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La Corte di Giustizia UE su affidamento diretto: il caso Carbotermo

Nota a Corte di Giustizia UE, Sentenza 11 maggio 2006

Sommario:

1 Cenni sugli appalti in house;

2 Orientamenti della Corte di Giustizia;

3 Il Caso Carbotermo.

1 CENNI SUGLI APPALTI IN HOUSE

La sentenza in questione concerne uno dei temi più dibattuti del diritto comunitario: gli appalti in house. In essa la corte si pone sulla linea degli orientamenti che negli ultimi anni si stanno sempre più consolidando.

Il problema degli appalti in house nasce per il contrasto tra le procedure utilizzate per l’assegnazione degli appalti da parte delle pubbliche amministrazioni e la rigida disciplina del dritto comunitario: in sostanza il diritto comunitario pone dei paletti affinché l’aggiudicazione non falsi “il normale gioco della concorrenza” evitando procedure ad evidenza pubblica. L’elusione di tali norme si sostanzia nell’affidamento diretto dell’incarico.

Per garantire la libertà di accesso al mercato degli appalti a chiunque sia interessato, Il diritto dell’Unione Europea prevede che vengano rispettate le procedure previste dalle varie direttive (es. direttiva 93/36 sugli appalti pubblici di forniture) e comunque che non siano violati i principi generali del diritto comunitario e le norme del Trattato CE sulle libertà economiche fondamentali(articoli: 39, 43, 49,ecc..) e sulla concorrenza (articoli 85, 86, 87).

Negli ultimi anni, in mancanza di una hard law che segnasse i limiti invalicabili entro i quali è possibile effettuare un affidamento diretto (c.d. in house providing), la giurisprudenza comunitaria si è cimentata nella “creazione” dei requisiti necessari man mano che si presentavano casi concreti.

Prima di esaminare la sentenza “Carbotermo” è perciò necessario fare un breve excursus di quanto è stato elaborato fino a questo momento.

2 ORIENTAMENTI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

Ripercorrendo le tappe, che hanno scandito il cammino della Corte d Giustizia Della Comunità Europea nell’individuazione dei suddetti requisiti, si nota che siamo spesso di fronte a domande pregiudiziali di giudici amministrativi i quali si chiedono se si possano non applicare le procedure ad evidenza pubblica in presenza di un affidamento a società controllate dall’ente aggiudicante e in caso affermativo a quali condizioni.

Nelle Cause Arnhem e RI.SAN, grazie alle conclusioni degli avvocati generali La Pergola e Alber, si sono cominciati a delineare i primi due requisiti. Si parte da un approccio fortemente funzionale e non formale: Il fattore discriminante per la qualificazione del servizio si concreterebbe nella dipendenza fra aggiudicante e aggiudicatario; tale dipendenza deve essere accertata sotto il duplice punto di vista dello schema finanziario, sussistente alla base del rapporto tra ente e affidatario, e la dipendenza amministrativa, in termini gestionali e organizzativi. In questo senso il rapporto intercorrente tra i due soggetti deve essere assimilabile ad una attribuzione di compiti fra organi. L’Avv. Gen. Alber si esprime come segue:”La questione se il Comune di Ischia e la Ischia Ambiente Spa siano parti della stessa pubblica amministrazione - e se ci si trovi quindi in presenza di un servizio «in-house» - deve essere risolta in base alle circostanze di fatto. La qualità di società per azioni della Ischia Ambiente SpA non basta però, contrariamente all’opinione della RI.SAN, ad escludere che essa faccia parte della pubblica amministrazione. La classificazione della Ischia Ambiente SpA deve piuttosto essere effettuata da un punto di vista funzionale (20). E’ perciò decisivo accertare in che misura la pubblica amministrazione controlla la società di cui trattasi”; “54 Oltre all’intreccio finanziario è tuttavia necessario, per constatare l’esistenza di un servizio «in-house», accertare altresì la presenza di una attribuzione di compiti fra organi”.

Si torna a parlare di “in house providing” in occasione del caso Teckal: qui si conferma che la valutazione della terzietà tra aggiudicante e aggiudicatario si deve effettuare alla luce dei parametri analizzati nei casi Arnhem e RI.SAN. Pertanto si conferma la necessarietà della stretta interdipendenza finanziaria e amministrativa tra ente controllante e controllato.

Sulla stessa linea di tendenza si pone la Corte nel caso Telaustria, ritenendo applicabili i criteri sanciti nei casi RI.SAN. e Teckal. Inoltre si ribadisce l’applicabilità dei principi generali del Trattato e del Diritto Comunitario laddove non trovino spazio le direttive sugli appalti.

