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Davanti alla Corte dei Conti la responsabilità degli amministratori delle aziende speciali

Da "T.P." (Trasporti pubblici) rivista di politica ed economia del trasporto e della mobilità

dicembre ’98/ gennaio ’99.

DAVANTI ALLA CORTE DEI CONTI LA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI DELLE AZIENDE SPECIALI

L’azienda municipalizzata costituisce una delle forme organizzative mediante cui la pubblica amministrazione svolge attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi. Le altre sono l’ente pubblico economico e la partecipazione a società di capitali. Mentre in quest’ultimo caso il soggetto pubblico svolge l’attività imprenditoriale nella stessa veste del privato, nelle altre forme organizzative il fenomeno è quello di un soggetto che, pur svolgendo attività imprenditoriale, mantiene la sua natura pubblica.

Da qui sono derivati tutta una serie di problemi intepretativi indotti da un quadro normativo fondamentale che risaliva ai primi anni di questo secolo e che, perciò ha costretto la giurisprudenza ad una lunga e graduale opera di adeguamento delle originarie norme all’evoluzione legislativa e istituzionale del Paese.

In effetti con l’ampliamento dell’attività economica degli enti pubblici è stato necessario individuare anche per gli imprenditori (e ovviamente i dipendenti) "pubblici" ma operanti in campo "privato" un regime di responsabilità che li equiparasse, quanto meno nel maneggio del pubblico denaro, agli amministratori e dipendenti pubblici.

Occorreva però individuare un campo più strettamente privatistico in cui le scelte più strettamente imprenditoriali fatte in regime di concorrenza non dovessero rientrare sotto il vaglio del giudice contabile, ma del giudice ordinario come un qualsiasi imprenditore.

In questo contesto è stata particolarmente incisiva l’opera della Corte di Cassazione, giudice della giurisdizione, che è giunta da ultimo ad affermare con nettezza il principio secondo il quale, salvo che precise norme non dispongano in senso diverso, la natura pubblica del soggetto influenza esclusivamente il piano interno dell’organizzazione, mentre le relazioni intersoggettive ricadono nel dominio del diritto privato.

In attuazione di tale principio, l’orientamento della Corte di Cassazione si è espresso, tra l’altro, nelle seguenti affermazioni: la qualificazione in termini di impresa di un’organizzazione pubblica possibile, ai sensi dell’art. 2093 cod. civ., quando agisce in regime di concorrenza, nel senso che si avvale degli stessi strumenti giuridici dei privati e non di manifestazioni di autarchia (fra le decisioni più recenti S.U. n. 11680 del 1990 n. 12207 del 1990), di conseguenza non è applicabile ad un’impresa pubblica l’art. 97 Cost., non trattandosi di pubblica amministrazione in senso proprio (per tutte le sentenze n. 5695 del 1985); a carico degli amministratori o funzionari delle imprese pubbliche le giurisdizione contabile della Corte dei conti sussiste con esclusivo riferimento agli atti di esercizio di potere pubblico di organizzazione oppure di specifiche funzioni amministrative eventualmente conferite dalla legge, non invece per gli atti comunque riconducibili nell’ambito delle attività imprenditoriali, rispetto ai quali non è configurabile il rapporto di servizio con l’amministrazione pubblica (S.U. n. 5792 del 1991, n. 11037 del 1991 n. 4860 del 1989); nell’attività di adempimento delle sue obbligazioni, l’imprenditore pubblico non è soggetto alle norme di contabilità che prescrivono l’osservanza di precisi procedimenti amministrativi (S.U. n. 6328 del 1985 n. 9202 del 1990).

Alla stregua delle descritta elaborazione giurisprudenziale, all’attività di diritto privato posta in essere dalle imprese pubbliche risulta inapplicabile il complesso delle regole concernenti la medesima attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, cioè da quei soggetti il cui modulo organizzativo è la forma amministrativa. I predetti principi, d’altra parte, sono stati applicati dalla Corte di Cassazione con sempre maggiore intensità proprio alle imprese cositutite nelle varie forme degli enti locali (fra le altre S.U. 17/10/1992 n. 11436, 11/4/1991 n. 3863, 5/12/1990 n. 1168, 9/6/1989 n. 2778; 21/1/1988 n. 439; 4/7/1985 n. 4045).

