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I poteri del tribunale in sede di omologa del concordato preventivo

A seguito della riforma delle procedure concorsuali[1], è ormai divenuto oggetto di ampio dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, il tema dei poteri residuati in capo all’autorità giudiziaria chiamata all’omologazione della procedura di concordato preventivo.

Anteriormente alla riforma, l’art. 181 L.F. subordinava infatti l’omologazione del concordato alla positiva valutazione, da parte del tribunale, di quattro elementi essenziali: la convenienza economica del piano proposto, la sua fattibilità, la meritevolezza del debitore, nonché l’avvenuto raggiungimento delle maggioranze previste.

A seguito della riforma l’intero procedimento di omologazione è ora compendiato nell’art. 180, il quale limita invece la verifica al controllo sulla regolarità formale della procedura e, più specificamente, al raggiungimento della maggioranza dei voti dei creditori. In ciò si è ravvisato l’intento del legislatore di precludere l’estensione del sindacato giurisdizionale, oltre che al requisito della meritevolezza del debitore (che sparisce del tutto, persino come condizione per l’ammissione alla procedura), anche alla convenienza economica del piano rispetto alle alternative concretamente praticabili, quale ad esempio il fallimento (è il c.d. cram down, istituto mediato dal diritto statunitense). Ma soprattutto verrebbe preclusa la valutazione della fattibilità del piano medesimo (requisito che il Tribunale di Pescara ha definito come “sostenibilità e coerenza del piano in considerazione delle risorse già disponibili e di quelle ragionevolmente prevedibili rapportate all’ammontare dei crediti da soddisfare”; ordinanza del 20 ottobre 2005). Solo in caso di dissenso di classi di creditori (e sempre che la proposta concordataria preveda la suddivisione in classi) permarrebbe un giudizio sul merito, ma solo in punto alla convenienza e non anche alla fattibilità.

La norma così novellata ha suscitato forti critiche in dottrina[2], sia per la sua portata riduttiva, sia per la sua intrinseca contraddittorietà laddove - al secondo comma - fa salve le eccezioni di merito sollevabili dai creditori e - al terzo comma - attribuisce al tribunale poteri istruttori anche d’ufficio.

In estrema sintesi, può dirsi che il procedimento di omologa, da strumento di valutazione del merito qual era prima della riforma (al punto che, come detto, si estendeva anche al giudizio di meritevolezza del debitore), appare ora essere scaduto a una mera presa d’atto, ovvero a verifica formale dell’avvenuto raggiungimento delle maggioranze richieste e della regolarità delle produzioni rituali[3].

Con decreto del 23 maggio 2006 di omologazione di un concordato preventivo con cessio bonorum, il Tribunale di Piacenza (pres. Tucci, est. Bersani) si è inserito a buon diritto in questo dibattito, rimarcando i cennati ostacoli all’esame del merito da parte dell’autorità giudiziaria che la recente riforma ha frapposto ponendo la procedura concorsuale “in una prospettiva accentuatamente pattizia e contrattuale” (Trib. Piacenza, cit.), ove “la determinazione del contenuto di merito della proposta e la scelta in ordine alla sua adozione sono lasciati alla libera negoziazione delle parti” (Trib. Monza, ordinanza del 28 settembre 2005).

Per meglio comprendere il principio sposato dal giudice piacentino, è utile un breve excursus fra le posizioni dogmatiche che si sono succedute.

In dottrina, pur registrandosi qualche Autore più cauto[4] e qualcun altro più incline a un’interpretazione restrittiva dell’art. 180[5], sembra consolidarsi un indirizzo più estensivo, ritenendosi che, in sede di omologa, il tribunale “sia tenuto a riesaminare le condizioni di ammissibilità del concordato e in particolare l’idoneità della documentazione prodotta a dimostrarne la fattibilità, nei termini già indicati in sede di ammissione. Tale potere trova fondamento... nel potere di verificare in qualsiasi momento - e quindi anche in sede di omologa del concordato - se mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità dello stesso. Resta invece estraneo al tribunale il giudizio sulla convenienza, limitato all’ipotesi di classi dissenzienti, come pure il giudizio sulla meritevolezza, salva la ricorrenza di condotte fraudolente in danno dei creditori o di attività gestoria eccedente l’ordinaria amministrazione non autorizzata” (Gaballo) [6].

Siffatto indirizzo dottrinale, secondo altri[7], trova sostegno anche nel potere di controllo demandato al commissario giudiziale e al tribunale, tuttora sancito dall’art. 173; potere che, in effetti, necessariamente implicherebbe di valutare nel merito la proposta concordataria che il tribunale è chiamato a omologare.

In giurisprudenza, soprattutto in un primo tempo, vari tribunali avevano escluso la possibilità che il giudizio di omologa potesse andare oltre la mera verifica delle maggioranze di cui all’art. 177 L.F.: vedansi il Tribunale di Taranto con decreto del 1 luglio 2005 (est. Genoviva): “il tribunale, in sede di omologazione, è tenuto ad una mera verifica delle maggioranze… Nessun altro sindacato nel merito sembra… consentito al collegio”; il Tribunale di Cagliari con decreto del 23 giugno 2005, che ha ritenuto che “nessun controllo sull’accertamento della sussistenza delle condizioni di ammissibilità e nessuna valutazione sul merito della proposta sono stati demandati all’autorità giudiziaria nella fase dell’approvazione del concordato e del giudizio di omologa”; e il Tribunale di Como, con decreto del 22 luglio 2005, il quale ultimo ha affermato che “il consenso dei creditori rappresenta oggi l’unico oggetto del sindacato giurisdizionale in sede di omologa alla luce della chiara prevalenza della natura contrattuale, privatistica del concordato, che pone al centro la volontà delle parti”.

