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Alla ricerca dell’identità del controllo amministrativo

da "A.L. - Periodico mensile a cura della Lega per le autonomie locali", aprile 1986

ALLA RICERCA DELL’IDENTITA’ DEL CONTROLLO AMMINISTRATIVO

L’esperienza ultradecennale ha evidenziato i limiti dell’attuale sistema del controllo e, quindi, l’esigenza di profondi aggiustamenti che superino l’assetto dettato dalla legge 10/2/1953 n. 62.

Quest’ultima, con una soluzione a prima vista semplice e lineare, ha attuato l’art. 130 della Costituzione, attribuendo sostanzialmente al nuovo Comitato ed alle sue sezioni, il controllo di legittimità prima attribuito al Prefetto ed il controllo di merito in precedenza esercitato dalla Giunta Provinciale Amministrativa.

Senonché il controllo prima svolto da organi dello Stato non era in funzione di "garanzia", ma in funzione di "indirizzo e tutela", ed infatti il controllo di merito importava una codeterminazione delle decisioni maggiormente significative con un organo dello Stato, mentre il controllo di legittimità "si era venuto articolando, quanto meno", "in funzione di tutela, cioè del riscontro che l’attività fosse conforme non a parametri astratti di legittimità, ma alla visione politico-amministrativa del controllante" (Merusi e Cheli, Le Regioni, 1973, p. 908), cioè dello Stato.

Il controllo di legittimità rimane perciò tuttora ancorato alla funzione di vigilanza e di indirizzo, in netto contrasto con le potenzialità racchiuse, ma ancora inespresse, nella norma costituzionale.

Tende perciò a manifestarsi, con quotidiana frequenza, una contraddizione tra natura dell’organo regionale di controllo e funzioni ereditate; una contraddizione che non si supera con un rapporto formalmente democratico (ma sostanzialmente paternalistico) tra controllato e controllante, anche perché vi è il rischio che le conseguenze dell’inadeguato quadro legislativo nazionale si scarichino nel rapporto tra Regione, Organi di controllo ed Enti Locali svilendolo al livello di una estenuante querelle priva di sbocchi riformatori di carattere generale.

Valga una succinta digressione storica.

Il controllo di legittimità veniva esercitato dal Prefetto ex art. 97 e 148 T.U.L.C.P. senza limitazione di oggetto. Sulla premessa che ogni atto deliberativo dell’ente potesse essere annullato dal Prefetto, il modo per tenere sotto "tutela" l’attività dell’ente locale oscillava fra due poli: l’invio di circolari agli enti controllati, di per sè non vincolanti, ma vincolanti nella sostanza perché anticipatrici di parametri di giudizio del controllante, la preventiva ricerca del consenso del controllante da parte del controllato o viceversa, nelle ipotesi in cui la soluzione da adottare apparisse problematica.

Il Comitato Regionale di Controllo, titolare in astratto, ex art. 130 Costituzione, della funzione di garanzia, di riscontro oggettivo alla legge vigente, ma sfornito, giustamente di "supremazia", è portato, invece, ad operare un controllo di tipo oggettivo su singoli atti amministrativi, tendenzialmente simile a quello posto in essere dalla Corte dei Conti rispetto agli atti dell’amministrazione statale. Stretto in questa contraddizione, non superata dalle varie leggi regionali "sui controlli", il Comitato di Controllo è, ogni giorno, costretto, a causa delle norme che lo disciplinano, a riscoprire leggi ormai desuete ed a applicare nuove norme spesso poco comprensibili, pressato da ridottissimi tempi di esame imposti dalla legge, ed ha finito molte volte, come è noto, per prestare il fianco d’accusa di essere più "legalista" e "fiscale" del Prefetto e delle Giunte Provinciali Amministrative.

C’è da aggiungere che nel contempo, rispetto al controllo esercitato dal prefetto, è mutato totalmente il quadro della attività soggetta a controllo, con l’espandersi delle funzioni attribuite agli enti locali e con il dilatarsi della legislazione che tali funzioni determina e regolamenta.

In effetti antecedentemente l’attività degli enti locali era sostanzialmente libera e discrezionale, e non vincolata da particolari procedure di legge (salvo ovviamente il controllo sui bilanci, sulle Oo.pp. e urbanistica). I limiti erano determinati dalla disponibilità finanziaria.

A partire dal 1977 viene mutuato totalmente il sistema finanziario degli enti locali introducendo nella legge finanziaria annuale tutta la disciplina del personale.

