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Il sindaco paga per le perdite subite dalla spa comunale

Da "T.P." (Trasporti pubblici) rivista di politica ed economia del trasporto e della mobilità dicembre ’99/ gennaio 2000.

IL SINDACO PAGA PER LE PERDITE SUBITE DALLA SPA COMUNALE

In tempi di sempre più spinta privatizzazione anche a livello di Enti locali, una recente sentenza della sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei Conti (sentenza 6/5 - 10/9/1999 - n. 1015) ha ritenuto che se la spa nelle mani del Comune è in perdita, dii danni subiti dall’Ente risponde, in prima persona, il sindaco.

La decisione ci consente alcune riflessioni in ordine alle problematiche relative ai controlli sugli Enti locali, ai rapporti tra norme civilistiche e vincoli pubblicistici e più in generale alla responsabilità degli amministratori.

Preliminarmente occorre evidenziare la specificità, nella fattispecie, della configurazione societaria, trattandosi di società il cui capitale azionario era integralmente posseduto dall’Ente locale, con la conseguente anomala attribuzione a quest’ultimo di una illimitata responsabilità patrimoniale per le obbligazioni assunte in base all’art. 23262 del C.C. tanto che, secondo la Corte dei Conti, non si era in presenza di una vera e propria società per azioni, ma di una sorta di organismo ausiliario dell’Ente locale: "la partecipazione totalitaria ad una società per azioni da parte di un solo Ente locale socio non è solo inammissibil,e ma va considerata anche come stipula in frode alla legge perchè costituisce un mezzo per elencare l’applicazione della normativa vigente prima e dopo l’entrata in vigore della legge 8/6/1990 n.142" (sentenza in esame).

Invero la decisione non tiene in alcun conto l’art. 17 comma 51 legge 127/1997 (c.d. Bassanini bis) che prevede, sia pur per la trasformazione delle aziende speciali in società per azioni la possibilità per gli Enti locali "di restare azionisti unici per un periodo non superiore ai due anni dalla trasformazione". Questo non è evidentemente il caso sottoposto a giudizio della Corte, tuttavia pare francamente eccessiva questa rigidità di valutazione nella formazione societaria come necessariamente illeggittima, anche perchè occorre ricordare che nella realizzazione dei suoi fini istituzionali, l’Ente può legittimamente adottare strumenti privatistici, che non solo per questo possono essere ritenuti fraudolenti.

Sotto il profilo dei controlli sugli atti degli Enti locali la fattispecie dimostra ampliamente come sia stato un errore quello di eliminare di fatto il controllo previsto dall’art. 130 della Costituzione (ancora Bassanini bis).

I sindaci, succedutisi in carica durante la vigenza della spa posseduta dall’Ente locale, hanno dovuto rispondere "per l’attività omissiva posta in atto volontariamente", e cioè per l’omissione di specifici adempimenti di vigilanza, controllo e denuncia facenti capo al sindaco nella sua posizione di vertice di un Ente locale pienamente coinvolto, appunto quale "azionista unico" nella società.

Tutto ciò non si sarebbe verificato ove il Comune avesse potuto contare su una efficiente struttura di controllo esterno che avrebbe sicuramente impedito il depauperamento coinvolto, quale "azionista unico" nella società.

Si è detto anche che la sentenza in esame sviluppa il rapporto tra norme civilistiche e vincoli pubblicistici, in particolare la sentenza ritiene che il punto di riferimento normativo "non può circoscriversi a quelle sole norme del codice civile, ma che queste, considerata l’incidenza delle risultanze gestionali delle menzionate società con il bilancio dello stato e dell’Ente locale, vanno coordinate con l’art. 81 della Costituzione".

In riferimento all’art. 81 può sembrare eccessivo e fuori posto, ma in realtà serve ad evidenziare la stretta correlazione esistente fra le risultanze della gestione societaria ed il bilancio ed il patrimonio dell’Ente locale.