Di diverso avviso il Tribunale di Pescara con sentenza del 20 ottobre 2005. Il giudice abruzzese, dopo aver premesso che la fattibilità del piano concordatario consiste nella “sostenibilità e nella coerenza del programma di azione prospettato dal debitore… che il piano deve essere coerente con la situazione di partenza; compatibile con le dinamiche del settore in cui opera l’impresa e con i risultati storici della stessa; concretamente attuabile in considerazione delle risorse già disponibili e di quelle ragionevolmente prevedibili (quali risultati della liquidazione di beni ceduti o della continuazione dell’attività imprenditoriale da parte del debitore o di un assuntore) rapportate all’ammontare dei crediti da soddisfare" aggiunge che "anche la fattibilità deve essere valutata, in sede di omologazione, alla luce delle verifiche e delle valutazioni compiute dal commissario giudiziale ed in prospettiva attuale (non avrebbe senso non tenere conto dei mutamenti della situazione di partenza intervenuti in corso di procedura e suscettibili di incidere sulla attuabilità del piano)”.

Invero era stato proprio il Tribunale di Pescara ad aver fatto da apripista nell’allargamento delle maglie del controllo giudiziale di merito, allorché, con decreto del 30 settembre 2005 n. 1100 (est. Filocamo), efficacemente argomentava col seguente ampio passo che si ritiene utile riportare per esteso: “...nonostante l’attuale art. 180 L.F. - che compendia l’intera disciplina di tale fase del procedimento - sembri subordinare l’omologazione al solo riscontro del raggiungimento della maggioranza di cui all’art. 177 comma 1 L.F. (salva la valutazione di convenienza nell’ipotesi di mancato raggiungimento della maggioranza nell’ambito di tutte le classi nelle quali la proposta preveda la divisione dei creditori), non è possibile limitare in tal senso l’oggetto del giudizio di omologazione. Intanto, e già sul piano della lettera delle norme novellate, è lo stesso art. 180 L.F. a prevedere la possibilità che i soggetti legittimati a partecipare al giudizio (debitore, commissario giudiziale, creditori dissenzienti e qualsiasi ’interessato’) sollevino ’eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio’ e che il tribunale svolga ’anche d’ufficio’ la istruttoria ’necessaria’. E poiché non vi è alcuna ragione che imponga di limitare l’oggetto di simili attività deduttive ed istruttorie all’ambito del riscontro delle maggioranze e delle valutazioni connesse all’esercizio del cd. cram down (non solo una simile limitazione è estranea alla lettera della legge, ma essa comporterebbe una irrazionale compromissione della facoltà degli interessati di provocare un accertamento in contraddittorio in ordine alla regolarità delle fasi procedimentali diverse dalla adunanza dei creditori ed alla sussistenza dei presupposti e delle condizioni cui la legge subordina la prevalenza della volontà dei creditori rappresentanti la maggioranza dei crediti ammessi al voto) deve ammettersi che l’oggetto del giudizio di omologazione possa essere più ampio di quello apparentemente delineato dal quarto comma dell’attuale art. 180 L.F. e possa estendersi all’accertamento della ’sussistenza delle condizioni di ammissibilità del concordato’ e della ’regolarità della procedura’, così come richiedeva il previgente testo dell’art. 181 L.F. Deve, allora, ulteriormente considerarsi che tale ampliamento dell’oggetto del giudizio omologatorio non può essere subordinato alla necessaria proposizione di eccezioni di parte, giacché quanto meno la verifica della ammissibilità del concordato preventivo, in quanto concernente la sussistenza di presupposti processuali e di condizioni della domanda, rientra nell’ambito della rilevabilità d’ufficio. Ciò trova conferma, anche sul piano sistematico, nella previsione dell’art. 173 comma 2 L.F. , il quale non è stato né modificato, né espressamente abrogato dal D.L. 35/2005 e dalla relativa legge di conversione e prevede che, ’se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato’, il tribunale dichiari il fallimento del debitore”.

A queste pronunce fanno eco le statuizioni di altre corti: il Tribunale di Sulmona con decreto del 6 giugno 2005 (est. D’Orazio[8]), nonché il Tribunale di Roma, con decreto del 30 luglio 2005 (est. La Malfa), il quale afferma che “il tribunale non deve limitarsi a riscontrare il raggiungimento della maggioranza dei creditori, ma può compiere un controllo di merito sulla fattibilità del piano proposto dal debitore, e cioè sulla concreta attuabilità di questo, anche attraverso l’esame della veridicità delle poste attive e passive e delle garanzie offerte. Rimane esclusa ogni valutazione sulla meritevolezza e sulla convenienza del concordato”; ancora il Tribunale di Roma, con decreto del 8 marzo 2006 (est. Pannullo)[9], il Tribunale di Salerno, con decreto del 3 giugno 2005 (est. Jachia); e il Tribunale di Bari, con decreto del 7 novembre 2005 (est. De Simone), secondo il quale “ai sensi del novellato art. 180 legge fallim., in sede di omologazione del concordato preventivo, al tribunale è demandato il controllo della sussistenza e permanenza delle condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 160 e 161 legge fallim., sotto il profilo dell’attendibilità e della fattibilità del piano proposto: tale giudizio di ammissibilità va condotto non solo sulla base delle allegazioni dell’imprenditore istante, ma anche sulla base degli accertamenti condotti su impulso del commissario giudiziale”.

Tuttavia, non sono mancati contrasti anche all’interno di singoli tribunali.

Il Tribunale di Milano, ad esempio, si è pronunciato con decisioni difformi ove, pur ammettendosi in generale la possibilità di un sindacato del giudice nel merito della proposta concordataria, si è registrata una divergenza in punto alle condizioni cui la verifica deve essere sottoposta.