Si sono poi dilatate (e ovviamente regolamentate) le funzioni degli enti locali (si pensi al D.P.R. 616, alla legge sul commercio, etc.).

In tal modo si è verificato un aumento notevole degli atti soggetti al controllo rispetto a quelli ereditati dal sistema prefettizio.

Si è allora posto il problema dello snellimento del medesimo, ed è così intervenuta la legislazione regionale per alleggerire il controllo.

Tra le prime proprio la Regione Emilia Romagna che con l’art. 26 u.c. del progetto di legge sul funzionamento dell’organo di controllo pubblicato sul B.U. n. 62 del 18/6/1973.

Il tentativo però non andò a buon fine perché tale norma fu giudicata dal Commissario del Governo in contrasto con la legge n. 62/1953.

Esso però fu raccolto da altre regioni che riuscirono a portarlo a termine, e finalmente (sei anni dopo) approvato anche nell’Emilia Romagna.

Tale processo innovativo è stato recentemente portato a termine dalla nostra Regione con la legge n. 28/1985 per i cui aspetti innovativi più salienti (istituzione del coordinamento regionale tra gli organi di controllo - perentorietà del termine di procedimento di controllo - relazioni ed elementi informativi - qualificazione e specificazione dei soggetti cui si applica il controllo - limitazione del potere di annullamento circoscritto ai motivi della richiesta di chiarimenti).

Ci preme in questa sede, soffermarci sull’intervento più innovativo in materia di estensione del controllo con l’ampliamento ulteriore del controllo eventuale su richiesta in base ad elenchi.

A nostro avviso anche questo snellimento, pur considerevole, non è ancora in grado di risolvere il problema perché, dal punto di vista della sostanza, gli atti si sono incrementati, ed è soprattutto aumentata la complessità delle procedure. In tal modo il controllo si è sempre più sviluppato come controllo sulle procedure, quindi controllo in senso formalistico, anche se sempre più complesso, perché deve tener conto della legislazione statale e regionale.

A tale condizione determinata dalle regioni obiettive sovraesposte si devono aggiungere i fattori di natura soggettiva, inerenti cioè alla composizione del Comitato Regionale che discende da nomine attribuite ad organi esterni (T.A.R., Commissario del Governo, Ministero del Tesoro) o derivanti da scelte partitiche sulla base di intese politiche.

Il modello di controllo in atto risulta pertanto superato, limitandosi ad una verifica formale degli atti da esercitare in via preventiva, mentre altrove - in specie nei paesi anglosassoni - i controlli sono ormai sostituiti da appositi riscontri di "costi e benefici", tanto che il Giannini ha definito i nostri controlli "inutile, controproducenti ed al limite, stupidi".

Ciò permesso occorre ricercare e capire, ripensando anche a quanto è risultato dai lavori del convegno di Parma (25-26 ottobre 1984) ed in particolare dalle conclusioni del prof. Nigro in ordine alla "purezza del controllo", quale sia la identità della funzione del "controllo".

Nel Comitato Regionale di Controllo si miscelano:

a) la funzione di tutela rappresentata dal membro nominato dal Commissario del Governo;

b) la funzione giurisdizionale rappresentata dal membro nominato dal T.A.R.;

c) il controllo contabile rappresentato attualmente dal membro nominato dal Ministro del Tesoro, e dalle sempre più massicce interferenze della Corte dei Conti, che trovano riscontro nella previsione da parte dell’art. 59 del disegno di legge della presenza di un magistrato della Corte dei Conti;

d) il controllo più propriamente politico rappresentato dagli "esperti" nominati dalla Regione.

Questa composizione dimostra il passaggio tra le varie identità in cui ha dovuto riconoscersi la funzione del controllo, e cioè da organo di tutela (G.P.A.), a organo para-giurisdizionale (quale quello attuale) di controllo sulle procedure, ed infine organo di controllo nel sistema della spesa pubblica (quale viene a delinearsi nel disegno di legge di iniziativa governativa).

Occorre invece individuare l’identità della funzione di controllo ex art. 130 della Costituzione.

Si può procedere per esclusione.

Non è certo in funzione di tutela già svolta dal Prefetto, e tanto meno è una funzione giurisdizionale che invece compete agli organi di giustizia amministrativa.

A ben vedere non è neppure quella di mero organo di controllo della spesa pubblica, posto che tale funzione è già riservata alla Corte dei Conti che ha una sua precisa identità stabilita anche dalla riforma della contabilità pubblica. Qual’è allora l’identità della funzione di controllo ex. art. 130 della Costituzione?