La Corte di Giustizia, nella sentenza Arge, chiarifica il rapporto amministrativo che deve intercorrere tra i due soggetti introducendo il concetto di “controllo analogo”: si deve verificare la sussistenza di un controllo da parte dell’amministrazione aggiudicante nei confronti dell’ente aggiudicatario analogo a quello esercitato sui propri servizi, che consenta di qualificare i due soggetti come una sola persona.

Del concetto di “controllo analogo” si è tornati a parlare in occasione della recente sentenza Parking Brixen, arrivando alla conclusione che, se l’ente aggiudicatario ha la natura di spa l’amministrazione pubblica deve in essa detenere il 100% delle azioni.

Sempre nel caso Arge, la Corte ha introdotto un nuovo requisito concernente il destinatario del servizio affidato. Nella misura in cui l’attività è svolta, nella maggior parte, a vantaggio dell’autorità controllante si sarà in di fronte a un servizio in house, in cui l’amministrazione destina le prestazioni prevalentemente a proprio vantaggio, come se fossimo in presenza di una semplice delega interorganica. Infatti, in tal caso, si potrà parlare di “prolungamento amministrativo” che esonera l’ente pubblico dall’osservanza delle regole prescritte dalla hard law comunitaria. Conseguentemente sarà obbligatorio applicare tale disciplina in mancanza delle condizioni di corrispondenza strutturale, controllo al 100% e destinazione all’ente della parte maggioritaria della prestazione.

Richiamo importante avviene da parte dell’avv. gen. Stix-Hackl che nella causa Stadt Halle si sofferma sui concetti di “controllo analogo” e “destinazione della prestazione”; precisa che il controllo analogo consiste in un influenza più intensa di una semplice “influenza dominante”: ”Il primo presupposto per l’applicazione dell’eccezione e, quindi, per l’inapplicabilità delle direttive in materia di appalti pubblici (e dei principi generali del Trattato), riguarda il tipo di controllo esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice sull’organismo cui intende affidare il contratto. La Corte esige che l’ente aggiudicatore «eserciti (...) un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi”; “Ai fini del criterio del controllo elaborato dalla Corte, è comunque necessaria più di un’influenza dominante ai sensi del diritto societario”. In seguito l’avv. Stix Hackl riprende poi il concetto concernente la necessarietà della destinazione del servizio in favore dell’amministrazione controllante:” l’eccezione si applica solo nel caso in cui questo organismo «realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano»”.

Il caso Parking Brixen ripropone il problema mediante un nuovo esame dell’Avv. Gen. Kokott:“Gli affidamenti in house in senso stretto sono procedure con cui una pubblica amministrazione affida un appalto ad un suo ente strumentale non dotato di personalità giuridica propria. In senso lato, possono rientrare nell’ambito degli affidamenti in house anche particolari casi in cui amministrazioni aggiudicatrici stipulano contratti con società loro controllate dotate di propria personalità giuridica. Mentre gli affidamenti in house in senso stretto non sono affatto rilevanti per la disciplina in materia di aggiudicazione di appalti, dato che essi costituiscono vere e proprie procedure amministrative interne, per quanto riguarda gli affidamenti in house in senso lato (da alcuni chiamati anche affidamenti quasi in house) si pone sovente la difficile questione diretta ad accertare se per essi esista o meno l’obbligo di svolgere una procedura ad evidenza pubblica. In questa causa La corte di Giustizia si occupa per l’ennesima volta della suddetta problematica”. Nell’analisi giuridica del caso l’avv. Kokott applica nuovamente i due criteri elaborati nella sentenza Teckal, confermando poi che tali criteri sono applicabili sia all’esonero dell’applicazione delle direttive in materia di appalti quanto ad ogni altri affidamento che necessiti di una procedura di gara ad evidenza pubblica anche solo in virtù di principi generali: “I criteri Teckal sono applicabili anche a casi, come quello di specie, che non rientrano nell’ambito di applicazione di nessuna delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici. Se difatti le suddette direttive, nonostante i loro dettagliati requisiti concernenti le gare di aggiudicazione, prevedevano già deroghe per gli affidamenti in house, a maggior ragione devono essere ammesse deroghe laddove trovino applicazione requisiti di gara meno dettagliati, ossia requisiti soltanto generali, derivanti dal divieto di discriminazione e dall’obbligo di trasparenza. In caso contrario si arriverebbe all’assurdo risultato che le amministrazioni aggiudicatrici al di fuori dell’ambito di applicazione delle direttive sarebbero soggette a requisiti più rigorosi che all’interno, cioè ad un obbligo inderogabile di pubblicità e trasparenza”.