In particolare, con decreto del 12 dicembre 2005 n. 10693 (pres. Fraccon, est. Vitiello), il Tribunale aveva inizialmente affermato un generalizzato potere giudiziale di valutazione nel merito, assumendo che un’interpretazione diversa “priverebbe il giudizio di omologazione di funzione alcuna, riducendolo ad una mera ed inutile duplicazione della presa d’atto dell’intervenuta approvazione della proposta concordataria cui il tribunale è chiamato all’esito dell’adunanza dei creditori”.

Senonché, con decreto del 18 maggio 2006 n. 19927 lo stesso Tribunale ha ritenuto che solo in caso di opposizione all’omologazione e di parere negativo del commissario giudiziale la verifica debba vertere sulla fattibilità, senza tuttavia estendersi alla convenienza: “Il tribunale non potrebbe esaminare la fattibilità del piano se i motivi di opposizione non la investissero o vi fosse sulla stessa il parere motivatamente sfavorevole del commissario”. Il principio è stato ribadito con decreto del 13 luglio 2006 n. 8698 (pres. Quatraro, est. Craveia): "…in mancanza di opposizioni il controllo del tribunale è di pura legittimità, cioè riguarda solo la regolarità della procedura e l’esito della votazione", atteso che la nuova normativa "ha conservato il predetto giudizio di convenienza per il solo caso in cui il concordato preveda la divisione dei creditori in classi, vi sia il dissenso di una o più classi e la maggioranza di queste abbia approvato la proposta concordataria". Ciò posto, il giudice milanese "reputa che l’indagine del tribunale sarebbe probabilmente più ampia, pregnante e diversificata in presenza di opposizioni all’omologazione e/o di parere negativo del commissario giudiziale sulla fattibilità del piano sottoposto all’esame e al voto dei creditori. In presenza di opposizioni, il comma 4 dell’art. 177 legittima il tribunale ad assumere, anche d’ufficio, nel contraddittorio delle parti, tutte le informazioni e le prove necessarie, per verificare la fondatezza o meno dei motivi di opposizione. …In questi casi il controllo del tribunale non potrebbe certo limitarsi alla sola verifica dell’avvenuto raggiungimento della maggioranza di legge, in quanto deve darsi carico dei singoli motivi di opposizione, senza però andare ultra petita".

Pur senza ripercorrere la dettagliata analisi operata dal decreto appena menzionato, il Tribunale di Milano ha accennato all’argomento con decreto del 18 luglio 2006 n. 8863 (pres. Quatraro, est. Mammone), ribadendo che "il chiaro testo dell’art. 180, comma 4, legge fall. attribuisce espressamente al Collegio, in sede di omologazione del concordato preventivo, oltre che l’accertamento della regolarità della procedura, anche il controllo sul raggiungimento delle maggioranze, sicché si deve ritenere che, entro questi limiti solo a questi fini - dunque senza alcun effetto al di fuori della procedura -, spetti al Tribunale, investito di specifiche contestazioni, verificare anche la validità del negozio dal quale gli asseriti creditori traggono la loro legittimazione, non potendo la verifica delle maggioranze esaurirsi… in un riesame solo formale e quasi ’notarile’ della correttezza dei calcoli effettuati dal giudice delegato".

Secondo queste pronunce, sarebbero quindi i motivi di opposizione a segnare il limite del controllo giurisdizionale, che rimarrebbe ad essi circoscritto: vale a dire che, laddove le opposizioni investissero aspetti quali, ad esempio, la competenza territoriale, la qualità di imprenditore commerciale, lo stato di crisi, la fattibilità del piano concordatario, ecco allora che l’esame giudiziale deve estendersi ai temi contestati. Laddove, invece, le opposizioni si limitassero alla regolarità della procedura, ovvero alla validità delle manifestazioni di voto, o al calcolo o al raggiungimento della maggioranza, allora l’esame giudiziale dovrebbe limitarsi ad essi, senza estendersi sua sponte alla fattibilità del piano, appunto non oggetto di quelle opposizioni. A fortiori, in mancanza di opposizioni, il tribunale dovrebbe limitarsi a quella presa d’atto che ormai è invalso definire "notarile".

Appena prima delle ultime due pronunce riportate, il Tribunale di Milano era apparso volersi riavvicinare alla tesi del decreto del dicembre 2005 allorché, con sentenza dell’8 giugno 2006 n. 6767, ha sostenuto che la verifica debba concernere tutte le condizioni cui la legge subordina l’ammissibilità del concordato e, quindi, che anche la fattibilità del piano sia suscettibile di valutazione giudiziale indipendentemente dalle ragioni di dissenso rappresentate da eventuali opposizioni all’omologa. Quanto all’ulteriore possibile giudizio di merito attinente alla convenienza del concordato rispetto al fallimento, questo “è riservato al tribunale nelle sole ipotesi in cui il concordato sia costituito con la suddivisione in classi e soltanto se una o più classi siano dissenzienti”.

Se la giurisprudenza milanese si è rivelata a tratti incerta e altalenante, quella monzese non è stata da meno ma ha seguito il percorso inverso, partendo dalla tesi più restrittiva.

Il Tribunale di Monza, infatti, dopo una prima pronuncia (ordinanza del 28 settembre 2005, pres. Miele, est. Paluchowski) che sposava la tesi più formalista, con la sentenza del 17 ottobre 2005 n. 212 (pres. Paluchowski, est. Fontana)[10] prende le mosse dall’art. 173 che prevede la dichiarazione di fallimento se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato, da ciò desumendo la volontà del legislatore di mantenere il potere giudiziale di interrompere in qualsiasi momento la procedura concordataria allorché, per qualsiasi motivo, la proposta del debitore dovesse divenire non più fattibile, con ciò ammettendo una valutazione di merito. Argomenta il Tribunale di Monza che “la funzione di garanzia del tribunale non possa essere ridotta alla mera verifica dell’avvenuto deposito del ricorso e dei documenti di cui all’art. 161 L.F., ma debba concretizzarsi: a) nella verifica della completezza e regolarità dei documenti sotto il profilo della loro idoneità a svolgere la funzione informativa e dimostrativa che la legge loro attribuisce ai fini dell’ammissione dell’imprenditore alla procedura; b) nell’assicurare che la relazione del commissario fornisca ad ogni singolo creditore tutti gli elementi informativi necessari per il compimento pienamente consapevole delle valutazioni demandategli in ordine alla convenienza della soluzione proposta; c) nell’interrompere in qualunque momento la procedura laddove dalle comunicazioni del commissario emergano elementi che dimostrino che il piano proposto non è fattibile”. Sulla stessa linea il Tribunale di Ancona con decreto del 13 ottobre 2005 (est. Ragaglia).