A nostro avviso, atteso che trattasi di attività strumentale alla funzione di amministrazione attiva, occorre, secondo del resto quanto sostenuto dal Piga (Prospettive dei controlli nei lavori della commissione istituzionale presso la Presidenza del Consiglio, n. 3, convegno di Parma) prendere le mosse dall’art. 2 del D.P.R. 616 e dall’art. 1 della legge 131/1983 che cominciano a dare vigore al problema della programmazione e a quello dell’efficacia e produttività della spesa pubblica. Ora l’attività di controllo dovrebbe essere ripensata e vista anzitutto come un momento di effettivo coordinamento nell’ambito della spesa pubblica.

In tal modo si potrebbero evitare interventi di enti locali non coordinati a livello regionale.

Se di legittimità si vorrà parlare, dovrà parlarsi allora di legittimità in senso forte, sostanziale e non meramente formale.

Si pensi ad esempio ai Consorzi delle Aziende Municipalizzate ed alle Aziende Pubbliche in genere che sfuggono totalmente ad un controllo "sostanziale" ma sono soggette solo ad un controllo formalistico.

Per altro verso poi il controllo dovrà riguardare la efficacia e la produzione della spesa pubblica, dovrebbe in sostanza essere elemento qualificante di un sistema di controllo di "efficienza" come suggerito dal ben noto rapporto Giannini.

Esso dovrebbe andare di pari passo alla semplificazione del procedimento amministrativo ed esserne parte integrante.

In tale quadro è opportuno che si dedichi una straordinaria attenzione agli apparati amministrativi dei Comitati Regionali di Controllo, ed in particolare al potenziamento tecnologico dei mezzi e degli strumenti di rilevazione dei dati di rilievo "esterno", che l’attività istruttoria dei Comitati non può non assumere, per conoscere davvero, in via preventiva, le motivazioni dei vari procedimenti che si inseriscono e si devono inserire nell’iter procedimentale della funzione pubblica.

In tal modo il Co.Re. Co. si potrebbe collocare non più come organo paragiurisdizionale di controllo formalistico, ma anche come banca dati del sistema delle autonomie, accentrando il suo controllo in senso sostanziale e di "efficienza", recando un significativo contributo alla qualificazione complessiva della pubblica amministrazione locale. da "A.L. - Periodico mensile a cura della Lega per le autonomie locali", aprile 1986

ALLA RICERCA DELL’IDENTITA’ DEL CONTROLLO AMMINISTRATIVO

L’esperienza ultradecennale ha evidenziato i limiti dell’attuale sistema del controllo e, quindi, l’esigenza di profondi aggiustamenti che superino l’assetto dettato dalla legge 10/2/1953 n. 62.

Quest’ultima, con una soluzione a prima vista semplice e lineare, ha attuato l’art. 130 della Costituzione, attribuendo sostanzialmente al nuovo Comitato ed alle sue sezioni, il controllo di legittimità prima attribuito al Prefetto ed il controllo di merito in precedenza esercitato dalla Giunta Provinciale Amministrativa.

Senonché il controllo prima svolto da organi dello Stato non era in funzione di "garanzia", ma in funzione di "indirizzo e tutela", ed infatti il controllo di merito importava una codeterminazione delle decisioni maggiormente significative con un organo dello Stato, mentre il controllo di legittimità "si era venuto articolando, quanto meno", "in funzione di tutela, cioè del riscontro che l’attività fosse conforme non a parametri astratti di legittimità, ma alla visione politico-amministrativa del controllante" (Merusi e Cheli, Le Regioni, 1973, p. 908), cioè dello Stato.

Il controllo di legittimità rimane perciò tuttora ancorato alla funzione di vigilanza e di indirizzo, in netto contrasto con le potenzialità racchiuse, ma ancora inespresse, nella norma costituzionale.

Tende perciò a manifestarsi, con quotidiana frequenza, una contraddizione tra natura dell’organo regionale di controllo e funzioni ereditate; una contraddizione che non si supera con un rapporto formalmente democratico (ma sostanzialmente paternalistico) tra controllato e controllante, anche perché vi è il rischio che le conseguenze dell’inadeguato quadro legislativo nazionale si scarichino nel rapporto tra Regione, Organi di controllo ed Enti Locali svilendolo al livello di una estenuante querelle priva di sbocchi riformatori di carattere generale.

Valga una succinta digressione storica.