La figura dell’azienda autonoma è stata originariamente introdotta nell’ordinamento al fine di assicurare l’intenso collegamento tra impresa e amministrazione pubblica che la esercita, facendo dell’azienda un organo dell’ente dotato di autonoma personalità, ma soltanto di autonomia gestionale e contabile; tuttavia, è proprio la diversità dello schema adottato rispetto a quello che ricorre nel caso di imprese gestite in economia dagli enti pubblici, ad impedire che l’azienda sia direttamente gestita dall’amministrazione pubblica della quale è organo.

Una disciplina maggiormente coerente all’essenza del fenomeno è stata dettata dagli artt. 22 e 23 della L. 8/6/1990 n. 142, che definiscono l’azienda speciale per la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica ed imprenditoriale "ente strutturante dell’ente locale", dotati di personalità giuridica ed autonomia imprenditoriale, e soggetto alla vigilanza dell’ente locale. Risulta così portato a compimento il processo di assimilazione dell’azienda municipalizzata all’ente pubblico economico, che la giurisprudenza aveva, almeno in parte, anticipato e che, ora, può dirsi definitivamente concluso con la sentenza della Corte di Cassazione S.U.V. 27/5/94 n. 5216, che, con riferimento a fattispecie compiuta prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina dell’autonomia locale, ha esplicitamente qualificato l’azienda municipalizzata ente pubblico economico.

Nello stesso percorso normativo che anzi viene ulteriormente accresciuto, si inseriscono le disposizioni della c.d. Legge Bassanini (Bis e Ter) che ulteriormente definiscono i contorni dell’azienda municipalizzta quale ente pubblico economico.

In questo quadro di regole e principi, la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità degli amministratori delle aziende municipalizzate deve ritenersi sussistente, pertanto, relativamente agli atti e ai comportamenti posti in essere nell’esercizio delle funzioni di autoorganizzazione e di potestà pubbliche, secondo schemi di azione prefissati dalle norme organizzative e di contabilità pubblica. Relativamente agli atti e ai comportamenti afferenti all’attivitò di impresa, sussiste invece la giurisdizione del giudice ordinario.

Si noti che la potenzialità di previsione di cui all’art. 103, 2° co Cost., dopo un primo orientamento ampliativo della Corte costituzionale e della Cassazione, era stata nel tempo limitata, ritenendosi necessaria, per l’affermazione della giurisdizione in argomento, l’"interposito legislatoris": alla giurisdizione della Corte dei conti in materia amministrativa e contabile, cioè era stato riconosciuto un carattere solo tendenzialmente generale, poichè era stata ritenuta indispensabile la necessità di previsioni normative specifiche dirette alle diverse categorie di amministratori; veniva inoltre affermata la legittimità costituzionale delle norme che espressamente attribuivano alla giurisdizione dell’AGO la cognizione di determinate categorie di responsabilità quali quelle degli amministratori e dipendenti degli enti locali.

Le innovazioni legisaltive dell’ultimo decennio come si è visto, hanno invece profondamente mutato il quadro di riferimento, facendo assumere definitivamente alla giurisdizione de quo un carattere generale ed ordinario, talchè la situazione sopra delineata deve ritenersi sostanzialmente ribaltata (Corte dei conti, sez. I, 7/3/1994; Corte dei conti, sez. I, 30/9/1994).

La giurisdizione generale ed ordinaria della Corte dei conti nella materia amministrativa e contabile conosce eccezionali deroghe rappresentate da altrettante eccezionali norme del diritto positivo (es. L. n. 349/1986 in tema di danno ambientale) e dalla giurisprudenza (ius vivendi).