Ecco dunque che ha cominciato a farsi strada una "terza via": ammesso che in mancanza di suddivisione in classi e di opposizioni l’omologa non debba investire il merito della proposta concordataria sulla cui valutazione rimane principe il ceto creditorio, è però il tribunale che può e deve valutare se i creditori siano stati posti in condizione di vagliare adeguatamente il piano, ad opera vuoi del debitore con le sue allegazioni, vuoi del commissario giudiziale con la sua relazione. E’ la tesi del "consenso informato": in altre parole, si demanda sì ai creditori il giudizio finale sulla fattibilità del piano e sulla sua convenienza rispetto alla liquidazione fallimentare ma, appunto, previa valutazione da parte del tribunale della esaustività delle allegazioni del debitore (in primis, della relazione del professionista abilitato) e della relazione stesa dal commissario.

E’ proprio in questa ottica della necessità di un consenso informato dei creditori e dell’esigenza che tale informativa debba essere garantita dal tribunale, che si è posto il Tribunale di Piacenza con il menzionato decreto del 23 maggio 2006, osservando “...che il tribunale non possa compiere alcuna valutazione in tal senso (nel merito, n.d.r.) ma che - invece - l’organo collegiale abbia il dovere di far sì che i creditori esprimano la loro volontà in presenza di informazione corretta, e che, pertanto, essi possano esprimere un consenso informato” essenzialmente attraverso l’indagine di merito compiuta dal commissario giudiziale e dal tribunale valutata.

Ad oggi può dirsi che questo appare essere l’indirizzo giurisprudenziale più condivisibile, non ponendosi in reale contrasto né con la lettera né con la ratio delle norme riformate. Tuttavia è mia opinione che, se si vuole essere coerenti, la tesi del “consenso informato” rimetta in gioco non solo il giudizio di fattibilità e di convenienza (ove questa non sia valutabile per mancata suddivisione in classi), sia pure per demandarli a creditori sufficientemente informati, ma anche il giudizio di meritevolezza del debitore; meritevolezza che, in base al novellato art. 160 non é più prevista quale condizione per l’ammissione alla procedura ma che l’art. 172 riesuma, laddove impone al commissario giudiziale di trattare, nella propria relazione, le cause del dissesto e la condotta del debitore.



[1] D.L. 14 marzo 2005 n. 35, conv. con modificazioni in L. 14 maggio 2005 n. 80.

[2] GENOVIVA, I limiti del sindacato di merito del tribunale nel nuovo concordato preventivo, in Il Fall. n. 3/2006, pag. 361.

[3] Cfr. AMBROSINI, DEMARCHI, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2005.

[4] NISIVOCCIA, Per i giudici una perdita di competenze, in La riforma dei fallimenti, Il Sole 24 Ore, 29 giugno 2006; NISIVOCCIA, Omologazione del concordato: i limiti dell’autorità giudiziaria, in Dir. e Prat. del Fall. n. 1/2006, pag. 62; BOZZA, Il nuovo sistema concorsuale di riorganizzazione delle imprese, in www.cosmag.it; BOZZA, L’omologazione della proposta (i limiti dalle valutazioni del giudice), in Il Fall. n. 9/2006, pag. 1070; ORLANDI e BAGAGLIO, La liquidazione dei beni nelle nuove procedure concorsuali e gli effetti fiscali del concordato preventivo, in Il Fisco n. 35/2006, pag. 5502.

[5] De MATTEIS, Questioni vecchie e nuove in tema di concordato preventivo, in Il Fall. n. 12/2005, pag. 1408; PATTI, Presupposti e sindacato del giudice nel nuovo concordato preventivo, Relazione a Convegno di Monza, 11 e 12 novembre 2005; FAUCEGLIA, Incertezze valutative in tema di nuovo concordato preventivo tra risentimento dei Giudici ed incertezze del legislatore, in Il Dir. Fall., 2006, II, pag. 153.

[6] GABALLO, Il nuovo concordato preventivo, Relazione a Convegno, in www.ilcaso.it; concordano con l’Autore: APICE, Il nuovo concordato preventivo e i poteri del tribunale, in Dir. e Prat. delle Soc. n. 22/2005, pag. 6; BERSANI, Primi orientamenti interpretativi in tema di concordato preventivo, in Impr. Comm. Ind. n. 5/2006, pag. 747; RAGO, Primi problemi applicativi sul nuovo concordato preventivo, in Il Fall., 2006, pag. 290.

[7] LA MALFA, La crisi dell’impresa, il piano proposto dall’imprenditore e i poteri del tribunale nel nuovo concordato preventivo, in www.ilcaso.it, il quale acutamente osserva che i poteri istruttori d’ufficio, in capo al tribunale, sanciti dall’art. 180, “avrebbero ben scarsa ragione d’esistere, se non in funzione del giudizio di merito”.

[8] L’Autore, però, sembra sconfessare la tesi in Profili di diritto transitorio nel nuovo concordato, in Bonfatti-Falcone (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Milano, 2005, pagg. 300-309 passim.

[9] In Dir. e Prat. del Fall. n. 4/2006, pag. 54, con nota adesiva di CASALE.

[10] In Dir. e Prat. delle Soc. n. 22/2005, pag. 67, con nota adesiva di PRENNA.

