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Limitazioni al diritto di proprietà nel regolamento di condominio

Il regolamento condominiale di cui all’art. 1138 c.c., approvato in assemblea con le maggioranze indicate nel medesimo articolo, consente esclusivamente di regolamentare l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione, sempre però rispettando quanto previsto dalla legge la quale non può essere derogata. Lo stesso articolo infatti così specifica “secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino”. I condomini, a mezzo del regolamento, potranno scegliere, ad esempio, come disciplinare l’uso del cortile, oppure come ripartire le spese del riscaldamento scegliendo tra i vari criteri che la Cassazione ha indicato quali rispettosi dell’art. 1123 co. 2 c.c..

A volte un regolamento condominale prevede limitazioni al diritto di proprietà (ad esempio: divieto di adibire l’appartamento a sede di partiti politici, di tenere all’interno qualsiasi tipo di animale, di non realizzare verande; ecc.).

Tali pattuizioni però hanno natura non di regolamentazione, ma bensì contrattuale, poiché “il regolamento di condominio non può disciplinare, in quanto tale, le situazioni di diritto reale dei compartecipi in ordine alle parti comuni dell’edificio ed a quelle di proprietà esclusiva (…)” (Cassazione 03.10.1979 n. 5078).

Per una limitazione di questo tipo occorre il consenso di ogni singolo condomino. Solitamente tali pattuizioni vengono inserite nel regolamento (in questo caso definito “contrattuale”) redatto dall’originario ed unico proprietario il quale lo allega ad ogni singola vendita, oppure, allegato al solo primo atto di vendita, lo richiama in tutti i successivi.

In alternativa, ma cosa più rara, le predette pattuizioni limitative possono essere contenute in una scrittura privata successiva e sottoscritta da tutti i condomini. La scrittura può anche essere effettuata nelle forme di un regolamento condominiale, che deve essere sottoscritto da tutti i condomini per quanto riguarda le limitazioni al diritto reale.

Per la validità delle pattuizioni non basta quindi che il regolamento sia semplicemente approvato dall’assemblea, benché all’unanimità dei condomini. Occorre la volontà di tutti questi ultimi di pattuire contrattualmente limitazioni al diritto reale di proprietà. L’assemblea, sul punto, non ha competenza per decidere in quanto materia eccedente i poteri che il Legislatore le ha conferito con l’art. 1135 c.c..

E’ necessaria la forma scritta per la validità delle limitazioni in esame, con relativa sottoscrizione di tutti i condomini. Secondo la Cassazione, le limitazioni al contenuto dei diritti di proprietà esclusiva sono validamente assunti “con il consenso unanime dei partecipanti manifestato nelle debite forme, assumendo così natura contrattuale” (Cassazione 03.10.1979 n. 5078).

Non vi sono dubbi, a mio parere, che per “debite forme” debba intendersi la forma scritta (Cassazione 14.11.1991 n. 12173). Per forma scritta non deve essere inteso il normale regolamento condominiale (che è sì scritto, ma approvato a maggioranza e non sottoscritto), ma che lo stesso documento debba essere firmato da tutti i condomini.

La firma è assolutamente necessaria perché le limitazioni al diritto reale di proprietà vanno a “costituire degli oneri reali” (Cassazione 21.05.19978 n. 4509) “o servitù sui diritti immobiliari dei condomini sulle loro proprietà esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono a taluni condomini diritti di natura maggiori di quelli degli altri condomini. Ne discende (…) il requisito della forma scritta ad substantiam” (Cassazione 30.12.1999 n. 943).

Trattandosi di oneri reali o di servitù, la sottoscrizione è prevista dall’art. 1350 c.c. in quanto “chi tali limitazioni afferma, deve dunque provare, per iscritto, sia l’esistenza dell’altrui obbligo, nel quale si concretizza la assenta limitazione dell’altrui diritto di proprietà, sia l’esistenza del suo corrispondente diritto di avvalersi di tale limitazione” (estratto dalla motivazione della sentenza della Corte di Cassazione 19.10.1998 n. 10335).