Il controllo di legittimità veniva esercitato dal Prefetto ex art. 97 e 148 T.U.L.C.P. senza limitazione di oggetto. Sulla premessa che ogni atto deliberativo dell’ente potesse essere annullato dal Prefetto, il modo per tenere sotto "tutela" l’attività dell’ente locale oscillava fra due poli: l’invio di circolari agli enti controllati, di per sè non vincolanti, ma vincolanti nella sostanza perché anticipatrici di parametri di giudizio del controllante, la preventiva ricerca del consenso del controllante da parte del controllato o viceversa, nelle ipotesi in cui la soluzione da adottare apparisse problematica.

Il Comitato Regionale di Controllo, titolare in astratto, ex art. 130 Costituzione, della funzione di garanzia, di riscontro oggettivo alla legge vigente, ma sfornito, giustamente di "supremazia", è portato, invece, ad operare un controllo di tipo oggettivo su singoli atti amministrativi, tendenzialmente simile a quello posto in essere dalla Corte dei Conti rispetto agli atti dell’amministrazione statale. Stretto in questa contraddizione, non superata dalle varie leggi regionali "sui controlli", il Comitato di Controllo è, ogni giorno, costretto, a causa delle norme che lo disciplinano, a riscoprire leggi ormai desuete ed a applicare nuove norme spesso poco comprensibili, pressato da ridottissimi tempi di esame imposti dalla legge, ed ha finito molte volte, come è noto, per prestare il fianco d’accusa di essere più "legalista" e "fiscale" del Prefetto e delle Giunte Provinciali Amministrative.

C’è da aggiungere che nel contempo, rispetto al controllo esercitato dal prefetto, è mutato totalmente il quadro della attività soggetta a controllo, con l’espandersi delle funzioni attribuite agli enti locali e con il dilatarsi della legislazione che tali funzioni determina e regolamenta.

In effetti antecedentemente l’attività degli enti locali era sostanzialmente libera e discrezionale, e non vincolata da particolari procedure di legge (salvo ovviamente il controllo sui bilanci, sulle Oo.pp. e urbanistica). I limiti erano determinati dalla disponibilità finanziaria.

A partire dal 1977 viene mutuato totalmente il sistema finanziario degli enti locali introducendo nella legge finanziaria annuale tutta la disciplina del personale.

Si sono poi dilatate (e ovviamente regolamentate) le funzioni degli enti locali (si pensi al D.P.R. 616, alla legge sul commercio, etc.).

In tal modo si è verificato un aumento notevole degli atti soggetti al controllo rispetto a quelli ereditati dal sistema prefettizio.

Si è allora posto il problema dello snellimento del medesimo, ed è così intervenuta la legislazione regionale per alleggerire il controllo.

Tra le prime proprio la Regione Emilia Romagna che con l’art. 26 u.c. del progetto di legge sul funzionamento dell’organo di controllo pubblicato sul B.U. n. 62 del 18/6/1973.

Il tentativo però non andò a buon fine perché tale norma fu giudicata dal Commissario del Governo in contrasto con la legge n. 62/1953.

Esso però fu raccolto da altre regioni che riuscirono a portarlo a termine, e finalmente (sei anni dopo) approvato anche nell’Emilia Romagna.

Tale processo innovativo è stato recentemente portato a termine dalla nostra Regione con la legge n. 28/1985 per i cui aspetti innovativi più salienti (istituzione del coordinamento regionale tra gli organi di controllo - perentorietà del termine di procedimento di controllo - relazioni ed elementi informativi - qualificazione e specificazione dei soggetti cui si applica il controllo - limitazione del potere di annullamento circoscritto ai motivi della richiesta di chiarimenti).

Ci preme in questa sede, soffermarci sull’intervento più innovativo in materia di estensione del controllo con l’ampliamento ulteriore del controllo eventuale su richiesta in base ad elenchi.

A nostro avviso anche questo snellimento, pur considerevole, non è ancora in grado di risolvere il problema perché, dal punto di vista della sostanza, gli atti si sono incrementati, ed è soprattutto aumentata la complessità delle procedure. In tal modo il controllo si è sempre più sviluppato come controllo sulle procedure, quindi controllo in senso formalistico, anche se sempre più complesso, perché deve tener conto della legislazione statale e regionale.

A tale condizione determinata dalle regioni obiettive sovraesposte si devono aggiungere i fattori di natura soggettiva, inerenti cioè alla composizione del Comitato Regionale che discende da nomine attribuite ad organi esterni (T.A.R., Commissario del Governo, Ministero del Tesoro) o derivanti da scelte partitiche sulla base di intese politiche.