A seguito della riforma delle procedure concorsuali[1], è ormai divenuto oggetto di ampio dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, il tema dei poteri residuati in capo all’autorità giudiziaria chiamata all’omologazione della procedura di concordato preventivo.

Anteriormente alla riforma, l’art. 181 L.F. subordinava infatti l’omologazione del concordato alla positiva valutazione, da parte del tribunale, di quattro elementi essenziali: la convenienza economica del piano proposto, la sua fattibilità, la meritevolezza del debitore, nonché l’avvenuto raggiungimento delle maggioranze previste.

A seguito della riforma l’intero procedimento di omologazione è ora compendiato nell’art. 180, il quale limita invece la verifica al controllo sulla regolarità formale della procedura e, più specificamente, al raggiungimento della maggioranza dei voti dei creditori. In ciò si è ravvisato l’intento del legislatore di precludere l’estensione del sindacato giurisdizionale, oltre che al requisito della meritevolezza del debitore (che sparisce del tutto, persino come condizione per l’ammissione alla procedura), anche alla convenienza economica del piano rispetto alle alternative concretamente praticabili, quale ad esempio il fallimento (è il c.d. cram down, istituto mediato dal diritto statunitense). Ma soprattutto verrebbe preclusa la valutazione della fattibilità del piano medesimo (requisito che il Tribunale di Pescara ha definito come “sostenibilità e coerenza del piano in considerazione delle risorse già disponibili e di quelle ragionevolmente prevedibili rapportate all’ammontare dei crediti da soddisfare”; ordinanza del 20 ottobre 2005). Solo in caso di dissenso di classi di creditori (e sempre che la proposta concordataria preveda la suddivisione in classi) permarrebbe un giudizio sul merito, ma solo in punto alla convenienza e non anche alla fattibilità.

La norma così novellata ha suscitato forti critiche in dottrina[2], sia per la sua portata riduttiva, sia per la sua intrinseca contraddittorietà laddove - al secondo comma - fa salve le eccezioni di merito sollevabili dai creditori e - al terzo comma - attribuisce al tribunale poteri istruttori anche d’ufficio.

In estrema sintesi, può dirsi che il procedimento di omologa, da strumento di valutazione del merito qual era prima della riforma (al punto che, come detto, si estendeva anche al giudizio di meritevolezza del debitore), appare ora essere scaduto a una mera presa d’atto, ovvero a verifica formale dell’avvenuto raggiungimento delle maggioranze richieste e della regolarità delle produzioni rituali[3].

Con decreto del 23 maggio 2006 di omologazione di un concordato preventivo con cessio bonorum, il Tribunale di Piacenza (pres. Tucci, est. Bersani) si è inserito a buon diritto in questo dibattito, rimarcando i cennati ostacoli all’esame del merito da parte dell’autorità giudiziaria che la recente riforma ha frapposto ponendo la procedura concorsuale “in una prospettiva accentuatamente pattizia e contrattuale” (Trib. Piacenza, cit.), ove “la determinazione del contenuto di merito della proposta e la scelta in ordine alla sua adozione sono lasciati alla libera negoziazione delle parti” (Trib. Monza, ordinanza del 28 settembre 2005).

Per meglio comprendere il principio sposato dal giudice piacentino, è utile un breve excursus fra le posizioni dogmatiche che si sono succedute.

In dottrina, pur registrandosi qualche Autore più cauto[4] e qualcun altro più incline a un’interpretazione restrittiva dell’art. 180[5], sembra consolidarsi un indirizzo più estensivo, ritenendosi che, in sede di omologa, il tribunale “sia tenuto a riesaminare le condizioni di ammissibilità del concordato e in particolare l’idoneità della documentazione prodotta a dimostrarne la fattibilità, nei termini già indicati in sede di ammissione. Tale potere trova fondamento... nel potere di verificare in qualsiasi momento - e quindi anche in sede di omologa del concordato - se mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità dello stesso. Resta invece estraneo al tribunale il giudizio sulla convenienza, limitato all’ipotesi di classi dissenzienti, come pure il giudizio sulla meritevolezza, salva la ricorrenza di condotte fraudolente in danno dei creditori o di attività gestoria eccedente l’ordinaria amministrazione non autorizzata” (Gaballo) [6].

Siffatto indirizzo dottrinale, secondo altri[7], trova sostegno anche nel potere di controllo demandato al commissario giudiziale e al tribunale, tuttora sancito dall’art. 173; potere che, in effetti, necessariamente implicherebbe di valutare nel merito la proposta concordataria che il tribunale è chiamato a omologare.

In giurisprudenza, soprattutto in un primo tempo, vari tribunali avevano escluso la possibilità che il giudizio di omologa potesse andare oltre la mera verifica delle maggioranze di cui all’art. 177 L.F.: vedansi il Tribunale di Taranto con decreto del 1 luglio 2005 (est. Genoviva): “il tribunale, in sede di omologazione, è tenuto ad una mera verifica delle maggioranze… Nessun altro sindacato nel merito sembra… consentito al collegio”; il Tribunale di Cagliari con decreto del 23 giugno 2005, che ha ritenuto che “nessun controllo sull’accertamento della sussistenza delle condizioni di ammissibilità e nessuna valutazione sul merito della proposta sono stati demandati all’autorità giudiziaria nella fase dell’approvazione del concordato e del giudizio di omologa”; e il Tribunale di Como, con decreto del 22 luglio 2005, il quale ultimo ha affermato che “il consenso dei creditori rappresenta oggi l’unico oggetto del sindacato giurisdizionale in sede di omologa alla luce della chiara prevalenza della natura contrattuale, privatistica del concordato, che pone al centro la volontà delle parti”.