Devono essere considerate limitazioni al contenuto del diritto di proprietà anche le deroghe all’art. 1102 c.c., concernente la facoltà del condomino di apportare modifiche a sue spese per il migliore godimento della cosa comune a suo esclusivo vantaggio (ad esempio divieto di aprire nuove finestre; divieto di realizzare nuovi balconi; divieto di apporre tende; ecc.). Lo conferma la Cassazione per la quale tale articolo “è derogabile per regolamento condominiale avente efficacia contrattuale, in quanto sottoscritto da tutti i condomini (…)”. (Cassazione 5.10.92 n. 10895).

Anche in questo caso dunque la Cassazione richiede necessariamente la sottoscrizione.

Le parole “concorde” e “unanime”, che tanto si leggono nelle sentenze della Corte di Cassazione sul punto, non sono riferite esclusivamente ai partecipanti all’assemblea (benché essi siano in rappresentanza di tutti gli appartamenti), ma a tutti i condomini in assoluto. Spesse volte accade che un appartamento in condominio appartenga in comunione a più persone (solitamente marito e moglie). In questi casi occorre il consenso (e la sottoscrizione) anche di tutti i comproprietari della singola unità immobiliare ex art. 1108 co 4 c.c. che prevede obbligatoriamente il consenso di “tutti i partecipanti della comunione” per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali. Lo stesso obbligo vige in caso di appartamento in comunione legale dei beni ex art. 180 co 2 c.c..

Perché un regolamento debba intendersi “contrattuale” non basta quindi la presenza di tutti i condomini in assemblea. Occorre un atto in più costituito dalla sottoscrizione di tutti i partecipanti.

Si consideri che il regolamento contrattuale, per essere opponibile ai terzi acquirenti, deve essere trascritto presso la Conservatoria dei registri immobiliari oppure, in alternativa, richiamato nei successivi atti di vendita. L’avente causa deve quindi avere la possibilità di verificare ogni singola adesione al contratto e non limitarsi a prendere atto di un verbale di assemblea che nemmeno indica le generalità complete dei proprietari o se gli intervenuti erano o meno in piena proprietà, anche in considerazione del fatto che, in caso di usufrutto, in assemblea solitamente interviene sempre l’usufruttuario, mentre una pattuizione di questo tipo è di competenza del nudo proprietario.

La mancanza della sottoscrizione, rende nulla la pattuizione limitativa del diritto di proprietà. Trattasi quindi di nullità (e non di annullabilità), rilevabile quindi anche oltre i 30 giorni previsti per l’impugnazione della delibera. Tale nullità può essere eccepita anche da colui che ha votato a favore della delibera che ha approvato le limitazioni al diritto di proprietà, così come risulta anche dalla stessa sentenza della Cassazione in altro passaggio della motivazione “l’esistenza del regolamento condominiale, dopotutto riconosciuta dallo stesso ricorrente (…) non documenta la validità della sua parte ‘contrattuale’, di quella cioè che prevede limitazioni nell’uso di quanto da lui acquistato; ossia che tale parte sia stata validamente stipulata, e sia frutto della concorde volontà sia del suo dante causa, sia dei condomini che di tale limitazione beneficiano (…)” (estratto dalla motivazione della sentenza della Corte di Cassazione 19.10.1998 n. 10335).

La predetta nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio anche dal Giudice ex art. 1421 c.c.. La nullità può essere eccepita anche dal condomino che vi abbia votato a favore perché “(…) da una parte il principio di cui all’art. 1421 c.c., secondo cui la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, salvo diverse disposizioni di legge, non risulta derogato dalle norme in tema di comunione o di condominio e dall’altra la regola per la quale chi ha dato causa alla nullità non può farla valere è propria della materia processuale, ma è estranea alla materia sostanziale, dove l’azione è concessa anche a chi abbia partecipato alla stipulazione di un atto nullo” (Cassazione 27.05.1982 n. 3232).

Riassumendo: le limitazioni del diritto di proprietà devono essere accettate mediante sottoscrizione da tutti i condomini (nel caso di un appartamento in comunione, occorre la sottoscrizione di tutti i comproprietari). Per far sì che le limitazioni approvate abbiano valore anche nei confronti dei futuri acquirenti, il regolamento contrattuale (se non trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari) deve essere allegato ad ogni singolo atto di vendita.