Da qui quindi la colpa per totale macanza da parte dei sindaci inquisiti di specifici adempimenti di vigilanza e controllo di loro esclusiva competenza, prima fra tutti l’adozione dell’azione di responsabilità prevista dall’art. 2393 del c.c., azione invece omessa dai convenuti, con la conseguente prescrizione.

Quest’ultimo discorso ci porta direttamente al concetto di responsabilità amministrativa. La pronunzia sottolinea infatti la doverosità dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile rispetto a quella civile nascente da reato, rilevando che un certo comportamento può dar luogo a rilievi in sede penale (nasce in tal caso un’azione responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. da esercitarsi innanzi al giudice civile oppure al giudice penale), ed il medesimo comportamento, indipendentemente dalla sua qualificazione penale, rileva anche come inadempimento di obblighi di servizio e come tale è fonte di responsabilità amministrativo-contabile (nasce in tal caso un’azione di responsabilità di natura contrattuale di competenza della Corte dei Conti e che copre evidentemente un’area più vasta della precedente).

Tale viene qualificato l’atteggiamento psicologico dei convenuti che si pone in rilievo sia sotto il profilo della colpa grava che del dolo, inteso quindi come dolo contrattuale, che attiene cioè all’inadempimento di uno specifico obbligo preesistente di corretta amministrazione.

Da ultimo la sentenza prende in esame anche il rapporto sindaci - consiglio comunale, per scagionare totalmente quest’ultimo, in quanto non è stato posto dai sindaci in condizione di svolgere il proprio ruolo.

La decisione in argomento, di fronte a realtà gestionali pubbliche sempre più complesse che utilizzano moduli propri del mondo privatistico, pur impiegando risorse collettive, è destinata a fare scalpore, soprattutto perchè si inserisce in una giurisprudenza della cassazione a sezioni unite, tradizionalmente orientata a riconoscere la giurisdizione ordinaria per la sfera gestionale degli Enti pubblici economici; tuttavia essa recupera un nuovo profilo di responsabilità amministrativa che si sostanzia di contenuti concreti e che va ad incidere anche su chi gestisce il pubblico denaro muovendosi nelle acque, meno limacciose e più libere, del diritto privato e del mercato. Da "T.P." (Trasporti pubblici) rivista di politica ed economia del trasporto e della mobilità dicembre ’99/ gennaio 2000.

IL SINDACO PAGA PER LE PERDITE SUBITE DALLA SPA COMUNALE

In tempi di sempre più spinta privatizzazione anche a livello di Enti locali, una recente sentenza della sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei Conti (sentenza 6/5 - 10/9/1999 - n. 1015) ha ritenuto che se la spa nelle mani del Comune è in perdita, dii danni subiti dall’Ente risponde, in prima persona, il sindaco.

La decisione ci consente alcune riflessioni in ordine alle problematiche relative ai controlli sugli Enti locali, ai rapporti tra norme civilistiche e vincoli pubblicistici e più in generale alla responsabilità degli amministratori.

Preliminarmente occorre evidenziare la specificità, nella fattispecie, della configurazione societaria, trattandosi di società il cui capitale azionario era integralmente posseduto dall’Ente locale, con la conseguente anomala attribuzione a quest’ultimo di una illimitata responsabilità patrimoniale per le obbligazioni assunte in base all’art. 23262 del C.C. tanto che, secondo la Corte dei Conti, non si era in presenza di una vera e propria società per azioni, ma di una sorta di organismo ausiliario dell’Ente locale: "la partecipazione totalitaria ad una società per azioni da parte di un solo Ente locale socio non è solo inammissibil,e ma va considerata anche come stipula in frode alla legge perchè costituisce un mezzo per elencare l’applicazione della normativa vigente prima e dopo l’entrata in vigore della legge 8/6/1990 n.142" (sentenza in esame).

Invero la decisione non tiene in alcun conto l’art. 17 comma 51 legge 127/1997 (c.d. Bassanini bis) che prevede, sia pur per la trasformazione delle aziende speciali in società per azioni la possibilità per gli Enti locali "di restare azionisti unici per un periodo non superiore ai due anni dalla trasformazione". Questo non è evidentemente il caso sottoposto a giudizio della Corte, tuttavia pare francamente eccessiva questa rigidità di valutazione nella formazione societaria come necessariamente illeggittima, anche perchè occorre ricordare che nella realizzazione dei suoi fini istituzionali, l’Ente può legittimamente adottare strumenti privatistici, che non solo per questo possono essere ritenuti fraudolenti.