Di diverso avviso il Tribunale di Pescara con sentenza del 20 ottobre 2005. Il giudice abruzzese, dopo aver premesso che la fattibilità del piano concordatario consiste nella “sostenibilità e nella coerenza del programma di azione prospettato dal debitore… che il piano deve essere coerente con la situazione di partenza; compatibile con le dinamiche del settore in cui opera l’impresa e con i risultati storici della stessa; concretamente attuabile in considerazione delle risorse già disponibili e di quelle ragionevolmente prevedibili (quali risultati della liquidazione di beni ceduti o della continuazione dell’attività imprenditoriale da parte del debitore o di un assuntore) rapportate all’ammontare dei crediti da soddisfare" aggiunge che "anche la fattibilità deve essere valutata, in sede di omologazione, alla luce delle verifiche e delle valutazioni compiute dal commissario giudiziale ed in prospettiva attuale (non avrebbe senso non tenere conto dei mutamenti della situazione di partenza intervenuti in corso di procedura e suscettibili di incidere sulla attuabilità del piano)”.

Invero era stato proprio il Tribunale di Pescara ad aver fatto da apripista nell’allargamento delle maglie del controllo giudiziale di merito, allorché, con decreto del 30 settembre 2005 n. 1100 (est. Filocamo), efficacemente argomentava col seguente ampio passo che si ritiene utile riportare per esteso: “...nonostante l’attuale art. 180 L.F. - che compendia l’intera disciplina di tale fase del procedimento - sembri subordinare l’omologazione al solo riscontro del raggiungimento della maggioranza di cui all’art. 177 comma 1 L.F. (salva la valutazione di convenienza nell’ipotesi di mancato raggiungimento della maggioranza nell’ambito di tutte le classi nelle quali la proposta preveda la divisione dei creditori), non è possibile limitare in tal senso l’oggetto del giudizio di omologazione. Intanto, e già sul piano della lettera delle norme novellate, è lo stesso art. 180 L.F. a prevedere la possibilità che i soggetti legittimati a partecipare al giudizio (debitore, commissario giudiziale, creditori dissenzienti e qualsiasi ’interessato’) sollevino ’eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio’ e che il tribunale svolga ’anche d’ufficio’ la istruttoria ’necessaria’. E poiché non vi è alcuna ragione che imponga di limitare l’oggetto di simili attività deduttive ed istruttorie all’ambito del riscontro delle maggioranze e delle valutazioni connesse all’esercizio del cd. cram down (non solo una simile limitazione è estranea alla lettera della legge, ma essa comporterebbe una irrazionale compromissione della facoltà degli interessati di provocare un accertamento in contraddittorio in ordine alla regolarità delle fasi procedimentali diverse dalla adunanza dei creditori ed alla sussistenza dei presupposti e delle condizioni cui la legge subordina la prevalenza della volontà dei creditori rappresentanti la maggioranza dei crediti ammessi al voto) deve ammettersi che l’oggetto del giudizio di omologazione possa essere più ampio di quello apparentemente delineato dal quarto comma dell’attuale art. 180 L.F. e possa estendersi all’accertamento della ’sussistenza delle condizioni di ammissibilità del concordato’ e della ’regolarità della procedura’, così come richiedeva il previgente testo dell’art. 181 L.F. Deve, allora, ulteriormente considerarsi che tale ampliamento dell’oggetto del giudizio omologatorio non può essere subordinato alla necessaria proposizione di eccezioni di parte, giacché quanto meno la verifica della ammissibilità del concordato preventivo, in quanto concernente la sussistenza di presupposti processuali e di condizioni della domanda, rientra nell’ambito della rilevabilità d’ufficio. Ciò trova conferma, anche sul piano sistematico, nella previsione dell’art. 173 comma 2 L.F. , il quale non è stato né modificato, né espressamente abrogato dal D.L. 35/2005 e dalla relativa legge di conversione e prevede che, ’se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato’, il tribunale dichiari il fallimento del debitore”.

A queste pronunce fanno eco le statuizioni di altre corti: il Tribunale di Sulmona con decreto del 6 giugno 2005 (est. D’Orazio[8]), nonché il Tribunale di Roma, con decreto del 30 luglio 2005 (est. La Malfa), il quale afferma che “il tribunale non deve limitarsi a riscontrare il raggiungimento della maggioranza dei creditori, ma può compiere un controllo di merito sulla fattibilità del piano proposto dal debitore, e cioè sulla concreta attuabilità di questo, anche attraverso l’esame della veridicità delle poste attive e passive e delle garanzie offerte. Rimane esclusa ogni valutazione sulla meritevolezza e sulla convenienza del concordato”; ancora il Tribunale di Roma, con decreto del 8 marzo 2006 (est. Pannullo)[9], il Tribunale di Salerno, con decreto del 3 giugno 2005 (est. Jachia); e il Tribunale di Bari, con decreto del 7 novembre 2005 (est. De Simone), secondo il quale “ai sensi del novellato art. 180 legge fallim., in sede di omologazione del concordato preventivo, al tribunale è demandato il controllo della sussistenza e permanenza delle condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 160 e 161 legge fallim., sotto il profilo dell’attendibilità e della fattibilità del piano proposto: tale giudizio di ammissibilità va condotto non solo sulla base delle allegazioni dell’imprenditore istante, ma anche sulla base degli accertamenti condotti su impulso del commissario giudiziale”.

Tuttavia, non sono mancati contrasti anche all’interno di singoli tribunali.

Il Tribunale di Milano, ad esempio, si è pronunciato con decisioni difformi ove, pur ammettendosi in generale la possibilità di un sindacato del giudice nel merito della proposta concordataria, si è registrata una divergenza in punto alle condizioni cui la verifica deve essere sottoposta.

In particolare, con decreto del 12 dicembre 2005 n. 10693 (pres. Fraccon, est. Vitiello), il Tribunale aveva inizialmente affermato un generalizzato potere giudiziale di valutazione nel merito, assumendo che un’interpretazione diversa “priverebbe il giudizio di omologazione di funzione alcuna, riducendolo ad una mera ed inutile duplicazione della presa d’atto dell’intervenuta approvazione della proposta concordataria cui il tribunale è chiamato all’esito dell’adunanza dei creditori”.