Il regolamento condominiale di cui all’art. 1138 c.c., approvato in assemblea con le maggioranze indicate nel medesimo articolo, consente esclusivamente di regolamentare l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione, sempre però rispettando quanto previsto dalla legge la quale non può essere derogata. Lo stesso articolo infatti così specifica “secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino”. I condomini, a mezzo del regolamento, potranno scegliere, ad esempio, come disciplinare l’uso del cortile, oppure come ripartire le spese del riscaldamento scegliendo tra i vari criteri che la Cassazione ha indicato quali rispettosi dell’art. 1123 co. 2 c.c..

A volte un regolamento condominale prevede limitazioni al diritto di proprietà (ad esempio: divieto di adibire l’appartamento a sede di partiti politici, di tenere all’interno qualsiasi tipo di animale, di non realizzare verande; ecc.).

Tali pattuizioni però hanno natura non di regolamentazione, ma bensì contrattuale, poiché “il regolamento di condominio non può disciplinare, in quanto tale, le situazioni di diritto reale dei compartecipi in ordine alle parti comuni dell’edificio ed a quelle di proprietà esclusiva (…)” (Cassazione 03.10.1979 n. 5078).

Per una limitazione di questo tipo occorre il consenso di ogni singolo condomino. Solitamente tali pattuizioni vengono inserite nel regolamento (in questo caso definito “contrattuale”) redatto dall’originario ed unico proprietario il quale lo allega ad ogni singola vendita, oppure, allegato al solo primo atto di vendita, lo richiama in tutti i successivi.

In alternativa, ma cosa più rara, le predette pattuizioni limitative possono essere contenute in una scrittura privata successiva e sottoscritta da tutti i condomini. La scrittura può anche essere effettuata nelle forme di un regolamento condominiale, che deve essere sottoscritto da tutti i condomini per quanto riguarda le limitazioni al diritto reale.

Per la validità delle pattuizioni non basta quindi che il regolamento sia semplicemente approvato dall’assemblea, benché all’unanimità dei condomini. Occorre la volontà di tutti questi ultimi di pattuire contrattualmente limitazioni al diritto reale di proprietà. L’assemblea, sul punto, non ha competenza per decidere in quanto materia eccedente i poteri che il Legislatore le ha conferito con l’art. 1135 c.c..

E’ necessaria la forma scritta per la validità delle limitazioni in esame, con relativa sottoscrizione di tutti i condomini. Secondo la Cassazione, le limitazioni al contenuto dei diritti di proprietà esclusiva sono validamente assunti “con il consenso unanime dei partecipanti manifestato nelle debite forme, assumendo così natura contrattuale” (Cassazione 03.10.1979 n. 5078).

Non vi sono dubbi, a mio parere, che per “debite forme” debba intendersi la forma scritta (Cassazione 14.11.1991 n. 12173). Per forma scritta non deve essere inteso il normale regolamento condominiale (che è sì scritto, ma approvato a maggioranza e non sottoscritto), ma che lo stesso documento debba essere firmato da tutti i condomini.

La firma è assolutamente necessaria perché le limitazioni al diritto reale di proprietà vanno a “costituire degli oneri reali” (Cassazione 21.05.19978 n. 4509) “o servitù sui diritti immobiliari dei condomini sulle loro proprietà esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono a taluni condomini diritti di natura maggiori di quelli degli altri condomini. Ne discende (…) il requisito della forma scritta ad substantiam” (Cassazione 30.12.1999 n. 943).

Trattandosi di oneri reali o di servitù, la sottoscrizione è prevista dall’art. 1350 c.c. in quanto “chi tali limitazioni afferma, deve dunque provare, per iscritto, sia l’esistenza dell’altrui obbligo, nel quale si concretizza la assenta limitazione dell’altrui diritto di proprietà, sia l’esistenza del suo corrispondente diritto di avvalersi di tale limitazione” (estratto dalla motivazione della sentenza della Corte di Cassazione 19.10.1998 n. 10335).