Kokott precisa in oltre il concetto di “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” escludendo che anche la minima partecipazione di un privato alla società aggiudicataria possa soddisfare sia il requisito della unità finanziaria che quello della unità gestionale: “già la sola presenza di un terzo privato, benché soltanto in forma di partecipazione minoritaria senza diritto di veto, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice l’esercizio di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La presenza di un terzo privato presuppone sempre da parte della pubblica amministrazione un minimo di considerazione dei suoi interessi economici, giacché soltanto in tal caso il terzo privato metterà a disposizione della pubblica amministrazione il proprio know-how o le proprie risorse finanziarie. Perciò, qualora un terzo privato – eventualmente dopo l’espletamento di una procedura di evidenza pubblica – acquisti quote di partecipazione di una società controllata, il fatto che la pubblica amministrazione debba tenere conto degli interessi economici di quello potrebbe ostacolarla nella concreta realizzazione dell’interesse pubblico, sebbene quest’ultimo rimanga realizzabile dal punto di vista meramente giuridico”.

Si pone in linea di continuità con le suddette sentenze e opinioni degli Avv. Gen. il caso Coname dal momento che è stata analizzata giuridicamente dall’avv. Gen. Stix Hackl che solo qualche mese prima aveva trattato il caso Stadt Halle.

Nella stessa prospettiva si pone il caso ANAV in cui si ribadiscono i criteri già elaborati in precedenza concernenti sostanzialmente: nel controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi si da un punto amministrativo che finanziario e nella realizzazione della prestazione dei servizi in questione prevalentemente con l’ente aggiudicatore.

Nella stessa sentenza ci si sofferma particolarmente, anche qui in continuità con gli altri casi, sul dovere di rispetto dei principi generali del diritto comunitario quali: il divieto di non discriminazione sulla base della nazionalità, la parità di trattamento dei concorrenti da parte dell’ente pubblico, l’interpretazione conforme e il mutuo riconoscimento. 

3 CASO CARBOTERMO

Si tratta di un rinvio pregiudiziale di un giudice amministrativo del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia.

3.1 CAUSA PRINCIPALE

Le ricorrenti sono caboteremo spa e Consorzio Alisei, entrambi imprese specializzate nelle forniture e gestione di energia e impianti termici. L’atto impugnato è la deliberazione del 10 dicembre 2003 con cui il Comune di Busto Arsizio ha revocato la gara con procedura ad evidenza pubblica, per la fornitura di gasolio e il passaggio al metano, riservandosi di assegnare direttamente l’appalto alla AGESP spa.

La AGESP è una società controllata al 100% dalla AGESP Holding la quale, a sua volta, è detenuta per il 99,98% dal Comune di Busto Arsizio e per il restante 0,02% da altri enti locali (comuni di: Castellana, Dairago, Fagnano Olona, Gorla Minore, Marnate e Olgiate Olona). È opportuno tenere presente che lo Statuto della Agesp all’articolo 19 precisa che al consiglio d’amministrazione competono i più ampi ed illimitati poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società.

La Carbotermo sostiene che nell’affidamento diretto effettuato dal Comune di Busto Arsizio non siano rispettate le condizioni imposte dal diritto comunitario e in particolare la direttiva 93/36 e i requisiti elaborati dalla Corte di Giustizia.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha sospesi il procedimento e sottoposto alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali ai sensi dell’articolo 234 del Trattato CE. Con la prima questione il giudice a quo chiede se sia compatibile con la direttiva 93/36 un affidamento diretto ad una società il cui capitale è interamente detenuto da un’altra società della quale è socio di maggioranza (99.98%) il Comune appaltante. Con la seconda questione il TAR chiede se si possa applicare l’articolo 13 della direttiva 93/36 per valutare il requisito dello svolgimento della parte più importante dell’attività con l’Ente pubblico appaltante.

3.2 DIRETTIVA 93/36 CEE

Per una migliore comprensione è bene ricordare le norme richiamate della direttiva 93/36:

L’art. 6 della direttiva 93/36 così prevede:

«1. Nell’aggiudicare gli appalti pubblici di forniture, le amministrazioni aggiudicatrici applicano le (...) [procedure aperte, le procedure ristrette e le procedure negoziate] nei casi esposti in appresso.

2. Le amministrazioni possono aggiudicare gli appalti di forniture mediante procedura negoziata in caso di (…)

3. Le amministrazioni possono aggiudicare appalti di forniture mediante procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara nei casi seguenti:

(…)

4. In tutti gli altri casi le amministrazioni aggiudicano gli appalti pubblici di forniture con procedura aperta ovvero con procedura ristretta».