Sotto il profilo dei controlli sugli atti degli Enti locali la fattispecie dimostra ampliamente come sia stato un errore quello di eliminare di fatto il controllo previsto dall’art. 130 della Costituzione (ancora Bassanini bis).

I sindaci, succedutisi in carica durante la vigenza della spa posseduta dall’Ente locale, hanno dovuto rispondere "per l’attività omissiva posta in atto volontariamente", e cioè per l’omissione di specifici adempimenti di vigilanza, controllo e denuncia facenti capo al sindaco nella sua posizione di vertice di un Ente locale pienamente coinvolto, appunto quale "azionista unico" nella società.

Tutto ciò non si sarebbe verificato ove il Comune avesse potuto contare su una efficiente struttura di controllo esterno che avrebbe sicuramente impedito il depauperamento coinvolto, quale "azionista unico" nella società.

Si è detto anche che la sentenza in esame sviluppa il rapporto tra norme civilistiche e vincoli pubblicistici, in particolare la sentenza ritiene che il punto di riferimento normativo "non può circoscriversi a quelle sole norme del codice civile, ma che queste, considerata l’incidenza delle risultanze gestionali delle menzionate società con il bilancio dello stato e dell’Ente locale, vanno coordinate con l’art. 81 della Costituzione".

In riferimento all’art. 81 può sembrare eccessivo e fuori posto, ma in realtà serve ad evidenziare la stretta correlazione esistente fra le risultanze della gestione societaria ed il bilancio ed il patrimonio dell’Ente locale.

Da qui quindi la colpa per totale macanza da parte dei sindaci inquisiti di specifici adempimenti di vigilanza e controllo di loro esclusiva competenza, prima fra tutti l’adozione dell’azione di responsabilità prevista dall’art. 2393 del c.c., azione invece omessa dai convenuti, con la conseguente prescrizione.

Quest’ultimo discorso ci porta direttamente al concetto di responsabilità amministrativa. La pronunzia sottolinea infatti la doverosità dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile rispetto a quella civile nascente da reato, rilevando che un certo comportamento può dar luogo a rilievi in sede penale (nasce in tal caso un’azione responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. da esercitarsi innanzi al giudice civile oppure al giudice penale), ed il medesimo comportamento, indipendentemente dalla sua qualificazione penale, rileva anche come inadempimento di obblighi di servizio e come tale è fonte di responsabilità amministrativo-contabile (nasce in tal caso un’azione di responsabilità di natura contrattuale di competenza della Corte dei Conti e che copre evidentemente un’area più vasta della precedente).

Tale viene qualificato l’atteggiamento psicologico dei convenuti che si pone in rilievo sia sotto il profilo della colpa grava che del dolo, inteso quindi come dolo contrattuale, che attiene cioè all’inadempimento di uno specifico obbligo preesistente di corretta amministrazione.

Da ultimo la sentenza prende in esame anche il rapporto sindaci - consiglio comunale, per scagionare totalmente quest’ultimo, in quanto non è stato posto dai sindaci in condizione di svolgere il proprio ruolo.

La decisione in argomento, di fronte a realtà gestionali pubbliche sempre più complesse che utilizzano moduli propri del mondo privatistico, pur impiegando risorse collettive, è destinata a fare scalpore, soprattutto perchè si inserisce in una giurisprudenza della cassazione a sezioni unite, tradizionalmente orientata a riconoscere la giurisdizione ordinaria per la sfera gestionale degli Enti pubblici economici; tuttavia essa recupera un nuovo profilo di responsabilità amministrativa che si sostanzia di contenuti concreti e che va ad incidere anche su chi gestisce il pubblico denaro muovendosi nelle acque, meno limacciose e più libere, del diritto privato e del mercato.