Devono essere considerate limitazioni al contenuto del diritto di proprietà anche le deroghe all’art. 1102 c.c., concernente la facoltà del condomino di apportare modifiche a sue spese per il migliore godimento della cosa comune a suo esclusivo vantaggio (ad esempio divieto di aprire nuove finestre; divieto di realizzare nuovi balconi; divieto di apporre tende; ecc.). Lo conferma la Cassazione per la quale tale articolo “è derogabile per regolamento condominiale avente efficacia contrattuale, in quanto sottoscritto da tutti i condomini (…)”. (Cassazione 5.10.92 n. 10895).

Anche in questo caso dunque la Cassazione richiede necessariamente la sottoscrizione.

Le parole “concorde” e “unanime”, che tanto si leggono nelle sentenze della Corte di Cassazione sul punto, non sono riferite esclusivamente ai partecipanti all’assemblea (benché essi siano in rappresentanza di tutti gli appartamenti), ma a tutti i condomini in assoluto. Spesse volte accade che un appartamento in condominio appartenga in comunione a più persone (solitamente marito e moglie). In questi casi occorre il consenso (e la sottoscrizione) anche di tutti i comproprietari della singola unità immobiliare ex art. 1108 co 4 c.c. che prevede obbligatoriamente il consenso di “tutti i partecipanti della comunione” per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali. Lo stesso obbligo vige in caso di appartamento in comunione legale dei beni ex art. 180 co 2 c.c..

Perché un regolamento debba intendersi “contrattuale” non basta quindi la presenza di tutti i condomini in assemblea. Occorre un atto in più costituito dalla sottoscrizione di tutti i partecipanti.

Si consideri che il regolamento contrattuale, per essere opponibile ai terzi acquirenti, deve essere trascritto presso la Conservatoria dei registri immobiliari oppure, in alternativa, richiamato nei successivi atti di vendita. L’avente causa deve quindi avere la possibilità di verificare ogni singola adesione al contratto e non limitarsi a prendere atto di un verbale di assemblea che nemmeno indica le generalità complete dei proprietari o se gli intervenuti erano o meno in piena proprietà, anche in considerazione del fatto che, in caso di usufrutto, in assemblea solitamente interviene sempre l’usufruttuario, mentre una pattuizione di questo tipo è di competenza del nudo proprietario.

La mancanza della sottoscrizione, rende nulla la pattuizione limitativa del diritto di proprietà. Trattasi quindi di nullità (e non di annullabilità), rilevabile quindi anche oltre i 30 giorni previsti per l’impugnazione della delibera. Tale nullità può essere eccepita anche da colui che ha votato a favore della delibera che ha approvato le limitazioni al diritto di proprietà, così come risulta anche dalla stessa sentenza della Cassazione in altro passaggio della motivazione “l’esistenza del regolamento condominiale, dopotutto riconosciuta dallo stesso ricorrente (…) non documenta la validità della sua parte ‘contrattuale’, di quella cioè che prevede limitazioni nell’uso di quanto da lui acquistato; ossia che tale parte sia stata validamente stipulata, e sia frutto della concorde volontà sia del suo dante causa, sia dei condomini che di tale limitazione beneficiano (…)” (estratto dalla motivazione della sentenza della Corte di Cassazione 19.10.1998 n. 10335).

La predetta nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio anche dal Giudice ex art. 1421 c.c.. La nullità può essere eccepita anche dal condomino che vi abbia votato a favore perché “(…) da una parte il principio di cui all’art. 1421 c.c., secondo cui la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, salvo diverse disposizioni di legge, non risulta derogato dalle norme in tema di comunione o di condominio e dall’altra la regola per la quale chi ha dato causa alla nullità non può farla valere è propria della materia processuale, ma è estranea alla materia sostanziale, dove l’azione è concessa anche a chi abbia partecipato alla stipulazione di un atto nullo” (Cassazione 27.05.1982 n. 3232).

Riassumendo: le limitazioni del diritto di proprietà devono essere accettate mediante sottoscrizione da tutti i condomini (nel caso di un appartamento in comunione, occorre la sottoscrizione di tutti i comproprietari). Per far sì che le limitazioni approvate abbiano valore anche nei confronti dei futuri acquirenti, il regolamento contrattuale (se non trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari) deve essere allegato ad ogni singolo atto di vendita.