L’art. 1, n. 3, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L 199, pag. 84), così prevede:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

3) “Impresa collegata” qualsiasi impresa i cui conti annuali siano consolidati con quelli dell’ente aggiudicatore a norma della direttiva 83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1983, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g) del trattato e relativa ai conti consolidati (…) [GU L 193, pag. 1], ovvero, nel caso di enti non soggetti a tale direttiva, qualsiasi impresa sulla quale l’ente aggiudicatore eserciti, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante ai sensi del paragrafo 2 del presente articolo nonché qualsiasi impresa che eserciti un’influenza dominante sull’ente aggiudicatore ovvero, come quest’ultimo, sia soggetta all’influenza dominante di un’altra impresa in forza di proprietà, partecipazione finanziaria o norme interne».

L’art. 13 della medesima direttiva prevede quanto segue:

«1. La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:

a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;

b) assegnati da un’impresa comune, costituita da più enti aggiudicatori per l’esercizio di attività ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, ad uno di questi enti aggiudicatori o ad un’impresa collegata ad uno degli enti aggiudicatori,

sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella Comunità dall’impresa in questione negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di detti servizi alle imprese alle quali è collegata.

Allorché lo stesso servizio o servizi simili sono forniti da più di un’impresa collegata all’ente aggiudicatore, occorre tener conto della cifra d’affari totale nella Comunità risultante dalla fornitura di servizi da parte di queste imprese.

2. Gli enti aggiudicatori notificano alla Commissione, dietro sua richiesta, le informazioni seguenti relative all’applicazione del paragrafo 1:

– i nomi delle imprese interessate;

– il tipo e il valore degli appalti di servizi in questione;

– gli elementi di prova che, a giudizio della Commissione, sono necessari per dimostrare che le relazioni tra l’ente aggiudicatore e l’impresa aggiudicataria soddisfano le condizioni del presente articolo».

3.3 DECISIONE DELLA CORTE

Sulla prima questione:

La Corte rileva che, tenuto conto della struttura delle partecipazioni del Comune di Busto Arsizio in Agesp Holding e Agesp spa e dello statuto della stessa affidatario diretta, il controllo esercitato dal suddetto Comune su queste due società si riduce sostanzialmente ai poteri che il diritto societario riconosce alla maggioranza dei soci.

Richiamando le precedenti sentenze in materia (in particolare il caso Teckal) la Corte respinge perciò che l’Ente locale aggiudicatore, ricorrendo tali circostanze, eserciti sull’aggiudicatario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi: in sostanza la Agesp spa non si può considerare un “prolungamento amministrativo” del Comune di Busto Arsizio. Nulla vale il rilievo che essun azionista privato possa detenere più del 10% dell’intero capitale.

Inoltre la Corte respinge l’eccezione del Governo Italiano circa la natura di un “unico organismo di diritto pubblico” (che porterebbe alla non applicazione della direttiva 93/36) in cui inquadrare Comune AGESP Holding e AGESP spa: ai sensi dell’art 1 lett b), Il Comune di Busto Arsizio rientra nella nozione di Ente locale ed ha una personalità giuridica ben distinta dalle altre due società.

Pertanto la direttiva 93/36 è applicabile al caso di specie e osta all’affidamento diretto dell’appalto pubblico di forniture a una società per azioni il cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato attuale, interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice.

Sulla seconda questione:

La seconda questione verte sui parametri da adottare per valutare la sussistenza di uno dei requisiti elaborati dalla Corte in tema di “in house providing”: lo svolgimento della maggior parte dell’attività con l’Ente Appaltante. In questa particolare ipotesi il giudice a quo chiede se l’articolo 13 della direttiva 93/36 possa trovare applicazione.

L’articolo 13 restringe l’ambito di applicazione per determinati operatori: imprese comuni e imprese dai conti annuali consolidati: ricordando che le eccezioni devono sempre essere interpretate restrittivamente, la corte non estende l’ambito di applicazione dell’articolo in questione a tuta la direttiva 93/36 e perciò non è applicabile alle “normali” amministrazioni aggiudicatrici.

Per verificare la presenza del requisito bisognerà quindi prendere in considerazione, non l’articolo 13, ma tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative ce quantitative. Il fatturato da tenere in considerazione sarà quello che l’impresa ha realizzato in virtù delle decisioni di affidamento adottate dall’ente locale, risultando ininfluente sapere sia chi remunera le prestazioni, sia su quale territorio siano esse erogate. Infatti nel valutare il caso di specie si deve verificare se AGESP svolga la parte più importante della sua attività con tutti gli enti locali che la controllano e non solo con il Comune di Busto Arsizio.