Come già anticipato sopra, la giurisprudenza è intervenuta incisivamente rispetto a questo profilo, preoccupandosi, una volta equiparata l’azienda speciale all’ente pubblico economico (Cass.SS.UU. 5216 del 27/5/1994) di chiarire quali atti compiuti dagli agenti di quest’ultimo siano riconducibili all’arrività imprednitoriale e quali non, al fine di affermare la propria giurisdizione nei vari casi di specie.

Compiuto tale chiarimento, all’interno della categoria degli atti aventi carattere imprenditoriale, la giurisprudenza ha ulteriormente distinto quelli concretanti un’attività imprenditoriale pura da quelli che, essendo limitati da norme di legge e/o regolamentari, soggiaciono alla giurisdizione in discorso.

In particolare, si ritiene devoluta alla Corte dei conti la cognizione dei seguenti atti: 1) gli atti di gestione dell’ente, i quali, per le esigenze proprie della contabilità pubblica e secondo gli schemi comportamentali da esse richiesti, sono predeterminati e soggetti a regole inderogabili.

Il giudizio circa la correttezza di essi e circa le conseguenziali responsabilità si impernia sull’instaurazione di un confronto tra condotta richiesta dalla normativa pubblicistica volta a disciplinare specifici momenti della gestione economico-finanziaria dell’ente, atti che per la loro doverosità non soltanto si presentano contrassegnati dalla più assoluta assenza di discrezionalità gestoria e di libertà imprenditoriale ma che, in quanto inerenti alla disciplina della contabilità pubblica, ricadono naturalmente nella sfera di previsione di cui al c. II dell’art. 103 Cost.;

2) gli atti di gestione del patrimonio pubblico.

Poichè riferibili a decisioni che possono comportare per la collettività maggiori costi o minori ricavi (ossia diminuzioni, comunque, della consistenza dell’erario pubblico), in tali atti assume rilevanza il comportamento di coloro che lo hanno amministrato nell’osservanza o meno delle regole procedurali fissate dall’ordinamento contabile (Cass. SS.UU. n. 11436 del 17/10/1992 C.d.C. sez.Puglia, 25/1/1996).

Per quanto concerne la categoria degli atti imprenditoriali "puri" la giurisprudenza è assai meno chiara nel descrivere i contorni di questa, ribadendo principi che, ormai, lasciano il tempo che trovano.

L’affermazione tradizionale per la quale l’utilizzo di strumenti privatistici da parte dell’ente pubblico economico rappresenta un indice inequivocabile di attività imprenditoriale, oggi è da considerare obsoleta (Corte dei conti, sez. Sardegna, 27/1/1993). Numerosi sono gli attacchi provenienti da coloro (appartenenti sia alla dottrina che alla giurisprudenza) che, considerato il vieppiù crescente utilizzo di strumenti privatistici da parte della P.A., ritengono necessario apporre una nuova linea di demarcazione fra i sopra citati atti, al fine di stabilire con certezza la presenza della giurisdizione in parola rispetto ai casi di specie.

Considerato quindi che:

1) nel diritto comune, l’imprenditore persegue il lucro; l’attività imprenditoriale svolta ha intrinsecamente una dose di rischio correlato al mercato in cui si opera;

2) il diritto positivo (vedi soprattutto le norme di ispirazione comunitaria in materia di concorrenza) sta conoscendo una nuova era, nella quale la libera concorrenza ed il libero mercato rappresentano degli imperativi.

L’acquisizione oramai irreversibile della logica di mercato da parte della p.a. (segno inequivocabile è rappresentato dal suo crescente utilizzo di forme societarie disciplinate dal diritto comune) unitamente ai principi enunciati in materia dalla giurisprudenza, ci deve portare ad inferire che, lì dove non esistano tassative ed inequivocabili norme legislative o regolamentari, che impongano una conformità ad esse degli atti compiuti dagli amministratori e di pendenti dell’ente pubblico nell’esplicazione dell’attività imprenditoriale, quest’ultima deve ritenersi assoggettata alla giurisdizione dell’AGO, pena la paralisi dell’attività imprenditoriale (diversamente gli amministratori e dipendenti dell’ente pubblico economico non avrebbero la necessaria serenità per poter svolgere una simile attività a rischio).

