatore costituzionale limitandosi a sostituire il soggetto agente che non è più "un organo della Regione" (come voleva il legislatore costituzionale) ma "sezioni decentrate della Corte dei Conti...." (come vorrebbero i tristi epigoni dei tempi nostri).

Indubbiamente un "autorevole" risultato che va sicuramente nel senso voluto dalle "autonomie" e che conferma come ad un ampliamento del processo di regionalizzazione del nostro paese che ci avvicina all’Europa corrisponda un processo di accentramento del sistema dei controlli che ce ne allontana.

E’ ormai da qualche anno che stiamo assistendo ad un vero e proprio sistematico attacco che viene sferrato da diverse parti, anche tra loro molto distanti, agli organi regionali di controllo.

La situazione può essere raffigurata come quella di una diligenza attaccata da due lati: da una parte gli indiani "metropolitani" dell’autonomia spinta, dall’altro le truppe governative formate da c.d. professori e dagli alti burocrati dei ministeri; per quel fenomeno paradossale cui accennavemo sopra stranamente le loro pretese coincidono.

Cominciò l’allora ministero della Sanità De Lorenzo il quale nel suo primo disegno di legge concernente le misure di riordino delle USL, pretendeva che il controllo sulla gestione di queste ultime fosse effettuato dalle Regioni utilizzando "società specializzate".

Sull’efficacia di tale controllo basti pensare al gruppo Ferruzzi ed alla Società specielizzata che ne rivedeva e certificava i bilanci.

Di gran moda poi, in questo momento, come si è visto, la tesi di chi invoca l’affidamento dei controlli alla Corte dei conti, trasformata in sezione generale (in questo senso M.S. Giannini. Riforma della autonomie, il Progetto Giannini in Regione e Governo locale, 1989, n. 4 p. 41 e seg.).

Il paladino di tale tesi è soprattutto il prof. Cassese (op. cit.), che peraltro ha avuto recentemente l’autorevole conforto dell’On.le Alessandra Mussolini (che in un’intervista televisiva si è espressamente pronunziata per la soppressione di Regioni, Province e Comitati di controllo) e del Ministro dell’Interno Nicola Mancino (Il Sole 24 Ore, 31/5/1993, Mancino vuole super-controlli sugli Enti locali).

Ad avviso di chi scrive non pare che questo organo formato da magistrati di carriera cioè inamovibili e di norma governativa, potrebbe risolvere il problema in esame: sicuramente non sarebbe risolto il problema della svincolo dei controlli dalla politca, come dimostrano le recente polemiche interne alla Corte dei conti seguite dalla stampa nazionale.

Del resto anche sotto il profilo dell’efficienza vi sarebbe molto da ridire in proposito. Senza andare al problema delle pensioni di guerra e dei relativi danni che ancora aspettano di esser eliquidati, e che il governo, con una norma degna della Repubblica di Vichy, risolve con una generale declaratora di estinzione del del giudizio (art. 6 n. 2 del DL 453/93) in mancanza di istanza per la prosecuzione del medesimo da depositarsi entro sei mesi dall’avviso di ricezione del fascicolo da parte della sezione competente, basti qui osservare alla fine di luglio dell’anno scorso risultavano ancora inevasi da esaminare 192 mila rendiconti e 792 mila titoli di pagamento (Roberto Turno, Il Sole 24 Ore, Su procura e pensioni pesano 250 mila pensioni diguerra, Il Sole 24 Ore, 24/10/93).

Sembra a chi scrive che è più che sufficiente per la Corte dei conti il controllo sulle amministrazioni dello Stato che peraltro, almeno dalle note vicende giudiziarie che sono sui giornali, non pare particolamrnte efficace (vedasi, ad es. appalti ANAS e quant’altro). Del resto per quanto riguarda il controllo degli Enti locali viene affidato a funzionari o magistrati di carriera e ciò si spiega ampliamente con le tradizioni centraliste di questi stati.

Nessuna voce al momento si è levata per richiedere il ripristino della "tutela prefettizia", ma data la confuzione esistente sul problema dei controlli, non ci meraviglieremmo assolutamente se qualcuno proponesse tale soluzione.

In realtà la soluzione del problema c’è già, e non richiede nessuna modifica della Carta Costituzionale. Basta introdurre il controllo successivo sull’attività dell’ente locale non previsto, ma neppure eslcuso, dal legislatore costituzionale.

Con riguardo a questa forma di sindacato, si parla appunto di controllo di gestione, per indicare che il suo oggetto non è più l’atto ammininistrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche da quelli omessi, e soprattutto, dai risultati raggiunti. Dell’attività amministrativa si tratta di valutare l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti.

Tale sistema potrebbe ben essere affiancato ai tradizionali controlli di legittimità, che in forma maggiormente ridotta e razionalizzata anche rispetto a quella prevista dalla legge 142/90 (si pensi al sistema di controllo eventuale o su elenchi già previsto in alcune legislazioni regionali prima della legge 142/90; legge 12/12/85 n. 28 dell’Emilia Romagna, e legge 8/2/82 n. 2 della Lombardia) possano ancora svolgere un’utile funzione.

Entrambi ovviamente devono essere affidati al Co.Re.Co. quale organo costituzionalmente previsto ed a ciò deputato dall’art. 130 della Costituzione.

Del resto un’embrionale forma di controllo di gestione è già affidata al Co.Re.Co. dall’art. 46 n. 11 della L. 142/90 (che peraltro all’art. 57 affida al collegio dei revisori la revisione economico-finanziaria dell’ente, che può essere un utile supprto al futuro controllo di efficacia e di efficienza affidato al Co.Re.Co.).

Ovviamente però per svolgere tali compiti ex art. 44 n. 4 L. 142/90 il Co.Re.Co. deve essere dotato di adeguate strutture serventi, essendo allo stato impensabile di poter effettuare un serio controllo di gestione con le strutture attualmente esistenti.

Si potrebbe pensare anche ad un controllo di gestione impostato dapprima su tematiche (ad es. personale, contratti, servizi...) preventivamente scelte dall’organo di controllo per poter svolgere un esame approfondito sulla gestione in materia dell’Ente locale.

Tale attività sarebbe di gran rilievo pratico e politico in quanto consentirebbe ai cittadini di avere un immediato rapporto sull’istituzione dell’Ente locali (i Co.Re.Co. nel nostro sistema istituzionale sono ormai i soli organi che si pronunciano in tempi brevissimi) e verrebbe a configurare il Co.Re.Co. come una vera e propria banca dati delle autonomie, con evidenti benefici per le’fficacia e l’efficienza dell’attività di queste ultime e della stessa Regione.

La soluzione da noi proposta potrebbe anche essere letta come un indispensabile adeguamento a livelli "europei" della nostra normativa in materia di controlli.

Si noti che oltre ad avvicinarci all’Europa, essa consentirebbe una notevole moralizzazione della nostra vita politica ed un vero controllo più imparziale e più efficace dell’azione amministrativa, nel totale rispetto peraltro dell autonomie locali e della carta costituzionale.

Non nutriamo soverchie illusioni sull’accoglimento nelle sedi comeptenti della nostra linea "europea". pare infatti sempre attuale quanto affermato dal De Sanctis nella sua "Storia della letteratura italiana": "In Italia prevalse la Rettorica, la cui prima regola è l’orrore del particolare e la vaga generalità".