Il modello di controllo in atto risulta pertanto superato, limitandosi ad una verifica formale degli atti da esercitare in via preventiva, mentre altrove - in specie nei paesi anglosassoni - i controlli sono ormai sostituiti da appositi riscontri di "costi e benefici", tanto che il Giannini ha definito i nostri controlli "inutile, controproducenti ed al limite, stupidi".

Ciò permesso occorre ricercare e capire, ripensando anche a quanto è risultato dai lavori del convegno di Parma (25-26 ottobre 1984) ed in particolare dalle conclusioni del prof. Nigro in ordine alla "purezza del controllo", quale sia la identità della funzione del "controllo".

Nel Comitato Regionale di Controllo si miscelano:

a) la funzione di tutela rappresentata dal membro nominato dal Commissario del Governo;

b) la funzione giurisdizionale rappresentata dal membro nominato dal T.A.R.;

c) il controllo contabile rappresentato attualmente dal membro nominato dal Ministro del Tesoro, e dalle sempre più massicce interferenze della Corte dei Conti, che trovano riscontro nella previsione da parte dell’art. 59 del disegno di legge della presenza di un magistrato della Corte dei Conti;

d) il controllo più propriamente politico rappresentato dagli "esperti" nominati dalla Regione.

Questa composizione dimostra il passaggio tra le varie identità in cui ha dovuto riconoscersi la funzione del controllo, e cioè da organo di tutela (G.P.A.), a organo para-giurisdizionale (quale quello attuale) di controllo sulle procedure, ed infine organo di controllo nel sistema della spesa pubblica (quale viene a delinearsi nel disegno di legge di iniziativa governativa).

Occorre invece individuare l’identità della funzione di controllo ex art. 130 della Costituzione.

Si può procedere per esclusione.

Non è certo in funzione di tutela già svolta dal Prefetto, e tanto meno è una funzione giurisdizionale che invece compete agli organi di giustizia amministrativa.

A ben vedere non è neppure quella di mero organo di controllo della spesa pubblica, posto che tale funzione è già riservata alla Corte dei Conti che ha una sua precisa identità stabilita anche dalla riforma della contabilità pubblica. Qual’è allora l’identità della funzione di controllo ex. art. 130 della Costituzione?

A nostro avviso, atteso che trattasi di attività strumentale alla funzione di amministrazione attiva, occorre, secondo del resto quanto sostenuto dal Piga (Prospettive dei controlli nei lavori della commissione istituzionale presso la Presidenza del Consiglio, n. 3, convegno di Parma) prendere le mosse dall’art. 2 del D.P.R. 616 e dall’art. 1 della legge 131/1983 che cominciano a dare vigore al problema della programmazione e a quello dell’efficacia e produttività della spesa pubblica. Ora l’attività di controllo dovrebbe essere ripensata e vista anzitutto come un momento di effettivo coordinamento nell’ambito della spesa pubblica.

In tal modo si potrebbero evitare interventi di enti locali non coordinati a livello regionale.

Se di legittimità si vorrà parlare, dovrà parlarsi allora di legittimità in senso forte, sostanziale e non meramente formale.

Si pensi ad esempio ai Consorzi delle Aziende Municipalizzate ed alle Aziende Pubbliche in genere che sfuggono totalmente ad un controllo "sostanziale" ma sono soggette solo ad un controllo formalistico.

Per altro verso poi il controllo dovrà riguardare la efficacia e la produzione della spesa pubblica, dovrebbe in sostanza essere elemento qualificante di un sistema di controllo di "efficienza" come suggerito dal ben noto rapporto Giannini.

Esso dovrebbe andare di pari passo alla semplificazione del procedimento amministrativo ed esserne parte integrante.

In tale quadro è opportuno che si dedichi una straordinaria attenzione agli apparati amministrativi dei Comitati Regionali di Controllo, ed in particolare al potenziamento tecnologico dei mezzi e degli strumenti di rilevazione dei dati di rilievo "esterno", che l’attività istruttoria dei Comitati non può non assumere, per conoscere davvero, in via preventiva, le motivazioni dei vari procedimenti che si inseriscono e si devono inserire nell’iter procedimentale della funzione pubblica.

In tal modo il Co.Re. Co. si potrebbe collocare non più come organo paragiurisdizionale di controllo formalistico, ma anche come banca dati del sistema delle autonomie, accentrando il suo controllo in senso sostanziale e di "efficienza", recando un significativo contributo alla qualificazione complessiva della pubblica amministrazione locale.