Da "T.P." (Trasporti pubblici) rivista di politica ed economia del trasporto e della mobilità

dicembre ’98/ gennaio ’99.

DAVANTI ALLA CORTE DEI CONTI LA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI DELLE AZIENDE SPECIALI

L’azienda municipalizzata costituisce una delle forme organizzative mediante cui la pubblica amministrazione svolge attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi. Le altre sono l’ente pubblico economico e la partecipazione a società di capitali. Mentre in quest’ultimo caso il soggetto pubblico svolge l’attività imprenditoriale nella stessa veste del privato, nelle altre forme organizzative il fenomeno è quello di un soggetto che, pur svolgendo attività imprenditoriale, mantiene la sua natura pubblica.

Da qui sono derivati tutta una serie di problemi intepretativi indotti da un quadro normativo fondamentale che risaliva ai primi anni di questo secolo e che, perciò ha costretto la giurisprudenza ad una lunga e graduale opera di adeguamento delle originarie norme all’evoluzione legislativa e istituzionale del Paese.

In effetti con l’ampliamento dell’attività economica degli enti pubblici è stato necessario individuare anche per gli imprenditori (e ovviamente i dipendenti) "pubblici" ma operanti in campo "privato" un regime di responsabilità che li equiparasse, quanto meno nel maneggio del pubblico denaro, agli amministratori e dipendenti pubblici.

Occorreva però individuare un campo più strettamente privatistico in cui le scelte più strettamente imprenditoriali fatte in regime di concorrenza non dovessero rientrare sotto il vaglio del giudice contabile, ma del giudice ordinario come un qualsiasi imprenditore.

In questo contesto è stata particolarmente incisiva l’opera della Corte di Cassazione, giudice della giurisdizione, che è giunta da ultimo ad affermare con nettezza il principio secondo il quale, salvo che precise norme non dispongano in senso diverso, la natura pubblica del soggetto influenza esclusivamente il piano interno dell’organizzazione, mentre le relazioni intersoggettive ricadono nel dominio del diritto privato.

In attuazione di tale principio, l’orientamento della Corte di Cassazione si è espresso, tra l’altro, nelle seguenti affermazioni: la qualificazione in termini di impresa di un’organizzazione pubblica possibile, ai sensi dell’art. 2093 cod. civ., quando agisce in regime di concorrenza, nel senso che si avvale degli stessi strumenti giuridici dei privati e non di manifestazioni di autarchia (fra le decisioni più recenti S.U. n. 11680 del 1990 n. 12207 del 1990), di conseguenza non è applicabile ad un’impresa pubblica l’art. 97 Cost., non trattandosi di pubblica amministrazione in senso proprio (per tutte le sentenze n. 5695 del 1985); a carico degli amministratori o funzionari delle imprese pubbliche le giurisdizione contabile della Corte dei conti sussiste con esclusivo riferimento agli atti di esercizio di potere pubblico di organizzazione oppure di specifiche funzioni amministrative eventualmente conferite dalla legge, non invece per gli atti comunque riconducibili nell’ambito delle attività imprenditoriali, rispetto ai quali non è configurabile il rapporto di servizio con l’amministrazione pubblica (S.U. n. 5792 del 1991, n. 11037 del 1991 n. 4860 del 1989); nell’attività di adempimento delle sue obbligazioni, l’imprenditore pubblico non è soggetto alle norme di contabilità che prescrivono l’osservanza di precisi procedimenti amministrativi (S.U. n. 6328 del 1985 n. 9202 del 1990).

Alla stregua delle descritta elaborazione giurisprudenziale, all’attività di diritto privato posta in essere dalle imprese pubbliche risulta inapplicabile il complesso delle regole concernenti la medesima attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, cioè da quei soggetti il cui modulo organizzativo è la forma amministrativa. I predetti principi, d’altra parte, sono stati applicati dalla Corte di Cassazione con sempre maggiore intensità proprio alle imprese cositutite nelle varie forme degli enti locali (fra le altre S.U. 17/10/1992 n. 11436, 11/4/1991 n. 3863, 5/12/1990 n. 1168, 9/6/1989 n. 2778; 21/1/1988 n. 439; 4/7/1985 n. 4045).