Senonché, con decreto del 18 maggio 2006 n. 19927 lo stesso Tribunale ha ritenuto che solo in caso di opposizione all’omologazione e di parere negativo del commissario giudiziale la verifica debba vertere sulla fattibilità, senza tuttavia estendersi alla convenienza: “Il tribunale non potrebbe esaminare la fattibilità del piano se i motivi di opposizione non la investissero o vi fosse sulla stessa il parere motivatamente sfavorevole del commissario”. Il principio è stato ribadito con decreto del 13 luglio 2006 n. 8698 (pres. Quatraro, est. Craveia): "…in mancanza di opposizioni il controllo del tribunale è di pura legittimità, cioè riguarda solo la regolarità della procedura e l’esito della votazione", atteso che la nuova normativa "ha conservato il predetto giudizio di convenienza per il solo caso in cui il concordato preveda la divisione dei creditori in classi, vi sia il dissenso di una o più classi e la maggioranza di queste abbia approvato la proposta concordataria". Ciò posto, il giudice milanese "reputa che l’indagine del tribunale sarebbe probabilmente più ampia, pregnante e diversificata in presenza di opposizioni all’omologazione e/o di parere negativo del commissario giudiziale sulla fattibilità del piano sottoposto all’esame e al voto dei creditori. In presenza di opposizioni, il comma 4 dell’art. 177 legittima il tribunale ad assumere, anche d’ufficio, nel contraddittorio delle parti, tutte le informazioni e le prove necessarie, per verificare la fondatezza o meno dei motivi di opposizione. …In questi casi il controllo del tribunale non potrebbe certo limitarsi alla sola verifica dell’avvenuto raggiungimento della maggioranza di legge, in quanto deve darsi carico dei singoli motivi di opposizione, senza però andare ultra petita".

Pur senza ripercorrere la dettagliata analisi operata dal decreto appena menzionato, il Tribunale di Milano ha accennato all’argomento con decreto del 18 luglio 2006 n. 8863 (pres. Quatraro, est. Mammone), ribadendo che "il chiaro testo dell’art. 180, comma 4, legge fall. attribuisce espressamente al Collegio, in sede di omologazione del concordato preventivo, oltre che l’accertamento della regolarità della procedura, anche il controllo sul raggiungimento delle maggioranze, sicché si deve ritenere che, entro questi limiti solo a questi fini - dunque senza alcun effetto al di fuori della procedura -, spetti al Tribunale, investito di specifiche contestazioni, verificare anche la validità del negozio dal quale gli asseriti creditori traggono la loro legittimazione, non potendo la verifica delle maggioranze esaurirsi… in un riesame solo formale e quasi ’notarile’ della correttezza dei calcoli effettuati dal giudice delegato".

Secondo queste pronunce, sarebbero quindi i motivi di opposizione a segnare il limite del controllo giurisdizionale, che rimarrebbe ad essi circoscritto: vale a dire che, laddove le opposizioni investissero aspetti quali, ad esempio, la competenza territoriale, la qualità di imprenditore commerciale, lo stato di crisi, la fattibilità del piano concordatario, ecco allora che l’esame giudiziale deve estendersi ai temi contestati. Laddove, invece, le opposizioni si limitassero alla regolarità della procedura, ovvero alla validità delle manifestazioni di voto, o al calcolo o al raggiungimento della maggioranza, allora l’esame giudiziale dovrebbe limitarsi ad essi, senza estendersi sua sponte alla fattibilità del piano, appunto non oggetto di quelle opposizioni. A fortiori, in mancanza di opposizioni, il tribunale dovrebbe limitarsi a quella presa d’atto che ormai è invalso definire "notarile".

Appena prima delle ultime due pronunce riportate, il Tribunale di Milano era apparso volersi riavvicinare alla tesi del decreto del dicembre 2005 allorché, con sentenza dell’8 giugno 2006 n. 6767, ha sostenuto che la verifica debba concernere tutte le condizioni cui la legge subordina l’ammissibilità del concordato e, quindi, che anche la fattibilità del piano sia suscettibile di valutazione giudiziale indipendentemente dalle ragioni di dissenso rappresentate da eventuali opposizioni all’omologa. Quanto all’ulteriore possibile giudizio di merito attinente alla convenienza del concordato rispetto al fallimento, questo “è riservato al tribunale nelle sole ipotesi in cui il concordato sia costituito con la suddivisione in classi e soltanto se una o più classi siano dissenzienti”.

Se la giurisprudenza milanese si è rivelata a tratti incerta e altalenante, quella monzese non è stata da meno ma ha seguito il percorso inverso, partendo dalla tesi più restrittiva.

Il Tribunale di Monza, infatti, dopo una prima pronuncia (ordinanza del 28 settembre 2005, pres. Miele, est. Paluchowski) che sposava la tesi più formalista, con la sentenza del 17 ottobre 2005 n. 212 (pres. Paluchowski, est. Fontana)[10] prende le mosse dall’art. 173 che prevede la dichiarazione di fallimento se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato, da ciò desumendo la volontà del legislatore di mantenere il potere giudiziale di interrompere in qualsiasi momento la procedura concordataria allorché, per qualsiasi motivo, la proposta del debitore dovesse divenire non più fattibile, con ciò ammettendo una valutazione di merito. Argomenta il Tribunale di Monza che “la funzione di garanzia del tribunale non possa essere ridotta alla mera verifica dell’avvenuto deposito del ricorso e dei documenti di cui all’art. 161 L.F., ma debba concretizzarsi: a) nella verifica della completezza e regolarità dei documenti sotto il profilo della loro idoneità a svolgere la funzione informativa e dimostrativa che la legge loro attribuisce ai fini dell’ammissione dell’imprenditore alla procedura; b) nell’assicurare che la relazione del commissario fornisca ad ogni singolo creditore tutti gli elementi informativi necessari per il compimento pienamente consapevole delle valutazioni demandategli in ordine alla convenienza della soluzione proposta; c) nell’interrompere in qualunque momento la procedura laddove dalle comunicazioni del commissario emergano elementi che dimostrino che il piano proposto non è fattibile”. Sulla stessa linea il Tribunale di Ancona con decreto del 13 ottobre 2005 (est. Ragaglia).