Sommario:

1 Cenni sugli appalti in house;

2 Orientamenti della Corte di Giustizia;

3 Il Caso Carbotermo.

1 CENNI SUGLI APPALTI IN HOUSE

La sentenza in questione concerne uno dei temi più dibattuti del diritto comunitario: gli appalti in house. In essa la corte si pone sulla linea degli orientamenti che negli ultimi anni si stanno sempre più consolidando.

Il problema degli appalti in house nasce per il contrasto tra le procedure utilizzate per l’assegnazione degli appalti da parte delle pubbliche amministrazioni e la rigida disciplina del dritto comunitario: in sostanza il diritto comunitario pone dei paletti affinché l’aggiudicazione non falsi “il normale gioco della concorrenza” evitando procedure ad evidenza pubblica. L’elusione di tali norme si sostanzia nell’affidamento diretto dell’incarico.

Per garantire la libertà di accesso al mercato degli appalti a chiunque sia interessato, Il diritto dell’Unione Europea prevede che vengano rispettate le procedure previste dalle varie direttive (es. direttiva 93/36 sugli appalti pubblici di forniture) e comunque che non siano violati i principi generali del diritto comunitario e le norme del Trattato CE sulle libertà economiche fondamentali(articoli: 39, 43, 49,ecc..) e sulla concorrenza (articoli 85, 86, 87).

Negli ultimi anni, in mancanza di una hard law che segnasse i limiti invalicabili entro i quali è possibile effettuare un affidamento diretto (c.d. in house providing), la giurisprudenza comunitaria si è cimentata nella “creazione” dei requisiti necessari man mano che si presentavano casi concreti.

Prima di esaminare la sentenza “Carbotermo” è perciò necessario fare un breve excursus di quanto è stato elaborato fino a questo momento.

2 ORIENTAMENTI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

Ripercorrendo le tappe, che hanno scandito il cammino della Corte d Giustizia Della Comunità Europea nell’individuazione dei suddetti requisiti, si nota che siamo spesso di fronte a domande pregiudiziali di giudici amministrativi i quali si chiedono se si possano non applicare le procedure ad evidenza pubblica in presenza di un affidamento a società controllate dall’ente aggiudicante e in caso affermativo a quali condizioni.

Nelle Cause Arnhem e RI.SAN, grazie alle conclusioni degli avvocati generali La Pergola e Alber, si sono cominciati a delineare i primi due requisiti. Si parte da un approccio fortemente funzionale e non formale: Il fattore discriminante per la qualificazione del servizio si concreterebbe nella dipendenza fra aggiudicante e aggiudicatario; tale dipendenza deve essere accertata sotto il duplice punto di vista dello schema finanziario, sussistente alla base del rapporto tra ente e affidatario, e la dipendenza amministrativa, in termini gestionali e organizzativi. In questo senso il rapporto intercorrente tra i due soggetti deve essere assimilabile ad una attribuzione di compiti fra organi. L’Avv. Gen. Alber si esprime come segue:”La questione se il Comune di Ischia e la Ischia Ambiente Spa siano parti della stessa pubblica amministrazione - e se ci si trovi quindi in presenza di un servizio «in-house» - deve essere risolta in base alle circostanze di fatto. La qualità di società per azioni della Ischia Ambiente SpA non basta però, contrariamente all’opinione della RI.SAN, ad escludere che essa faccia parte della pubblica amministrazione. La classificazione della Ischia Ambiente SpA deve piuttosto essere effettuata da un punto di vista funzionale (20). E’ perciò decisivo accertare in che misura la pubblica amministrazione controlla la società di cui trattasi”; “54 Oltre all’intreccio finanziario è tuttavia necessario, per constatare l’esistenza di un servizio «in-house», accertare altresì la presenza di una attribuzione di compiti fra organi”.

Si torna a parlare di “in house providing” in occasione del caso Teckal: qui si conferma che la valutazione della terzietà tra aggiudicante e aggiudicatario si deve effettuare alla luce dei parametri analizzati nei casi Arnhem e RI.SAN. Pertanto si conferma la necessarietà della stretta interdipendenza finanziaria e amministrativa tra ente controllante e controllato.

Sulla stessa linea di tendenza si pone la Corte nel caso Telaustria, ritenendo applicabili i criteri sanciti nei casi RI.SAN. e Teckal. Inoltre si ribadisce l’applicabilità dei principi generali del Trattato e del Diritto Comunitario laddove non trovino spazio le direttive sugli appalti.