La figura dell’azienda autonoma è stata originariamente introdotta nell’ordinamento al fine di assicurare l’intenso collegamento tra impresa e amministrazione pubblica che la esercita, facendo dell’azienda un organo dell’ente dotato di autonoma personalità, ma soltanto di autonomia gestionale e contabile; tuttavia, è proprio la diversità dello schema adottato rispetto a quello che ricorre nel caso di imprese gestite in economia dagli enti pubblici, ad impedire che l’azienda sia direttamente gestita dall’amministrazione pubblica della quale è organo.

Una disciplina maggiormente coerente all’essenza del fenomeno è stata dettata dagli artt. 22 e 23 della L. 8/6/1990 n. 142, che definiscono l’azienda speciale per la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica ed imprenditoriale "ente strutturante dell’ente locale", dotati di personalità giuridica ed autonomia imprenditoriale, e soggetto alla vigilanza dell’ente locale. Risulta così portato a compimento il processo di assimilazione dell’azienda municipalizzata all’ente pubblico economico, che la giurisprudenza aveva, almeno in parte, anticipato e che, ora, può dirsi definitivamente concluso con la sentenza della Corte di Cassazione S.U.V. 27/5/94 n. 5216, che, con riferimento a fattispecie compiuta prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina dell’autonomia locale, ha esplicitamente qualificato l’azienda municipalizzata ente pubblico economico.

Nello stesso percorso normativo che anzi viene ulteriormente accresciuto, si inseriscono le disposizioni della c.d. Legge Bassanini (Bis e Ter) che ulteriormente definiscono i contorni dell’azienda municipalizzta quale ente pubblico economico.

In questo quadro di regole e principi, la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità degli amministratori delle aziende municipalizzate deve ritenersi sussistente, pertanto, relativamente agli atti e ai comportamenti posti in essere nell’esercizio delle funzioni di autoorganizzazione e di potestà pubbliche, secondo schemi di azione prefissati dalle norme organizzative e di contabilità pubblica. Relativamente agli atti e ai comportamenti afferenti all’attivitò di impresa, sussiste invece la giurisdizione del giudice ordinario.

Si noti che la potenzialità di previsione di cui all’art. 103, 2° co Cost., dopo un primo orientamento ampliativo della Corte costituzionale e della Cassazione, era stata nel tempo limitata, ritenendosi necessaria, per l’affermazione della giurisdizione in argomento, l’"interposito legislatoris": alla giurisdizione della Corte dei conti in materia amministrativa e contabile, cioè era stato riconosciuto un carattere solo tendenzialmente generale, poichè era stata ritenuta indispensabile la necessità di previsioni normative specifiche dirette alle diverse categorie di amministratori; veniva inoltre affermata la legittimità costituzionale delle norme che espressamente attribuivano alla giurisdizione dell’AGO la cognizione di determinate categorie di responsabilità quali quelle degli amministratori e dipendenti degli enti locali.

Le innovazioni legisaltive dell’ultimo decennio come si è visto, hanno invece profondamente mutato il quadro di riferimento, facendo assumere definitivamente alla giurisdizione de quo un carattere generale ed ordinario, talchè la situazione sopra delineata deve ritenersi sostanzialmente ribaltata (Corte dei conti, sez. I, 7/3/1994; Corte dei conti, sez. I, 30/9/1994).

La giurisdizione generale ed ordinaria della Corte dei conti nella materia amministrativa e contabile conosce eccezionali deroghe rappresentate da altrettante eccezionali norme del diritto positivo (es. L. n. 349/1986 in tema di danno ambientale) e dalla giurisprudenza (ius vivendi).