Ecco dunque che ha cominciato a farsi strada una "terza via": ammesso che in mancanza di suddivisione in classi e di opposizioni l’omologa non debba investire il merito della proposta concordataria sulla cui valutazione rimane principe il ceto creditorio, è però il tribunale che può e deve valutare se i creditori siano stati posti in condizione di vagliare adeguatamente il piano, ad opera vuoi del debitore con le sue allegazioni, vuoi del commissario giudiziale con la sua relazione. E’ la tesi del "consenso informato": in altre parole, si demanda sì ai creditori il giudizio finale sulla fattibilità del piano e sulla sua convenienza rispetto alla liquidazione fallimentare ma, appunto, previa valutazione da parte del tribunale della esaustività delle allegazioni del debitore (in primis, della relazione del professionista abilitato) e della relazione stesa dal commissario.

E’ proprio in questa ottica della necessità di un consenso informato dei creditori e dell’esigenza che tale informativa debba essere garantita dal tribunale, che si è posto il Tribunale di Piacenza con il menzionato decreto del 23 maggio 2006, osservando “...che il tribunale non possa compiere alcuna valutazione in tal senso (nel merito, n.d.r.) ma che - invece - l’organo collegiale abbia il dovere di far sì che i creditori esprimano la loro volontà in presenza di informazione corretta, e che, pertanto, essi possano esprimere un consenso informato” essenzialmente attraverso l’indagine di merito compiuta dal commissario giudiziale e dal tribunale valutata.

Ad oggi può dirsi che questo appare essere l’indirizzo giurisprudenziale più condivisibile, non ponendosi in reale contrasto né con la lettera né con la ratio delle norme riformate. Tuttavia è mia opinione che, se si vuole essere coerenti, la tesi del “consenso informato” rimetta in gioco non solo il giudizio di fattibilità e di convenienza (ove questa non sia valutabile per mancata suddivisione in classi), sia pure per demandarli a creditori sufficientemente informati, ma anche il giudizio di meritevolezza del debitore; meritevolezza che, in base al novellato art. 160 non é più prevista quale condizione per l’ammissione alla procedura ma che l’art. 172 riesuma, laddove impone al commissario giudiziale di trattare, nella propria relazione, le cause del dissesto e la condotta del debitore.



[1] D.L. 14 marzo 2005 n. 35, conv. con modificazioni in L. 14 maggio 2005 n. 80.

[2] GENOVIVA, I limiti del sindacato di merito del tribunale nel nuovo concordato preventivo, in Il Fall. n. 3/2006, pag. 361.

[3] Cfr. AMBROSINI, DEMARCHI, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2005.

[4] NISIVOCCIA, Per i giudici una perdita di competenze, in La riforma dei fallimenti, Il Sole 24 Ore, 29 giugno 2006; NISIVOCCIA, Omologazione del concordato: i limiti dell’autorità giudiziaria, in Dir. e Prat. del Fall. n. 1/2006, pag. 62; BOZZA, Il nuovo sistema concorsuale di riorganizzazione delle imprese, in www.cosmag.it; BOZZA, L’omologazione della proposta (i limiti dalle valutazioni del giudice), in Il Fall. n. 9/2006, pag. 1070; ORLANDI e BAGAGLIO, La liquidazione dei beni nelle nuove procedure concorsuali e gli effetti fiscali del concordato preventivo, in Il Fisco n. 35/2006, pag. 5502.

[5] De MATTEIS, Questioni vecchie e nuove in tema di concordato preventivo, in Il Fall. n. 12/2005, pag. 1408; PATTI, Presupposti e sindacato del giudice nel nuovo concordato preventivo, Relazione a Convegno di Monza, 11 e 12 novembre 2005; FAUCEGLIA, Incertezze valutative in tema di nuovo concordato preventivo tra risentimento dei Giudici ed incertezze del legislatore, in Il Dir. Fall., 2006, II, pag. 153.

[6] GABALLO, Il nuovo concordato preventivo, Relazione a Convegno, in www.ilcaso.it; concordano con l’Autore: APICE, Il nuovo concordato preventivo e i poteri del tribunale, in Dir. e Prat. delle Soc. n. 22/2005, pag. 6; BERSANI, Primi orientamenti interpretativi in tema di concordato preventivo, in Impr. Comm. Ind. n. 5/2006, pag. 747; RAGO, Primi problemi applicativi sul nuovo concordato preventivo, in Il Fall., 2006, pag. 290.

[7] LA MALFA, La crisi dell’impresa, il piano proposto dall’imprenditore e i poteri del tribunale nel nuovo concordato preventivo, in www.ilcaso.it, il quale acutamente osserva che i poteri istruttori d’ufficio, in capo al tribunale, sanciti dall’art. 180, “avrebbero ben scarsa ragione d’esistere, se non in funzione del giudizio di merito”.

[8] L’Autore, però, sembra sconfessare la tesi in Profili di diritto transitorio nel nuovo concordato, in Bonfatti-Falcone (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Milano, 2005, pagg. 300-309 passim.

[9] In Dir. e Prat. del Fall. n. 4/2006, pag. 54, con nota adesiva di CASALE.

[10] In Dir. e Prat. delle Soc. n. 22/2005, pag. 67, con nota adesiva di PRENNA.