La Corte di Giustizia, nella sentenza Arge, chiarifica il rapporto amministrativo che deve intercorrere tra i due soggetti introducendo il concetto di “controllo analogo”: si deve verificare la sussistenza di un controllo da parte dell’amministrazione aggiudicante nei confronti dell’ente aggiudicatario analogo a quello esercitato sui propri servizi, che consenta di qualificare i due soggetti come una sola persona.

Del concetto di “controllo analogo” si è tornati a parlare in occasione della recente sentenza Parking Brixen, arrivando alla conclusione che, se l’ente aggiudicatario ha la natura di spa l’amministrazione pubblica deve in essa detenere il 100% delle azioni.

Sempre nel caso Arge, la Corte ha introdotto un nuovo requisito concernente il destinatario del servizio affidato. Nella misura in cui l’attività è svolta, nella maggior parte, a vantaggio dell’autorità controllante si sarà in di fronte a un servizio in house, in cui l’amministrazione destina le prestazioni prevalentemente a proprio vantaggio, come se fossimo in presenza di una semplice delega interorganica. Infatti, in tal caso, si potrà parlare di “prolungamento amministrativo” che esonera l’ente pubblico dall’osservanza delle regole prescritte dalla hard law comunitaria. Conseguentemente sarà obbligatorio applicare tale disciplina in mancanza delle condizioni di corrispondenza strutturale, controllo al 100% e destinazione all’ente della parte maggioritaria della prestazione.

Richiamo importante avviene da parte dell’avv. gen. Stix-Hackl che nella causa Stadt Halle si sofferma sui concetti di “controllo analogo” e “destinazione della prestazione”; precisa che il controllo analogo consiste in un influenza più intensa di una semplice “influenza dominante”: ”Il primo presupposto per l’applicazione dell’eccezione e, quindi, per l’inapplicabilità delle direttive in materia di appalti pubblici (e dei principi generali del Trattato), riguarda il tipo di controllo esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice sull’organismo cui intende affidare il contratto. La Corte esige che l’ente aggiudicatore «eserciti (...) un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi”; “Ai fini del criterio del controllo elaborato dalla Corte, è comunque necessaria più di un’influenza dominante ai sensi del diritto societario”. In seguito l’avv. Stix Hackl riprende poi il concetto concernente la necessarietà della destinazione del servizio in favore dell’amministrazione controllante:” l’eccezione si applica solo nel caso in cui questo organismo «realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano»”.

Il caso Parking Brixen ripropone il problema mediante un nuovo esame dell’Avv. Gen. Kokott:“Gli affidamenti in house in senso stretto sono procedure con cui una pubblica amministrazione affida un appalto ad un suo ente strumentale non dotato di personalità giuridica propria. In senso lato, possono rientrare nell’ambito degli affidamenti in house anche particolari casi in cui amministrazioni aggiudicatrici stipulano contratti con società loro controllate dotate di propria personalità giuridica. Mentre gli affidamenti in house in senso stretto non sono affatto rilevanti per la disciplina in materia di aggiudicazione di appalti, dato che essi costituiscono vere e proprie procedure amministrative interne, per quanto riguarda gli affidamenti in house in senso lato (da alcuni chiamati anche affidamenti quasi in house) si pone sovente la difficile questione diretta ad accertare se per essi esista o meno l’obbligo di svolgere una procedura ad evidenza pubblica. In questa causa La corte di Giustizia si occupa per l’ennesima volta della suddetta problematica”. Nell’analisi giuridica del caso l’avv. Kokott applica nuovamente i due criteri elaborati nella sentenza Teckal, confermando poi che tali criteri sono applicabili sia all’esonero dell’applicazione delle direttive in materia di appalti quanto ad ogni altri affidamento che necessiti di una procedura di gara ad evidenza pubblica anche solo in virtù di principi generali: “I criteri Teckal sono applicabili anche a casi, come quello di specie, che non rientrano nell’ambito di applicazione di nessuna delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici. Se difatti le suddette direttive, nonostante i loro dettagliati requisiti concernenti le gare di aggiudicazione, prevedevano già deroghe per gli affidamenti in house, a maggior ragione devono essere ammesse deroghe laddove trovino applicazione requisiti di gara meno dettagliati, ossia requisiti soltanto generali, derivanti dal divieto di discriminazione e dall’obbligo di trasparenza. In caso contrario si arriverebbe all’assurdo risultato che le amministrazioni aggiudicatrici al di fuori dell’ambito di applicazione delle direttive sarebbero soggette a requisiti più rigorosi che all’interno, cioè ad un obbligo inderogabile di pubblicità e trasparenza”.