Come già anticipato sopra, la giurisprudenza è intervenuta incisivamente rispetto a questo profilo, preoccupandosi, una volta equiparata l’azienda speciale all’ente pubblico economico (Cass.SS.UU. 5216 del 27/5/1994) di chiarire quali atti compiuti dagli agenti di quest’ultimo siano riconducibili all’arrività imprednitoriale e quali non, al fine di affermare la propria giurisdizione nei vari casi di specie.

Compiuto tale chiarimento, all’interno della categoria degli atti aventi carattere imprenditoriale, la giurisprudenza ha ulteriormente distinto quelli concretanti un’attività imprenditoriale pura da quelli che, essendo limitati da norme di legge e/o regolamentari, soggiaciono alla giurisdizione in discorso.

In particolare, si ritiene devoluta alla Corte dei conti la cognizione dei seguenti atti: 1) gli atti di gestione dell’ente, i quali, per le esigenze proprie della contabilità pubblica e secondo gli schemi comportamentali da esse richiesti, sono predeterminati e soggetti a regole inderogabili.

Il giudizio circa la correttezza di essi e circa le conseguenziali responsabilità si impernia sull’instaurazione di un confronto tra condotta richiesta dalla normativa pubblicistica volta a disciplinare specifici momenti della gestione economico-finanziaria dell’ente, atti che per la loro doverosità non soltanto si presentano contrassegnati dalla più assoluta assenza di discrezionalità gestoria e di libertà imprenditoriale ma che, in quanto inerenti alla disciplina della contabilità pubblica, ricadono naturalmente nella sfera di previsione di cui al c. II dell’art. 103 Cost.;

2) gli atti di gestione del patrimonio pubblico.

Poichè riferibili a decisioni che possono comportare per la collettività maggiori costi o minori ricavi (ossia diminuzioni, comunque, della consistenza dell’erario pubblico), in tali atti assume rilevanza il comportamento di coloro che lo hanno amministrato nell’osservanza o meno delle regole procedurali fissate dall’ordinamento contabile (Cass. SS.UU. n. 11436 del 17/10/1992 C.d.C. sez.Puglia, 25/1/1996).

Per quanto concerne la categoria degli atti imprenditoriali "puri" la giurisprudenza è assai meno chiara nel descrivere i contorni di questa, ribadendo principi che, ormai, lasciano il tempo che trovano.

L’affermazione tradizionale per la quale l’utilizzo di strumenti privatistici da parte dell’ente pubblico economico rappresenta un indice inequivocabile di attività imprenditoriale, oggi è da considerare obsoleta (Corte dei conti, sez. Sardegna, 27/1/1993). Numerosi sono gli attacchi provenienti da coloro (appartenenti sia alla dottrina che alla giurisprudenza) che, considerato il vieppiù crescente utilizzo di strumenti privatistici da parte della P.A., ritengono necessario apporre una nuova linea di demarcazione fra i sopra citati atti, al fine di stabilire con certezza la presenza della giurisdizione in parola rispetto ai casi di specie.

Considerato quindi che:

1) nel diritto comune, l’imprenditore persegue il lucro; l’attività imprenditoriale svolta ha intrinsecamente una dose di rischio correlato al mercato in cui si opera;

2) il diritto positivo (vedi soprattutto le norme di ispirazione comunitaria in materia di concorrenza) sta conoscendo una nuova era, nella quale la libera concorrenza ed il libero mercato rappresentano degli imperativi.

L’acquisizione oramai irreversibile della logica di mercato da parte della p.a. (segno inequivocabile è rappresentato dal suo crescente utilizzo di forme societarie disciplinate dal diritto comune) unitamente ai principi enunciati in materia dalla giurisprudenza, ci deve portare ad inferire che, lì dove non esistano tassative ed inequivocabili norme legislative o regolamentari, che impongano una conformità ad esse degli atti compiuti dagli amministratori e di pendenti dell’ente pubblico nell’esplicazione dell’attività imprenditoriale, quest’ultima deve ritenersi assoggettata alla giurisdizione dell’AGO, pena la paralisi dell’attività imprenditoriale (diversamente gli amministratori e dipendenti dell’ente pubblico economico non avrebbero la necessaria serenità per poter svolgere una simile attività a rischio).