Kokott precisa in oltre il concetto di “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” escludendo che anche la minima partecipazione di un privato alla società aggiudicataria possa soddisfare sia il requisito della unità finanziaria che quello della unità gestionale: “già la sola presenza di un terzo privato, benché soltanto in forma di partecipazione minoritaria senza diritto di veto, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice l’esercizio di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La presenza di un terzo privato presuppone sempre da parte della pubblica amministrazione un minimo di considerazione dei suoi interessi economici, giacché soltanto in tal caso il terzo privato metterà a disposizione della pubblica amministrazione il proprio know-how o le proprie risorse finanziarie. Perciò, qualora un terzo privato – eventualmente dopo l’espletamento di una procedura di evidenza pubblica – acquisti quote di partecipazione di una società controllata, il fatto che la pubblica amministrazione debba tenere conto degli interessi economici di quello potrebbe ostacolarla nella concreta realizzazione dell’interesse pubblico, sebbene quest’ultimo rimanga realizzabile dal punto di vista meramente giuridico”.

Si pone in linea di continuità con le suddette sentenze e opinioni degli Avv. Gen. il caso Coname dal momento che è stata analizzata giuridicamente dall’avv. Gen. Stix Hackl che solo qualche mese prima aveva trattato il caso Stadt Halle.

Nella stessa prospettiva si pone il caso ANAV in cui si ribadiscono i criteri già elaborati in precedenza concernenti sostanzialmente: nel controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi si da un punto amministrativo che finanziario e nella realizzazione della prestazione dei servizi in questione prevalentemente con l’ente aggiudicatore.

Nella stessa sentenza ci si sofferma particolarmente, anche qui in continuità con gli altri casi, sul dovere di rispetto dei principi generali del diritto comunitario quali: il divieto di non discriminazione sulla base della nazionalità, la parità di trattamento dei concorrenti da parte dell’ente pubblico, l’interpretazione conforme e il mutuo riconoscimento. 

3 CASO CARBOTERMO

Si tratta di un rinvio pregiudiziale di un giudice amministrativo del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia.

3.1 CAUSA PRINCIPALE

Le ricorrenti sono caboteremo spa e Consorzio Alisei, entrambi imprese specializzate nelle forniture e gestione di energia e impianti termici. L’atto impugnato è la deliberazione del 10 dicembre 2003 con cui il Comune di Busto Arsizio ha revocato la gara con procedura ad evidenza pubblica, per la fornitura di gasolio e il passaggio al metano, riservandosi di assegnare direttamente l’appalto alla AGESP spa.

La AGESP è una società controllata al 100% dalla AGESP Holding la quale, a sua volta, è detenuta per il 99,98% dal Comune di Busto Arsizio e per il restante 0,02% da altri enti locali (comuni di: Castellana, Dairago, Fagnano Olona, Gorla Minore, Marnate e Olgiate Olona). È opportuno tenere presente che lo Statuto della Agesp all’articolo 19 precisa che al consiglio d’amministrazione competono i più ampi ed illimitati poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società.

La Carbotermo sostiene che nell’affidamento diretto effettuato dal Comune di Busto Arsizio non siano rispettate le condizioni imposte dal diritto comunitario e in particolare la direttiva 93/36 e i requisiti elaborati dalla Corte di Giustizia.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha sospesi il procedimento e sottoposto alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali ai sensi dell’articolo 234 del Trattato CE. Con la prima questione il giudice a quo chiede se sia compatibile con la direttiva 93/36 un affidamento diretto ad una società il cui capitale è interamente detenuto da un’altra società della quale è socio di maggioranza (99.98%) il Comune appaltante. Con la seconda questione il TAR chiede se si possa applicare l’articolo 13 della direttiva 93/36 per valutare il requisito dello svolgimento della parte più importante dell’attività con l’Ente pubblico appaltante.

3.2 DIRETTIVA 93/36 CEE

Per una migliore comprensione è bene ricordare le norme richiamate della direttiva 93/36:

L’art. 6 della direttiva 93/36 così prevede:

«1. Nell’aggiudicare gli appalti pubblici di forniture, le amministrazioni aggiudicatrici applicano le (...) [procedure aperte, le procedure ristrette e le procedure negoziate] nei casi esposti in appresso.

2. Le amministrazioni possono aggiudicare gli appalti di forniture mediante procedura negoziata in caso di (…)

3. Le amministrazioni possono aggiudicare appalti di forniture mediante procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara nei casi seguenti:

(…)

4. In tutti gli altri casi le amministrazioni aggiudicano gli appalti pubblici di forniture con procedura aperta ovvero con procedura ristretta».

L’art. 1, n. 3, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L 199, pag. 84), così prevede:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

3) “Impresa collegata” qualsiasi impresa i cui conti annuali siano consolidati con quelli dell’ente aggiudicatore a norma della direttiva 83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1983, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g) del trattato e relativa ai conti consolidati (…) [GU L 193, pag. 1], ovvero, nel caso di enti non soggetti a tale direttiva, qualsiasi impresa sulla quale l’ente aggiudicatore eserciti, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante ai sensi del paragrafo 2 del presente articolo nonché qualsiasi impresa che eserciti un’influenza dominante sull’ente aggiudicatore ovvero, come quest’ultimo, sia soggetta all’influenza dominante di un’altra impresa in forza di proprietà, partecipazione finanziaria o norme interne».

L’art. 13 della medesima direttiva prevede quanto segue:

«1. La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:

a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;

b) assegnati da un’impresa comune, costituita da più enti aggiudicatori per l’esercizio di attività ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, ad uno di questi enti aggiudicatori o ad un’impresa collegata ad uno degli enti aggiudicatori,

sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella Comunità dall’impresa in questione negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di detti servizi alle imprese alle quali è collegata.

Allorché lo stesso servizio o servizi simili sono forniti da più di un’impresa collegata all’ente aggiudicatore, occorre tener conto della cifra d’affari totale nella Comunità risultante dalla fornitura di servizi da parte di queste imprese.

2. Gli enti aggiudicatori notificano alla Commissione, dietro sua richiesta, le informazioni seguenti relative all’applicazione del paragrafo 1:

– i nomi delle imprese interessate;

– il tipo e il valore degli appalti di servizi in questione;

– gli elementi di prova che, a giudizio della Commissione, sono necessari per dimostrare che le relazioni tra l’ente aggiudicatore e l’impresa aggiudicataria soddisfano le condizioni del presente articolo».

3.3 DECISIONE DELLA CORTE

Sulla prima questione:

La Corte rileva che, tenuto conto della struttura delle partecipazioni del Comune di Busto Arsizio in Agesp Holding e Agesp spa e dello statuto della stessa affidatario diretta, il controllo esercitato dal suddetto Comune su queste due società si riduce sostanzialmente ai poteri che il diritto societario riconosce alla maggioranza dei soci.

Richiamando le precedenti sentenze in materia (in particolare il caso Teckal) la Corte respinge perciò che l’Ente locale aggiudicatore, ricorrendo tali circostanze, eserciti sull’aggiudicatario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi: in sostanza la Agesp spa non si può considerare un “prolungamento amministrativo” del Comune di Busto Arsizio. Nulla vale il rilievo che essun azionista privato possa detenere più del 10% dell’intero capitale.

Inoltre la Corte respinge l’eccezione del Governo Italiano circa la natura di un “unico organismo di diritto pubblico” (che porterebbe alla non applicazione della direttiva 93/36) in cui inquadrare Comune AGESP Holding e AGESP spa: ai sensi dell’art 1 lett b), Il Comune di Busto Arsizio rientra nella nozione di Ente locale ed ha una personalità giuridica ben distinta dalle altre due società.

Pertanto la direttiva 93/36 è applicabile al caso di specie e osta all’affidamento diretto dell’appalto pubblico di forniture a una società per azioni il cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato attuale, interamente detenuto da un’altra società per azioni, della quale è a sua volta socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice.

Sulla seconda questione:

La seconda questione verte sui parametri da adottare per valutare la sussistenza di uno dei requisiti elaborati dalla Corte in tema di “in house providing”: lo svolgimento della maggior parte dell’attività con l’Ente Appaltante. In questa particolare ipotesi il giudice a quo chiede se l’articolo 13 della direttiva 93/36 possa trovare applicazione.

L’articolo 13 restringe l’ambito di applicazione per determinati operatori: imprese comuni e imprese dai conti annuali consolidati: ricordando che le eccezioni devono sempre essere interpretate restrittivamente, la corte non estende l’ambito di applicazione dell’articolo in questione a tuta la direttiva 93/36 e perciò non è applicabile alle “normali” amministrazioni aggiudicatrici.

Per verificare la presenza del requisito bisognerà quindi prendere in considerazione, non l’articolo 13, ma tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative ce quantitative. Il fatturato da tenere in considerazione sarà quello che l’impresa ha realizzato in virtù delle decisioni di affidamento adottate dall’ente locale, risultando ininfluente sapere sia chi remunera le prestazioni, sia su quale territorio siano esse erogate. Infatti nel valutare il caso di specie si deve verificare se AGESP svolga la parte più importante della sua attività con tutti gli enti locali che la controllano e non solo con il Comune di Busto Arsizio.